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Autore: Shichan    12/07/2011    2 recensioni
[0027; shonen-ai lieve che forse in realtà nemmeno c'è]
Enma era convinto di aver capito una sola cosa di quel mondo in cui – volente o nolente – si era ritrovato a vivere senza poter scappare nonostante in fondo al cuore lo desiderasse tanto.
La giustizia non esiste.
Devi creartela da solo.
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: i personaggi non appartengono a me ma sono copyright di Amano Akira.
La frase in apertura è del manga, mentre le altre in corsivo (tranne l’ultima) sono parti della canzone “Running away” dei Runner Runner.
Note: spero di aver reso il rapporto tra Enma e Tsuna non al meglio – perché a dispetto di quanto si dica che sono identici, per me è tanto difficile muovere Enma quanto è naturale muovere il tonno – ma al massimo delle mie possibilità. Ho voluto giocare più su un confronto-analogia, che non su un rapporto amoroso; era più nelle mie corde. Spero poi che possa essere di gradimento anche alle fan della coppia (di amicizia o coppia vera che sia) che si destreggiano meglio di me con loro due :3
Buon compleanno Lita-nii <3

 

 

Perché non fuggi?
Spesso penso anche io… di scappare via.


Tsuna quando lo ha sentito pronunciare, quasi non ci credeva.
Così abituato a sentirsi dire di non osare scappare, di prendersi le sue responsabilità… forse aveva persino rinunciato all’idea che qualcuno, un giorno, gli avrebbe consigliato di fare ciò che sentiva e non ciò che doveva.
Quando Enma lo ha pronunciato, quasi non ci ha creduto.
Così abituato a non rivelare a nessuno quel fardello che a volte era pesante e a volte lo sentiva quasi obbligatoriamente “suo”… forse aveva persino rinunciato all’idea che, un giorno, avrebbe consigliato a qualcuno di fare ciò che lui non avrebbe mai osato nonostante tutto.



Lui giace sveglio, arrabbiato con il mondo.
Non si è mai sentito così piccolo.

Enma ha smesso di contarle, le notti in cui si sdraiava e iniziava a fissare in alto – a volte il soffitto, a volte il cielo, a volte guardava ma non vedeva davvero.
Non si stupisce mai di finire di nuovo a fare la stessa, identica cosa.
Lui è un ragazzo che per quindici anni non si è mai arrabbiato; o forse, è più corretto dire che non lo ha mai mostrato, o ancora più precisamente che non lo ha mai fatto nel modo consueto in cui lo fanno tutti gli altri.
Enma non ricorda né l’ultima volta in cui ha gridato contro qualcuno, né quella in cui ha fatto valere tutto quello che si sentiva dentro e che sempre, sempre minacciava di esplodere. Alla fine quella scintilla si è spenta, come se lui stesso vi avesse versato sopra un bicchiere d’acqua e non fosse rimasto nient’altro che fumo.
Enma era sempre quello che “tanto non reagiva”, oppure che “era troppo buono per arrabbiarsi”, o per fare qualsiasi altra cosa diversa dal tacere, abbassare la testa e lasciar correre.
Ma aveva sempre creduto, si era convinto che andasse bene così dopotutto: era dura, sì, ma c’erano Adelheid, Kaoru, Julie… c’erano loro, con lui. Non era importante come lo vedessero fuori, la sua Famiglia credeva in lui.
Ma Enma in fondo, da qualche parte dentro di sé, lo sapeva.
Di essere debole.
Volta dopo volta in cui erano stati umiliati, colpiti, offesi… lui e i membri di quella Famiglia per lui così importante, ma considerata meno di niente dal resto del mondo, avevano ingoiato e reagito, rialzandosi sempre. Più o meno lentamente, certo, ma ci erano riusciti.
Poi Enma si guardava allo specchio, e si sentiva più piccolo, umiliato e inutile di quanto qualsiasi insulto avesse mai potuto fare; la verità era che pesava sulla vita di altre persone, e che non importava quanto quei suoi unici amici gli assicurassero che andava tutto bene.
Enma, bambino o adolescente che fosse, sapeva che non andava bene per niente.

 

Lui ha fatto degli errori, ha incasinato le cose,
lasciando che le conseguenze cadessero sugli altri.

Tsuna ha smesso di contarle, le occasioni in cui avrebbe voluto scusarsi – con i suoi amici, con sua madre, con chiunque avesse riposto in lui fiducia o aspettative.
Quelle per le quali lui non si è mai sentito all’altezza.
Lui è un ragazzo che per quindici anni non ha fatto altro che ritrovarsi di fronte delle sfide – anche cose semplici come lo studio, o l’organizzazione con la classe di un festival della cultura; oppure una prova sportiva che poi è andata com’era prevedibile che andasse. E non ultimo, quella storia del Boss.
E non le ha mai superate: Tsuna non ricorda nemmeno l’ultima volta che sia riuscito a dire “sono soddisfatto di me stesso”; ha sempre e solo potuto pronunciare cose come “ce l’ho messa tutta” (ma non era abbastanza), o “più di questo non potevo fare” (ma quel che ho fatto non bastava).
Tsuna sa perfettamente di essere stato continuamente un peso per chi lo ha sostenuto, per chi nonostante i tanti fallimenti ha continuato sempre, testardamente, a credere in lui: e non solo sua madre, ma anche Gokudera-kun che in lui ha sempre visto la persona eccezionale che Tsuna non aveva mai saputo vedere in sé, oppure Yamamoto, o Ryohei, o tutti quegli amici che ora può considerare una Famiglia.
E proprio perché non aveva mai avuto nulla di simile, prima che quella storia della Mafia prendesse forma troppo velocemente per non sfuggirgli di mano… Tsuna avrebbe voluto essere all’altezza.
Almeno stavolta.
E invece non ha fatto altro che fallire, e fallire, e fallire – e le persone a causa sua sono state ferite, e non importa quanto tutti dicano che “alla fine se la sono cavata”, o che “alla fine è andato tutto bene”.
Soprattutto non importa quanto gli dicano che sia stato merito suo.
Perché Tsuna non dimentica le volte in cui tutti hanno dovuto passare dei momenti duri in un mondo a cui nessuno di loro appartiene – nemmeno Gokudera, che pure ci è nato e cresciuto.
Solo perché si è risolto per il meglio, Tsuna non considera un successo tutto quello.
Se delle persone sono state ferite a causa sua, Tsuna non può considerarlo un successo.


È stato maltrattato, è stato triste e confuso,
convinto di sapere ogni cosa.
 


Enma non si è mai davvero illuso che le cose sarebbero cambiate.
E anche quando sperare era sembrato persino assurdo, insensato, si era detto che per una volta lui avrebbe dovuto essere la forza dei suoi compagni, lui il centro su cui si sarebbe dovuto catalizzare qualsiasi evento che avesse colpito la sua Famiglia.
Enma aveva cercato di cancellare dalla sua testa l’idea di scappare, fuggire chissà dove e chissà come e fingere di essere un’altra persona; l’unico motivo per cui uno come lui aveva avuto un coraggio simile, era stata la voglia di proteggere qualcuno che si era sempre preso le cose peggiori, per far sì che queste non si abbattessero su di lui.
Ma non era facile nemmeno così, trovare la forza di passare dall’essere chi subiva a quello che avrebbe fatto subire; e aveva capito che quando ti rendi il fulcro di una vendetta che la tua Famiglia cerca da secoli, da generazioni… hai bisogno più delle convinzioni di un ragazzo, il sogno di un bambino e l’orgoglio di un uomo ancora acerbo.
Allora Enma si era appellato alle uniche cose che aveva: la tristezza, il rancore, il desiderio di vendetta, e la sensazione di smarrimento. Ma soprattutto il dolore di una perdita com’era stata la sua: un uomo aveva ucciso i suoi genitori e la sua sorellina.
Lui avrebbe ucciso quell’uomo, e non era importante quanto le sue mani si sarebbero sporcate, o quanto dentro di sé avrebbe rimpianto di essere un assassino per il resto della sua vita.
Enma era convinto di aver capito una sola cosa di quel mondo in cui – volente o nolente – si era ritrovato a vivere senza poter scappare nonostante in fondo al cuore lo desiderasse tanto.
La giustizia non esiste.
Devi creartela da solo.
…Ma non aveva capito niente; tutto quello che lo aveva mosso erano stati fili invisibili di un marionettista.
Niente di più.


Ora non sa cosa fare,
troppo spaventato per chiedere aiuto.


Tsuna non si è davvero mai illuso che le cose sarebbero cambiate.
Ma sarebbe una bugia se dicesse che non ci ha sperato neanche per un attimo.
Ad un certo punto, Tsuna aveva persino – scioccamente – pensato che qualcuno si divertisse alle sue spalle; si era detto che non era possibile che, come un copione che si ripeteva identico volta dopo volta, finalmente riuscisse a convincersi che quello era stato l’ultimo scontro e che poi, per uno scherzo di pessimo gusto, arrivasse sempre qualcosa.
Un nuovo nemico, una minaccia, qualcosa che nessuno poteva combattere tranne loro.
E tutte le volte non potevano rifiutarsi, o dire di no – forse Tsuna avrebbe potuto imporsi, per un attimo aveva davvero creduto di poterlo fare, ma poi la realtà gli era di nuovo piombata sulle spalle.
Scegliere di non combattere non sarebbe stata mai una soluzione.
Solo la scelta di arrendersi e lasciarsi uccidere.
Ma non c’era più nessuno che Tsuna volesse veder morire, non c’era mai stata e Uni era già stato troppo per lui; troppo insieme a tutto il resto, a quella stupida eredità che non aveva nemmeno chiesto e che invece aveva arbitrariamente deciso non solo di allontanarlo dall’unica cosa che desiderasse, sporcando le sue mani di sangue, ma aveva deciso anche che quel sangue potesse trasformarsi in quello di persone la cui unica sfortuna…
…era stata incontrare lui.
E alla lunga, Tsuna era arrivato a combattere perché non c’era davvero altro che potesse fare.
Non aveva avuto nemmeno il coraggio di cambiare, di imporsi.
Tutte le volte che lo aveva fatto, qualcosa di terribile era apparso o accaduto, quasi non aspettasse altro che quel suo debole tentativo di resistenza – forse non era stato così terribile per tutto il resto del mondo, ma per quella porzione che Tsuna aveva sempre cercato goffamente di proteggere, sì.

 

Le parole di Enma sanno un po’ di promessa,
e un po’ di tentazione,
c’è una sfumatura piccolissima di speranza,
e sembra sussurrare piano:
“Io non posso farlo, provaci almeno tu.”


Quasi inconsapevolmente, Tsuna si è ritrovato a pensare una volta che Enma gli ricordasse molto il se stesso del passato. E forse un po’ anche il se stesso di ora.
Guardandolo – prima incredulo, poi stupito – ha sentito l’impulso di essergli vicino.
Come se una piccola parte di sé fosse rimasta indietro, e non avesse fatto altro che tornare sui propri passi e tendergli la mano perché potessero riunirsi.
Tsuna si è sentito grato, di averlo incontrato.

Osservandolo da lontano, non notato, Enma ha notato che Tsuna gli somiglia molto; o meglio, somiglia al se stesso di una volta, quello che ancora non cercava vendetta, e non era mosso né da odio né da tristezza.
Ha provato l’istinto di avvicinarsi a lui, anche se avrebbe complicato le cose.
Enma ha voluto aggrapparsi ad una speranza – piccola, sciocca, infinitesimale forse – che avrebbe potuto cambiare molte cose se si fosse rivelata vera.
Ha voluto scommettere su quell’unica, remota possibilità.
E se per un attimo dimentica chi è lui, e chi è Tsuna, se mette da parte quelle cose che non sono adatte a dei quindicenni – la Mafia, gli omicidi, il sangue, la vendetta – sente di aver trovato qualcuno di diverso da tutti gli altri.
In una piccola parte di sé, rimasta ferma a tanti anni prima quando le cose erano più facili o anche solo  meno opprimenti, Enma si sente grato di averlo incontrato.
Del fatto che, semplicemente, esista.

   
 
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