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Autore: Lalani    24/07/2011    4 recensioni
“Io sono stato amato da mia madre?”
Non ho più permesso a Gaara di sanguinare, di rivedere il rosso sul suo viso perlaceo, dopo quella atroce notte di tanti anni fa.
Ma ho permesso che soffrisse, che venisse torturato dal suo villaggio, da mio marito, da Shukaku, da sé stesso.
Sono stata una madre di sabbia, una madre spazzata via dal vento.
Una madre che ora sta permettendo a sua figlio di piangere per me.
Vorrei asciugarle, vorrei dipingerle d’oro, vorrei essere io, a sanguinare.
Come potrei non amarti, Gaara?"
Piccola spin off di Dark Rainbow, ma si può leggere senza averla letta.
Piccolo tributo a una famiglia di estremo coraggio.
[SPOILER 547-548]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Sabaku no Gaara
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Più contesti
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Blind
Light Rainbow



After all this time
would you ever wanna leave it
maybe you could not believe it
that my love for you was blind




Gaara mischiava, gioioso, viola e sabbia. Frammenti di porpora, sprazzi di fucsia e altri colori sconosciuti nel cielo sporco di Suna. Avevo rovesciato un barattolo di tempera colorata e avevo mostrato a mio figlio, per la prima volta, che c’era un mondo nuovo oltre il deserto, oltre il dolore, oltre la paura. C’era un mondo, là fuori.
Gaara mischiava viola e sabbia.
Lui era il viola e io ero la sabbia.
Eravamo il cielo e la terra uniti da un arcobaleno.


Mi mancava il blu, mi mancava il mare.
“Gaara, smettila!”.
L’avevo accarezzato molte volte, e lui mi aveva regalato baci di velluto.
Mi aveva donato la paura. La paura di perdersi, dell’infinito.
“Basta giocare a fare il mostro!”.
Ero sepolta sotto un oceano di sabbia, la mia tomba era il deserto, e il blu non esisteva più.
Solo attraverso gli occhi di Gaara potevo annusare il cielo, sfiorare le nuvole, cullare i miei sogni.
Solo attraverso Gaara potevo vedere gli occhi terrorizzati e blu, blu, blu di Temari.
Solo una fatale carezza: ecco cosa potevo offrire ai miei figli.


“L’esame per l’ammissione a Chuunin sarà il perfetto capro espiatorio per scatenare una guerra contro Konoha”.
I miei figli tenevano la testa bassa e io strisciavo nel fango. Mi infilavo nei loro occhi, sfregiavo la loro pelle, tormentavo le loro ciglia, ma loro erano bambole, bellissime bambole, nelle mani di Suna e della sua ira.
Non c’erano tempeste o arcobaleni nelle loro anime; non c’erano ribellioni o sorrisi, nemmeno dentro quella avvelenata di Gaara.
C’era solo un lugubre cielo artificiale.
Un cielo turchese: limpido e senza nuvole.
Vuoto.


Nel deserto, i miraggi erano verdi.
Erano la vita, erano gli alberi e le foglie, erano linfa appassita, erano i petali che sventravano la sabbia, scorticavano la morte.
Ma erano, per l’appunto, crudeli illusioni: il deserto strangola la vita.
Eppure ora eravamo circondati dal verde di Konoha, io e mio figlio. E quel ragazzo biondo, angelico, che strisciava verso di noi, non era un miraggio.
Era un miracolo.
Era un fiore sbocciato nel deserto.


Avevamo imparato a venerare e a temere la luna, la sua luce maledetta e perlacea, arida rispetto a quella gialla e splendente del sole.
Avevamo imparato a pitturare la notte di lacrime, a smembrare i nostri sogni, a non trovare pace nel sonno.
Io e mio figlio abbiamo vissuto nel buio della notte, ipnotizzati dallo Shukaku e dalla sua nenia.
Non avrei mai più rivisto il sole.
Ma ora mio figlio guarda il cielo, è il Kazekage.
Abbraccia il giorno e maledice la notte.
Mio figlio mi ha riportato il sole, il giallo, i sogni.
Mio figlio mi ha riportato alla vita.


Il cielo esplose in un radioso tramonto arancione.
Anche se non insanguinava la sabbia come quelli di Suna, risultava egualmente spettacolare.
Forse perché i nostri occhi sapevano che poteva essere uno degli ultimi, che quei raggi morenti illuminavano un esercito di scheletri, che la guerra era la notte, era l’ombra di Madara.
Potevamo vivere infiniti secondi o brevissimi anni, io e mio figlio, e non sarebbero bastati riconquistare tutto l’amore che abbiamo perduto.
L’arancione svanì e calò la notte.
Fuggì la pace e rise la guerra.
Ma io sono ancora al tuo fianco, Gaara.


“Io sono stato amato da mia madre?”
Non ho più permesso a Gaara di sanguinare, di rivedere il rosso sul suo viso perlaceo, dopo quella atroce notte di tanti anni fa.
Ma ho permesso che soffrisse, che venisse torturato dal suo villaggio, da mio marito, da Shukaku, da sé stesso.
Sono stata una madre di sabbia, una madre spazzata via dal vento.
Una madre che ora sta permettendo a sua figlio di piangere per me.
Vorrei asciugarle, vorrei dipingerle d’oro, vorrei essere io, a sanguinare.
Come potrei non amarti, Gaara?
Cancellerei tutti i colori e tutti gli arcobaleni dal mio mondo, per te: rinuncerei ad ogni sfumatura, ogni riflesso, ogni frammento, finché il nero giunga a chiuderci gli occhi e a lasciarci dormire.
Perché il mio amore per te è cieco.





La scena che avrei voluto vedere nel manga? Una in cui si vedeva Karura, la madre di Gaara, possibilmente non più in foto, ma in carne ed ossa. Grazie al cielo sono stata esaudita! Dovevo scrivere qualcosa!!
Diciamo che è una minuscola spin-off della mia precedente storia “Dark Rainbow” e allo stesso tempo il riscatto per Karura…finalmente ho avuto la conferma che ha sempre amato suo figlio!
In questi sprazzi di colore abbiamo trovato:
- l’infanzia di Gaara e il viola, un colore molto scuro e raro nel deserto. Infatti Karura deve usare un vernice artificiale per mostrare quel colore estraneo a suo figlio.
- il blu, dove solo attraverso gli occhi di Gaara e, di riflesso, dello Shukaku, Karura può vedere mondo che ha perduto e soprattutto i suoi figli, Kankuro e, in questo pezzo, Temari.
- Azzurro: Baki espone il piano della conquista di Konoha ai fratelli Sabaku, prima dell’inizio dell’esame dei Chuunin.
- Giallo: Naruto “sconfigge” Gaara, che comincia a cambiare.
Arancione: frammento dell’inizio della guerra contro Madara.
-Rosso: capitolo 547-548…ho detto tutto!
I versi in corsivo sono dei Lifehouse e della loro canzone "Blind": fa impressione tanto è bella!

LaLa

  
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