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Autore: Querthe    27/03/2006    0 recensioni
Rei ha uno stranissimo risveglio, ma è solo lei che ha dei problemi con i sogni ad occhi aperti?
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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- E con questo anche per questa volta abbiamo finito! - sospirò Minako facendo riavvolgere la magica catena attorno al suo braccio.
L’oggetto tornò docile sull’arto della ragazza, lasciando cadere a terra il mostro che fino ad un attimo prima stava divincolandosi per liberarsi dalla stretta mortale. L’essere vaporizzò in una sottile nebbiolina nera, dispersa dal vento.
- Iniziano ad essere ripetitivi. Questo è il decimo gruppo di mostri che sconfiggiamo da quando siamo partiti dal castello di Ami. - esclamò Mamoru rinfoderando la spada e richiamando con un fischio il cavallo che era come al solito si era rifugiato poco lontano mentre il suo padrone affrontava i nemici in battaglia.
- Non è mio, è della maga della Torre di nebbia. - lo corresse Ami, ansimando leggermente per la lotta appena finita.
- Tanto è circa la stessa cosa. - Brontolò Mako dando un calcio ad un vicino sasso. - Sono due giorni che stiamo andando verso Sud come hai detto tu, Minako. - Guardò la maga. - Come ti ha detto l’incantatrice, ma della Foresta della allucinazioni nessuna traccia, a meno che non sia uno di questi sparuti boschetti disseminati tutt’intorno.
- Beh, potrebbe sempre essere quella lontana foresta che si vede laggiù. - Disse speranzosa Rei, stanca come gli altri del viaggio e della ricerca. Si voltò verso Ami. - Ami, ripetimi ancora una volta quanto tempo abbiamo prima che Usagi sposi quel bruttone del re nero.
La giovane inspirò profondamente prima di dare una risposta.
- Abbiamo ancora tre giorni, quindi avverrà un’eclissi che nasconderà la luna chiara tramite la luna scura. Allora il re della luna nera potrà presentarsi fisicamente nella nostra dimensione e sposare Usagi, diventando di diritto il nuovo re delle lune e potendo quindi rimanere in forma tangibile.
- Ma lui cosa ci guadagna nel ritornare ad avere un corpo? - chiese Makoto, mentre il gruppetto si incamminava lungo la via.
- Semplice. Lui ha il potere di creare con il pensiero cose ed esseri, ma per adesso esse sono reali esclusivamente nell’oscurità. Avendo un corpo, tale limitazione svanirebbe.
- In pratica potrebbe creare un esercito con il solo pensiero e questo non avrebbe paura delle torce come la hanno i mostri che stiamo combattendo? - chiese sperando di sbagliarsi Minako.
Ami annuì lentamente, mentre un brivido gelido correva lungo la schiena di tutti i presenti.

 

La porta della cella si aprì con un lugubre cigolio, portando all’interno della fetida e sporca stanza un fioco e irreale chiarore proveniente dall’esterno. Due figure erano legate da corte catene alle pareti, impossibilitate a sedersi o solo ad inginocchiarsi per riposare. Una delle due, quella che sembrava avere i capelli lunghi e sciolti, volto lentamente la testa, e due profondi e brillanti occhi blu sembrarono risplendere nel buio come quelli dei gatti.
- Sua maestà oscura si è degnata di vedere i suoi ospiti. - Ironizzò sofferente, mentre a fatica si rialzava tentando di darsi l’aria più composta che poteva. - Devo farle notare che i suoi servitori non ci hanno dato la migliore stanza della reggia. Mi vedo costretta a lamentarmi.
Un artiglio di nebbia nera coagulò davanti a lei e la prese per il volto, stringendole le guance fino a farle del male.
- Ringrazia di essere viva per servire la principessa, anche se per ancora soli tre giorni. - Ruggì una voce profonda e malvagia. - Ti conviene non lamentarti più, o la principessa qui accanto dovrà accontentarsi di una serva senza lingua. Sono stato abbastanza chiaro?
Luna annuì lentamente, tentando comunque di divincolarsi dalla presa che le stringeva il viso.
- Bene.
Così come era comparso, l’artiglio si dissolse, permettendole nuovamente di muovere la bocca. Entrarono alcuni mostri, vestiti con quello che sarebbero dovute essere delle divise da paggio, e rudemente aprirono i lucchetti che imprigionavano le due ragazze. Al contrario di Luna, che tentò, invano, di divincolarsi appena libera, Usagi non reagì minimamente, segno che era svenuta, forse per la paura, forse per i due giorni di patimenti subiti. Fu caricata sulle spalle di uno dei mostri, e assieme alla sua dama di compagnia, fu trasportata lungo corridoi neri e umidi, scale nere e viscide, stanze adornate di drappi neri e illuminate solo saltuariamente da candele che galleggiavano a mezz’aria emanando una luce fredda e verdognola. Giunsero davanti a una porta a due ante, che si aprì lentamente senza alcun rumore, permettendo al gruppo di entrare in un’alta e spaziosa sala, arredata sontuosamente, anche se con uno stile lugubre e pesante.
- Bella. Chi è il vostro arredatore? - disse sarcastica Luna. Non conosceva altro modo per dissimulare la paura che provava.
Non giunse risposta. I mostri appoggiarono Usagi su un grande letto a baldacchino e obbligarono Luna a sedersi su una poltrona poco distante, facendole segno con un artiglio di non muoversi da quella posizione. Arretrarono, e appena usciti la porta si richiuse.
- Ottimo. Da una prigione ad un’altra. - pensò la giovane ragazza dai lunghi capelli neri e mossi, alzandosi dalla sedia e precipitandosi a controllare l’amica. Respirava profondamente. Svenuta, infreddolita, ma viva.
- Se non altro questa è un po’ più confortevole dell’altra. - mormorò, guardandosi attorno.
L’unica porta era quella da cui erano entrate. Nessun’altra possibilità di fuga. Oltre al letto dove era adagiata Usagi, c’era un altro letto, meno sontuoso, ovviamente dedicato a lei, due poltrone, un tavolo, due armadi e due mobili bassi con specchio. Nessuna finestra, ma molte di quelle odiose e sinistre candele. Ad un tratto si sentì sporca e volle cambiarsi d’abito. Decise di non svegliare l’amica, e si avvicinò a uno dei due mobili. Su di esso c’era tutto l’occorrente per rinfrescarsi e truccarsi, anche se la scelta nei colori non era molto varia. Vide ombretti neri, viola e blu cupo, colori ripresi per gli altri cosmetici.
- Certo che qui manca decisamente il tocco femminile.
- Ha perfettamente ragione. - confermò una voce vellutata di ragazza alle sue spalle.
Luna si voltò di scatto, in mano una pesante spazzola di legno. Si trovò davanti due giovani dalla pelle pallida come la luna, occhi neri senza pupille e capelli scuri così lunghi e folti da fornire loro un vestito.
- E voi chi sareste? - chiese dubbiosa non posando la spazzola.
- Il tocco femminile che lei diceva mancare. - rispose serafica una delle due figure, mentre un leggero ed elegante vestito nero le si formava addosso come per magia.
- Lei ha detto che mancava la mano di una femmina, e il nostro signore ha pensato bene di assecondare il suo desiderio creandoci. Noi saremo ai vostri ordini, e vi aiuteremo in tutto ciò che ci è consentito.
Luna le stava guardando scettica, ma lentamente posò la spazzola e si sedette sullo sgabello imbottito che si trovava a lei vicino, dando le spalle alle sconosciute, sebbene le stesse osservando nello specchio che le era davanti.
- D’accordo. Pettinatemi e truccatemi come meglio sapete fare. - ordinò perentoria alle creature. Se doveva tentare di scappare, tanto valeva farlo in uno stato meno pietoso di quello in cui si trovava in quel momento.
Immediatamente gli esseri si mossero come fluttuando sul pavimento di nero marmo lucido, avvicinandosi alla giovane, e si misero al lavoro, mentre per la prima volta in due giorni Luna cedette alla stanchezza e si rilassò, chiudendo gli occhi e sospirando, mentre mani gentili si prendevano cura di lei. Passò quasi mezz’ora, quindi le creature finirono, spostandosi di qualche passo lontano dalla giovane seduta. Luna aprì gli occhi. Lo specchio le rimandava l’immagine di una pallida ragazza dai lunghissimi capelli neri legati in due codini ai lati della testa e abbelliti da due nastri viola e blu scuro che serpeggiavano nella treccia che formava ognuno dei codini. La fronte era stata impreziosita da una sottilissima tiara in filigrana d’argento che sosteneva una falce di luna, rivolta verso l’alto, in oro. Il volto era truccato splendidamente, anche se con colori funerei, dando così l’impressione di un trucco adatto ad una cerimonia funebre, per quanto elegante.
- Non è propriamente lo stile che prediligo, ma non avendo altro a disposizione, direi che avete fatto un ottimo lavoro. - disse mentre si osservava rigirandosi.
- La signora è troppo buona. Se mi è concesso, la signora dovrebbe cambiarsi d’abito. Quello che indossa non è adatto a lei.
Luna si osservò le vesti. Erano stracciate, macchiate e sporche, e solo lontanamente ricordavano l’abito che fino a due giorni prima indossava.
- Devo ammettere che hai ragione. Per fortuna due giorni fa non ero ancora andata a letto, altrimenti mi avrebbero portato via in vestaglia e camicia da notte come Usagi. - rise amaramente la giovane.
- Cos’è Usagi? - chiese una delle due ragazze, con lo stesso tono con cui un bambino curioso domanda spiegazioni su qualcosa che non conosce.
- Chi è, vorrai dire. - Si rendeva conto di dare troppa confidenza a quegli esseri, ma era troppo stanca per rimanere all’erta con chiunque. E poi non sembravano malvagie. - E’ la principessa della luna chiara. Ma ora non pensiamoci, lasciamola dormire ancora un po’. Forza, fatemi vedere se siete brave a vestirmi così come lo siete state per truccarmi.
Velocemente le due creature la spogliarono, la rinfrescarono e la ricoprirono con calde e morbide vesti, anche se lugubri e al primo momento quasi viscide, come incorporee. Finito con lei, senza nemmeno svegliarla tanto furono delicate, lavarono, truccarono e vestirono anche Usagi, che solo alla fine si svegliò lentamente, stiracchiandosi vistosamente.
- Oh, Luna, che strano sogno ho fatto. Pensa che tu eri umana, e mi chiamavi principessa. - sbadigliò senza aprire gli occhi la giovane, che aveva ora due codini così come era abituata a tenerli sulla Terra, ornati alle estremità di due fiocchetti neri di seta.
La fronte era adorna di una tiara con due falci di luna, una chiara rivolta verso l’alto, l’altra scura, con la gobba rivolta verso il basso e parzialmente sovrapposta a quella chiara. L’abito, simile a quello indossato da Luna, aveva uno stretto corpetto e un’ampia gonna a pieghe sostenuta da un’immensità di sottogonne vaporose e leggere. Ai piedi le ragazze portavano delle fini scarpe a punta, dall’aspetto di cristallo affumicato, dotate di un tacco non altissimo ma sottile. La giovane bionda aprì gli occhi, e impallidì.
- Sto ancora sognando? - chiese a se stessa, la voce tremula.
- Direi piuttosto un incubo. - Le rispose l’amica avvicinandosi e sedendosi sul letto accanto a lei. - I pochi momenti in cui eri sveglia nella cella farneticavi cose senza senso a proposito di città mai sentite e di gatte che avrebbero il mio nome.
Usagi scoppiò istericamente a piangere, il viso nascosto dalle mani.
- Mamoru, dove sei? Dove sei?! - iniziò a gridare, mentre le due creature d’ombra la guardavano curiose e senza capire.

 

- Si può sapere dove stiamo andando? - chiese per l’ennesima volta il giovane accarezzando nervosamente il cavallo che teneva per le briglie.
- Non lo so. - Rispose Ami. - Se l’incantatrice non ci avesse dato delle indicazioni così vaghe, forse lo sapremmo. Sicura di averci detto tutto, Minako?
La giovane dalla tunica gialla annuì convinta e sconsolata. Si fermò improvvisamente, come in ascolto, quindi si rivolse agli altri.
- Non avete sentito nulla?
- No. - fu la risposta all’unisono.
- Eppure… Come se fosse il nitrito di un cavallo, ma molto lontano.
Tutti si misero all’ascolto, ma nessuno, ad eccezione dell’incantatrice, sembrava sentire qualcosa.
- Eccolo di nuovo! Viene da quella parte! - Indicò un punto imprecisato a Sud-Est, dove si trovava uno dei tanti boschetti, anche se un po’ più grande degli altri. - Non so perché, ma mi sento di andare a controllare cosa succede.
Senza aspettare la risposta dei suoi amici, Minako iniziò a correre verso il gruppo di alberi, subito seguita dagli altri.
- Se qualcuno ci capisce qualcosa, me lo potrebbe spiegare? - disse Mako, ma come unica risposta ebbe una serie di teste scosse e sconsolate.
- Forse come incantatrice, ovvero essere in sintonia più di altri con la natura, Minako può avvertire cose che noi non possiamo - azzardò Ami.
- Ma non ero io lo spirito dei boschi in sintonia con la natura?
- Tu sei in sintonia solo con alberi e piante, oltre che con gli esseri della Terra, mica con tutto.
- Va bene, non ci sto capendo niente ma va bene lo stesso. Basta che si riesca a trovare Usagi in tempo…
Raggiunsero la loro amica, e insieme si avvicinarono al boschetto. A un centinaio di metri da esso anche gli altri iniziarono a udire qualcosa di indistinto, ma non dei nitriti, quanto dei grugniti e delle urla che fin troppo bene conoscevano.
- Ancora mostri. Ma in questo mondo non esiste altro? - sbuffò Rei, mentre i simboli sul suo vestito iniziavano ad illuminarsi, pronti all’ennesimo scontro.
Si avventurarono nel boschetto. Era poco illuminato, cosa che li rendeva ancora più inquieti di quanto già lo fossero. Lì i loro nemici erano molto più forti del solito. Non quanto di notte, ma quasi. Raggiunsero la fonte del trambusto in pochi minuti. In una piccola radura coperta comunque dalle fronde degli alberi si stavano fronteggiando cinque mostri, che potevano somigliare, anche se solo vagamente, ai lupi mannari delle leggende terrestri, e un unicorno bianco e alato.
- Cinque contro uno. Mi sembra uno scontro un po’ impari. - Gridò spavalda Makoto, preparandosi a lanciare sugli esseri una scarica di fulmini della sua tiara. - Perché non ve la prendete con qualcuno che sappia difendersi?
- Vuoi morire giovane, elementale? - Ringhiò uno dei mostri. - Vattene assieme ai tuoi amici, e noi faremo finta di non avervi visto… Abbiamo del lavoro molto più urgente da portare a termine.
- Mi spiace. - Sorrise Rei, facendosi avanti. - Questa radura ci sembra ospitale, per cui sarete costretti ad affrontarci, sempre che non decidiate di arrendervi spontaneamente. Cosa ne dite?
Per risposta, i mostri si avventarono su di loro con un lugubre ululato. Ami riuscì a congelarne uno mentre era ancora intento al salto, così che il corpo si ruppe in decine di pezzi toccando il terreno, con un suono simile al cristallo che cade. Rei e Minako scansarono agilmente l’attacco, preparandosi a fronteggiare i loro avversari, mentre Mamoru, estratta la spada, la usò di piatto per colpire il nemico, deviandolo da lui e mandandolo a masticare furente la corteccia del vicino albero. L’ultimo licantropo, esaurito il balzo poco lontano da Makoto, si avvicinò lentamente, osservando le mosse della giovane.
- Se utilizzo la tiara rischio di appiccare un incendio a tutto il boschetto solo per colpire questo coso… Potrei attaccarlo a mani nude, ma sembra molto più forte ed esperto di me. - Pensò la giovane, non perdendo di vista il suo assalitore, che si era avvicinato abbastanza da poter sentire il puzzo di morte che emanava. - E se tentassi di …
Non credendo affatto a quello che stava facendo, , ma seguendo quello che reputava essere il suo istinto di spirito elementale, Mako indietreggiò fino al più vicino albero fino a toccarlo, quindi, apparentemente senza sforzo, mise una mano nella corteccia come se stesse immergendo un arto nell’acqua. L’albero, la foresta stessa ebbe come un fremito, impercettibile per i giovani ma colto con facilità dai mostri, che si fermarono un secondo, annusando l’aria.
- Cosa stai facendo? - urlò Mamoru parando l’ennesima unghiata con la spada.
- Non lo so. E’ come se qualcosa mi dicesse di fare così…
- E’ l’istinto di sopravvivenza della vera elementale. Seguilo, vedrai che ti sarà sicuramente utile. - le disse Ami, iniziando a creare la nebbia necessaria affinché i mostri rimanessero isolati dalla volontà creatrice del loro signore.
- Se come dici devo seguire il mio istinto, vi conviene allontanarvi dai mostri, se non volete finire nei guai… - gridò Mako.
- Perché? - chiese Minako.
- Tu fallo e basta! - le intimò decisa Ami, mentre la bruma biancastra aveva ormai avvolto tutta la radura e parte del boschetto.
- Non c’è bisogno di arrabbiarsi. - brontolò l’incantatrice mentre con un colpo deciso della sua catena sbatteva il mostro che la attaccava addosso a quello che insidiava Rei, permettendo a entrambe di frapporre tra loro e i loro nemici almeno un paio di metri. Anche Mamoru si era allontanato abbastanza dal suo avversario.
- Let’s twist again… - scherzò ad alta voce la lignea giovane, sprofondando ancora più a fondo nel tronco dell’albero, così che solo il viso era visibile, macchia scura nella chiara corteccia.
Un sordo rumore proveniente dal terreno richiamò l’attenzione di tutti. All’improvviso, al di sotto di ogni mostro comparvero delle radici, che in un batter d’occhio avvinghiarono le caviglie di quelli impedendo loro di muoversi. Tutte le foglie del bosco iniziarono all’unisono a vibrare, come infinite ance di infiniti flauti. La vibrazione, all’inizio lieve e ipnotica, crebbe di volume fino a diventare un fragore incontenibile, che costrinse i giovani a tapparsi le orecchie con le mani e li fece cadere in ginocchio dal dolore. Anche gli altri esseri, ad eccezione di Makoto e dell’unicorno, sembravano colpiti dal rumore. La situazione si protrasse per quasi un minuto, quindi dalle fronde si staccarono centinaia di foglie che si avvicinarono ai mostri come dei piccoli uragani. Quelli tentarono di scappare, ma bloccati dalle radici che magicamente erano comparse dal terreno, dovettero subire i vortici delle piccole ma taglienti lame verdi, che li fecero in breve tempo cadere inermi al suolo. La vibrazione decrebbe, per sparire così come era comparsa, e con essa il dolore.
- Non farlo mai più! Hai capito? - Gridò furente Ami, tentando di non pensare al tremendo mal di testa che le era venuto. - Potevi ucciderci!
- Ma se lo hai detto tu di fidarmi del mio istinto di elementale… - replicò Mako, dispiaciuta di vedere i suoi amici doloranti, uscendo dal tronco con la stessa facilità con cui vi era entrata.
- Tu non farlo più lo stesso…
Mamoru si era rialzato, e anche se incespicando, si era avvicinato ai resti dei loro aggressori, che lentamente si stavano dissolvendo in nera polvere che veniva allontanata dalla brezza che spirava tra le piante. Stava inspirando lentamente per cancellare la vertigine che lo aveva assalito, imitato dalle altre ragazze, anch’esse in piedi, le mani alla testa per far cessare i tamburi battenti nelle loro menti. Solo allora Rei si ricordò del perché avevano ingaggiato la battaglia, e si voltò verso l’unicorno, il quale, quieto, li stava osservando con occhi fin troppo intelligenti per un animale. La ragazza si avvicinò a lui, notando che questi non era per nulla impaurito, anzi, stava seguendo i suoi movimenti con lo sguardo. Lo toccò, accarezzandogli il soffice e serico mantello bianco. Sembrò gradire non poco.
- Si può sapere perché, con delle così belle ali, non sei volato via quando ha visto quei mostri? - gli chiese Ami, avvicinandosi anch’essa e sfiorando le ali, fatte di grandi ed eburnee piume.
Per risposta l’essere si allontanò di alcuni passi e distese le ali, che superavano i tre metri di apertura.
- Sì, lo vedo che sono grandi… - ridacchiò Ami.
- Non credo che ti voglia far vedere che ha le ali grandi, quanto che non può volare… - la corresse Mamoru.
- E da cosa lo hai capito? - chiese stizzita la maga, che odiava essere contraddetta.
- Guarda l’ala destra. Vicino a dove si collega con il resto del corpo ha una zona senza piume, e se non sbaglio ha anche delle ferite.
In effetti, dove aveva indicato il giovane si poteva notare che le penne erano assenti o spezzate, e in più punti erano visibili dei taglietti o delle escoriazioni provocate molto recenti. Minako si avvicinò lentamente, e sfiorò gentile il punto scoperto. L’animale fremette di dolore e richiuse immediatamente le ali, spaventando l’incantatrice.
- Scusa, non era mia intenzione farti del male. - sussurrò la giovane passandogli la mano lungo la criniera. L’unicorno sembrò non volergliene.
- D’accordo, sei ferito. Possiamo far niente per aiutarti? - chiese Mako, stupita dell’intelligenza che mostrava l’animale.
L’essere nitrì con forza scuotendo la testa assentendo, e con i denti prese gentilmente il braccio di Makoto e iniziò a tirarla verso Sud.
- Secondo voi cosa sta facendo? - domandò, tra l’incredulo e il divertito, lo spirito dei boschi.
- Forse ha solo fame e tu sei la verdura più tenera che ha trovato! - Scherzò Minako ridacchiando. - E’ ovvio che vuole che noi lo si segua.
L’unicorno guidò il gruppetto fuori dal bosco e iniziò a incamminarsi verso Sud, così che si avvicinarono alla foresta che avevano visto circa mezza giornata prima. Alle sue spalle si estendeva una catena di alte cime, coperte dalle nuvole che stanche transitavano attorno alle vette. Piccole forme nere volteggiavano sotto e tra le nubi, compiendo larghi circoli.
- Aquile? - chiese Mamoru.
- Molto più probabile che siano avvoltoi… - Gli rispose Ami, consultando una stinta pergamena saltata fuori chissà da dove. - Qui c'è scritto che sono le Cime della morte.
- Avevi una mappa e non ce lo hai detto?! - esclamò stupita e un po’ offesa Rei.
- Non me lo avete mai chiesto. In ogni caso questa mappa è solo molto approssimativa, e riporta la zona in cui ci troviamo con una scala così grande da risultare inutile. - rispose serafica l’altra, rinfilandosi la mappa, arrotolata, in una delle due larghe maniche della sua veste.
- Beh, è sempre meglio che niente. Potevi comunque dircelo che… - Insistette Minako, subito zittita da uno sguardo raggelante della maga. - Va bene, non parlo più. - bofonchiò la giovane.
La sera li colse in un bosco che poteva considerarsi la propaggine settentrionale di una grossa foresta.
- Non sarebbe meglio accamparci e accendere un bel fuoco come ieri sera? - propose speranzosa e affamata Rei, pregustando il dolce tepore della fiamma e i manicaretti che Mako riusciva a preparare con quello che cresceva nei boschetti e con le provviste che avevano.
La proposta fu accolta con entusiasmo dal giovane e da Minako, ma non dagli altri due membri del gruppo, che nemmeno si degnarono di rispondere, anche se per motivi ben diversi. Infatti, Ami aveva liquidato la questione con un cenno deciso della mano, ma senza aprire bocca, mentre lo spirito dei boschi sembrava concentrato intensamente, come se tentasse di cogliere un sussurro tra le voci di una folla.
- La proposta sembra bocciata. - Concluse mogia l’incantatrice.
- Mi fermerei volentieri, ma a una mezz’ora da qui, se teniamo questo passo, c’è un laghetto dove potremo anche rinfrescarci. - si voltò Mako, rompendo un lungo silenzio.
- E come lo sai? - La incalzò Ami. - Sei già stata in questo luogo prima d’ora?
- Quante ci sei stata tu, cioè nessuna. Ma come a Sarel, a volte mi ricordo di cose che non dovrei sapere…
- A Sarel?
- Sì. E’ dove io e Mako ci siamo incontrate. Nel vicino boschetto si è ricordata di una fonte che però giurava di non aver mai visto prima. - le rammentò Rei, mentre accarezzava l’unicorno, che si era fermato come gli altri, e stava annusando l’aria come alla ricerca di qualcosa di particolare.
Ad un tratto sembrò averlo trovato, e senza preavviso, iniziò a galoppare tra le piante, abbandonando il gruppetto, stupito del suo comportamento.
- Presto, non dobbiamo perderlo! - Li esortò la maga. - Potrebbe sapere dove si trova la Foresta delle allucinazioni.
Iniziarono a correre, ma il terreno accidentato non permetteva loro un’andatura veloce. I rami impedivano a Mamoru di cavalcare, e il suolo sconnesso non sembrava l’ideale per le scarpe leggere delle ragazze, eccezion fatta per Mako, che sembrava trovarsi a suo agio.
- Io lo raggiungo, lo calmo e poi torno indietro per dirvi dove si trova. - propose l’elementale agli altri, che annuirono e rallentarono ansimando.
In meno di un minuto persero la loro amica di vista, ma nel giro di una mezz’ora fu di ritorno, appena ansimante.
- E’ al laghetto che vi dicevo. Molto probabilmente aveva sete e avrà sentito l’odore dell’acqua…
- Ci vuole molto per raggiungere il posto? E’ già abbastanza buio. - disse con un fondo di preoccupazione Minako.
- Questione di un quarto d’ora. - Sorrise Makoto. - Ah, no. Aspetta. Per voi umani ci vorrà almeno il triplo: siete così deboli. - c’era una punta di ironia nella sua voce.
- Voi umani? Siete deboli? - Le fece il verso sorpresa Rei. - Si può sapere cosa ti è preso?
- Oddio scusa, non volevo offendere. Non volevo dirlo, ma mi è sfuggito… deve essere lo spirito che ho sostituito.
- Vediamo di sbrigarci a trovare Usagi e a tornare a casa. Non vorrei che questo posto ci trasformasse in qualcosa che non siamo, a forza di starci. - concluse l’incantatrice.
Tutti annuirono e si incamminarono verso il laghetto, che, come aveva detto Mako, si trovava a poco meno di mezz’ora di cammino. Vi arrivarono quando ormai il sole era sparito totalmente a Ovest. Le due lune si specchiavano tranquille nella larga distesa di acqua, che era alimentata da un torrentello che allegro scorreva tra gli alberi e dopo essersi gettato nello specchio liquido, ne fuoriusciva all’altra estremità e di nuovo spariva nel bosco, alla probabile ricerca del fiume che il gruppo aveva attraversato il pomeriggio del giorno precedente.
- L’unicorno era da queste parti. - Disse Makoto, additando la riva sinistra del laghetto. Ma si vedeva solo buio. - Ora però non riesco a scorgerlo.
- Tranquilla. E’ da queste parti, lo sento… - la rassicurò Minako.
- Bene. Ora che sappiamo che non siamo soli, non si potrebbe accendere un fuocherello e mangiare qualcosa? - chiese speranzosa Rei.
- Perfettamente d’accordo. - Rispose Mamoru, dando una lieve pacca al fianco del cavallo, che si mosse tranquillo verso l’erba che cresceva attorno allo specchio d’acqua. - Chi cucina?
- Fammi indovinare! - Esclamò sardonico l’elementale di legno. - Se qualcuno riesce a pescare qualcosa, stasera evitiamo di mangiare bacche, pane secco e carne salata…
- Proviamoci… - Sospirò non convinto il giovane, cercando un legno adatto da fare da canna. - Anche se poi il problema sarà trovare un filo abbastanza fine.

 

Dopo circa un’ora di inutili tentativi di calmare la sua amica, Luna decise di ricorrere alle maniere forti.
- Usagi, ricordati che sei l’erede del re della luna chiara! - Le urlò adirata la giovane dai capelli neri. - Devi mantenere un certo contegno, sempre e comunque.
- Me ne frego di chi sono figlia… - Rispose piangendo l’altra, il trucco sfatto dalle lacrime che scendevano copiose. - Io voglio solo tornare a casa, dalle mie amiche e dal mio amore…
Una forma nera e nebbiosa iniziò a formarsi sulla sedia dove Luna era stata prima truccata, provocando lo sgomento delle due giovani e la genuflessione delle due eteree ancelle. La forma assunse velocemente consistenza fisica e i contorni ben definiti di un alto e robusto uomo, il volto celato dall’ampio cappuccio di un mantello, in testa una corona di metallo lucente e nero. Il locale sembrò di colpo più freddo di una decina di gradi, facendo accapponare la pelle a Usagi e all’amica.
- Tre giorni, solo tre insignificanti ma lunghissimi giorni, e l’unica casa sarà questa, l’unico amore che conoscerai sarò io… - ringhiò una voce cavernosa e crudele.
- Chi non muore si rivede, o sbaglio? - scherzò cattiva Luna, frapponendosi tra il nuovo arrivato e Usagi.
- Chi sei? Perché hai detto quelle cose? Questa non è la mia casa, e tu di sicuro non sei Mamoru…
L’essere rise, di una risata che sapeva di tomba e di lupi in caccia, e si alzò, mostrandosi in tutta la sua statura. Superava le giovani di almeno due spanne.
- Certo, questa non è la tua casa, ma sono gentile, e come hai visto, ti concedo di avere due ancelle personali e la tua dama di compagnia. Tu ordina, e se posso, tramite le mie creature esaudirò i tuoi desideri.
- Perché allora non ci fai liberare e non te ne ritorni in quella lugubre terra che è il tuo regno? - lo insultò Luna, guardandolo fisso in mezzo alla tenebra che era la sua faccia.
Un ringhio sordo sembrò la risposta. Dal mantello emerse un artiglio di nebbia scura, e con mossa lenta, le dita si chiusero a pugno. Il vestito che la giovane indossava si animò, come un animale improvvisamente liberato da una lunga prigionia, e iniziò a estroflettere bande di tessuto nero e viola che avvolsero e costrinsero l’intero corpo della giovane, che cadde a terra. Usagi tentò di aiutarla, ma fu bloccata dalla presa, gentile ma decisa, delle due ancelle che avevano assistito a tutta la scena.
- Ritira quello che ai detto e implora il mio perdono… Forse potrai vivere.
- Scordatelo. - Ansimò Luna. - Preferisco morire libera che vivere come tua schiava…
L’essere strinse ancora di più il pugno, e così fecero le fasce del vestito.
- Basta, smettila. - Esclamò la bionda ragazza strattonando le due creature che la tenevano, liberandosi così dalla loro presa. - Ti ho detto basta!
- E perché dovrei farlo?
- Io…io ti imp…
- Usagi non farlo! - Rantolò la sua amica, sempre tentando di divincolarsi dal mortale abbraccio del suo vestito. - Non ne valgo la pena!
- Io ti imploro di lasciarla libera…
L’artiglio si aprì, mentre il vestito tornava ciò che era prima, salvando Luna da una sicura morte.
- Vedi come è semplice implorare, serva? - Ironizzò il re della luna nera. - Se vi è riuscita anche la tua padrona, perché non dovresti riuscirci tu? Comunque vedo che non sembrate gradire le cortesie che io, come qualsiasi gentile ospite, vi ho riservato. Che siate trattate allora come le prigioniere che siete, e che sarete per altri tre giorni…
- E dopo? - sussurrò sprezzante la giovane dai lunghi capelli neri.
- La principessa della luna chiara diventerà la mia sposa, mentre tu… beh, spero che i mie cani ti trovino saporita.
Svanì velocemente così come era comparso, lasciando un odore di morte in tutta la stanza.
- Adesso cosa ci succederà? - chiese apprensiva Usagi alle due creature oscure.
- Ci spiace… - risposero, come due gemelle siamesi, gli esseri, svanendo come fumo disperso dal vento.
Le due ragazze si ritrovarono nuovamente sole, non sapendo dove fossero o cosa poter fare per poter uscire da quella situazione. Luna tentò di forzare la porta di ingresso, ma scoprì con orrore che non aveva né serrature né maniglie. Sembrava finta. Effettivamente, tutto ciò che vedevano non era vero: la mobilia, i muri, anche i loro vestiti erano solo il frutto della mente creatrice del re della luna nera, materializzazioni della sua cattiveria, reali finché non erano esposte alla luce. Ma doveva esserci qualcosa di reale oltre a quella finta porta. Neppure il re della luna nera poteva costruire dal nulla una stanza o altro di così complicato senza una base fisica. Sentirono dei rumori provenire dall’esterno, rumori di unghie che grattano sulla pietra e di armi che cozzano contro armature. Nemmeno mezzo minuto dopo la porta si aprì, mostrando l’origine dei suoni. Davanti a loro si stagliavano quattro colossi rivestiti di una nera armatura che li ricopriva dalla testa ai piedi, impedendo di scorgere chi e se vi fosse qualcuno all’interno. Portavano alla cintura delle lunghe sciabole, e al braccio uno scudo rettangolare con i simboli del Caos. Si posero ai lati della porta, permettendo alle due ragazze di scorgere che vi era una quinta figura, indossante la stessa armatura. Questa era però differente dalle altre, poiché era più bassa delle due giovani, più esile, e al contrario degli altri esseri, non aveva scudo, ma in mano aveva una lunga arma a forma di falce. Avanzò, facendo ondeggiare il mantello viola che le copriva le spalle, fino ad entrare nella stanza e a trovarsi di fronte alle due giovani.
- Siete pregate di seguirci. - ordinò chi era all’interno dell’armatura. La voce era di una bambina, sebbene il tono era di chi aveva una lunga esperienza della vita e della morte, soprattutto altrui.
- Altrimenti? - chiese Luna, ponendo i pugni chiusi ai fianchi.
Ci fu un attimo di silenzio. Niente e nessuno si mosse.
- Tu muori, lei viene con noi comunque. - Rispose senza espressione quello che sembrava il capo dei guerrieri. - Sta a te decidere se morire ora o fra tre giorni…
- Vengo con voi solo perché sono ansiosa di scoprire dove ci volete portare. - concluse la giovane incamminandosi davanti alla sconosciuta.
La lama della sua arma si pose davanti a lei, bloccandone il cammino.
- Prima la principessa.
Lo strano corteo si incamminò lungo bui e umidi corridoi e scale. In testa la strana figura del capo delle guardie, quindi la principessa, due guardie, Luna, le altre due guardie. Camminarono per parecchio tempo, facendo perdere il senso dell’orientamento sia a Usagi che alla sua amica, ma permettendole di capire che si trovavano nelle rovine del castello della luna nera. Luna lo conosceva bene, avendone visto dei disegni negli annali di storia antica e avendolo studiato per quanto le era possibile. L’idea di un essere che poteva creare con il pensiero l’aveva sempre intrigata e sconvolta, ma non avrebbe mai immaginato che trovarglisi davanti facesse solo… ribrezzo.
- Siamo nel suo castello. - Pensò. - A questo punto l’unica maniera che hanno i nostri soccorritori di raggiungerci è passare per la Foresta delle allucinazioni… Speriamo che il principe delle due lune sia abbastanza scaltro da trovare chi può farlo giungere fino a qui.
Sospirò, incerta sul suo futuro e su quello della sua amica. Quasi cinque minuti più tardi, cinque minuti di salita ininterrotta su viscidi scalini, il corteo si arrestò davanti a una pesante porta lignea.
- La visita guidata al castello è finita? - chiese ironica Luna.
- Tutt’altro. La vostra residenza nella dimora del mio signore è appena iniziata… - replicò il capo delle guardie aprendo la pesante porta e invitando, molto poco finemente, le due ragazze ad entrare.
Appena esse furono oltre la porta, questa si richiuse e fu sonoramente sprangata con un catenaccio. Dalla piccola apertura all’altezza degli occhi, chiusa da sbarre di arrugginito metallo, fece capolino l’elmo di uno dei guerrieri.
- Godetevi il soggiorno. Se avete bisogno di qualcosa, chiedete pure alla nostra padrona. State certi che farà di tutto per non accontentarvi. - le schernì, ridendo grassamente, quindi se ne andò.
- Era meglio l’altra stanza. - tentò di scherzare Usagi, dando un’occhiata al locale in cui si trovavano.
Un quadrato di nuda roccia, di circa quattro metri di lato, alto a malapena due metri, arredato con due sedie, un tavolo che si reggeva in piedi grazie a chissà quale miracolo, e due letti di paglia con ognuno una coperta di lana grezza.
- Si, decisamente qui l’arredatore non si è sprecato molto.
Riuscirono a ridere, per pochi secondi e amaramente, ma risero.
- La volete smettere, li dentro. - Gridò il capo delle guardie, facendo capire che si trovava a lato della porta della cella dove erano state rinchiuse. - Siete delle prigioniere, se non ve ne siete accorte…
- Anche tu, se non te ne sei accorta, dovresti essere una bambina, e giocare felice nei prati al sole, e non indossare una pesante armatura e imbracciare armi pericolose. - rispose Usagi, a cui stava venendo un orribile dubbio sull’identità della loro carceriera. - O vuoi negare di essere giovane per combattere?
- Tu pretendi forse di conoscere quanti anni ha la Morte, principessa? - Ribatté con un tono da far gelare il sangue nelle vene la guerriera. - Credi di essere così superiore da poterle dire che è troppo giovane per combattere?
La bionda ragazza non osò rispondere, ma i suoi dubbi erano confermati. Così come in quello strano mondo erano finiti lei e Mamoru, vi era finita anche Hotaru, anche se non si ricordava di essere chi avrebbe dovuto essere.
- Come posso farle tornare la memoria? - pensò ad alta voce Usagi.
- Far tornare la memoria a chi? - le chiese incalzante l’altra.
- Oh, Luna, ma perché non vuoi ricordare che tu sei una gatta, e che tutto questo è solo un grande incubo?!
- Perché mai dovrei ricordare di essere una gatta con una luna sulla fronte? - gridò isterica.
Si bloccò.
- Perché ho detto di avere una luna sulla fronte?
- Perché tu, nel mio mondo, sei una gatta con una voglia di luna sulla fronte. È quella luna che ti permette di parlare. E io non ti ho mai detto che l’avevi.
- No, no. Non iniziare a confondermi le idee. Le ho già abbastanza confuse per conto mio. - Sbuffò. - Perché quando Artemis mi serve non c’è mai? E chi è Artemis?
- Vedi che inizi a ricordare? Forza insisti. - esclamò felice Usagi. Forse riusciva a ritrovare un’amica i cui saggi consigli potevano esserle d’aiuto per sbloccare anche la mente di Hotaru.
- Mi sta venendo un mal di testa incredibile… E’ come se qualcuno stesse tentando di entrare nella mia testa e io facessi di tutto per impedirglielo. - Luna si era presa la testa fra le mani, la voce tremante per il dolore. - Eppure, perché mi sembra così sbagliato impedirle di entrare?
Urlò. Così forte da spaventare l’amica, così forte da far affacciare il capo delle guardie allo spioncino, anche solo per un istante. Luna cadde a terra svenuta. Usagi la soccorse immediatamente, poggiandole la testa sulle ginocchia e accarezzandole la fronte gentilmente. Dopo qualche minuto l’altra riprese conoscenza.
- Usagi, dove siamo? - Chiese come al risveglio da un brutto sogno. - E perché non mi sento la coda?
La giovane la strinse a sé più forte che poteva, mentre una lacrima scendeva a bagnare la spalla di Luna, che non capiva assolutamente cosa stesse succedendo.

 

Gli sforzi di Mamoru per pescare si rivelarono tanto futili quanto divertenti, quasi da far dimenticare al gruppetto la situazione in cui si trovavano, anche se solo per un breve tempo. Dopo una veloce quanto frugale cena a base di carne salata, pane ormai raffermo e bacche varie che Mako riusciva a trovare quasi magicamente in tutti i boschetti, si ritrovarono stanchi attorno a un tremolante fuoco, pallidamente riflesso dalla superficie del laghetto, increspato da leggerissime onde provocate dalla fresca brezza che spirava da Sud.
- Se non fosse per la situazione incredibile in cui ci troviamo - Spezzò timidamente il silenzio Minako. - si potrebbe pensare che stiamo facendo un picnic sotto Carnevale…
Mamoru fece un debole sorriso.
- E’ vero. Questo laghetto mi ricorda tanto il laghetto in montagna dove io e Usagi abbiamo… - le parole gli morirono di tristezza in gola.
- Abbiamo cosa? - lo imbeccò Ami, a cui prontamente Makoto rifilò una gomitata ad un fianco.
- Secondo te, essendo fidanzati, cosa possono aver fatto loro due? - le sibilò sottovoce.
- E cosa ne so? Mai avuto un fidanzato. - rispose tranquilla la maga, sempre a bassa voce.
- Abbiamo passato una delle più belle giornate della mia vita. C’eravamo solo noi, il sole era caldo e le montagne verso sera avevano assunto un colore dall’azzurro al viola che lasciava senza fiato.
Rei gli accarezzò una spalla.
- Lo dici come se tu non possa passare più altre giornate così con la “testolina buffa”… Dobbiamo solo salvarla. E abbiamo ancora tre giorni di tempo per riuscirci.
- Facciamo due. Ormai fino a domani mattina non possiamo fare più niente. - esclamò laconica Ami, immediatamente guardata male da tutte le altre ragazze.
Il giovane sospirò.
- Ha ragione. Abbiamo due giorni di tempo, ma ce la faremo.
Tutti assentirono con il capo, e nel giro di un’ora si erano addormentati profondamente, stanche della giornata e incuranti di dove fosse finito l’unicorno alto o dei pericoli che potevano capitare se il fuoco si fosse spento durante la notte, cosa che avevano evitato le altre sere facendo la guardia a turno.
La mattina giunse inaspettata, svegliando Mamoru con una sgradevole sensazione di freddo alla gola. Aprì lentamente gli occhi, e si vide davanti il muso di un’aquila, o qualcosa del genere, che lo stava guardando con due grandi e spenti occhi neri. La sensazione era data da una lama di acciaio ricurva, una specie di scimitarra che lo strano essere stava impugnando.
- Non ti muovere, o finisci male. - lo minacciò la creatura, con una voce cavernosa, senza che il becco si fosse aperto.
Gli era ormai ovvio, essendosi completamente svegliato, che chi lo guardava era solo un uomo mascherato.
- Posso almeno alzarmi?
- Con calma. E non sperare di chiedere aiuto ai tuoi compari, li ho già sistemati.
Il giovane si voltò a guardare dove avrebbero dovuto essere le sue amiche, ma vide solo una serie di coperte vuote. Iniziò a preoccuparsi.
- Cosa ne hai fatto? - urlò, più arrabbiato che spaventato.
- Diciamo che sono in compagnia di una mia amica. Forse staranno all’umido, ma sono vive. Per adesso… - concluse cattivo. La sua voce gli era stranamente famigliare. Eppure non riusciva a visualizzare la faccia del possessore.
- Forza, alzati. Vediamo se sei capace di prendertela con qualcuno in grado di difendersi, oltre che con degli indifesi esseri. - lo schernì lo sconosciuto.
- Come degli indifesi esseri? - Si stupì lui. - I mostri che per giorni ho combattuto tu li chiami indifesi?
Un nitrito giunse in lontananza, quasi un richiamo.
- Questo lo definisci il verso di un mostro, eh, servo del re della luna nera? - continuò a schernirlo l’uomo, di cui Mamoru iniziava a sospettare la vera identità.
- Calmiamoci un attimo. - Sospirò alzando le braccia mostrando di non voler estrarre la spada che aveva al fianco. - Io parlo dei mostri del re della luna nera, e in particolare quelli che ieri pomeriggio hanno attaccato un bellissimo unicorno alato. Noi, ovvero le mie amiche e io lo abbiamo aiutato, e lui ci ha, come dire, guidato a questo laghetto. Lo abbiamo perso di vista ieri sera, ma non era poi ferito così gravemente se si è allontanato dal laghetto così alla svelta e con quell’ala quasi rovinata. Tu di che mostri parli?
- Non siete voi quelli che hanno ferito il nostro amico? - iniziò a vacillare l’aggressore, abbassando la scimitarra.
- Certo che no. Se è come penso lo abbiamo salvato, non attaccato, il vostro amico…
- Eppure. La tua armatura, la presenza della maga della Torre di nebbia… - il mascherato interlocutore sembrava pensare ad alta voce, completamente incurante di Mamoru.
- La mia armatura è quella del principe delle due lune, e non quella del re della luna nera, e la maga della Torre di nebbia non è esattamente quella che credi tu, così come le altre mie amiche. Credimi, nessuno di noi è esattamente chi dovrebbe essere, o chi crede di essere. Non è vero, Haruka?
- E chi sarebbe questa Haruka? - chiese seccato l’altro.
- Tu. Se non erro, sotto quella maschera da uccello rapace c’è il volto di una ragazza, anche se si comporta sempre da maschiaccio.
Lo sconosciuto si levò la maschera strappandosela letteralmente via dal viso. Come aveva supposto Mamoru, aveva di fronte una giovane perfettamente identica a quella che sulla Terra era Sailor Uranus. Si ravvivò i capelli con la mano guantata di pelle leggerissima e rinfoderò l’arma in una preziosa guaina intessuta in argento o un altro metallo della stessa lucentezza.
- Anche se non mi ricordo di te, a quanto pare tu ti ricordi bene di me, anche se non nel mio nome. Principe delle due lune, cosa ti spinge vicino alla Foresta dei folletti?
- Sto cercando due poteri. Mi servono per salvare Usagi… la principessa della luna chiara.
- Che tipo di poteri? - domandò sospettosa . - E cosa centra la principessa della luna chiara?
- E’ stata rapita dal re della luna nera, e mi hanno assicurato che si trova in un luogo raggiungibile solo dalla Foresta delle allucinazioni. Ma mi hanno anche detto che solo con l’aiuto di quattro poteri posso arrivare alla foresta. Con me ci sono il Fuoco e la Terra, ma devo trovare ancora l’Aria e l’Acqua, e ho solo due giorni per riuscirci.
Haruka sembrò pensarci su per quasi un minuto, un minuto rotto solo dall’acqua che si rompeva sul bordo del laghetto e dal rumore di fondo della foresta che stava loro attorno.
- Io so dove puoi trovare questi due poteri, ma te lo dirò a una sola condizione…
- Dilla, e io farò tutto ciò che devo! - esclamò quasi fuori di sé dalla gioia il giovane, facendosi avanti.
- Devi sconfiggermi in combattimento. Se vinco io, avrò la tua vita. Se vinci tu avrai la mia vita dopo che ti avrò detto dove si trovano l’Aria e l’Acqua.
Mamoru non avrebbe mai pensato una cosa del genere. Possibile che Haruka volesse davvero ucciderlo solo per vedere se era più forte di lui? eppure doveva ricordarsi che lei non era Haruka, ma solo un essere che le assomigliava come una goccia d’acqua. Se avesse potuto trovare il modo di risvegliare la sua amica che certamente dormiva all’interno di quella giovane, le cose sarebbero state molto più facili, ma aveva il presentimento che non sarebbe stato relativamente facile come quando dovettero svegliare Minako nel corpo dell’incantatrice. Se l’Haruka di quel mondo aveva solo la metà della forza d’animo di quella della Terra, non avrebbe potuto far niente se non…
- Accetto la sfida. Dove combatteremo?
Haruka si guardò attorno, quindi fece spallucce.
- Qui ti va bene? - domandò tranquilla.
- Prima iniziamo, prima finirà il combattimento. Ma voglio una cosa, prima di iniziare. Libera i miei amici. E’ una faccenda personale fra me e te, loro non c’entrano.
- Come vuoi. - disse indifferente l’altra.
Si voltò verso il laghetto.
- Entrenal, muoviti, porta su quelle che hai li con te! - urlò a gran voce verso il laghetto.
Lo specchio d’acqua sembrò ribollire, quindi dal centro di esso emersero le figure, ben sveglie e asciutte, delle amiche di Mamoru. Erano sospese nell’aria grazie a delle piattaforme di acqua solida, che velocemente le trasportò sulla riva, per poi sparire in uno spruzzo. Accanto alle ragazze, appena dentro il laghetto, si formò, sorgendo da esso, una forma evanescente, che prese velocemente le sembianze di una ragazza. Benché fosse difficile distinguere i lineamenti in quanto formata di liquido, il giovane riconobbe un’altra sua amica.
- Michiru! - gridò sorpreso, rimanendo quindi a bocca aperta. Ormai non mancava nessuno all’appello.
- Ciao Mamoru. - Salutò lei. - Sai che non stai affatto male con i capelli lunghi… però ti preferisco con lo smoking e il cilindro. L’armatura ti ingoffisce.
- Mi riconosci? - chiese stupito il ragazzo, che non capiva come mai lei si ricordasse di lui mentre l’altra ragazza no.
- Certo che ti riconosco, anche se devo ammettere che se loro - Indicò le giovani davanti a lei. - non mi avessero aiutato a tornare in me, o meglio, a mettermi d’accordo con lo spirito che governa questo corpo, se tale lo vogliamo chiamare, avrei problemi ben maggiori per sapere chi sei.
- Entrenal, si può sapere cosa stai dicendo? Lo conosci?
- Non lo conosce la tua amica, di cui hai appena detto il nome, ma io si.
Haruka guardò furente le ragazze, e soprattutto Ami. Sfoderò l’arma e si avvicinò di un passo alla maga.
- Tu. - Mormorò. - Tu le hai fatto qualche strano scherzo, ma una volta morta, non risentirà più dei tuoi malefici influssi.
- Guarda che io non ho fatto proprio nulla. - Si difese stizzita Ami. - Se la tua amica si ricorda chi è e tu no, non c’entro niente io. Basterebbe che tu ti sforzassi di capire che dentro di te c’è un’altra persona, qualcuno che vuole uscire ma che non può perché tu glielo impedisci, e tutto sarebbe più facile, per noi e per te.
- Sei tu quindi la causa degli incubi che mi perseguitano da giorni, e che perseguitano Entrenal. Ma adesso che ti avrò ucciso…
Si avventò sul gruppetto di ragazze, ma fu bloccata da Mamoru.
- Il nostro duello. Usagi non aspetta. - disse asciutto il giovane.
Lo sguardo era duro, convinto del passo che stava per fare. O uccideva un’amica, o sarebbe stato ucciso da lei.
- Come vuoi. Alla maga penserò dopo aver ammazzato te.
I due si fronteggiarono, le armi in pugno. Il ragazzo osservò la sua avversaria. Tranne la testa, tutto il resto del corpo era coperto da un ampio mantello da cui fuoriuscivano esclusivamente le braccia e si intravedeva il fodero della spada. Dietro le spalle c’era come un rigonfiamento, una specie di gobba che Mamoru attribuì ad uno zaino o ad un sacco. Ai piedi un paio di leggeri stivali in pelle, decisamente inadatti alla camminata in un bosco o anche solo su una strada che non fosse perfettamente curata. Gli parve che c’era qualcosa che non quadrava.
Haruka si lanciò verso di lui, costringendolo a parare un colpo dato con forza tremenda. La lama della sua spada stridette contro il metallo della scimitarra, emettendo un rumore come di un animale ferito. L’arma della ragazza sembrò risplendere per alcuni istanti di una luce azzurrastra, cosa che stupì entrambi.
- Arma incantata malvagiamente. Complimenti, principe delle due lune, potere tremendo, quello che maneggi. Ma sei in grado di gestirlo senza rimanerne soggiogato? - Chiese ironica. - Rischi di divenire peggio di ciò che combatti.
Tornò all’attacco, e così continuò per molte volte, obbligando l’altro a parare e non dando il tempo di contrattaccare. Le altre non osavano intervenire, ben consce che una loro intromissione non avrebbe risolto nulla, ma continuarono comunque a pensare una possibile soluzione che non portasse alla morte di uno dei due. Dopo quasi dieci minuti di continui scontri, la situazione sembrava di stallo. Infatti, se Mamoru non riusciva, e in fondo al cuore neppure voleva, ferirla o ucciderla, Haruka non era in grado di superare le difese date dall’armatura e dalla lama del giovane. L’ennesimo assalto, particolarmente forte, costrinse il ragazzo a cadere in ginocchio dalla stanchezza, poggiandosi sulla spada, che si conficcò leggermente nel terreno. Avvenne qualcosa che nessuno, apparentemente, si aspettava. L’elsa iniziò a pulsare, come un cuore che pompa vigorosamente, e dal punto dove la lama toccava il suolo iniziarono a crescere tralci spinosi di rose, che si diressero verso Haruka ad una velocità impressionante.
- Non ha più speranza… - Dichiarò lapidaria Ami. - Le rose vampiro non perdonano. Se ti toccano, sei finito. Ciò che Mamoru ha inavvertitamente fatto gli permetterà di vincere senza quasi sforzo.
- Ma di che cosa stai parlando? - chiese Mako, che percepiva un potere distruttivo in quelle strane piante che superava di decine di volte quello dei tralci che la spada formava attorno alle vittime che normalmente trafiggeva. Vi era come una punta di vita, seppure deforme e malvagia, in quei rami…
- L’elsa che ho sostituito ha in sé il potere dei vampiri di anime, e tale potere si manifesta in varie forme, a seconda di come viene adoperata l’arma. Il principe delle due lune, senza saperlo, ha attivato una forma molto più forte di quella che gli permette di combattere contro i mostri del re della luna nera.
I tralci erano ormai a un passo dai piedi della ragazza, che senza spaventarsi lasciò cadere il mantello e rivelò ciò che Mamoru credeva uno zaino. Sotto il mantello la giovane nascondeva, ripiegate, un paio di splendide ali piumate, di colore bronzeo, che le permisero di frapporre in un istante, tra lei e le spine che volevano ghermirla, almeno un paio di metri di aria.
- Interessante. Credo che abbiamo trovato il terzo elemento, ovvero l’Aria. - Disse, per niente stupita, come lo erano invece le altre sue compagne, la maga. - Amiche, ho il piacere di mostrarvi una guerriera dei venti. Essere leggendario, ma a quanto pare tutte le leggende hanno un fondo di verità.
Haruka guardò con occhi pieni d’odio il giovane, mentre le sue ali, che si protendevano nel vuoto partendo da dietro la schiena, poco sotto le breccia, colpivano lentamente l’aria per mantenerla in volo.
- A quanto pare ti sei ridotto a usare i trucchi più sporchi che conosci. Per essere uno che vuole combattere il re della luna nera, utilizzi dei metodi che lo fanno sembrare quasi un benefattore dell’umanità.
Mamoru era stupito più di tutti gli altri della reazione che la sua arma aveva avuto. Si voltò verso Ami.
- Si può sapere cosa è successo alla mia spada? - le chiese spaventato e leggermente alterato. Se doveva battere qualcuno, almeno doveva farlo lealmente.
- Perché, cosa ti aspettavi da una spada con in sé il potere dei vampiri?
- Io niente, mi sarei anche accontentato di una normalissima arma, ma sono stato felice di utilizzare quegli strani poteri contro i mostri di chi tiene prigioniera Usagi, ma mai li vorrò osare contro qualcuno che considero un amico…
- Le discussioni le farete all’inferno, dopo che vi ci avrò spedito! - urlò Haruka, gettandosi verso il giovane, sempre in volo.
Questi la scansò all’ultimo momento, rotolando poco lontano e tentando di rialzarsi, mentre la sua avversaria tornava all’attacco. Improvvisamente si udì un nitrito, e ricomparve l’unicorno che era scomparso la sera precedente. Volava veloce sopra le loro teste, le ali spiegate a sostenerlo, una grazia innaturale che catturava l’attenzione.
- Ferma! Non è stato lui a ferirlo! - gridò una vocina apparentemente dal nulla.
- Questo lo so anche io! - Rispose Haruka. - Ma vuole sapere dove si trova la Foresta delle allucinazioni, e gli ho promesso di dirglielo se mi sconfigge in combattimento.
L’animale era atterrato poco lontano dal laghetto, e dalla sua criniera si era levata una figura piccola, grande poco più di una farfalla, che velocemente raggiunse la spalla di Mamoru, che nel frattempo, approfittando dell’esitazione che la ragazza aveva avuto vedendo l’essere arrivare, si era rialzato. La strana figurina si posò delicatamente sullo spallaccio dell’armatura del giovane, accavallando le gambe. A Mamoru balzò il cuore in gola: quel piccolo essere era Chibiusa!
- Sei identica a Chibiusa! - esclamò esterrefatto.
- Si lo so! - Ribatté tranquilla lei. - In questi giorni ho avuto modo di parlare molto con quella graziosa ragazza che continuava a far capolino nei miei sogni. All’inizio la temevo, ma abbiamo scoperto molte cose in comune, io e lei, per cui siamo diventate amiche. Se non sbaglio, tu dovresti essere Mamoru.
- S…sì, piacere. - Balbettò il giovane. - Scusa se te lo chiedo, ma tu che cosa saresti?
Chibiusa, o l’essere che così tanto le assomigliava, sbatté velocemente le due piccole ali da farfalla iridescenti che aveva sulla schiena e rise, con una risata che pareva dei campanelli d’argento.
- Secondo te, in un luogo chiamato la Foresta delle fate, cosa potrei essere?
- Una fata?! - osò rispondere stupita Makoto.
- Esatto, elementale del legno, o dovrei chiamarti Makoto? E tu sei Ami, e tu Rei, e tu Minako… oh, senza dimenticare Michiru e tu, anche se non lo vuoi ammettere, hai dentro di te una ragazza che si chiama Haruka, che ti assomiglia più di quanto tu non possa immaginare, da quello che mi ha detto quella dolce bambina.
- Ma si può sapere di che cosa state parlando? - Chiese esasperata la guerriera dei venti, iniziando a scendere a terra, ma senza rinfoderare l’arma. - Tu da che parte stai? Dalla mia o contro di me?
- Esattamente come Haruka! - Rise Michiru, facendo brillare il suo acqueo corpo al sole che stava alzandosi sempre di più sulla radura attorno al laghetto. - Per lei esistono solo il bianco e il nero, mai il grigio. Testona, lo capisci che per un motivo a noi tutti sconosciuto, ognuno dei corpi che vedi è stato messo a disposizione dell’anima di una altro essere vivente, per fare qualcosa che solo quegli esseri sono in grado di portare a termine…
- Insomma sono rimasta sola? - mormorò atterrando e mettendo via la scimitarra.
Mamoru si avvicinò a lei, abbandonando la spada a terra. Le prese gentilmente la mano, mentre Chibiusa le volava attorno, per quindi posarsi sulla sua spalla destra.
- Non ti diciamo di abbandonare il tuo corpo a qualcuno che non conosci. Parla con la nostra amica così come ha fatto la fata che ti siede sulla spalla. Cercala dentro di te, sono sicuro che ti sta aspettando. Parlale, e prendi una decisione. Io, noi tutti la rispetteremo, qualunque essa sia. - le disse il giovane, stringendole la mano.
Lei lo guardò negli occhi. Al ragazzo parve di essere scrutato da qualcosa che poteva leggergli il cuore più in profondità di chiunque. La guerriera dei venti annuì.
- Dici il vero, principe delle due lune, e ti credo quando hai detto che non volevi usare quell’orribile potere su di me. D’accordo, farò un tentativo, ma da sola, a casa mia.
Senza aspettare una risposta, si alzò in volo, e con la grazia di un aquila, sparì in alto nel cielo, perdendosi nel disco abbagliante del sole.
- Quando si alza così in alto, solo un falco o un altro guerriero dei venti la potrebbe raggiungere. Quella è la sua vera casa. - dichiarò Michiru, evidentemente sfruttando le conoscenze del vero elementale dell’acqua di cui aveva ora il corpo e i poteri.
Passarono i minuti, che divennero ore, riempite dalle spiegazioni che le ragazze diedero a Michiru, che rappresentava il potere dell’Acqua, su come si fossero incontrate e di ciò che era successo nei giorni precedenti. Ami le diede un piccolo amuleto a forma di specchio finemente lavorato, sicuramente prezioso, dicendole che con esso lei avrebbe potuto, finché lo portava al collo, usufruire di tutti i poteri che la sua attuale condizione le forniva senza la limitazione di essere a stretto contatto dell’acqua. Infatti, con quell’amuleto, Michiru compì i primi passi sulla terra ferma, cosa che le riuscì solo dopo parecchi tentativi e cadute, dato che come elementale non aveva mai avuto la necessità di gambe, e quindi doveva imparare a camminare come i bambini piccoli. In circa una mezzora imparò, e anche se incerta, iniziò a girovagare attorno al laghetto e nei dintorni della radura, fino a quel momento tutto il mondo che l’essere liquido conosceva.
Un fischio sottile ma penetrante annunciò il ritorno della guerriera dei venti, che ricomparve prima come una piccola macchia nera nel cielo, ma che velocemente si ingrandì fino a diventare la ben conosciuta figura di Haruka. Dolcemente atterrò sull’erba della radura, ripiegò le bronzee ali dietro la schiena e si risistemò il mantello che solitamente le copriva. Lentamente si guardò attorno, soffermando lo sguardo su ognuno dei presenti. Chibiusa stava volando, come un’ape in un campo di fiori, da una ragazza all’altra, osservandole curiose, tirando loro i capelli o colpendo l’armatura di Mako, apparentemente indifferente a ciò che stava succedendo.
- Ho parlato con la vostra amica. - Si fermò, quasi a raccogliere i pensieri. - E’ una persona testarda, decisa, coraggiosa. Mi ha detto quanto tu tieni alla tua Usagi, e di quanto le vogliate bene voi altre. Mi ha raccontato di ciò che siete nel vostro mondo, e di ciò che tu e Usagi farete nel futuro… Vi aiuterò.
Tutti scoppiarono in un urlo di gioia.
- Ma sia chiaro. Lo faccio solo perché voi mi state meno antipatici di quanto non mi stia il re della luna nera…
- D’accordo, d’accordo… - ridacchiò Mamoru, sollevato dall’idea di non dover più ferire una sua amica e di aver ormai tutti gli elementi necessari a poter ritrovare Usagi.
- Va bene, ora che abbiamo trovato tutti e quattro i poteri, potremmo partire per la Foresta delle allucinazioni? - disse impaziente Ami, con una punta di noia nella voce.
- Certamente, sempre che qualcuno sappia come si fa… - le rispose Michiru.
- Pensavo che voi sapeste come raggiungerla.
- Ma se sei tu la maga! - Sbottò Haruka. - Sei tu l’esperta in trucchi e cose strane.
- Beh, pensavo che bastasse riunire i quattro poteri e…
- E che cosa? - domandò alterato Mamoru. - Ami, la maga non sa come raggiungere Usagi?
Ci fu un lungo silenzio che rispose alla domanda più di mille spiegazioni. Il giovane sbuffò e alzò arrabbiato le braccia al cielo. La maga, al contrario, abbassò lo sguardo e iniziò a mormorare scuse timide. Mamoru si fermò davanti al laghetto e gettò un sasso nell’acqua.
- Ma si può sapere perché nulla è mai facile a questo mondo, qualunque esso sia?
- Se fosse tutto facile, che gusto ci sarebbe? - gli rispose una vocina gentile in prossimità dell’orecchio.
- Chibiusa, o come ti chiami in questo mondo, io sto per perdere ciò che rende la mia vita degna di essere chiamata tale, e per una volta mi piacerebbe riuscire a fare qualcosa senza troppe difficoltà…
Sospirò, mentre la giovane fatina riprese il volo e si posizionò davanti al suo volto, sbattendo le ali come una farfalla vicino ad un fiore.
- Mi sei simpatico, e mi è simpatica la bambina che mi ha parlato, per cui voglio aiutarti.
- E come? - chiese triste il ragazzo.
- Avvertendoti che tutto ciò che credi certo non lo è per niente, e che nulla è ciò che dovrebbe essere anche se lo è. - Sorrise, accarezzandogli la guancia. - Per la foresta delle Allucinazioni dovete semplicemente dimostrare di essere amici, tutti assieme.
Senza aspettare una reazione, Chibiusa volò sulla criniera dell’unicorno e d entrambi presero il volo, sparendo nel cielo.
- Chissà cosa avrà voluto dire? - si chiese Rei, guardando le altre.
Makoto fece spallucce, subito imitata da Minako e Michiru. Ami stava riflettendo, e non sembrò badare minimamente alla domanda. Haruka stava lanciando sassi nello stagno al pari di Mamoru.
Il tempo passava, e nessuno pareva trovare una risposta alla questione. Si stava ormai facendo sera, e Mamoru, ormai seduto sul bordo dello specchio d’acqua, era demoralizzato, e sospirava senza fare niente altro. Mako gli si avvicinò, toccandogli una spalla per confortarlo. Lui la guardò con occhi tristi, e rispose al gesto stringendole forte la lignea mano. Un debole bagliore circondò entrambi per il tempo in cui i due si toccarono.
- Ma cosa… - esclamarono stupiti il giovane e lo spirito dei boschi.
Improvvisamente tutto fu per un istante chiaro nella mente di Minako, che li aveva osservati. Si picchiò enfaticamente la mano sulla fronte e sorrise.
- Ma certo! Dobbiamo dimostrare di essere amici. E gli amici cosa fanno?
- Escono al bar assieme? - avanzò timidamente Ami.
- Nelle avversità stanno uniti, e si tengono per mano! - gridò Rei.
- E’ vero, hai ragione! - la sostennero Mako e Michiru.
- Quindi secondo te, noi dovremmo semplicemente… - chiese timido il giovane, in cui si era riaccesa una fiamma di speranza, seppur debole.
L’incantatrice annuì con la testa. Tutti si avvicinarono al fuocherello che era stato acceso per rischiarare e scaldare, e timorosi quanto speranzosi, si presero per mano. Quando ebbero formato un cerchio, i loro corpi emisero un bagliore che illuminò tutta la radura per un tempo brevissimo, giusto quello necessario affinché i corpi dei sette amici si dissolvessero nel nulla.

 

Mamoru e le altre si ritrovarono di colpo al buio, in una foresta diversa da quella dove erano, e anche il buio era diverso. Non era quello della notte, era piuttosto quello di un incubo, o di un’allucinazione orribile. Tutto attorno a loro era nero, ma qualcosa era ancora più nero: una torre diroccata, incombente come un animale che aspetta al varco la preda. Non vi era alcun rumore, ma un forte vento si era alzato quasi immediatamente, spirando dalla torre. L’aria portò un flebile grido, qualcosa che sembrava estremamente lontano.
- Mamoru! - sospirò il vento, trasformando quella parola in un triste lamento che sapeva di dolore e paura.
- E’ Usagi. E’ la voce di Usagi! - Gridò il giovane, ancora intontito da ciò che gli era successo. - vuol dire che finalmente siamo nella Foresta delle allucinazioni!
- Sì, ma ora abbiamo un altro problema. Riuscire ad uscirne vivi. - frenò il suo entusiasmo Ami.
- Sicura tu di essere una maga? - chiese ironica Haruka.
- Perché?
- No, così, dicevo così per dire… Dalla fortuna che portano le tue parole, pensavo tu fossi una negromante…
Per la prima volta nella storia della Foresta delle allucinazioni, si udì una sonora risata risuonare tra i morti alberi che la formavano.
   
 
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