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Autore: Return_to_Nibelheim    11/07/2011    10 recensioni
E percepivi il peso di un fuoco incrociato di aspettative…
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Usagi/Bunny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più serie, Contesto generale/vago
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L’angolino di Calcifer, lo spirito del Fuoco: Una storia nata un po’ per frustrazione e un po’ per caso, di sicuro scritta di getto (per cui scusate anticipatamente l’autrice per eventuali distrazioni grammaticali o di battitura ma capitola poveretta, nutre la cieca convinzione che lavorare troppo su una cosa scritta di getto la svilisca, ed è come sempre beta-sprovvista). L’idea non voleva saperne di andar via, tra l’altro le è venuta mentre rifletteva su un altro fandom in cui si vorrebbe gettare il prima possibile (Ace Attorney, per chi si sintonizzasse con noi solo in questo momento), ovvero non appena un’idea decente le solleticherà le narici, ma è dura. L’ha scritta quasi tutta d’un fiato mentre stava preparando il pranzo. Risultato, pentola da buttare e riso bruciato. Nel senso di nero.

Nel senso che ha preso fuoco.

Sperando che ne sia valsa la pena, lasciamo alla lettura.



 


PER QUESTO  FUGGI

 

* *

 

E’ un nuovo locale pieno di dolci deliziosi che volevi assolutamente assaggiare quello in cui vi siete ritrovate questo pomeriggio per fare quattro chiacchiere frivole. Niente esami in vista anche se a guardare Ami sembrerebbe di sì visto che passa più tempo col naso ficcato in un libro che a interagire con voi. Ma è Ami e voi le volete bene anche con le sue risposte distaccate e quell’aggrottamento biasimevole di sopracciglia con cui pare soppesarvi a volte. Niente nemici da affrontare, anche se a sentire Rei il pericolo è in agguato e trama nell’ombra per stritolarvi tra le sue spire. Ma secondo Rei il pericolo è in agguato anche in una toilette pubblica quindi tendete a non prenderla troppo sul serio, a meno che qualcosa effettivamente non attacchi. Sei stata tu a proporre questa uscita. Ti piace stare con loro, sono le tue amiche, le tue compagne.

E i dolci sono squisiti come ti avevano detto.

Sei persa in pensieri inconsistenti di gioia e appagamento, felice di avere la pancia piena di cose buone e quel sapore di panna e fragole che ti hanno lasciato nella bocca, e mentre ti chini in avanti per sorseggiare la tua bibita qualcuno, di certo Minako visto che queste proposte partono sempre da lei, accenna qualcosa a riguardo di un fantomatico concorso di canto a cui tu e lei dovreste assolutamente partecipare. A quel punto prima che tu riesca a pensare a un modo cortese di rifiutare la sua proposta (perché cantare non ti interessa, nemmeno ascolti la musica, perché questi concorsi non ti interessano, perché in cuor tuo sai anche se non vuoi pensarci che Minako ti vuole assolutamente con lei perché stonata come sei servirai a farle fare una figura migliore) Rei si sente in dovere di replicare col suo solito piglio da zitella acida qualcosa a riguardo della tua irrecuperabile tontaggine che trasformerebbe il concorso in una farsa. Ed è a questo punto che ci si attende che tu te ne esca con qualcosa di esilarante.

Ne è la prova questo silenzio carico d’aspettativa.

Rei ti ha lanciato un assist.

Ci sono dei momenti, tipo questo per esempio, in cui sei convinta che ci sia uno schema preordinato in questi siparietti da cartone animato. Come se prima di incontrarsi con te si dessero delle direttive d’azione, o si preparassero un copione da seguire, o chissà che altro: contando sul fatto che ritardataria come sei sarai l’ultima a presentarti a un appuntamento hanno tutto il tempo di mettersi d’accordo su cosa dire o fare per stuzzicarti. Non per cattiveria, ma perché è quello che ci si aspetta da te.

Ma se non ne avessi voglia, se fossi triste?

O molto più semplicemente, se questo schema ripetitivo ti avesse stufata?

Potrebbe succedere. E’ già successo. Volte in cui la tentazione di non stare al gioco, di guardare Rei dritto in quegli occhi alteri e dirle “Non sono in vena, smettila di fare la bambina” è talmente forte che senti le parole premerti contro le labbra per uscire. Le assapori nel palato, lasciando correre lo sguardo alle tue amiche che già si sporgono quasi impercettibilmente sulle sedie pregustando lo spettacolo. Ti pare che a Makoto addirittura brilli lo sguardo.

Non vede l’ora di separarvi.

Il suo ruolo di tranquillizzatrice di animi la esalta.

Tranquillizzatrice è una parola buffa, rifletti. Potresti usarla una volta o l’altra, di certo riderebbero tutti e Luna scuoterebbe la testa con fare bonario e materno, perché tu sei Usagi e sei fatta così, ti si vuole bene anche per questo. Le guardi e pensi che potresti farlo davvero. Lasciarle di stucco, gustarti le loro facce basite mentre finisci in pace la tua bibita.

Ma non riesci, e dopo quella che t’è parsa un’eternità ma che nel pratico è stata solo una questione di un secondo o forse due (e non se ne accorgerà nessuno) la lingua fa capolino dai denti in una buffa smorfia e una replica offensiva ma bonaria collaudata ti è già scoppiata dal petto.

Per quando avrete finito la bibita sarà già diventata calda ma non puoi farci niente.

 

 

* *

 

 

Un’aula universitaria è molto diversa da una di liceo per molti motivi, ma il migliore è che i frequentanti non indossano divise: questa è una cosa molto buona perché così per questa volta sei potuta entrare senza ricorrere ai poteri della Penna Lunare, cosa che a te non avrebbe creato fastidi ma che avrebbe indotto Luna a farle una delle sue ramanzine chilometriche sull’importanza di non usare la magia per cose stupide.

E questo sì che ti avrebbe infastidita.

Nessuno ha degnato di un’occhiata né te né Mamo al vostro ingresso, eppure non puoi fare a meno di lanciarti attorno occhiate guardinghe, scrutando le facce degli studenti che ti circondano in cerca del dubbio, del sospetto. Che qualcuno si chieda cosa ci faccia una ragazzina lì. Sono tutti seri e concentrati, potresti ballare loro nuda davanti sventolando dei ventagli e non ti degnerebbero di un’occhiata, eppure continui ad aspettarti che da un momento all’altro uno di loro si alzi in piedi dal fondo dell’aula e puntandoti contro l’indice gridi qualcosa nella tua direzione e ti smascheri, perché hai sempre avuto una faccia da ragazzina e anche se ormai hai l’età per andare al liceo sembri appena uscita dalle elementari.

Ti agiti sulla sedia, non trovi pace.

E quando Mamo ti copre la mano che tieni in grembo con una delle sue ti volti a guardarlo in allarme.

E’ stato lui a parlarti di questa lezione. Anzi, ad essere pignoli ne stava parlando con Ami un giorno che eravate tutti insieme e tu eri casualmente a portata d’orecchio. Mamo non si sognerebbe mai di parlare di queste cose con te, teme sempre di annoiarti e in effetti la maggior parte delle volte è così. I discorsi complicati ti danno il mal di testa e dei libroni di medicina che studia ne capisci meno di tua madre, assidua telespettatrice di telefilm ospedalieri. Persino quando vuoi occuparti di qualche amica malata combini un disastro dietro l’altro. Ma Mamo stava raccontando a Ami che la facoltà di Fisica avrebbe tenuto un’interessante conferenza su meteore e comete e che certi suoi amici l’avevano invitato ad assistere, e mentre la tua amica annuiva con educato contegno a un argomento intellettivamente stimolante ma che non le interessava più di tanto tu ti sei aggrappata al suo braccio, facendolo quasi cadere a terra per la sorpresa, e l’hai supplicato di portarti con sé.

Hai dovuto insistere parecchio per convincerlo.

Non gli pareva il caso, aveva obiettato, ti saresti annoiata a morte.

Tu hai scosso la testa cocciutamente e gli hai assicurato che no, non sarebbe accaduto nulla del genere. E poi gli hai fatto quegli occhioni lacrimevoli da cucciolo a cui raramente resisteva, e l’hai chiamato Mamo-chan con quella voce piagnucolante che ispira tenerezza, e gli hai premuto la guancia contro la spalla insistendo ancora, e lui non sa mai dirti di no a lungo perché sei la sua principessa e ha acconsentito con un sospiro di gentile rassegnazione carezzandoti la testa.

A lui piace molto viziarti.

Assecondare i tuoi capricci di bimba.

Anche adesso, mentre ti vede tutta agitata al tuo posto, e guardare ovunque, e reprimere a fatica gli sbadigli dietro il dorso della mano, sai che non ti sgriderà né adesso né dopo quando sarete soli, che non ti farà sorbire predicozzi né ti apostroferà con qualche supponente “Te l’avevo detto” come farebbero altri. Semplicemente, accetterà la cosa come parte integrante del carattere della ragazza che ama.

Ti sorriderà con tenera condiscendenza.

Forse ti bacerà.

Per il momento invece si aspetta solo che tu gli dica qualcosa di sciocco.

Ti accarezza il dorso della mano in punta di dita, solleticandoti coi polpastrelli fino a farti sfuggire un brivido: ti guarda con gli occhi blu che brillano di una luce particolare. E forse è amore, o forse è una strana forma di autocompiacimento perché tu magari sei quella che salva il mondo ogni giorno relegandolo sullo sfondo a lanciare qualche rosa qui e lì e a pontificare qualche frase demagogica e populista, ma lui è accademicamente superiore a te che a scuola rasenti a stento la sufficienza, e questo gli piace perché solletica il suo orgoglio maschile anche se non te lo dirà mai perché forse nemmeno se ne rende conto.

Si china verso di te sfiorandoti appena l’orecchio.

- Mi dispiace che tu ti stia annoiando, Usa – ti sussurra piano.

Senti il suo sorriso segreto lambirti la pelle e lotti contro te stessa per non aggrottare le sopracciglia in una smorfia piccata mentre il viso ti si colora appena d’indignazione. Stringi le labbra sperando che la tua espressione sia scambiata per una d’imbarazzo, poi chiudi gli occhi e sospiri, perché le stelle e i pianeti ti hanno sempre affascinata anche quando non sapevi di averne il potere. Fin da piccola prendi di nascosto, centellinando i soldi della tua paghetta, libri e riviste di astronomia che nascondi sotto il letto, neanche fosse qualcosa di scabroso o di cui vergognarsi. Non sai perché non l’hai mai detto a nessuno: forse da piccola ti vergognavi delle prese in giro, ma invece adesso di che hai paura, principessa?

Nel corso degli anni ti sei abbeverata a quei testi, leggendoli fino a impararli a memoria: prima le riviste per ragazzi, poi testi scolastici, fino ad arrivare a saggi che avrebbero messo in difficoltà più di uno dei presenti. Li hai capiti, li hai amati, li hai fatti tuoi. Si potrebbe dire che sei arrivata alla tenera età di 14 anni sapendone più di quel pomposo relatore che si limita a tratteggiare grafici bambineschi in modo assurdamente complicato.

Lo guardi con il cuore gonfio di qualcosa che somiglia tanto alla mortificazione.

Perché il fatto che tu vada male a scuola non ti rende automaticamente una persona stupida, vorresti dirgli, e vorresti anche andare alla cattedra per spiegare un paio di cose a quel professore: gettare l’aula nel caos più completo, mandare tutto a scatafascio.

E forse perderesti il tuo Mamo.

Non puoi. Non reggeresti, non ce la faresti.

Per questo alla fine scuoti la testa e gli sorridi nel modo più ingenuo che puoi.

- Che sciocca sono Mamo-chan – gli sussurri di rimando - credevo che avrebbero parlato di come far avverare i desideri.

 

 

 

* *

 

Spesso eri tu ad accompagnare a casa Chibiusa dopo la scuola quando era piccola. Mamma Ikuko aveva già il suo gran daffare con la spesa, e le pulizie, e occuparsi dei rifiuti che quel maiale di Shingo disseminava per casa al suo passaggio, come se li producesse per incanto dal nulla. Tu invece non frequentavi corsi dopo la scuola che ti tenessero impegnata e non eri certo il tipo di persona che avrebbe passato le giornate ad ammazzarsi sopra ai libri, per cui non era un problema sgravare la mamma di quell’incombenza e approfittarne per farsi una passeggiata. Molte volte era anche un modo per allontanarsi dalla sua collera cieca, all’arrivo dell’ennesimo votaccio.

Arrivavi che Chibiusa non era ancora uscita da scuola.

Restavate in silenzio tutto il tempo.

La tenevi per mano.

Quella bambina ti riusciva davvero insopportabile per motivi che non riuscivi a comprendere e il sentimento pareva reciproco. Capitava addirittura che a volte chiedessi a Mamo di accompagnarti per smorzare la tensione: quando c’era lui era tutta sorrisi e allegria. Gli correva incontro e gli saltava tra le braccia con un grido di gioia mentre con te strascicava il passo di malavoglia. Per tutto il tempo chiacchierava di quanto fosse stata bella la sua giornata e di come tutti la trattassero bene mentre passeggiando con te si rinchiudeva in un mutismo esasperante.

Lui se la caricava sulle spalle.

Ridevano e scherzavano insieme con leggerezza.

Tu rimanevi un po’ in disparte, qualche passo indietro, a guardare distrattamente il cielo, e a chiederti perché con quella bambina le cose fossero così complicate, per non dire irritanti. Poi una volta dei lavori in corso imprevisti ti hanno costretta a una deviazione e sei arrivata un qualcosa come cinque minuti in ritardo. L’hai trovata accucciata in lacrime in un angolo del cortile dove gli altri bambini non potessero vederla, e quando l’hai chiamata ha sollevato il viso che era tutto rosso e appiccicoso di lacrime. Ti si è gettata in grembo in singhiozzi disperati, sporcandoti un vestito che adori e tu non hai potuto fare altro che stringerla a te, e carezzarle i capelli, e chiederle scusa per aver fatto tardi. E quei suoi mugugni disperati ti strizzavano dolorosamente il cuore in una morsa.

– Non lasciarmi sola – gridava premendosi più forte a te, quasi ti si volesse imprimere nella pelle.

- Non lasciarmi!

Nessuna di voi due ne parla mai.

Lei è orgogliosa e testarda e tu non vuoi umiliarla.

Però vai a prenderla da scuola anche adesso che ormai e grande e potrebbe farlo benissimo da sola quel breve tragitto. Lei non manca mai di ripetertelo, in effetti, ogni volta che ti trova davanti a scuola: – Insomma Usagi, tra qualche anno andrò alle medie – sentenzia con le mani sui fianchi e i piedi ben piantati a terra, a volte sollevando nell’aria l’indice con un fare saccente che ti fa sorridere. – I miei compagni cominceranno a prendermi in giro!

Tu sorridi facendo spallucce e le rifili qualche scusa posticcia sul fatto che hai dei precisi doveri verso sua madre (anche se conoscendoti credi che proprio non ce ne sarebbe motivo vista la sua/tua notoria irresponsabilità e la vostra filosofia di vita all’insegna del take it easy) o sul fatto che non è il caso che una ragazzina giri da sola  perché qualche malintenzionato potrebbe prenderla di mira (anche se sapete benissimo entrambe che in caso di pericolo sarebbe Chibiusa a difendere te e non viceversa), quando la verità pura e semplice è che la disperazione di quella bambina tu non vuoi vederla mai più perché ti ucciderebbe.

E pazienza se non le sta bene.

Non è altruismo il tuo, ma va bene anche così.

Sai che gli altri si aspettano che tu sia sempre nobile e buona, ma non si rendono conto dell’assurdità di tutto ciò. Non si può essere sempre amabili, onesti e sorridenti, non ci si può sempre prodigare per gli altri in maniera disinteressata, non è umano. Ci sono delle volte in cui persino in battaglia sentirti sproloquiare a vanvera ti dà la nausea, volte in cui ti viene proprio da ridere nel sentirti parlare come un’ingenua sentimentale del paese del PanDiZucchero. Accantonata da tempo la pietà verso il nemico, è  la cieca esaltazione della vittoria imminente a guidare la tua mano, ad alimentare il tuo potere.

Uccidere è liberatorio.

Dopo tanti anni riempirti la bocca di amore e giustizia non ha più senso.

E poi quelli sono mostri, esseri malvagi, e se non li uccidi loro uccideranno te per cui non sei da condannare se facendo quello che devi magari a volte, non sempre, ti diverti un po’. Se il male è ovunque e rischi la vita per gente che nemmeno si prenderà la briga di ringraziarti forse non sei da biasimare nemmeno se ogni tanto hai la tentazione di lasciar perdere.

Ma a Chibiusa questo non puoi dirlo perché crede in quello che fate.

Tu che sei sua madre devi esserle d’esempio.

Per questo educhi il tuo cuore alla fede e al coraggio anche se ne hai fin sopra i capelli, ti adoperi a nutrire quella luce salvifica che nei momenti disperati vi guidi verso la vittoria; per questo quando sarai regina e lei crescerà nel tuo grembo carezzerai il tuo ventre rotondo e le racconterai che Sailor Moon è una guerriera coraggiosa che crede nell’intrinseco bene del mondo.

E lei smetterà di darti calci.

Eppure ci sono delle volte durante le vostre passeggiate di ritorno da scuola, quando nel silenzio rilassato indugi vilmente in questi pensieri, in cui hai l’impressione che lei ti capisca più profondamente di quanto tu non faccia con te stessa, che ti trapassi da parte a parte come una vetrata tirata a lucido.

Perché voi due vi somigliate più di quanto tu creda.

Perché forse anche lei è stanca.

E quando un grido squarcia l’aria, un gemito d’aiuto da parte dell’ennesima vittima dell’ennesimo mostro da sconfiggere c’è quell’istante pregno di significato in cui tu la guardi e lei guarda te. E’ l’istante in cui cerchi una conferma, qualcosa che ti faccia trovare nei suoi occhi quel barlume di egoismo che ti ha invaso l’anima. - Continuiamo a camminare – vorresti dirle. – Lasciamo perdere. Ne abbiamo salvate tante di persone, lasciamo perdere questa. Conosco un posto dove fanno ottimi gelati…

Ma la gola ti si serra in una morsa, non osi.

E’ lei a rompere il silenzio, a trascinarti verso il luogo dello scontro.

Ti prende per mano e te la stringe forte forte, supplicandoti in silenzio di non abbandonarla di nuovo.

 

 

* *

 

Ma adesso sull’orlo del calderone da cui le stelle nascono e prendono forma sei da sola, Sailor Cosmos. Non c’è più nessuno a guardarti e a giudicarti, nessuno a cui rendere conto di nulla o che pretenda qualcosa da te. Ti sporgi in quell’abisso spaventoso, ne guardi i più reconditi recessi mentre lui guarda in te, imbevendoti della sua potenza oscura, lasciando che egli si abbeveri alla tua. Gli sorridi sfrontata mentre un ruggito che sembra permeare l’universo intero ti scuote.

Il tuo cuore è calmo.

Adesso non hai che da fare i conti con te stessa.

Ti viene data la libertà, forse per la prima volta nella tua vita, di fare quello che davvero vuoi.

 


Per questo fuggi.

 

 

 

 

*Per questo fuggi*

FINE

 

Il cantuccio di Sophie: Magari questa storia non sarà bella, magari non sarà nemmeno decente, qualcuno potrebbe trovarla addirittura OOC anche se io non credo, non lo so, credo che ognuno possa pensarla in piena libertà perché anche questo è il bello del mondo delle fan fiction. Ma devo dirla tutta, per la prima volta sono davvero soddisfatta di una storia da me scritta e l’ho finita col cuore che batteva a mille per l’emozione di poterla postare.

Usagi è un personaggio tragicomico, a me personalmente fa tenerezza.

E quando un personaggio mi fa tenerezza sono cavoli amari, devo infilarci a tutti i costi Il tocco di Sophie, una cosa strana e un po’ perversa a metà strada tra la commedia e l’emo andante. Un ringraziamento a tutti i lettori, uno speciale a chi vorrà commentare.

   
 
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