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Autore: Viviane Danglars    21/07/2011    0 recensioni
Ichigo è un investigatore, ha un cliente e un “caso” da risolvere.
Non è pulito, non è delicato e non finisce bene.
[ Respirò a fondo nell’aria ancora fresca della mattina, senza aprire gli occhi. Non ne aveva bisogno per visualizzare il luogo dove si trovava; sapeva com’era fatta la ringhiera di ferro che sentiva premergli, fredda, contro le reni. E sapeva che, sotto di lui, c’erano numerosi piani e poi soltanto l’asfalto, non liscio né propriamente grigio, ma sicuramente duro.
Numerosi piani di poveracci e disperati, prostitute e drogati, ubriaconi e malati e, sopra di loro, lui: Renji Abarai, con i suoi tatuaggi, le mani robuste infilate nelle tasche, la maglietta lisa che profumava della lavanderia di Momo e i capelli rossi raccolti in una coda spettinata.
]
~ [Liberamente ispirato al film Million Dollar Hotel.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Renji Abarai
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo tredicesimo.
Time is running out




[ Bury it, I won't let you bury it
I won't let you smother it
I won't let you murder it
… and our time is running out,
our time is running out -
you can't push it underground
you can't stop it screaming out
… how did it come to this? ]




Lo stemma dei Kuchiki era un complicato intreccio di forme sinuose crudelmente imprigionate in un esagono. Ichigo pensava, mentre teneva lo sguardo sollevato verso l’alto, che quell’esagono era un dettaglio sbagliato.
Il simbolo sarebbe stato molto più bello senza: se le linee avessero potuto aprirsi liberamente verso l’esterno, a partire da quella stella centrale.
Ma in effetti era sciocco aspettarsi che nel simbolo dei Kuchiki potesse esserci qualcosa che rimandasse a un concetto di libertà.
E poi che razza di pensieri si metteva a fare, proprio in quel momento, quella sera.
L’investigatore riportò lo sguardo davanti a sé, sul giardino della villa e le luci provenienti dalle sale lontane. C’erano finestre illuminate poco più in là, fra gli alberi; persone e calore; eppure per lui, bloccato dalle guardie lì sul cancello, erano distanti anni luce.
- Anche perché sono passati anni da quando mi hanno detto di “aspettare” – sbuffò tra sé, sollevando di nuovo il polso per controllare l’orologio. Va bene, l’ora era tarda, la casa era grande, ma quanto tempo ci poteva volere per trovare e chiamare Byakuya Kuchiki?
In fondo era una faccenda che interessava lui.
A lui, Ichigo, non importava un bel nulla di quella Rukia.
Sì, come no.
- Ehi. -
Ichigo riportò lo sguardo davanti a sé, colto di sorpresa dalla voce della guardia che era tornata. Di fianco al guardiano del cancello c’era ora un vecchio vestito in impeccabili abiti tradizionali, un poco curvo ma dallo sguardo acuto, che lo sondò per bene prima di dire: - Il signor Kuchiki è impegnato in questo momento. Ma – interruppe sul nascere la protesta di Ichigo, - la riceverà ugualmente purché il colloquio sia breve. Venga con me. -
E si voltò, riguadagnandosi il sentiero verso la villa. Ichigo lo seguì, ma non disse una parola. Come se non fosse stato già abbastanza nervoso per ciò che aveva scoperto, doveva anche vedersi trattato come se fosse stato un servo o poco meno. Sì, Kuchiki lo pagava, ma fino a prova contraria era lui quello che aveva bisogno dell’aiuto di Ichigo.
L’irritazione si sommò ad una certa inevitabile soggezione, quando entrarono finalmente nella villa e quella specie di maggiordomo gli chiese fermamente di lasciare lì le scarpe. Ichigo avrebbe preferito sbrigarsela in fretta, ma ubbidì e l’altro lo condusse lungo un certo numero di corridoi, finché non giunsero davanti a degli shoji imponenti, che chiaramente li separavano da un’ampia sala.
A giudicare dai rumori che giungevano dall’interno, una sala che doveva essere anche piuttosto affollata.
Il maggiordomo si voltò. – Il signor Kuchiki ha degli ospiti in questo momento. – Non aggiunse altro, ma non ce n’era bisogno: era chiaro che gli stava chiedendo di non mettere in imbarazzo nessuno dei presenti con il suo essere un pesce fuor d’acqua.
Ichigo era già abbastanza seccato, e quella nuova offesa lo lasciò indifferente. Attese pochi secondi e Byakuya apparve, facendo scivolare compostamente gli shoji dietro di sé per richiuderli. Diversamente dal suo servitore, era vestito all’occidentale, così come la maggior parte degli ospiti, che Ichigo vide solo di sfuggita prima che le porte fossero nuovamente accostate.
Per un istante, Ichigo maledisse le scarpe che aveva tolto e che lo facevano sentire dannatamente troppo basso. Gli parve di dover sollevare la testa per poter guardare negli occhi Byakuya, che, educato e gelido, a casa sua, era più che mai irraggiungibile.
- Signor Kurosaki. – Byakuya parlò per primo. – Mi hanno detto che ci sono delle novità? -
- Già. Scusi il disturbo – borbottò Ichigo, sarcastico.
- E’ solo una cena di rappresentanza. Un’occasione formale – spiegò Byakuya senza alcun sentimento.
- Avevo intuito che non fossero gli amici del bar. -
- Crede di poter passare al punto? -
Ichigo digrignò i denti, contrariato. Era arrivato lì con tanta fretta, ed ora si faceva riprendere proprio da Byakuya Kuchiki. – Sì, be’, penso di aver scoperto chi è la persona che ha aiutato sua cognata a nascondersi all’Hotel. Però ritengo che non sia più lì, perciò saranno necessarie nuove indagini… -
Byakuya lo osservava con intensità, gli occhi grigi immobili. – Mi sta dicendo che siamo al punto di partenza? -
- No, no – assicurò l’altro, - vedrà che ne caveremo qualcosa. Ma ho preferito informarla prima di muovermi… ora sono convinto di poter rintracciare gli spostamenti di sua cognata, basandomi su ciò che ci dirà questa persona… -
- Molto bene. – L’uomo annuì, voltando lo sguardo per un istante sulle ombre al di là degli shoji. – E quanto tempo pensa che… -
Ma non completò la frase, perché la porta che stava osservando si aprì, e Ichigo ebbe la seconda sorpresa della serata.
Yoruichi aveva in mano una flute piena per metà, e l’altra mano era ancora posata sullo shoji. I suoi occhi dorati si posarono su Ichigo per forse tre secondi, prima che la donna li distraesse con aria annoiata e li riportasse su Byakuya, di nuovo vivaci e luminosi.
- Byakuya, dov’eri finito? Mia zia ti sta cercando ovunque – disse, sorridendo di un sorriso candido.
- Torno tra un istante – rispose lui, il tono vagamente annoiato.
Yoruichi rise e riuscì nel miracolo di combinare un’espressione sbarazzina con l’abito da capogiro che stava indossando. – E il tuo amico chi è? -
Byakuya non fece una piega. - Un collaboratore di lavoro. -
La donna riportò lo sguardo su Ichigo, ma senza dimostrare un reale interesse, né parve notare l’espressione di odio che, Ichigo ne era certo, si stava dipingendo sempre più chiaramente sul suo viso.
- Be’, non farci aspettare troppo, ragazzino – commentò infine, allegramente, e Ichigo fu sorpreso di vedere che non veniva fulminata sul colpo per la sua irriverenza ma, al contrario, Byakuya si limitava ad un’espressione scostante. – In fondo è la tua cena. Un bravo ospite non lascia i suoi invitati a spasso… devo insegnarti tutto io? -
- Ne sono conscio – ribatté Kuchiki, non raccolse la provocazione, e la congedò. Yoruichi si strinse nelle spalle e tornò sui suoi passi. Byakuya riportò lo sguardo su Ichigo. – Le chiedo scusa per l’interruzione. – Lo disse in tono molto cortese, ma era ovvio che non si scusava affatto. - Stavamo dicendo… -
- Nulla. – Ichigo aveva già sopportato troppo. – Me la caverò da solo. Mi scusi per aver disturbato la sua cena. – E se ne tornò per la via che gli risultava più familiare, sperando di non perdersi.
- Signor Kurosaki! – si sentì chiamare, da un Byakuya Kuchiki un po’ sorpreso e leggermente contrariato.
Ma lo ignorò.
Arrivò con sollievo all’ingresso, al giardino, all’aria fresca della notte e continuò a passo di marcia verso la sua macchina, estraendo il cellulare dalla tasca con movimenti resi frenetici dalla rabbia.
- Pronto? Uryuu? Uryuu, sono io… non me ne fotte un cazzo, molla tutto e vieni, tanto sono giorni che lavorate senza risolvere nulla. Cosa? No, adesso chiamo Chad. A Karakura. Sì, davanti a casa mia. -
Bastò mezz’ora perché tutti e tre si ritrovassero davvero davanti alla vecchia casa di Ichigo, quella che avevano imparato a conoscere quando erano ragazzi e che era ancora un luogo di ritrovo per le situazioni di emergenza. Uryuu arrivò borbottando e protestando, Chad era vestito da casa con solo un giubbotto buttato sulle spalle larghe, ma arrivarono.
Ichigo però non era dell’umore di apprezzare quella dimostrazione d’amicizia. Si sentiva preso in giro e un po’, sì, si sentiva anche tradito. Ed espose tutte quelle cose sotto un lampione sbilenco, davanti alla sagoma grigia della sua vecchia casa, nella notte sempre più scura.
- Non fare il bambino – lo apostrofò Uryuu quando ebbe finito. Aveva appena scoperto che il cliente di Ichigo era effettivamente un pezzo grosso, ma mai e poi mai si sarebbe dimostrato impressionato. – Quello è Byakuya Kuchiki. Probabilmente deve dare una cena simile come minimo una volta al mese, e deve invitare tutti i pezzi grossi di Tokyo, che gli piaccia o no. -
- Lei era decisamente in confidenza con lui! – sbottò Ichigo. – Non era un caso che sia venuta a chiamarlo! -
Uryuu alzò gli occhi al cielo e fece un movimento definitivo, nel suo impermeabile su misura. - Senti. Mai scoperto nulla sui Kuchiki. Mai neppure sentiti nominare da qualcuno. Mi dispiace dirtelo, il tuo cliente è l’unico riccone pulito della città. -
- E perché conosce la Shihouin?! -
- Avranno studiato assieme l’ikebana quando erano ragazzi, che ti devo dire? La pianti di crearti casini inutili? –
Ichigo tirò fuori una sigaretta, con rabbia. Non era convinto, e si vedeva. Uryuu si sistemò gli occhiali e lanciò un’occhiata a Chad, che era silenzioso come suo solito, ma ricambiò lo sguardo un po’ perplesso dell’amico.
- Perché sei tanto agitato, Ichigo? – domandò infine il gigante, infilando in tasca le grosse mani.
L’interessato sospirò e si appoggiò al lampione. – Ho bisogno del vostro aiuto. Ho scoperto un paio di cose grosse. -
- Quelle che non hai detto al tuo cliente perché eri occupato a fare la primadonna? – domandò Uryuu, ma Chad lo zittì con una gomitata.
- Sì, va be’. Avete presente Mayuri Kurotsuchi? -
Chad scosse la testa, ma Uryuu annuì, perplesso. – Cosa c’entra adesso? -
- E’ vivo. Cioè. Suona da telenovela ma… - Ichigo si grattò una tempia, irritato, - voglio dire, cazzo, gli ho parlato stasera. E anche una settimana fa, circa. -
- Cosa? Ma… -
- Dev’essere fuggito dall’ospedale chissà come. -
- Ma l’hanno dato per morto! – protestò Uryuu. – E’ morto, legalmente morto, tutto in regola! -
- Che ne sai? – replicò Ichigo, scontroso. – Hai controllato? Secondo me gli è scappato e siccome tutta quella storia era già uno scandalo abbastanza succoso, hanno preferito mettere a tacere la cosa. Prova a informarti. -
- Ma… - Uryuu si interruppe di nuovo, stavolta da solo. – E’ pericoloso, dobbiamo ritrovarlo… -
- Non fa del male a nessuno. – Ichigo scosse la testa. – Insegna biologia a una ragazzina, al Million Dollar Hotel. Piuttosto, mi ha detto chi ospita la Kuchiki. -
- E chi? -
Ichigo mordicchiò la sigaretta con astio. – Renji Abarai. -
- Ma non era amico tuo? – lo schernì Uryuu, seccato di essere stato zittito.
Appunto. – No! Era una “persona informata dei fatti” ed io l’ho tenuto d’occhio. Ed ora pare che dobbiamo capire perché proprio lui conosceva Rukia Kuchiki e cosa hanno in mente. -
Uryuu osservò Ichigo ma non disse niente. A quel punto Chad chiese: - Ma… lei dov’è? -
- Non ne ho idea, - sbottò il ragazzo, - ma ‘sta sicuro che adesso lo pesco e me lo faccio dire. Però prima vorrei che tu facessi altri controlli, Uryuu… -
- Dovrebbero darmi metà della tua parcella – borbottò l’altro, poco convinto.
- Ah, poche storie, ti ho fatto almeno altrettanti favori! – Ichigo buttò la sigaretta e si staccò dal lampione cercando di scacciare il malumore. – Vorrei soltanto che controllassi di nuovo i nomi che abbiamo esaminato, quelli che sono saltati fuori dal passato di Rukia Kuchiki. Vedi se trovi qualcosa che ci era sfuggito. -
- Qualcosa del tipo? -
Ichigo si strinse nelle spalle, iniziando già ad infilare la mano nella tasca dei jeans per cercare le chiavi della macchina. – Qualcosa del tipo “Renji Abarai”. -


Era finalmente riuscito a prenderla.
Si era fatta prendere, cioè. Ma che importanza aveva? Ora era lì, lui la teneva per le spalle, lei si voltava, leccandosi le labbra come una gatta, gli occhi dorati socchiusi sotto ciglia affilate e crudeli.
Essere riuscito a raggiungerla, toccarla, era più di quanto osasse sperare. Ora era sua e ci sarebbe voluta la fine del mondo perché la lasciasse andare; c’erano solo loro due, nient’altro contava sulla faccia della terra, neppure…
Lo squillo del telefono.
Kisuke Urahara si tirò a sedere sul letto, le mani e le gambe ingarbugliate nelle lenzuola. Si svegliò nell’attimo stesso in cui aprì gli occhi, il respiro mozzo, mentre il cellulare posato sul comodino vibrava e suonava con insistenza.
Impiegò qualche attimo a metabolizzare il brusco risveglio, e si sporse verso la causa del rumore, nervosamente. Lo disturbava: voleva che la smettesse.
Aveva impostato la suoneria così alta e rumorosa apposta.
- … pronto? -
- Capo? -
Sapeva con chi stava parlando, ma il nome non voleva saperne di apparire chiaramente nella sua testa. Era ancora troppo addormentato. Ma sì, quel ragazzo nuovo che gli avevano mandato, il nipote di non sapeva più chi…
- Cos’è successo? -
- Capo, dovrebbe venire subito. -
- Ma venire dove? – Tastò attorno in cerca della radiosveglia. – Che ore… ci sono novità? – domandò bruscamente, realizzando che aveva messo i suoi sottoposti a sgobbare da settimane, e che quello era il primo vero sonno che lui stesso si concedeva da un bel po’. Sapeva bene perché lavoravano tanto: una lotta contro il tempo, la possibilità, forse, di incastrare una volta per tutte la protagonista dei suoi sogni.
I suoi incubi.
- Sì, capo, grosse novità… - Ah, ecco che gli veniva il nome. Quella voce strascicata, come se godesse personalmente delle disgrazie altrui… Grantz.
- Dovrebbe venire in centrale. – Mai piaciuto, quel ragazzo.
- Sì, arrivo. Meglio non parlarne al telefono. – Urahara posò i piedi sul pavimento freddo della camera. Era una camera con molte finestre, oscurate da una serie di tende fin troppo sottili. Molto moderno e molto impersonale. Tra l’altro non nascondevano un bel niente, né la luce né i rumori: fuori, Tokyo non si spegneva un attimo.
- Sarò lì tra poco. -
- Va bene. La aspettiamo. -


Mentre succedevano tutte quelle cose nella notte di Tokyo, tanto da far pensare che la città, nonostante l’ora tarda, non avesse la minima voglia di mettersi a dormire, una giovane ignara camminava in fretta lungo un marciapiede malfamato e per niente raccomandabile.
Camminava stringendo tra le mani un oggetto che non le apparteneva, ma per il quale in quel momento avrebbe dato la sua stessa vita.
- Devo portarlo a Rangiku, - si diceva. – Per lei è importante. Lo faccio per questo. -
Si diceva così e si convinceva così perché neppure lei sapeva trovare la forza o il coraggio di capire la verità, di sentire la verità. Sapeva soltanto che stava facendo di nuovo quella strada per la prima volta dopo tanto tempo, la strada che aveva fatto tanto spesso per andare al lavoro, una strada frequentata solo da malintenzionati che per lei era diventata come un percorso verso il suo paradiso personale.
Era la prima volta che trovava il coraggio di percorrerla di nuovo. Era la prima volta che trovava una scusa per percorrerla di nuovo. E le sembrava una tale enormità che credeva quasi di essere l’unica persona ancora sveglia in città quella sera, e non si sarebbe stupita se enormi riflettori si fossero puntati su di lei e le avessero intimato di fermarsi prima di portare a termine il crimine che aveva in mente di commettere.
Momo stava tornando al Nocturne, con in mano la catenina della sua amica Rangiku.
   
 
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