Il prezzo della felicità
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Il suono del
vetro che si
frantumava sul pavimento riecheggiò per tutta la casa e
anche negli immediati
dintorni, mentre June fu attraversata da un forte brivido che le
partì dalle
ginocchia per arrivare al cervello, in un attimo di collera funesta che
le fece
provare una sensazione talmente forte, da essere certa che non ne
provasse una
pari da anni. Il cuore sobbalzava a causa dell’adrenalina, e
June capì di non
averne ancora abbastanza. Prese un altro bicchiere, lo strinse quasi
fino a
spaccarselo in mano, poi gettò per terra anche questo, con
una rabbia che
sembrava disperdersi in ogni pezzo di vetro che si rompeva,
così che alla fine,
liberando ciò che era rimasto in lei di iracondo,
lanciò un grido a tutta voce,
un ruggito quasi animale, e infine si rese conto di doversi sedere.
Adesso stava
tremando, aveva il
fiatone. Si sentiva improvvisamente accaldata e stanca. Fece appena in
tempo a
stendersi sul divano con i pugni stretti, le unghie conficcate con
forza nei
palmi delle mani, che Rebecca si catapultò dentro la stanza,
ansimando anche
più di lei.
Becky
osservò la scena: la
sorella, rossa in viso e con il corpo teso, era sdraiata sul divano.
Dalla tavola
apparecchiata per due mancavano i bicchieri, che infatti giacevano a
terra in
mille piccoli pezzettini quasi a formare un mosaico di vetro. Ora aveva
la
certezza che mamma e papà, appena tornati a casa, se la
sarebbero presa anche
con lei. «June!» sbottò, adesso
più rassegnata che spaventata. «Ti rendi conto
che nel giro di pochi secondi i vicini verranno a suonarci alla porta?
Hai idea
di quanto sia difficile tranquillizzare la vecchietta qui di fianco del
fatto
che non sei né caduta dalle scale né ti sei
rovesciata addosso la pentola con l’acqua
bollente? E pensare che qui la più grande sei tu! Mi sento
come se fossi la tua
baby-sitter!»
Quando June
si alzò, Becky fece un
passo all’indietro nell’improvvisa paura che la
sorella potesse mollarle un
pugno da un momento all’altro, ma non accadde nulla. La
situazione si era tranquillizzata.
«Scusa,
Becky, ci penso io a
pulire.» June aveva gli occhi velati, e camminando faceva
attenzione a non
pestare i vetri. «Tu occupati dei vicini.»
«Eh
sì, certo, tocca sempre a me
il lavoro più fastidioso. Che ti è preso? Secondo
me sei lunatica! Ti ho
lasciata dieci minuti fa che piangevi come una fontanella e ora torno
vedendoti
in procinto di buttare giù la casa! Come lo spiegheresti a
mamma e papà?»
Il campanello
suonò
intromettendosi nella conversazione. Becky sbuffò e
andò ad occuparsi dell’anziana
signora Jones che aveva sentito dei rumori “davvero
raccapriccianti”,
rassicurandola che June si era solamente spaventata… per un
grosso ragno, che l’aveva
fatta balzare sul tavolo e di conseguenza i bicchieri erano caduti sul
pavimento. Poco dopo Becky richiuse la porta di casa, pensando con
soddisfazione di avere una gran bella fantasia.
June era
china sul pavimento
intenta a pulire, che la sorella minore si appoggiò allo
stipite della porta,
parlandole in tono più calmo:
«Cos’è che ti ha fatto arrabbiare
così tanto, June?»
Dopo di che andò in cucina a prendere degli altri bicchieri.
La pizza a
domicilio sarebbe arrivata a momenti.
L’altra
respirò profondamente.
«Trovo davvero incredibile come Lindsay sta affrontando la
situazione. Ha l’aria
così tranquilla, e così dannatamente
sfacciata!»
Becky
cercò di tranquillizzarla
per evitare un’altra crisi di rabbia. «June,
probabilmente sei tu che hai quest’impressione
perché, essendo nel bel mezzo della faccenda, vedi i difetti
e gli errori degli
altri elevati all’ennesima potenza, ma non è il
caso di scaldarsi così.»
«Mi
ha inviato poco fa un sms. Diceva
che se ne ho voglia, l’invito per la sua festa di compleanno
è ancora valido, e
mi riserverebbe un posto vicino a lei. Chissà, quasi
certamente di fronte al suo ragazzo!
Per lei è tutto come se
nulla fosse! Mi immagino la sua faccia con quel sorrisetto di scherno
mentre lo
scriveva.»
«Frena,
June. Ti pare forse
possibile che dopo tutti questi anni che tu e Lindsay siete andate
d’amore e d’accordo,
adesso lei si comporti con te con tutta questa cattiveria? Sicuramente
ti ha
mandato quel messaggio in buona fede, non aveva intenzione di
offenderti.»
June si
trattenne dall’afferrare
un altro bicchiere, non senza fatica. «Be’, allora,
se la metti così, o l’ha
fatto con malizia, e dunque la reputo una persona schifosa, o
è così stupida da
averlo fatto con le migliori intenzioni, nonostante quello che provo, e
allora
mi fa davvero pena! In ognuno dei due casi non vale più la
pena che le rivolga
la parola, se non per insultarla.»
Becky si
sedette sul divano,
vicino a lei. «C’è anche da dire che la
stupidità non è una colpa.»
«Già,
è una gran sfortuna. Ma non
voglio rischiare che sia contagiosa.»
«Effettivamente
sembra quasi che
qualcuno sia stato contagiato dalla sua…»
L’altra
alzò un sopracciglio. «Ero
convinta che volessi contraddirmi per tutta la sera! Così
però non ti rendi
molto utile. So anch’io di avere ragione.»
Ancora una
volta, il campanello
suonò. «La pizza» dedusse Becky, con
felicità.
June si
alzò per andare ad aprire.
Prese i soldi che si era già infilata in tasca e
abbassò la maniglia. Ciò che
vide le fece provare le più contrastanti emozioni. E se
dentro di lei non fosse
successo tutto quel trambusto, si sarebbe accorta
dell’imbarazzo e l’umiliazione
palesi nell’espressione del ragazzo con la pizza
lì di fronte, costretto a
suonare ancora una volta a quella casa.
«Oh,
Matthew» disse June fingendo
la più assoluta naturalezza, ma nascondendo lo stupore, la
vergogna e la voglia
di prenderlo a calci. «Non sapevo avessi trovato un lavoro
part-time.» Capì che
non era il caso di allungare le frasi se voleva celare ancora il suo
turbamento
a quella visita.
Rebecca,
nell’altra stanza, si era
trattenuta dal precipitarsi a curiosare, sentendo la sorella
pronunciare quelle
parole.
«Già.»
Matthew si sforzò di
accennare un sorriso con tutte le sue forze, ma l’imbarazzo
ebbe la meglio e
così riuscì soltanto a dire l’ammontare
del prezzo delle due pizze.
June
contò bene i soldi – per essere
sicura di non dargliene più di quanti ne meritasse
– e, evitando accuratamente
il contatto con le sue mani, prese i cartoni della pizza in mano. Becky
lo
prese come pretesto per aiutarla a portarli di là e la
raggiunse. «Dammi,
sorellina, ci penso io.» Sì, era proprio lui! E
dopo un breve saluto a Matthew
carico di finto calore se ne tornò di là.
La sorella
maggiore, invece, che aveva
una gran fretta di chiudere la porta, fece per andarsene senza nemmeno
salutare, quando lui la fermò. «Ehm, immagino che
della mancia non se ne possa
neanche parlare, vero?» disse avvampando in viso.
Matthew
non è uno sconsiderato,
pensò June, non chiederebbe mai la
mancia
a me se non ne avesse davvero un
disperato bisogno. Non dopo tutto questo. Tuttavia rimase
davvero
sconcertata per la sua richiesta, ma finse di nulla. «E
sentiamo, immagino che
tu ne abbia un forte bisogno per comprare il regalo di compleanno alla
tua
ragazza, o mi sbaglio?»
Lo
guardò con un’intensità che non
gli fu possibile mentire. Quello sguardo faceva quasi paura.
«Ecco… sì, in
realtà sì.»
Che
faccia tosta, non prova neanche a inventarsi una scusa! «Allora
no, non se ne parla
proprio.» E con un ghigno maligno gli sbatté la
porta in faccia.
In un secondo
June si vide passare
davanti, come un film a velocità decuplicata, scene e
inquadrature sempre
diverse, meravigliose nella loro unica semplicità, con lo
stesso grado di
felicità che June aveva avuto il piacere di provare per mesi
e mesi, finché non
si era tutto frantumato come quei bicchieri di poco prima, e non aveva
capito
che certe volte la felicità, quando finisce, ti porta anche
il conto – un conto
molto salato – e non accade raramente che davanti a quel
prezzo da pagare si
rimanga del tutto spiazzati.
Poi si appoggiò al legno solido con tutto il corpo, si lasciò scivolare giù, rannicchiandosi. Infine si mise a fissare il pavimento con gli occhi che lacrimavano per i successivi minuti, ignorando completamente la sorella che la chiamava a tavola.
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Piccolo spazio dell'autrice:
E' un bel po' che mi interrogo su cosa potrei scrivere e non mi viene l'ispirazione, e non posso dire che mi sia venuta anche stavolta, ma classifico questo piccolo brano come un piccolo sfogo di rabbia non dovuto per forza ai motivi sopra citati... ora che sono di animo più sereno, vi comunico che spero vi sia piaciuto e spero di incontrare voi lettori anche prossimamente =)
Ciao!