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Autore: bluemary    17/07/2011    0 recensioni
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove. Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto. L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
Cinque sovrani dai poteri straordinari, una ragazza alla ricerca della salvezza per una razza intera, un umano con la magia che sembra stare dalla parte sbagliata. Benvenuti su Sylune, una terra dove la speranza è bandita e dove gli ultimi uomini liberi lottano per non soccombere.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune'
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Penultimo capitolo, ringrazio chi continua a seguire questa storia e ad aggiungerla ai preferiti o alle seguite e alle ricordate. Buona lettura^^




-Capitolo 25: Strade che s’incrociano-

Devil raggiunse il castello di Daygon a pomeriggio inoltrato.
Senza nemmeno farsi un bagno, in modo da togliersi le tracce di polvere e sudore, né riposarsi per quella lunga cavalcata, si diresse nella stanza in cui era rinchiusa Kysa, pronto a piegarla al proprio volere o ad ucciderla definitivamente.
Erano passate numerose ore dal suo incontro con Sawhanna in riva al lago, ma la derisione con cui lei aveva portato alla luce un’incertezza che non credeva di possedere bruciava ancora con la stessa intensità del fuoco. Il tempo non era bastato a lenire l’amaro sapore di una sconfitta estranea al mero scontro fisico, che tuttavia lo torturava più di una ferita infetta, e l’unico suo desiderio in quel momento si rivolgeva ad una cieca vendetta nei confronti della sua prigioniera, rea di averlo tormentato con il suo pensiero proprio nel momento meno opportuno.
Durante il lungo viaggio di ritorno, aveva risentito senza tregua nella sua mente la voce grondante di scherno con cui l’Oscura si era divertita ad umiliarlo, un sussurro velenoso pronunciato da labbra seducenti e più pericolose delle zanne di una serpe. L’addome dove la magia della donna aveva lasciato la sua impronta lo torturava ancora con impietose vampate di dolore che alimentavano la sua rabbia, tuttavia ciò era nulla in confronto al violento desiderio di rifiutare le sue parole e la verità intollerabile che gli avevano rivelato.
Non poteva accettare di apparire debole, non dopo aver ucciso ogni radice del proprio passato per cancellare l’umano che era stato un tempo.
Entrò nel suo appartamento con un incedere minaccioso che non prometteva pietà alcuna, ma la sua espressione crudele venne subito spazzata via da uno sguardo incredulo: la porta della camera in cui aveva rinchiuso Kysa era spalancata, la stanza stessa era vuota e le due sentinelle che avrebbero dovuto fare la guardia all’entrata giacevano a terra senza vita.
Folle di rabbia, Devil si precipitò nel corridoio da cui era venuto, alla ricerca di un soldato che gli spiegasse cosa fosse successo o su cui riversare la propria collera.
Quasi subito intravide un uomo dal fisico muscoloso, con un volto crudele perennemente contratto in una smorfia sprezzante, il cui particolare più appariscente era rappresentato dal setto nasale, ingobbito e piegato leggermente verso destra, probabilmente a causa di una vecchia frattura che si era saldata in maniera scorretta.
Prima ancora di riconoscere in lui Dyz, uno degli ufficiali con il grado più elevato dopo Beck, gli si avventò contro, afferrandolo per la gola.
- Chi è stato?! - ringhiò, mentre le sue dita si stringevano al collo del soldato come se volessero lacerarne la carne.
- Ge… nerale! - esclamò l’uomo, preso alla sprovvista dall’attacco improvviso.
Si dimenò invano contro la sua morsa, ma qualche secondo più tardi Devil parve recuperare almeno in parte il proprio autocontrollo, perché lo lasciò libero di accasciarsi contro la parete.
- Qualcuno ha osato uccidere due mie guardie e far scappare una prigioniera. Lei dov’è?!
Dyz respirò profondamente un paio di volte per riprendere fiato ed in particolar modo scacciare la paura di essere destinato ad una fine prematura proprio per mano di un suo superiore.
- Di… di chi state parlando?
- Di una ragazza con i capelli castani vestita di bianco.
Mentre si massaggiava la gola dolorante, il soldato si sentì invadere da un’ondata a malapena contenuta di euforia.
- Credo di averla vista mentre si dirigeva verso l’ala sud del castello. - i suoi occhi brillarono di malizia prima di rivelare un ultimo particolare - Era Beck che la scortava.
I lineamenti del suo interlocutore si contrassero in preda ad una rabbia improvvisa, dimostrando tutta la sorpresa con cui accoglieva quelle parole.
- Che cosa?! E perché non li hai fermati?
- Non sapevo che Beck stesse agendo contro i vostri ordini, generale, vi chiedo scusa.
Devil non fece alcun tentativo di reprimere la smorfia disgustata che gli attraversò il volto a quelle parole: sapeva che, se anche il soldato avesse sospettato di essere in presenza di un traditore, non avrebbe mai trovato il coraggio di affrontare Beck in uno scontro a viso aperto, conscio della propria inferiorità nei suoi confronti. Per un attimo la collera bruciante da cui era pervaso s’intensificò nell’irrefrenabile desiderio di uccidere quel vigliacco per cui provava unicamente disprezzo, tuttavia Dyz era al servizio di Daygon da tempo immemorabile, aveva perfino guidato il suo esercito in più di un’occasione, prima di vedersi surclassato da un giovane con la metà dei suoi anni e poi da Beck, e la sua fedeltà e le numerose battaglie in cui aveva combattuto, pur evitando accuratamente la prima linea, lo avevano reso uno dei pochi soldati su cui Devil non potesse sfogare la propria rabbia impunemente.
Profondamente irritato da una simile consapevolezza, una delle rare occasioni in cui si ritrovava costretto a frenare i propri impulsi, il giovane strinse i pugni.
- La prossima volta che lascerai andare un traditore, chiederò a Daygon il permesso di prendermi la tua testa.
Il soldato chinò umilmente il capo.
- Sì, generale.
Senza più prestargli attenzione, Devil gli diede le spalle, dirigendosi verso la parte meno abitata del castello.
Dyz lo guardò scomparire dietro l’angolo con un sorriso carico di malvagia soddisfazione, conscio che presto ci sarebbe stato un rivale in meno nella sua scalata verso il potere.
Finalmente il destino era dalla sua parte.

Era da diversi minuti che Kysa ed il suo gigantesco accompagnatore percorrevano i corridoi tutti uguali del castello, alla ricerca di una salvezza ad ogni attimo più lontana ed improbabile. Avevano dovuto avanzare con circospezione, in modo da evitare la maggior parte degli incontri, anche se i soldati con cui avevano incrociato il cammino non erano parsi per nulla sospettosi delle spiegazioni di Beck riguardo lo spostamento di una prigioniera in un’altra ala del castello.
Solo in un’occasione la ragazza si era sentita aggredire dalle gelide spire della paura, quando erano stati fermati da un uomo con lo sguardo crudele tipico di un assassino senza scrupoli, che l’aveva squadrata con un’espressione tanto penetrante da averle dato i brividi. Per un attimo, nel momento in cui aveva incrociato i suoi occhi spietati, era stata sicura che lui avrebbe attaccato Beck, invece si era limitato ad ascoltare le spiegazioni del gigante, evidentemente un suo superiore, per poi scostarsi e farli passare, senza dire una parola.
La ragazza poteva ancora sentire sulla propria pelle il disagio quasi doloroso di venire osservata da quell’uomo che portava scolpiti nel suo volto i numerosi omicidi di cui si era macchiato; tuttavia, quando si rese conto di aver finalmente raggiunto la parte più remota e disabitata del castello, si permise di sperare.
Dopo qualche metro percorso in perfetto silenzio, i due fuggiaschi oltrepassarono l’ennesima porta, che dava su un ampio corridoio fortunatamente deserto.
- Ci siamo quasi. - avvertì l’uomo – Tra un paio di minuti dovremmo raggiungere un’uscita secondaria, sorvegliata solo da un pugno di guardie, e poi saremo liberi.
- E se le guardie non ci lasciano passare?
Lo sguardo del gigante si posò in maniera eloquente sulla propria arma.
- Ho dei metodi piuttosto persuasivi, due o tre soldati non saranno un problema, specie se presi di sorpresa.
La giovane si esibì in un timido sorriso di ringraziamento, poi successe esattamente quello che temevano: all’improvviso dietro di loro si sentì un incedere di passi rapidi e pesanti, con l’inconfondibile tintinnio metallico dell’armatura ed il ritmo ben più incalzante di quello delle solite guardie.
Beck portò la mano all’impugnatura dello spadone, prima di voltarsi verso Kysa, con i lineamenti contratti dalla tensione.
- Vai a nasconderti, presto! - le ordinò.
- Ma tu…
Incurante delle sue proteste, il guerriero la spinse bruscamente verso il corridoio deserto di fronte a loro.
- Io ti raggiungerò tra qualche minuto, te lo prometto. - le disse, sorridendo in maniera rassicurante.
Non appena ebbe richiuso la porta dietro di sé, si volse, pronto a fronteggiare i suoi inseguitori. Non sguainò la spada, in quanto esisteva anche una remota possibilità di convincerli della sua innocenza; tuttavia raramente il suo istinto l’aveva tradito e purtroppo in quel momento gli stava dicendo chiaramente che lui e Kysa erano stati scoperti. Pochi secondi più tardi, l’improvvisa apparizione di un piccolo manipolo di guardie lo congelò sul posto.
Le sue dita sfiorarono l’impugnatura della sua fedele arma, prima di stringersi attorno ad essa in cerca della sicurezza che quel familiare contatto gli concedeva. Sapeva che quei rapidi passi sempre più vicini appartenevano a dei soldati che infine si erano resi conto delle sue menzogne e contro cui avrebbe dovuto combattere, ma non si aspettava di trovare alla loro guida proprio chi aveva sperato fino all’ultimo di non dover incontrare. Contrasse le labbra in una smorfia amara, quando tornò a squadrare l’alta figura del suo generale, pienamente consapevole della propria morte imminente.
- Forse non la manterrò questa promessa, ragazzina.

Northlear era un villaggio piccolo ma stranamente tranquillo e pacifico, se confrontato con gli altri possedimenti di Ghedan. La povera gente aveva imparato a collaborare in modo da sopravvivere al crudele tiranno che li governava e la solidarietà vigente tra loro aveva permesso a quel piccolo agglomerato di edifici di prosperare quasi fosse stata una delle poche città ancora libere su Sylune.
Daygon squadrò con un blando interesse i minuscoli giardini e gli orti, miseri ma curati, in cui alcuni bambini, ignari della sua presenza, si divertivano con una palla di stracci; in quei brevi secondi di studio li degnò di un’attenzione rara, mai sprecata per le numerose vittime di cui si era macchiato, sorpreso che nel regno del sovrano più crudele e meschino potesse esistere chi credeva nella speranza e nella vita, seppur ancora privo della razionalità degli adulti.
Il suo sguardo s’indurì.
Una simile visione di povertà non gli provocava il minimo turbamento o rimorso, le sue dita avrebbero potuto levarsi e cancellare ogni cosa con la stessa freddezza con cui avrebbero scacciato un fastidioso moscerino, tuttavia non era giunto in quel luogo per distruggerlo.
Simile ad un’ombra impalpabile, si limitò a passare oltre senza più degnare i bambini di un’occhiata, dirigendosi poi senza esitazioni verso una casa un po’ più isolata ma in condizioni migliori rispetto alle altre, e si preparò con un sorriso ad adempiere ai propri inesorabili propositi.
Come anticipato a Kyzler, una volta penetrato nel castello di Ghedan si era premurato affinché nessuno dei soldati testimoni del suo assassinio potesse rivelare ad anima viva ciò a cui aveva assistito; prima di ucciderli, però, aveva ascoltato con molta attenzione le loro dichiarazioni riguardanti i ribelli, utilizzando anche la telepatia per ottenere informazioni più accurate.
Tutte le guardie concordavano nel riferire che a penetrare nel castello fossero stati due ragazze ed un giovane cieco con gli occhi bendati, e Daygon era giunto alla conclusione che probabilmente quest’ultimo fosse l’Alher di cui Kyzler aveva percepito il potere; tuttavia i pochi dettagli racimolati nelle loro menti non gli permettevano di ricostruire la precisa fisionomia degli assassini di Ghedan, senza contare che quei tre ribelli avrebbero potuto modificare le loro sembianze con la magia.
Gli interrogatori lo avevano lasciato insoddisfatto e nemmeno la possibilità di ingrossare le proprie fila inglobando i soldati rimanenti nel suo esercito era stata di qualche conforto, in quanto ormai i tre ribelli erano lontani e con le poche informazioni in suo possesso avrebbe impiegato svariati giorni prima di poterli trovare.
Il suo viaggio fino a Darconn, tuttavia, non era stato vano: prima di morire, le guardie del castello gli avevano rivelato due nomi. Purtroppo l’uomo a cui apparteneva il primo di essi non era in città, probabilmente aveva preferito nascondersi intuendo il suo arrivo, ma non era lui ad interessargli maggiormente.
In uno svolazzo del mantello, il mago scomparve dentro il muro della piccola casa di pietra.
- Tu devi essere la famosa guaritrice di questo villaggio. - disse, dopo aver osservato per qualche secondo l’anziana figura che gli dava le spalle, intenta a tagliare le verdure per la cena.
La donna si girò con un sussulto.
Anche senza il particolare delle pupille bianche, riconobbe subito il più potente re di Sylune: i capelli argentati ed il volto dai tratti nobili, da cui spiccavano simili a due gemme gli occhi blu scuro dai riflessi scarlatti, erano gli inconfondibili segni di colui che faceva piegare dinanzi a sé perfino le ginocchia degli altri Oscuri.
- Che cosa desiderate, mio signore? - chiese, inchinandosi profondamente dinanzi a lui.
Daygon la squadrò per degli istanti che le parvero eterni, prima di piegare le labbra in un sorriso privo di ogni calore.
- Sto cercando un umano di nome Lensin. So che è amico tuo e che entrambi aiutate i ribelli.
Un silenzio di morte si fece strada in quella piccola casa accogliente, fino a colpire con un affondo quasi insostenibile il cuore della donna.
- Non so di cosa parlate, mio signore. - rispose Alista, senza poter nascondere il timore che quella figura imponente suscitava in lei.
L’Oscuro non si avvicinò né cambiò il tono di voce, tuttavia la minaccia che trasudava da tutta la sua persona parve avvolgere l’intera stanza in un cupo presagio di morte, più terribile ed implacabile di quanto avrebbe potuto essere uno squadrone di guerrieri armati di tutto punto.
- Le tue menzogne non mi ostacoleranno, adesso mi dirai tutto ciò che voglio sapere.
La donna non si guardò nemmeno intorno, conscia di non avere alcuna speranza di fuga. Sollevò il volto sull’Oscuro, fissandolo direttamente negli occhi, mentre cercava disperatamente di non lasciar trapelare la paura di cui si sentiva prigioniera, una viscida sensazione alla cui ombra aveva condotto gran parte degli ultimi anni e che solo ora le si rivelava in tutto il suo orrore.
- Non temo il dolore.
Daygon le rivolse un freddo sorriso.
- Non ho certo bisogno della tortura per strapparti le informazioni di cui ho bisogno.
Nonostante il terrore di trovarsi di fronte al più potente dei suoi nemici, un lampo di gioia raggiunse il cuore della guaritrice, riscaldandolo con un tocco carezzevole ormai quasi sconosciuto.
In quell’istante Alista aveva compreso per quale motivo l’Oscuro si fosse scomodato per andarla a prendere invece di delegare i suoi soldati a tale compito: solo un avvenimento grave quanto l’assassinio di uno di loro avrebbe richiesto la massima discrezione ed il suo personale intervento.
I volti dei tre ragazzi che erano riusciti a ridarle la speranza ed indirettamente avrebbero causato la sua morte le attraversarono i pensieri. Per primo quello di Rafi, la rivide stesa nel letto, singhiozzante, ferita nel corpo e nell’animo, e poi indifferente e spietata, dedita solo ad una vendetta insensata eppure comprensibile. Per seconda Sky, il viso sorridente da eterna bambina, l’animo forte di una guerriera, che non si era arresa nemmeno di fronte alle crudeli ferite del destino. E per ultimo quell’Etereo, Kilik, che l’aveva squadrata con sospetto ma infine aveva accettato il suo aiuto e l’aveva ringraziata.
Un trio eterogeneo di individui dai caratteri fin troppo diversi e conflittuali, che pure aveva portato a termine una missione apparentemente impossibile.
Se avesse permesso al mago di strapparle i suoi ricordi su di loro, li avrebbe condannati a morte certa.
Strinse le labbra. In fondo cos’era una vita misera come la sua in confronto ad un ideale di pace e giustizia che finalmente sembrava cominciare a prendere forma?
Per un attimo si permise di sperare che quei tre ragazzi sarebbero davvero riusciti a sconfiggere anche gli altri Oscuri ed a riportare Sylune quel continente libero che tanto amava.
Una lacrima le solcò lentamente la guancia rugosa, mentre il mago le si avvicinava, intenzionato a strapparle con la forza i preziosi segreti che custodiva. Appena prima che la mente dell’Oscuro cominciasse a violarla, estrasse da una tasca del suo grembiule la mano sinistra e la portò al volto, mentre la destra si stringeva al coltello da cucina per poi guizzare inaspettatamente rapida verso il petto dell’uomo.
Daygon rimase immobile, senza nemmeno sollevare un dito, ma Alista sentì distintamente una forza impalpabile che la avvolgeva, soffocandola, stringendosi attorno alla sua gola ed al polso come le fredde spire di un serpente. Percepì appena il momento in cui la sua mano si apriva senza che lei glielo ordinasse, lasciando cadere l’arma a terra, poi la voce del mago risuonò nella sua testa più nitida di una pugnalata, con un timbro imperioso e crudele da cui non riuscì a difendersi. Le sue parole distrussero ogni resistenza e lacerarono i suoi pensieri, incuranti di causarle una sofferenza tanto profonda, sondando ogni interstizio della sua mente alla ricerca delle informazioni gelosamente racchiuse in essa; ogni suo sforzo di contrastarle veniva semplicemente spazzato via con una ferocia disumana, tanto intensa da spingerla a desiderare la morte, eppure Alista continuò ugualmente nei suoi vani tentativi di ribellione. Sentì un dolore insopportabile mentre la sua coscienza era dilaniata da quella violenta intrusione, la sua stessa essenza sezionata in frammenti troppo piccoli per potersi ricomporre, ma già la razionalità la stava abbandonando e sotto di lei si spalancava un baratro nero da cui non sarebbe mai più uscita. Crollò a terra all’improvviso e, dopo una violenta convulsione, giacque immobile, con gli occhi velati dall’età spalancati nel vuoto.
In piedi, con un’espressione più incuriosita che irritata, l’Oscuro stringeva un piccolo involucro, ancora sporco del veleno in polvere che la guaritrice aveva ingerito.
Alista era riuscita a preservare il suo segreto.

Il generale di Daygon alzò la mano in un muto ordine di arresto per il piccolo drappello di soldati dietro di lui.
Con il volto segnato dalla fatica dell’ultimo viaggio ed i lineamenti contratti da una gelida collera, pareva ancor più del solito il demone di cui portava il nome, mentre scrutava con aria minacciosa il gigantesco spadone che il suo ufficiale gli stava puntando contro.
- Che cosa significa? - ringhiò, trafiggendolo con uno sguardo furibondo.
Beck abbassò l’arma in un apparente segno di resa, quando invece ogni suo muscolo si tendeva, pronto a fronteggiare un attacco improvviso da parte del suo pericoloso avversario o dei soldati alle sue spalle. Sapeva che in uno scontro uno contro uno con il suo superiore non avrebbe avuto alcuna speranza di sopravvivere, tuttavia, se fosse riuscito a trattenerlo per un po’ di tempo, avrebbe regalato a Kysa alcuni preziosi minuti per fuggire.
- Temo che non potrò più essere il tuo braccio destro, generale. - rispose, con la stessa voce calma e controllata con cui nei mesi passati discuteva in sua compagna le tattiche belliche e le battaglie future.
Gli occhi gelidi di Devil s’incupirono all’improvviso.
- Dunque Dyz ha detto il vero. Come hai osato tradirmi?
Il soldato strinse con forza l’impugnatura dello spadone, pur senza sollevarlo.
- Ho sempre avuto il cuore romantico. - commentò con un sorriso ironico sul volto abbronzato, prima di tornare serio - Non potevo lasciare quella ragazzina nelle tue mani.
- Lei dov’è?
- Temo di non potertelo dire.
Devil contrasse i lineamenti in un’espressione tanto furiosa da far indietreggiare i suoi stessi soldati. Un’intensa emanazione di potere cominciò a formarsi attorno alla sua mano destra, prima ancora che lui sollevasse il braccio, guizzando verso il gigante come se fosse impaziente di essere rilasciata.
- Chiunque osi intralciare la mia strada deve essere distrutto, tu compreso, Beck. - sibilò, gli occhi ridotti a due fessure su cui riverberava l’intensa luce del globo di magia sul suo palmo - Te lo chiedo un’ultima volta. Dov’è?
Senza perdere di vista l’energia azzurrina nella mano del suo avversario, il gigantesco guerriero fece un passo indietro, allargando le gambe in modo da aumentare la propria stabilità, e si preparò a schivare il suo attacco.
Un attimo più tardi la magia lo raggiunse in pieno petto, più forte di qualunque cosa avesse mai sperimentato prima, e lo scaraventò violentemente contro il muro a fianco della porta che stava proteggendo. Senza fiato per quel colpo che non era nemmeno riuscito a vedere e per il doloroso impatto con la parete, Beck rimase a terra un secondo di troppo: con gli occhi annebbiati per lo stordimento, senza più la propria arma, si rese conto che Mizar stava avanzando verso di lui con la spada sguainata. D’istinto protese le braccia muscolose davanti al volto ed al petto, in un futile tentativo di salvarsi, tuttavia la lama del generale non giunse mai a reclamare la sua vita.
Con i lineamenti stravolti dalla sorpresa e dall’amarezza, Beck sollevò lo sguardo sul suo comandante, che l’aveva oltrepassato senza più degnarlo di un’occhiata; fino all’ultimo aveva sperato che Devil preferisse uno scontro diretto con lui in modo da eliminarlo personalmente, come sempre aveva fatto con i disertori od i ribelli, tuttavia in quel momento sembrava che il desiderio di vendicarsi di chi lo aveva tradito perdesse d’importanza di fronte alla fuga della sua prigioniera.
Si rialzò a fatica, con il petto e la schiena ancora doloranti per l’attacco subito.
Il generale era già entrato nel corridoio in cui si era rifugiata Kysa, ma fortunatamente la ragazza non si trovava più lì, quindi forse le poteva regalare ancora una possibilità di salvezza. Si appoggiò alla parete alle sue spalle, in modo da non porgere la schiena né ai soldati, né al suo comandante, quindi sollevò la spada.
- Devil, lasciala andare. Non si merita la tortura di questa prigionia.
Per la prima volta la sua replica parve avere un qualche effetto sull’imperturbabilità del generale, perché il suo sguardo vacillò impercettibilmente mentre si voltava a fissarlo; tuttavia, quando parlò, Mizar non ebbe alcuna esitazione.
- Uccidetelo. - ordinò alle sue guardie, prima di dirigersi verso i sotterranei.
Beck imprecò silenziosamente.
Anche quando si era reso conto della propria fine imminente, a preoccuparlo di più era stata la sorte della giovane prigioniera: sapeva che non avrebbe avuto alcuna speranza di fuggire con Devil alle costole.
Lanciò una rapida occhiata alle proprie spalle, vedendo il generale scomparire nella stesso corridoio in cui aveva mandato Kysa, ed il suo volto si trasfigurò in una maschera di determinazione.
Mostrare la schiena ai suoi nemici sarebbe stata un’imprudente sfida al destino e lo avrebbe condotto con tutta probabilità alla morte in pochi secondi, la sua stessa essenza di guerriero rifiutava un’imprudenza simile; tuttavia, tormentato dal pensiero che la ragazza venisse catturata e poi crudelmente punita per il suo tentativo di fuga, scelse di rischiare più del consentito, in nome di una redenzione a cui aveva quasi cominciato a credere.
Con un rapido movimento finse di voler attaccare l’avversario più vicino e poi cercò di ritirarsi velocemente, in modo da correre a fermare Devil, ma i soldati che lo fronteggiavano non si fecero cogliere alla sprovvista e continuarono ad incalzarlo con le spade, costringendolo a continuare lo scontro.
Un affondo lo raggiunse nella parte superiore del braccio sinistro, ferendolo in maniera superficiale, tuttavia si trattava di un prezzo decisamente misero da pagare per una finta azzardata che avrebbe potuto anche costargli la vita.
Senza scoprirsi, con lo spadone in posizione di guardia già pronto a colpire, indietreggiò lentamente, conscio di non avere molte speranze di salvezza contro una decina di soldati armati di tutto punto.
Per un attimo lasciò che un profondo rimpianto emergesse dai suoi lineamenti. Nonostante tutti i suoi sforzi non era riuscito a compiere la missione più importante, né a riscattarsi da una scelta che in passato gli era costata gran parte dei suoi ideali ed il suo stesso fratello.
L’idea di morire inutilmente gli risultava insopportabile, tuttavia, se proprio il suo destino avesse dovuto concludersi quel giorno, gli sarebbe piaciuto essere ucciso in un ultimo scontro con quel generale crudele che aveva rispettato con tutto se stesso, non per mano di avversari la cui forza risiedeva nel numero, anziché nell’abilità.
Si guardò attorno nei brevi secondi di tregua prima del suo ultimo combattimento, nel tentativo di trovare la posizione più favorevole. Il corridoio in cui si trovava era troppo largo per rappresentare una copertura ai fianchi e sapeva che se i suoi avversari fossero riusciti ad accerchiarlo per lui sarebbe stata la fine. Un muro gli avrebbe garantito la protezione alle spalle che cercava, tuttavia combattere a pochi centimetri da una parete significava anche avere una notevole limitazione nei movimenti ed il minimo svantaggio, in uno scontro tanto sfavorevole, avrebbe potuto essere fatale.
Rimase indeciso un secondo solo, soppesando la possibilità di avere le spalle coperte contro quella di poter agire come desiderava, quindi cominciò lentamente ad indietreggiare.
- Arrenditi, comandante, e deponi le armi. Forse se ti lasci catturare il generale sarà disposto a risparmiarti. - gli ordinò il capo di quel piccolo drappello.
- Pensavo di averti insegnato meglio, ragazzo. - replicò Beck, calcando con un tono quasi sprezzante l’ultima parola - Non ci si arrende mai al nemico. Specialmente se un tempo ne facevi parte.
Strinse il pugno sull’elsa dell’enorme spadone che ben pochi uomini erano in grado di sollevare e pure lui riusciva ad utilizzare con una mano sola, ed appoggiò la schiena al muro, poi un sorriso minaccioso comparve sul suo volto, mentre guardava i suoi stessi sottoposti prepararsi ad attaccarlo.
- Fatevi sotto!

Kysa stava camminando rasente alla parete, attenta a muoversi il più cautamente possibile, con le orecchie tese per captare eventuali passi dietro di lei.
Il piccolo corridoio in cui si trovava era avvolto da un silenzio squarciato solo dai battiti fin troppo rumorosi del proprio cuore e non presentava alcun arazzo o mobile dietro cui potesse sperare di nascondersi in attesa di Beck; ad intervalli regolari, la monotonia delle decorazioni sulle pareti veniva interrotta dal colore più scuro delle porte chiuse, tuttavia i suoni provenienti all’interno di esse erano parse una minaccia abbastanza consistente da farla desistere dalla mera idea di provare ad aprirle per cercare riparo.
Affidandosi al proprio istinto ed all’udito, fino a quel momento era riuscita a schivare i pochi soldati che pattugliavano quella zona del castello, ma sapeva che la sua buona sorte non avrebbe potuto durare in eterno. Quando, dopo l’ennesima svolta, si trovò improvvisamente di fronte ad un muro liscio e privo di aperture, dovette stringere i pugni per impedirsi di scoppiare in un pianto carico di disperazione, consapevole di essersi intrappolata da sola.
Tornare indietro anche solo di pochi metri sarebbe stata pura follia, così reprimendo le lacrime, si rassegnò a cercare riparo in una delle stanze appena oltrepassate.
Si guardò attorno, indecisa su quale fosse la porta migliore a cui affidare il proprio destino.
Aveva appena racimolato il coraggio necessario ad aprire quella più vicina e silenziosa, quando una piccola nicchia alla sua destra attrasse la sua attenzione. Si appiattì contro di essa, scoprendo poi con sorpresa che la rientranza del muro si allungava in una sorta di cunicolo segreto e proseguiva per diversi passi, separata dal corridoio principale da una parete spessa soltanto pochi centimetri, fino a terminare in un’angusta scalinata.
All’improvviso sentì dei rumori dietro di lei, il pesante incedere di uno o più soldati in armatura, così non le rimase che infilarsi in quella stretta nicchia ed imboccare le scale, nella speranza di trovare un nascondiglio in cui rimanere fino all’arrivo di Beck.
Lo stomaco le si contorse dolorosamente all’idea che adesso il soldato stesse combattendo per proteggerla, rischiando la propria vita in nome della sua. Quando aveva sentito la voce di Devil, il suo primo impulso era stato quello di correre in aiuto del gigante e provare quantomeno a distrarre i suoi avversari, in una mossa suicida che avrebbe, almeno in parte, lenito i sensi di colpa per essere divenuta ancora una volta la causa di un sacrificio. Era durato un attimo, il tempo di accennare il primo passo verso l’uomo che ormai considerava un amico, e la consapevolezza del proprio dovere si era abbattuta su di lei, dilaniandole il petto: non poteva sprecare in un simile modo l’opportunità che le era stata donata, la responsabilità di troppe vite gravava sulle sue spalle.
Continuò a scendere per minuti che le parvero eterni, fino a quando il tempo sembrò perdere il suo significato, lasciandola alle prese con una scalinata apparentemente priva di conclusione, forse perfino più angosciante della sua fuga attraverso quei corridoi deserti tutti simili tra loro. Infine i gradini terminarono in un ambiente buio ed umido, decisamente più freddo del piano superiore.
Attese qualche secondo, in modo da abituare gli occhi alla penombra di quel luogo, quindi si guardò attorno: l’ampio passaggio in cui si trovava, illuminato a stento dalle fiaccole appese alle pareti di roccia grezza, non possedeva nulla della grazia e della raffinatezza che caratterizzavano la dimora di Daygon; il silenzio che lo avvolgeva era tanto pesante da sembrare palpabile e s’insinuò subito come un veleno nei suoi pensieri, una presenza indistinta tutt’attorno a lei, che la avviluppava in soffocanti spire di paura e rassegnazione.
Stremata dalla fuga e dalla tensione, si appoggiò contro un muro, rabbrividendo quando il gelo di cui era pervaso le trapassò i vestiti e s’irradiò sulla sua pelle.
Chiuse gli occhi, conscia di essersi persa nei più profondi recessi del castello.
Una parte di lei stava accarezzando la possibilità di concedersi un breve momento di riposo e trovare conforto nel sonno, ma sapeva che sarebbe stato un errore fatale abbassare la guardia anche solo per un secondo.
Dubitava che Beck sarebbe riuscito a trovarla entro breve, quindi decise di sedersi un paio di minuti, in modo da riprendere fiato, e poi incamminarsi senza aspettarlo, alla ricerca di un’altra scalinata che l’avrebbe portata nuovamente nella parte abitata del maniero ma lontano dei soldati sulle sue tracce.
Incrociò le braccia al petto, incapace di rialzarsi.
L’idea di rimettersi in marcia da sola la terrorizzava, non aveva più il coraggio di sopportare la tensione della fuga, l’angoscia di non sapere se ad una nuova svolta si sarebbe trovata di fronte ad un nemico che l’avrebbe catturata o forse uccisa…
Strinse i denti, lottando disperatamente contro quel momento di sconforto che le avrebbe impedito di proseguire.
Solo al pensiero di venire nuovamente catturata, le cicatrici sulla schiena cominciarono a bruciarle con la stessa straziante intensità che l’aveva quasi portata alla pazzia, durante quei lontani giorni di due anni prima in cui aveva sperimentato sulla propria pelle la crudeltà degli Oscuri; tuttavia sapeva di non potersi concedere alcuna tregua fino a quando non fosse riuscita ad uscire dal castello, se desiderava avere qualche possibilità di salvarsi.
Appoggiò le mani sulle proprie spalle in un abbraccio solitario, nel tentativo di alleviare almeno in parte la solitudine che le divorava il cuore e la sospingeva sempre più verso una rassegnazione simile alla morte.
Doveva salvarsi ad ogni costo, per se stessa e per lei.
- Viridian. - mormorò, sapendo già che non avrebbe ottenuto risposta.
Quando il suo richiamo disperato si spense nel silenzio, represse a fatica le lacrime che già premevano contro le sue ciglia, ansiose di rigarle le guance.
Come quel lontano giorno, avrebbe dovuto cavarsela da sola.
Il pensiero della fuga di due anni prima la rinfrancò impercettibilmente: già una volta era riuscita a scappare dai sotterranei in cui si era ritrovata prigioniera, beffando non solo le guardie che la controllavano, ma anche uno degli Oscuri; forse avrebbe potuto farcela di nuovo.
Con un po’ di fortuna avrebbe potuto farsi passare per una delle numerose serve del castello ed in tal modo avvicinarsi ad una delle uscite secondarie, o magari, una volta lasciati i sotterranei, sarebbe riuscita a ritrovare Beck.
Si rialzò in piedi, pronta a lottare con tutte le sue forze per riguadagnare la libertà, ma un suono inaspettato la fece trasalire.
Una fessura apparve all’improvviso nella roccia grezza di fronte a lei, rivelando un’apertura che cominciò ad ingrandirsi fino a raggiungere le dimensioni di una vera e propria porta segreta.
Kysa fece un passo indietro, spaventata da quella chiara dimostrazione di magia, tuttavia, per quei lunghi secondi in cui rimase immobile a guardare il muro, non successe nulla, così si decise ad avvicinarsi di qualche passo. Affascinata suo malgrado da quel cunicolo buio appena aperto, si affacciò per esaminarlo meglio: aguzzando gli occhi poteva vedere i primi gradini di una scalinata intagliata nella pietra, che si snodava simile alle spire di in un serpente in un abisso apparentemente senza fine e dopo qualche metro veniva inghiottita dalle tenebre.
Fece un altro passo in avanti senza nemmeno rendersene conto.
Abbastanza nitido da sovrastare ogni timore, sentì distintamente l’impulso di afferrare una delle fiaccole accese nel corridoio e proseguire la discesa, come se qualcosa alla base della scalinata la stesse chiamando con un’urgenza a cui non riusciva né desiderava resistere.
Avanzò ancora, ma il gelido contatto con il muro a cui aveva appoggiato la mano parve riportarla alla realtà. Lanciò un nuovo sguardo nel baratro nero che le si stagliava di fronte, mentre il richiamo si indeboliva, spegnendosi negli echi di razionalità della sua coscienza.
Un turbamento incomprensibile si impadronì all’improvviso del suo animo, tuttavia quel silenzioso allarme nella sua mente giunse troppo tardi: ancora prima che lei riuscisse a muoversi di un passo, da quel buio emerse in perfetto silenzio la figura di un ragazzo sui diciassette anni, dai capelli color della neve ed il corpo magro di un asceta.
Kysa s’irrigidì non appena i suoi occhi incolori la trafissero, privi di qualunque emozione.
Davanti a lei si stagliava un Oscuro.
   
 
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