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Autore: Karyon    17/07/2011    2 recensioni
lei voleva lottare per porre fine alla guerra, voleva riportare Max a casa, perché era così difficile da capire?
La sola idea che morisse anche lui in una terra straniera, tra le braccia di un ideale al quale non aveva mai creduto davvero, le faceva ribollire il sangue nelle vene.
Crossover Paul McCartney - The Beatles.
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nickname sul forum: Karyon.
Nickname su Efp: Karyon.
Titolo della fanfiction: It’s going to be all right.
Titolo del contest: Come together to the Strawberry Fields forever.
Pairing: Leggero Paul McCartney/Lucy.
Personaggi: Paul McCartney, Lucy.
Generi: Malinconico, Introspettivo, sentimentale guerra (accennato).
Warnings: What if…?, One shot, song fiction.
Credits: Ovviamente tutte le citazioni o le canzone presenti sono ©Beatles; Lucy e Jude sono personaggi dal film/musical ispirato ai fab four “Across the Universe” e come tali non mi appartengono.
Canzone scelta: Across the Universe.
Note personali: Si sviluppa in un ideale missing moment del film: quando Jude è con Jojo al bar (cantando “while my guitar gently weesp” e tornando a casa, Jude scopre che Lucy è andava via e non la vede fino alla rivolta che lo porta ad essere arrestato ed espatriato. Subito prima c’è proprio la canzone Across the Universe, un po’ il centro focale del film, visto che subito dopo c’è il punto di rottura fondamentale.
Se la giudice non ha mai visto il film, metto il link di un pezzo di youtube che mostra proprio questa parte del film (http://www.youtube.com/watch?v=PUgxVaZ_lPw&feature=related), così magari è più facile entrare nella scena.
L’anno è il 1968 (precisamente Aprile, data in cui ricade la morte di Martin Luther King, di cui si parla all’inizio della scena). Il “what if…?” sta ad indicare il fatto che non si sa dove fosse Paul McCartney in quel periodo, così come non si sa cosa facesse Lucy dopo quella scena.
Oh, ovviamente non ho tenuto conto della vera età di Paul, né del suo vero aspetto dell’epoca. Inoltre credo si essere molto OOC con lui, soprattutto nel discorso sul flusso, nonostante gli iteressi sulla meditazione trascendentale dell’epoca. Licenza poetica.  xD
Bon, ho smesso di rompere. Buona lettura.
Ha partecipato al Contest “Come together to strawberry fields forever” di La Dreamer, classificandosi seconda.
 
«Nothing’s gonna change my World…»
Across the Universe
 
                                              It’s going to be all right
 
Il fumo  si spandeva leggero e  impalpabile nel locale semivuoto, mentre  la voce sottile – quasi sussurrata – continuava a cantare.
“Nothing’s gonna change  my World”.
Lucy sorrise amaramente a quella frase, buttata con tanta precisa esattezza nella sua mente sconvolta da troppi pensieri: lei voleva lottare per porre fine alla guerra, voleva riportare Max a casa, perché era così difficile da capire?
La sola idea che morisse anche lui in una terra straniera, tra le braccia di un ideale al quale non aveva mai creduto davvero, le faceva ribollire il sangue nelle vene.
E Jude… lui non capiva, eppure era amico di Max; lui non capiva, eppure era andato a New York per cambiare la sua vita e il suo mondo; lui non capiva, eppure… troppe, troppe cose che non capiva… o non capiva lei, semplicemente.
Scostandosi una ciocca dei lunghi capelli biondi, Lucy lanciò un’occhiata alla valigia gettata in un angolo trascurato, come se avesse voluto dimenticarla per sempre.
Andarsene sembrava l’unica soluzione, allora perché non si sentiva meglio?
Tutto si stava sgretolando sotto di loro senza che se ne accorgessero, il loro universo era sfumato improvvisamente, risucchiato da una maledetta guerra che nessuno capiva.
Forse buttarsi nell’attivismo, avere l’impressione di fare davvero qualcosa, poteva aiutarla, perché quella passività arrendevole non la capiva; non poteva stare immobile mentre tutto il mondo le scivolava attorno.
Eppure Jude…
“Tutti vogliono cambiare il mondo”, così le aveva detto quando aveva fatto irruzione nei loro uffici, eppure non lo pensava veramente. La sua era solo una presa di coscienza per qualcosa che avrebbe voluto fare, ma non poteva – o, semplicemente, non voleva davvero.
Non riusciva a capire se si trattava di debolezza, di paura, di menefreghismo o di semplice incapacità di adattarsi alla realtà; lei, invece, cercava di lottare la corrente risalendo il fiume al contrario, sfidando la piena furente e implacabile.
E si sentiva soffocare, soffocare dall’interno per troppe cose: quello che voleva, che avrebbe voluto, desideri e rimpianti che le strappavano l’anima, voglia di urlare fino a sgolarsi e piangere fino ad essiccarsi.
«James, un altro per favore…» fece al barista del “Huh?”, dove ormai avevano vissuto per mesi e mesi.
James era un barista dei vecchi tempi, impassibile e sorridente con le sue rughe, nonostante il mondo di colori, nuovi stili, pazzie, musiche, invenzioni e storie che gli passavano sotto al naso.
Le sorrise e annuì impercettibilmente, mentre il cantante di turno smetteva d’intonare quella canzone dal testo quasi banale, eppure così vero da fare male.
 
Words are flying out like
endless rain into a paper cup
They slither while they pass
They slip away across the universe

Era vero che le parole fluivano, volavano e sferzavano, leggere, come un vento forte che non perdeva però la sua essenza.
Lei era un po’ così: persa in un mare di parole, ricordi passati, eccitanti esperienze e paure presenti, eppure si sentiva fuori da qualsiasi cosa.
Fuori quadro, fuori cornice, fuori da quel Mondo che aveva invaso, aveva vissuto, ma forse non aveva mai davvero abbracciato.
Adesso, immagini spezzate le danzavano costantemente davanti agli occhi, e ci vedeva Max in quelle immagini, luci impressionanti di bombe, luci improvvise di notti fredde e lontane, luci di occhi spaventati e spalancati nel buio e respiri mozzati di terrore.
Ci vedeva la guerra in quelle immagini e Jude diceva che “tutto sarebbe andato bene”; forse da quell’istante aveva sentito che loro non si capivano, che il suo spirito era definitivamente su un piano diverso per lui irraggiungibile.
Lo scampanellio delicato della porta e un nuovo avventore salutò l’aria vibrante di nuova musica e silenzio, mentre il cantante di prima si serviva qualcosa da bere al bancone.
Lucy si girò con un sorriso, che le morì sulle labbra pochi istanti dopo: una pettinatura conosciuta, tratti imparati a memoria e fu già fuori, a respirare profondamente nell’aria che vibrava del fresco della sera.
Nonostante tutto, il cuore batteva ancora – e forte – per quel maledetto ragazzo di Liverpool.
Lucy mandò un’ultima occhiata alla sua valigia abbandonata, poi corse lungo la strada e girò l’angolo con la testa che le mandava maledizioni e le mani che tremavano di non sapeva bene cosa.
Con una certa urgenza, riuscì a notarlo tra i banchi colorati e i manifesti anti-Vietnam, mentre raggiungeva la piazzetta che si apriva dietro casa loro, cioè la sua vecchia casa.
«Jude… Jude…» sussurrò a se stessa, poi ricominciò a correre. «Jude!» Urlò poi, quando arrivò nello spiazzato stranamente molto affollato, con i lunghi capelli biondi appiccicati al viso.
Lui si girò e le sorrise «Ciao».
Non era Jude, ma sicuramente era un altro di Liverpool: il taglio inconfondibile che lasciava scoperta la fronte, il maglioncino nero dalla bella linea, la camicia bianca… tutto gli ricordava lui e quella sua aria così particolare, quella sera al Bowling; tutto gli ricordava lui, compresi quegli occhi lucidi di vita e l’espressione arguta – persino il colore era lo stesso, di un marrone caldo come miele.
«M-mi dispiace, credevo…»
«Che fossi qualcun altro, non preoccuparti. Però mi sembra strano che tu mi abbia scambiata per uno del posto!» Rise lo sconosciuto, con una risata così spontanea che le venne d’istinto imitarlo.
«La persona che cercavo non è di New York» spiegò solo, incrociando le braccia come se sentisse improvvisamente freddo.
L’altro annuì «Capisco… anche tu non sembri una newyorker comunque!» Provò a dire lui e Lucy sorrise, senza riuscire a trattenere un sospiro «Non proprio… sto partendo, diciamo».
Forse fu l’espressione, forse furono i suoi occhi, ma il ragazzo non commentò oltre; le sorrise brevemente a labbra serrate e alzò lo sguardo al cielo «Il tempo è bello, quindi ne approfittiamo. Vuoi unirti a noi?» Le chiese, indicando il fondo della piazza.
C’era una piccola band – due ragazzi del quartiere che conosceva e una ragazza alla batteria – e qualche passante curioso ad aspettare; gli strumenti non sembravano proprio nuovi di zecca, così come lo striscione improvvisato.
Lucy ci pensò su, poi qualcosa le fece rispondere affermativamente, nonostante sapesse bene che doveva allontanarsi da quel posto così pieno di ricordi, prima di cambiare irrimediabilmente idea.
Eppure quel ragazzo l’attirava, per ragioni sconosciute.
Non credeva all’amore a prima vista, però credeva nel karma e nel destino che – in qualche modo – ti raggiungeva; un flusso di energia che era lì, a lasciare che le cose che devono raggiungerti, ti raggiungano, alla fine.
«Bene!» Esclamò entusiasta lui, prima di offrirle una mano. «Mi chiamo Paul».
«Io sono Lucy».
Guardò un po’ i loro preparativi, poi Paul le sorrise da quel piccolo parco estemporaneo e cominciò a suonare. Poi cantò.
La sua voce era bella, era profonda, ti toccava intimamente.
Tuttavia non fu quello a colpirla.
 
Images of broken light which
dance before me like a million eyes
That call me on and on across the universe
Thoughts meander like a
restless wind inside a letter box
they tumble blindly as
they make their way across the universe

Potevano non crederci, Max stesso le dava della povera romantica, eppure era lì: quella canzone, che l’aveva accompagnata nelle strade ingarbugliate dei suoi pensieri e nelle sue considerazioni sulla guerra, che le apriva nuove realtà e la trascinava verso qualcosa che ancora non riusciva a percepire.
La ascoltò per tutto il tempo necessario, bevendo parole su parole, come il flusso continuo di cui parlava il testo, come un insieme di cose, sentimenti, sensazioni e percezioni, pensieri – tutto, tutto – lì, attraverso e dentro l’Universo, un tutt’uno con lei e la sua natura.
Una stessa sostanza.
La gettava in un baratro di assoluto che la spaventava e si sentiva tanto piccola, persino nei confronti delle sue emozioni per la guerra o per Jude o per Max.
Alla fine Paul la raggiunse e sorrise con quegli occhi luccicanti «Allora, ti piace?»
Lucy annuì, quasi incapace di parlare «Mm-mh, ma questa canzone…?»
Paul sembrò intuire tutte le domande che avrebbe mai potuto rivolgergli e prese un’espressione quasi misteriosa «E’ l’Universo, sai. Decide tutto lui, in un modo o nell’altro. Nulla può cambiare questo, la sostanza che accomuna noi a qualsiasi cosa o persona esista, di qualsiasi natura essa sia. Questo non cambia. Ma le cose così “piccole”, le guerre e tutto il resto… scivolano via, semplicemente, in un flusso inarrestabile e continuo, eppure sempre magnifico» spiegò, come perso nei suoi pensieri.
Lucy annuì, inquieta «Ma non c’è niente di male a provare… modificare o fermare il flusso, dico, se non ti piace…»
Paul la guardò, accarezzandole una mano «Noi facciamo parte di quel flusso e avviene continuamente che tutti lottino, cambino, si fermino e si dibattano per cambiarsi o cambiarlo. E va bene così, l’importante è capire che spesso le cose sono destinate a scorrere e avvenire, nonostante tutto e, beh, nonostante noi».
La ragazza annuì, ma era già andata, la mente che vagava verso nuove rivelazioni.
Le sembrava di capire con più serenità il punto di vista di Jude, anche se non era proprio sicura fosse dovuto alle idee del “flusso continuo” di Paul; magari aveva solo bisogno di parlarne a freddo con qualcuno che non sembrava invischiato in tutto quello.
«Grazie Paul».
Il ragazzo la guardò «Per cosa?»
«Per avermi fatto capire delle cose… ora devo andare».
Lucy si alzò dalla panchina dove erano seduti e inspirò «Continuerò a dibattermi per ora, ma posso comprendere meglio».
Paul annuì «Non farti prendere. Andrà tutto bene» replicò lui e Lucy sgranò gli occhi, perché forse aveva capito di cosa parlava e – ancora un altro forse – lui aveva intuito molto di più di quello che sembrava.
«Buona fortuna, Lucy».
«Anche a te, Paul».
Si sorrisero e si scambiarono una stretta di mano che era più di quello, nonostante si conoscessero da meno di dieci minuti. Lei sarebbe stata sempre convinta che lì era successo qualcosa’altro, qualcosa di inspiegabile, che viaggiava nel flusso constante della sua vita.
E che, probabilmente, l’aveva aiutata a percepire qualcosa che era scomparso, che si era sgretolato in lei quando la guerra si era impossessata di Max e della sua anima.
Ora doveva andare avanti e proseguire per quella strada che aveva scelto, a dispetto di tutto.
Sperò ardentemente che anche Jude, nel suo flusso, capisse e andasse avanti, scorresse con esso, per poi raggiungerla – più in là, in avanti – attraverso l’Universo.





 
 
 
   
 
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