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Autore: Mark MacKinnon    27/07/2011    9 recensioni
Questa non è casa tua.
Questa gente non è la tua famiglia, i tuoi amici, non importa quanto ci somiglino.
Non puoi stare qui.

Il capolavoro di Mark MacKinnon tradotto da Il Corra Productions, una delle ff più sconvolgenti mai scritte, torna riveduto e corretto.
"Diavolo, non posso biasimare Ryoga per non aver capito la differenza", disse alla fine. "Non potrei trovarla neanche io. Sembri proprio uguale a me".
"In un certo senso, io sono te".

ULTIMO CAPITOLO ON LINE.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Shadow Chronicles' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Questa leggendaria ff risale alla fine degli anni ’90 e al suo apparire fu come se una bomba fosse stata sganciata nel fandom ranmaceo internazionale per l’originalità della trama, per la drammaticità degli eventi raccontati e per la straordinaria caratterizzazione dei personaggi. Ancora oggi, a quattordici anni di distanza, Cast a Long Shadow mantiene intatto tutto il suo sconvolgente impatto emotivo grazie alla traduzione di Il Corra Productions, che ha acconsentito affinché quest’ultima fosse pubblicata su EFP su richiesta di moira78.
Dal momento che Moira è impegnata nella traduzione del seguito di CALS, io – in qualità di sua betareader nonché correttrice di bozze per professione – mi sono offerta di revisionare CALS per la pubblicazione in vista appunto della traduzione del seguito da parte di Moira, quindi io ho aperto l’account per l’autore, ma saremo in due a gestirlo.
Nel revisionare questo primo capitolo mi sono limitata alla mera correzione dei refusi e degli errori di grammatica e punteggiatura, ragion per cui nel testo troverete in abbondanza aggettivi, avverbi, ripetizioni, ridondanze, frasi a volte non proprio scorrevoli e pronomi possessivi ricorrenti nella lingua inglese che in italiano sono spesso superflui. Non ho alterato quasi nulla affinché la traduzione di Il Corra giungesse a voi così come è apparsa per la prima volta nel web.
Vi auguro buona lettura.
TigerEyes






CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




I

Mancanza di giudizio






La mano cominciava a farmi male dal troppo stringere il ramo. Spostai il mio peso e cercai di ignorare il fatto che il mio stomaco fosse un grosso spazio vuoto. Sapevo che l’avrei potuta vedere presto. Quel pensiero mi tratteneva nascosto lì in quell’albero quando tutti i miei istinti mi urlavano di andarmene. L’avrei potuta vedere ancora, e in quel momento era tutto ciò a cui riuscivo a pensare.
Akane.
Era primavera inoltrata, e il clima era mite. Potevo vedere Kasumi mentre preparava la tavola per la colazione attraverso la porta aperta. Non potevo sentirla, ma sapevo che stava canticchiando qualche motivetto mentre lavorava. La mia presa sul ramo si strinse ancora quando lei alzò lo sguardo, e lottai con me stesso per non muovermi. Avevo scelto la mia posizione perché mi permetteva di vedere l’interno della casa senza essere visto.
Che era esattamente ciò che volevo.
Qualcuno arrivò dalle ombre dell’interno per sedersi a tavola, e per un momento non riuscii a respirare. Poi lei si sedette e vidi che era solo Nabiki. Lasciai uscire un respiro stentato e guardai stupito la mano libera che tremava. Avevo bisogno di controllarmi. Avevo bisogno...
Avevo bisogno di andarmene. Era stupido quello che stavo facendo, stupido e inutile, e l’unica cosa sensata da fare sarebbe stata andarmene.
Ma non lo feci. Non potevo. Non senza almeno averla vista, solo una volta...
Qualcun altro raggiunse la casa, ma vidi subito che era il signor Tendo. Cambiai mano di appoggio e cominciai a flettere le dita in un futile tentativo di convincere i miei muscoli a rilassarsi. Improvvisamente, percepii, piuttosto che sentire, il tambureggiare di passi, qualcuno pesante che si muoveva molto velocemente. Sapevo cosa dovesse essere.
Un grosso panda rimbalzò dal giardino sul retro, fuori dal mio campo visivo, saltando in alto nell’aria. Un lampo rosso comparve dal nulla ed entrò in collisione con l’orso, mostrando di essere una ragazza coi capelli rossi in una camicia cinese rossa e ampi pantaloni neri. I suoi piedi erano piantati a fondo nel muso del panda, e quando lei lo respinse quello cadde nel laghetto delle carpe, fino ad allora tranquillo. La ragazza lanciò un’occhiata beffarda da sopra la spalla e atterrò facilmente oltre il laghetto.
No. No, no, no, NO! Non ero stato capace di ammettere con me stesso quanto avevo sperato, quanto avevo PREGATO che lui non fosse lì. Per questo avevo passato un bel po’ di tempo a sperare e pregare ultimamente, ma a quanto pare i Kami non stavano ascoltando.
Naturalmente lui era lì. Naturalmente. E...
E c’era anche lei. Kasumi disse qualcosa alla strana coppia nel giardino e qualcun altro uscì per sedersi a tavola. La ragazza e il panda si precipitarono alla tavola della colazione mentre Kasumi cominciava a preparare le tazze, bloccando momentaneamente la mia visuale. Poi potei vederla di nuovo, e il mio stomaco si contorse ancora di più, cosa che non avrei mai creduto possibile.
Akane. La guardai per tutta la colazione. Guardai il modo in cui spostava una ciocca di capelli dietro all’orecchio mentre si sporgeva in avanti per prendere la sua tazza. Guardai il modo in cui inclinava la testa mentre sorrideva a qualcosa che Kasumi aveva detto, guardai il suo sorriso morire quando la rossa le disse qualcosa, la guardai ribattere un’aspra risposta. Il ramo scricchiolò sotto la mia presa e digrignai i denti per la rabbia. Perché doveva farlo? Perché aveva fatto andare via il suo sorriso? Perché?
Fin troppo presto, la colazione era finita. Akane guardò l’orologio, scattò in piedi e corse nella casa. La rossa prese una teiera gialla da una sorridente Kasumi e versò il contenuto fumante su se stessa, diventando un ragazzo. Poi lui pure corse nella casa.
Mi appoggiai al tronco dell’albero, sentendo le asperità della corteccia attraverso la camicia. Cercai di attingere forza dalla sua solidità, dalla sua realtà. Avevo un gran brutto bisogno di quella forza.
Dopo tutto, sapevo dove lei stava andando. Stava andando a scuola, e sarebbe stato molto facile seguirla. Avevo detto a me stesso che volevo solo un’opportunità di rivederla, che mi sarei nascosto nell’albero e l’avrei guardata e mi sarei accontentato, ma era stata una menzogna. Non mi accontentavo. Ne volevo ancora.
"Solo per vederla", mi dissi. "Solo per guardarla e ascoltare la sua voce, forse sentirla ridere. Non c’è niente di sbagliato a farlo. Dopo tutto, non è come se io stessi per fare qualcosa...".
Il ragionamento mi convinse, come ero sicuro che avrebbe fatto. Anche se io non l’avrei mai ammesso con nessuno, potevo ammettere con me stesso che non ero pronto per lasciare Akane sola.
Anche se sapevo che quella era la scelta giusta. La sola scelta.
Silenziosamente, saltai giù dall’albero e mi preparai a seguirla.


Ranma lanciò una cauta occhiata ad Akane con la coda dell’occhio mentre correva in cima al reticolato. Sembrava ancora arrabbiata. Sospirò tra sé e sé. Perché lei doveva sempre fare tutte ‘ste storie per tutto quello che lui diceva, poi? Non aveva mica voluto offenderla, dopo tutto. E aveva detto la verità...
"Ehi, Akane", la chiamò dall’alto, "non è che, ehm, sei ancora arrabbiata per quello che ho detto, no?".
"Naturalmente no", disse stizzosamente, "ora sbrigati o arriveremo a scuola in ritardo". Il suo tono rendeva ovvio il fatto che lei fosse ancora arrabbiata, e Ranma sentì la sua irritazione che cresceva in risposta.
"Oh, andiamo, Akane. Lo sai, se tu solo imparassi a cucinare, io non avrei paura a mangiare i tuoi piatti!".
"Ma perché non taci e basta, buffone! E perché io dovrei voler cucinare per te, poi?".
"Oh, non sei per NIENTE carina!".
"STUPIDO!".
"Maschiaccio!".
Il battibecco continuò mentre correvano verso il cancello principale del liceo Furinkan. Sfortunatamente, sapevano entrambi quali pulsanti premere ed entrambi erano di pessimo umore mentre si precipitavano nel cortile della scuola.
"Akane Tendo! La tua bellezza è come il surgkkh!". Il discorso di benvenuto di Kuno incontrò il dorso della cartella di Akane mentre lei lo superava senza rallentare. Lui ondeggiò per ritrovare l’equilibrio, poi voltò la testa e alzò la sua spada di legno, puntandola verso Ranma.
"Saotome, cosa hai fatto alla mia Ackkkhh!". Ranma saltò facilmente sopra la spada di Kuno e piantò un calcio sulla sua nuca.
"Io non ho fatto niente alla tua «ackkkkhh», Kuno", mugugnò. "Levati di torno".
Detto questo corse verso la scuola, lasciando un sorpreso Kuno sdraiato a braccia spalancate sull’erba. Una figura in uniforme da ragazzo con una grossa spatola appesa alla schiena gli si avvicinò, guardando a lungo Ranma mentre si allontanava.
"’Giorno, Kuno", disse allegramente Ukyo, mentre la sua coda di cavallo scivolava sulla sua spalla nell’inchino. "Senti, ti è capitato di notare qualcuno che seguiva Ranma e Akane quando sono entrati?". Ukyo era sicura di aver visto per un attimo qualcuno dietro alla coppia in corsa, ma la figura era scomparsa prima che lei potesse guardare meglio.
"Certamente no", rispose Kuno con dignità offesa da dove era disteso. "Ero accecato dalla grande bellezza di Akane Tendo".
Accecato da colpi ripetuti alla testa, piuttosto, pensò Ukyo con un sospiro. Ringraziò il senpai prono e se ne andò. Non era certo una cosa insolita che qualcuno seguisse Ranma, e sicuramente ci sarebbero stati guai. Poi sorrise. Ora aveva una scusa per seguire Ran-chan. Poteva tenere d’occhio la sua ombra, e se qualcosa fosse accaduto, lei sarebbe stata lì per aiutarlo.
La sua giornata le pareva in netto miglioramento. Cominciò a fischiettare un allegro motivetto mentre si dirigeva verso la scuola, saltando sopra la forma prona di Kuno senza degnarlo di uno sguardo. Dopo un momento, lui si rialzò dolorosamente.
"Almeno lei non mi ha calpestato", sospirò dirigendosi verso la classe.


"Stupido, stupido, stupido", cantai piano con me stesso da dove mi nascondevo, chino nei cespugli. Ero andato troppo vicino quando quel lunatico di Kuno era saltato fuori, e Ukyo mi aveva quasi visto. Lei aveva lanciato un’altra occhiata verso il mio nascondiglio mentre se ne andava. Non era sicura di quello che aveva visto. Ero stato fortunato. Per questa volta. Ma se continuavo a seguire Akane, la mia fortuna si sarebbe esaurita in fretta.
Eppure non mi potevo fermare. Non ancora. Solo un altro po’. L’avrei vista a pranzo, naturalmente avrebbe mangiato fuori, e poi... poi l’avrei seguita a casa, e sarebbe finita. Quella sarebbe stata la fine della faccenda. L’avrei seguita a casa, e poi io... Avrei...
Mi gettai in ginocchio e scagliai un pugno sul terreno, assaporando la sensazione dell’impatto mentre risaliva lungo l’avambraccio. Faceva così bene che lo feci ancora, e ancora, e poi non riuscii più a fermarmi. Martellai la terra insensibile, stringendo gli occhi in uno sciocco tentativo di impedire alle mie lacrime di scappare. Come se avessi potuto negare il mio dolore se quelle lacrime non fossero mai cadute...
Alla fine i muscoli del braccio bruciavano e le nocche spellate sanguinavano liberamente. Mi spinsi in avanti finché la mia fronte non toccò l’erba fresca e ombreggiata e mi strinsi attorno le braccia, come se potessi trattenere fisicamente il dolore all’interno. Ansimai come se avessi appena corso dieci miglia e ondeggiai lentamente indietro e avanti, sentendo i miei respiri stentati farsi strada attraverso la gola contratta.
"Per favore," sussurrai alla terra, "non so cosa fare. Cosa devo fare?".
La mia preghiera non ottenne risposta, ma del resto, sapevo che non l’avrei avuta.
Avevo finalmente capito che non c’era nessuno a cui mi potessi rivolgere per avere aiuto.
Ero solo.


Ranma era di umore piuttosto buono quando lasciò la scuola quel pomeriggio. Ogni giornata che finiva senza essersi trasformato in ragazza a scuola valeva come un buon voto. Il suo buon umore scemò in qualche modo quando vide Akane camminare lontano da lui, naso all’aria, ignorandolo. Non l’aveva ancora perdonato. Sospirò verso la schiena della ragazza e accelerò per raggiungerla.
Perché lei doveva essere sempre così intrattabile, poi?


Ukyo si mise dietro Ranma quando lui lasciò la scuola. All’inizio temeva che lui la vedesse e si facesse un’idea sbagliata; dopo tutto, lei stava solo cercando di capire chi lo stava seguendo. Davvero. Poi vide Akane marciare lontano da lui, e capì che non si doveva preoccupare, lei non sarebbe stata notata nel prossimo futuro.
Ukyo sentì un nodo che si stringeva nella sua gola mentre li guardava camminare insieme. Ranma stava vicino a Akane, un braccio dietro alla testa, cercando di apparire noncurante. Akane lo ignorava. Lui cercò di avviare una conversazione. Lei sibilò una risposta. La postura del ragazzo divenne rigida e difensiva. Ukyo scosse la testa con rabbia.
"Perché lei?" si chiedeva astiosamente. "Perché non me? Io non renderei mai Ran-chan così infelice".
Suppose che avrebbe dovuto essere contenta del fatto che Ranma e Akane stessero litigando, ma non sembrava mai cambiare niente tra loro. Ranma veniva spesso al suo ristorante dopo le loro sfuriate per avere conforto culinario e psicologico, ma poi tornava sempre a casa, da Akane. Certe volte Ukyo sentiva bisogno di lui con un’intensità che quasi la faceva star male, ma lui non sembrava notarlo mai. Lui non capiva mai. Lui non cercava mai di capire.
Lui non era mai stato con lei.
"Questo è stupido", mormorò improvvisamente. Aveva cose migliori da fare piuttosto che pedinare un tipo con uno stupido pretesto come... come...
Come una scolaretta stracotta.
Scosse la testa con rabbia. Avrebbe dovuto fare ritorno al ristorante e preparare le okonomiyaki. Anche se qualcuno stava seguendo Ranma, lui se la sarebbe cavata. Se la cavava sempre. Non aveva bisogno del suo aiuto.
Avrebbe dovuto andarsene. Ma... era già arrivata a quel punto. Magari poteva solo seguirlo per il tragitto che gli restava. Sicuro, altrimenti il tempo che aveva impiegato a pedinarlo sarebbe stato sprecato.
Si decise. Solo fino alla palestra Tendo, e poi a casa, in cucina. Alzò lo sguardo e vide che era rimasta più indietro di quanto avesse inteso. Ranma e Akane si stavano avvicinando a un cantiere edile, mentre la loro discussione si faceva più accesa. Ukyo sospirò, poi si congelò nel notare un improvviso movimento con la coda dell’occhio. Una figura era saltata sopra lo steccato che circondava il cantiere e puntava qualcosa verso Ranma.
Allora qualcuno lo aveva seguito davvero! Poi Ukyo vide chi era e grugnì piano.
"Ryoga".


"Raaaaaaanmaaaaaaa!", urlò Ryoga, il suo ombrello puntato allo sfortunato bersaglio della sua furia. Ranma si immobilizzò, interrompendo l’insulto diretto ad Akane a mezza frase.
"Oh, ehi, Ryoga. È da un po’ che non ci vediamo. Finalmente sei tornato nella civiltà, eh?". Ranma finalmente notò l’espressione infuriata sul volto di Ryoga e fremette. "Oh, che succede adesso?".
"Ranma", ruggì Ryoga, il suo respiro che usciva in brevi, raschianti ansiti, "come puoi dire certe cose ad Akane?".
Il suo sguardo sarebbe stato sufficiente a stendere un uomo, ma Ranma non sembrò notarlo.
"Quali cose?", chiese innocentemente.
"Quali cose?", urlò Ryoga, oltraggiato. "Racchia! Maschiaccio! Cattiva cuoca!".
"Hai dimenticato violenta", puntualizzò Ranma, giusto prima di beccarsi la cartella di Akane sulla testa.
"Ehi!", scattò, massaggiandosi il bernoccolo che si era rapidamente formato.
"Ma sì, tra le altre cose, non dimentichiamo violenta", sbuffò Akane.
Ranma aprì la bocca per replicare, solo per essere distratto da un grido di rabbia. Si voltò appena in tempo per saltare e atterrare sull’ombrello puntato di Ryoga.
"Ehi!", obbiettò. "Datti una calmata, P-chan!". Afferrò Ryoga per la fronte e descrisse un arco sopra alla sua testa, ruotando a mezz’aria per atterrare con la grazia di un ballerino vicino allo steccato. Ryoga girò su se stesso e scagliò l’ombrello di metallo verso il suo avversario come se fosse stato fatto di carta di riso.
"Ti ho detto di non chiamarmi così! Muori, Ranma!", gridò. Ranma schivò facilmente quando l’ombrello perforò il sottile steccato, scomparendo nel cantiere all’interno. Poi gli mostrò la lingua.
"Buuuuh! È questo il meglio che sai fare? Stai diventando lento, amico!".
Ryoga fissò il suo tormentatore, denti digrignati e occhi dilatati.
"Vuoi ridere, Ranma? Ridi a questo! BAKUSAI TENKETSU!". Ryoga affondò il suo indice nell’asfalto, creando una larga crepa che strisciò verso Ranma. Lui comunque saltò facilmente fuori dal suo percorso, chiudendo Ryoga e costringendolo al corpo a corpo. Akane, il cui pessimo umore non era stato affatto mitigato dalle dimostrazioni di machismo a cui stava assistendo, si mise a camminare in tondo attorno la spaccatura nello steccato mentre pugni e calci scorrevano con spensierato abbandono. "La volete piantare, voi due?!", urlò. I due la ignorarono. "Insomma!", girò velocemente su se stessa. "Almeno per una volta sarebbe carino se provaste a intrattenere una conversazione senza cercare di polverizzarvi a vicenda!".
Nessuno di loro notò che la spaccatura creata da Ryoga non si era fermata allo steccato.

Successe tutto così in fretta.
Ukyo guardò Ranma provocare Ryoga finché lui non lo attaccò. Per qualche ragione Ryoga sembrava addirittura più arrabbiato del solito, e in capo a pochi secondi i due si stavano battendo nel mezzo della strada. Per fortuna non c’era traffico. Mentre Ukyo sospirava e impugnava la sua spatola, vide qualcosa con la coda dell’occhio. E si congelò.
Una grossa gru nel cantiere stava alzando un carico di traversine di metallo sulla cima della struttura incompleta. Quello che aveva attirato la sua attenzione era l’improvviso ondeggiamento della gru, che stava facendo pendere il carico sulla strada.
Capì istantaneamente cosa doveva essere accaduto. La spaccatura creata da Ryoga aveva raggiunto uno dei sostegni della gru, facendolo sprofondare...
Ci fu un cedimento nei cavi quando il carico si trovò sopra la strada. Quando i cavi si sciolsero, lasciarono il loro carico di traversine...
Proprio sopra un’inconsapevole Akane.
Nessuno di loro l’aveva visto. Il mondo rallentò per Ukyo mentre lei seguiva i cavi al loro punto di rottura, incapace di credere a quello che stava accadendo, la sua mente paralizzata dall’incredulità. Era come congelata sul posto.
I cavi avevano ceduto.
Lei rimase piantata dove stava. Non poteva succedere. Non poteva. Akane sarebbe stata schiacciata, sarebbe...
E nessuno l’aveva visto.
Niente più Akane. Lo vide chiaramente, il funerale, e poi, dopo un decente intervallo, Ranma che aveva bisogno di conforto, di essere confortato da lei...
"Se lei non ci fosse più, potresti averlo", sussurrò una piccola voce. "Chi potrebbe biasimarti, dopo tutto? Cosa puoi fare? Sei così lontana, così lontana...".
E le traversine stettero immobili nell’aria per un istante che fermò la gravità e il cuore.
Un incidente. Senza Akane, Ranma sarebbe venuto da lei. Lei lo sapeva. Sarebbe stata felice. Loro sarebbero stati felici. Avrebbe potuto avere la vita che aveva sempre desiderato. La vita che si meritava. Se solo Akane fosse... se solo... Akane... fosse...
E il viluppo di traversine cominciò a cadere.
Ukyo sobbalzò come una donna che si svegliava da un incubo. Le sembrava di non sentire niente eccetto il fischio della caduta e il suo sangue che rombava attraverso il suo corpo come ghiaccio liquido mentre apriva la bocca.
E urlò.
"AKANE! ATTENTA!". Il mondo tornò alla velocità ordinaria come un elastico che scatta; Ukyo cercò di muovere il suo corpo paralizzato, sapendo quanto la sua esitazione, un momento che era sembrato durare ore, le fosse costata, vedendo tutti loro tre girarsi e guardare lei invece che alzare lo sguardo, congelati dal terrore nella sua voce. Lei cercò di indicare l’alto, urlando al suo cervello di funzionare, capendo che non c’era abbastanza tempo. Stava tutto succedendo...

...troppo in fretta. Quando Ryoga aveva attaccato Ranma, avevo usato il diversivo per strisciare più vicino, appollaiato al muro opposto al cantiere. Le foglie di un ramo basso mi nascondevano alla vista e comunque, dissi alla mia già ammaccata coscienza, quei due non avrebbero notato nessun altro non appena avessero cominciato a combattere. Ignorai la lotta. Era Akane che volevo vedere. Lei girò attorno ai combattenti, il disgusto le si leggeva a chiare lettere sul viso. Le sue mani erano strette rigidamente sull’impugnatura della cartella che faceva rimbalzare distrattamente contro un fianco. Ero come in trance. Solo l’opportunità di essere così vicino a lei, di sentire magari la sua voce...
Non avevo quasi notato la gru. Qualche istinto mi fece alzare lo sguardo quando questa si inclinò. Realizzai allora quello che avrei realizzato prima se non fossi stato così occupato a spiare Akane. La crepa generata dal Bakusai Tenketsu di Ryoga doveva aver viaggiato sotto lo steccato e aveva provocato l’inclinazione della gru proprio nel momento sbagliato. Il terreno sembrò cadere sotto di me mentre guardavo le traversine cadere.
Nessuno di loro l’aveva notato. E non avrebbero potuto, non in tempo utile.
Sapevo che non potevo agire. Sapevo che non mi potevo rivelare a loro.
Non potevo.
Ma lo feci. I miei muscoli si mossero e io scattai dalla cima del muro, atterrando sull’asfalto proprio mentre tutti e tre erano distratti da un grido atterrito.
"AKANE! ATTENTA!". Era Ukyo, ma era troppo lontana per essere d’aiuto. Stava indicando l’alto e quando mi avvicinai ad Akane la vidi seguire il gesto convulso di Ukyo, muovendosi così lentamente, la sua espressione cambiare da stupita a terrorizzata nel vedere che stava per essere schiacciata.
Sembrava di essere in uno di quei sogni dove tu corri e corri ma non arrivi mai da nessuna parte, ma non era un sogno. E io mi stavo muovendo, avvicinandomi mentre le traversine cadevano come una macchia di duro metallo. Non sapevo se avrei fatto in tempo.
No. Non avrei lasciato che succedesse qualcosa ad Akane. Non l’avrei lasciata morire.
Non stavolta. Non ancora.
La vidi alzare istintivamente le braccia sopra la testa, come se l’avessero potuta proteggere dalle traversine in caduta. Un istinto inutile, ma avendola paralizzata mi permise di prenderla facilmente lungo la corsa, rallentando a malapena mentre la sollevavo tra le braccia. Saltai oltre lo steccato e atterrai in salvo mentre la massa d’acciaio collideva con la strada nel punto dove eravamo solo una frazione di secondo prima con un suono come la fine del mondo. La polvere si alzò in una nuvola da impatto mentre alcune traversine si conficcavano nell’asfalto, vibrando come frecce in un albero.
Mentre il suono moriva e la polvere cominciava a disperdersi, cercai di riportare il mio respiro sotto controllo. Una scarica di sudore freddo mi scese lungo la schiena, e rabbrividii involontariamente.
Vicino. Oh, ragazzi. Ci siamo andati davvero, DAVVERO vicino.
Abbassai lo sguardo sul fascio di nervi raggomitolato contro il mio petto. Potevo sentire il calore del suo corpo attraverso la maglia, sentire il battito impazzito del suo cuore contro di me. I suoi occhi erano ancora strettamente chiusi, tutto il suo corpo contratto, come se stesse ancora aspettando un impatto che non sarebbe più venuto. Rabbrividii ancora, ma stavolta non per il sudore freddo.
"Akane". Non realizzai di aver sussurrato il suo nome fino a che lei aprì i suoi occhi e lentamente guardò in alto, verso di me. Sorrise con esitazione e le sorrisi in risposta, la prima volta che sorridevo dopo quello che mi sembrava tanto tempo. Il mio cuore sembrava gonfiarsi sotto il calore di quel sorriso. Non volevo lasciarla andare, ma con riluttanza la rimisi in piedi, continuando a tenerla gentilmente per le spalle.
"Stai bene?", chiesi piano.
"Io... credo di sì", sussurrò. E poi la realtà fece il suo ritorno.
"Ehi! EHI! CHE COSA CREDI DI FARE?".
Akane si irrigidì nelle mie braccia, riconoscendo la voce infuriata. Si voltò, lentamente, per vedere Ranma che urlava, con un pallido, sconvolto Ryoga dietro di lui. Si girò piano verso di me, i suoi caldi occhi castani improvvisamente pieni di confusione.
"R-Ranma?".
Riuscii a pensare a una sola cosa da dire.
"Mi spiace, Akane," sussurrai.
Poi corsi via.

Non ce l’avrebbe potuta fare. Le traversine stavano per cadere su Akane e lui non aveva tempo di fare nulla. Non c’era tempo per niente tranne che per l’incredulità. Non Akane, non dopo tutto quello che avevano passato, non in questo modo...
Poi ci fu un’onda d’urto e le traversine si schiantarono sulla strada. Ranma restò congelato, tutto il calore e la vita usciti dal suo corpo, davanti alla polvere alzata dall’impatto.
"Non può essere," pensò torpidamente. "No. Non può essersene andata. Non può, e basta". Lo pensò ancora e ancora finché tutto attorno a lui cominciò a sembrare irreale.
Poi la polvere cominciò a disperdersi e vide una figura in piedi oltre le sbarre di ferro contorte. E Akane era tra le sue braccia, in salvo.
Il sollievo si riversò dentro di lui, e si ricordò di respirare ancora. Fece un passo avanti.
Poi la polvere si disperse di più e poté vedere chi l’aveva salvata.
Era alto, ben fatto; indossava una camicia cinese rossa senza maniche e pantaloni neri. I suoi capelli scuri erano tirati indietro in un codino.
Ranma sbatté le palpebre, guardando più da vicino mentre l’uomo rimetteva gentilmente Akane in piedi.
Stava guardando se stesso. Nessun dubbio al riguardo, lui aveva salvato Akane. Ma lui si trovava lì, no? La sensazione di irrealtà tornò a sommergerlo, lasciandolo disorientato. Se lui era lì, ed era lui, allora chi era... che... chi...
"Ehi! EHI! CHE COSA CREDI DI FARE?", urlò. Il grido sembrò rompere l’incantesimo che si era creato con l’incidente. Grida si levarono dal cantiere.
Akane si voltò al suono della sua voce, e lui vide la sua espressione cambiare al vederlo a fianco di Ryoga. Lei si voltò verso il suo salvatore, indietreggiando lentamente.
Poi l’altro Ranma si girò e corse, saltando facilmente sopra lo steccato e sparendo nel caos del cantiere.
Quello riscosse Ranma dalla sua paralisi traumatica, e si precipitò verso lo steccato, per fermarsi solo quando raggiunse Akane. Il suo viso era pallido, i suoi occhi sbarrati. Stava barcollando lentamente, e lui le prese il braccio per impedirle di cadere. Lei si voltò di scatto, come se si stesse aspettando che la colpisse. Poi si rilassò lentamente e sussurrò: "Ranma? Sei... sei tu, vero?". Lui la guidò verso il marciapiede.
"Sì, certo che sono io," le assicurò, aiutandola a sedersi all’ombra. Non poteva assolutamente lasciarla sola per seguire l’impostore, non mentre lei era in quello stato. Le si mise di fronte, cercando segni di ferite.
"Va tutto vene?", chiese qualcuno. Il caposquadra arrivò dietro di lui, il suo elmetto giallo spinto indietro sulla nuca. Ukyo giunse per stare al suo fianco, uno sguardo terrorizzato sul suo viso. Ranma si limitò ad annuire e si rivolse nuovamente a Akane.
"Sì, penso di sì. È un bel po’ scossa, però".
"Sono così spiacente, non so come possa essere successo!", balbettò il capocantiere, "in qualche modo, il terreno è sprofondato sotto uno dei supporti della gru, ma questo non sarebbe dovuto succedere, non abbiamo fatto nessuno scavo in quell’area...", cercò di spiegare.
Un suono basso e lamentoso salì sopra le urla, facendo alzare lo sguardo a Ranma. Trovò subito la fonte.
"Ryoga," grugnì. Ryoga aveva sentito perfettamente quello che il capocantiere aveva detto, e si trovava davanti ad Akane, indifeso. Le sue labbra erano contratte sui denti in una smorfia mentre il suo gemito diventava un urlo disperato; poi, voltandosi improvvisamente, si lanciò attraverso la strada e si aprì una via nel muro con gli indici. Quando i calcinacci si dispersero, Ryoga non c’era più.
"Buon tormento," mormorò Ranma, ma sapeva che anche a lui spettava una parte di responsabilità per quello che era successo. Cercò di sopprimere quei pensieri in fretta mentre l’ingegnere prendeva qualcosa da uno dei suoi uomini e lo passava a lui. Ranma vide che era un bicchiere di carta pieno d’acqua, e l’accettò con gratitudine. Ne fece bere un po’ ad Akane, poi prese un fazzoletto da Ukyo e lo immerse nell’acqua fredda, passandolo sulla fronte di Akane.
"Ranma," mormorò lei, "non mi sento molto bene".
"Ti porterò a casa, Akane, e poi chiameremo il dottor Tofu perché venga a darti un’occhiata, ok?". Lei annuì timidamente e Ranma la sollevò con facilità. Poi chiese a Ukyo di prendere le loro cartelle e si diresse verso casa, con la mente ridotta a una massa urlante di confusione.


Il dolce sole primaverile stava facendo un’inutile sforzo per riscaldare la mia pelle. Lo notai a malapena. Ero troppo occupato a tentare di ignorare la sottile, insistente voce della mia coscienza.
Sei contento ora? Voleva sapere la voce. Hai avuto quello che volevi, dopo tutto.
"Non è vero", sussurrai.
Oh, davvero? Non speravi in una possibilità di rivederla? Una scusa, qualsiasi scusa per sentire la sua voce, per parlarle, per toccarla...
"No". Più forte ora, più rabbiosa.
Li hai seguiti, hai seguito lei, perché volevi che succedesse qualcosa, uno spiraglio nelle loro vite da aprire, perché tu non sei abbastanza forte per fare la cosa giusta e andartene per sempre...
"No! Non è così!".
Debole. E quando il passaggio si è aperto, solo una crepa, tu l’hai tenuto aperto e ti sei precipitato proprio dentro...
"Non è andata così!", urlai. "Lei sarebbe morta!". Nell’improvviso silenzio mi guardai attorno. Fortunatamente, era ora di cena e il parco era quasi deserto, ma le poche persone attorno al box della sabbia mi stavano tutte guardando sorprese.
Grande. Ora la gente avrebbe pensato che ero pazzo. Diavolo, io stavo parlando con me stesso, dopo tutto. Forse avevano ragione. Forse ero pazzo.
Non è che non avessi buone ragioni per diventarlo.
Mi alzai, allontanandomi dai passanti curiosi, sentendo l’urgenza di andarmene. Feci esattamente un passo prima di fermarmi ancora. Ero a Nerima, il posto che era diventato la mia casa. Tutto attorno a me c’erano i miei amici, la palestra, la mia scuola, il ristorante di Ucchan e il Nekohanten. Queste strade e case e gente formavano lo scenario della mia vita.
E non c’era assolutamente alcun posto dove potessi andare.
Restai lì, scuotendo la testa come un lottatore che cerca di smaltire un brutto colpo, vagamente cosciente degli ultimi passanti che abbandonavano il parco lanciando occhiate sospettose nella mia direzione. Cercai di sollevare ancora il piede ma non si voleva muovere. Prima voleva sapere dove stavamo andando, e io non ne avevo idea. Restai semplicemente lì, vuoto e solo, un uomo famelico circondato da piatti di cibo fumante che non poteva raggiungere.
L’hai vista, disse la piccola voce nella mia testa con tono accusatorio, a quanto pare non aveva finito ancora con me. L’hai vista, e ora non hai più idea di cosa fare, vero? E adesso, Saotome? È già ora di stendersi e morire? Eh?
Questa volta non trovai risposta. Mi limitai a guardarmi attorno indifeso, chiedendo con tutto me stesso un suggerimento, un segnale che mi dicesse cosa fare. Per una volta, con mia sorpresa, i miei desideri vennero esauditi e vidi una figura familiare spuntare dagli alberi al limitare del parco.
Ryoga.
Il vuoto dentro me venne riempito da una rabbia istantanea, al calor bianco, che mi fece sentire ancora vivo. Rividi la spaccatura nell’asfalto allargarsi, vidi le traversine cadere su un’inconsapevole Akane, e allora riuscii a muovermi ancora. Mi diressi verso Ryoga, saltando oltre un’altalena e schivando alcune catene abbandonate e amache.
Lui non alzò neanche lo sguardo, non una volta, mentre mi avvicinavo. Lanciai un grido di battaglia mentre lo caricavo, agguantando il davanti della sua tunica e scagliandolo in un arco selvaggio per metterlo con le spalle contro un albero vicino. Lui incassò l’impatto con appena un sussulto, assumendo un’espressione colpevole nel vedere il mio volto. Qualunque cosa vide lì lo spaventò. Doveva farlo.
"Ranma". Era un suono torturato, pieno di dolore e colpa. "Io...".
"Tu sei un dannato idiota". Riconobbi a malapena la mia stessa voce, bassa e carica di minacce. La rabbia faceva così bene, era meglio del vuoto con cui mi ero tormentato... "Potevi ucciderla, Ryoga. L’hai quasi fatto. E ora pagherai".
Lui non poteva incontrare il mio sguardo ancora più a lungo, e spostò gli occhi di lato, girando lentamente la testa.
"Fa' quello che vuoi, Ranma. Non ti fermerò".
Affondai un pugno nel tessuto della sua tunica, alzandolo sulle punte dei piedi, e spinsi l’altro pugno dietro la mia testa. Lo guardai negli occhi...

(sto guardando gli occhi di Ryoga da dove mi trovo disteso sulla dura terra, e non riesco a riconoscere lo sguardo che vedo al loro interno. O non voglio.
"Ryoga" dico, senza fiato. Un piccolo, triste sorriso compare sulle sue labbra ma non tocca lo sguardo colmo di pace nei suoi occhi.
"Se lascio che ti capiti qualcosa, lei non mi perdonerà mai. Mi odierà per sempre, e non potrei sopportarlo".
Fa un passo indietro e mi saluta con quel suo dannato ombrello.
"Va’ da lei", dice, poi si volta e lancia nel buio davanti a lui fasce-rasoio, mentre le ombre salgono, ruggendo. Mentre mani insistenti mi tirano da dietro io tento di raggiungere il buio, tento di riportarlo indietro.
"Ryoga, no... non...")

"…farlo," sussurro, e la rabbia se n’era andata così come era venuta.
Il mio pugno era fermo inutilmente nell’aria dietro alla mia testa. Ryoga non diede alcun segno di avermi sentito. Presi un profondo respiro e lo riabbassai lentamente. Guardandolo, guardandolo davvero, potevo vedere quanto fosse tormentato dalla colpa nelle linee della sua faccia, nei suoi occhi sfocati. Anche lui amava Akane, e sarebbe morto volentieri piuttosto che farle del male.
Io, tra tutti, avrei dovuto ricordarlo.
Cercai di trovare qualcosa da dire, continuando a trattenerlo per la tunica. Non ero mai stato bravo a organizzare i miei pensieri in parole, e ciò mi aveva causato guai senza fine nella vita.
In quel momento, però, sapevo che era importante trovare proprio la cosa giusta da dire a Ryoga, prima che se ne andasse e si perdesse così lontano da non poter esser più ritrovato. Presi un altro respiro profondo.
"Ryoga". Lui non alzò lo sguardo. "RYOGA". Lo scossi gentilmente. Finalmente mi mise a fuoco.
"Cosa".
"Quanto lontano vuoi correre, amico?". Mi guardò, senza capire. "Quanto lontano?", ripetei. Lui scosse la testa.
"Io non..."
"Quanto lontano dovrai correre per scappare dalla tua colpa? Dove puoi andare, dove non ti sentirai colpevole per quello che è successo?". Lui distolse lo sguardo e io lo scossi ancora, più forte questa volta, finché non ricambiò lo sguardo.
"Ascoltami", dissi gentilmente. "Ho corso più lontano di quanto tu non possa mai fare, e ti posso dire che questo non aiuta. Non puoi scappare da te stesso, Ryoga. La colpa ti divorerà, straziandoti le viscere, finché non ci sarà rimasto niente. La sola cosa che puoi fare è andare alla palestra Tendo, guardare Akane negli occhi, e scusarti. E lasciare che ti perdoni".
Un po’ di vita ritornò nei suoi occhi a queste parole.
"Ma cosa... cosa faccio se non lo fa?", chiese a voce bassissima. Sorrisi.
"Ryoga, quello che è successo è stato stupido e sconsiderato, ma è successo e non puoi far niente per cambiarlo. Tu non volevi che succedesse, e lei lo sa. Vuoi partire per i tuoi vagabondaggi lasciando le cose così? Lasciandola a chiedersi perché non ti sei mai scusato? Perché non hai mai cercato di spiegarle? Perché non sei mai andato da lei per assicurarti che stesse bene?".
Quello lo convinse. Riuscii a leggergli negli occhi che aveva deciso.
"Hai ragione, Ranma. È la cosa giusta da fare". Si rialzò, raddrizzò le spalle, lasciò uscire un profondo sospiro, e sorrise debolmente. Mollai la presa sulla sua maglia e annuii. "Grazie, Ranma. Ora so cosa devo fare." Dicendo questo, si voltò e partì.
"Ryoga!" lui mi guardò, confuso. "La palestra è in quella direzione!".
Fece un sorriso sconsolato, e io sospirai. Come avevo potuto dimenticarmi del suo terribile senso dell’orientamento?
"Beh, immagino di poterti seguire", mi disse timidamente. Io sbattei le palpebre. Seguire me?
Oh, merda. Ma certo. Lui pensava che io fossi l’altro Ranma! Considerando il suo stato mentale dopo l’incidente, lui poteva benissimo non aver neanche notato che c’erano due Ranma. Non avevo alcuna intenzione di tornare alla palestra, ma come facevo a dirglielo? E se qualcuno non l’avesse accompagnato, si sarebbe sicuramente perso, e tutti i miei buoni consigli non sarebbero serviti a niente.
Mi decisi. L’avrei accompagnato e poi l’avrei lasciato alla porta sulla strada. Così, potevo essere sicuro che non avrebbe perso la calma. Dopo tutto, non avevo molto altro da fare.


Akane era di pessimo umore. Ranma decise che doveva significare che stava meglio.
"Sto bene, davvero", protestò per quella che doveva essere la centesima volta. "Mi sento molto meglio".
Il dottor Tofu si alzò da dove si era seduto sul suo letto e le sorrise.
"Mi sembri a posto, Akane. Hai un bel colore e non c’è alcun segno di ferite. Comunque, gli shock possono essere davvero dispettosi, quindi voglio che tu te la prenda comoda per il resto della giornata, va bene? Niente di stressante, niente compiti, niente arti marziali e", sorrise con condiscendenza, "niente baruffe con Ranma. Va bene?". Akane sbuffò.
"Va bene, d’accordo, se è solo per un giorno", brontolò. Tofu lanciò un’occhiata al muro dove Ranma stava appoggiato, fissando il pavimento.
"Niente agitazioni, giusto, Ranma?". Lui alzò lo sguardo e sorrise debolmente.
"Sicuro, doc. Ho capito". Tofu si girò verso il corridoio, solo per incontrare Kasumi che entrava con un vassoio per la cena.
"Oh, dottore, ho portato ad Akane qualcosa da mangiare. Spero che vada tutto bene". La ragazza sorrise dolcemente e Ranma sogghignò al vedere Tofu accendersi di un rosa brillante.
"Ah, ah, Kasumi, certo, sì, è tutto, ah, a posto...". Sembrava totalmente in palla, l’esatto opposto del calmo professionista di pochi momenti prima.
"Kasumi, non dovevi!", protestò Akane. "Non sono un’invalida! Non faccio che dire a tutti che sto bene!". Kasumi si limitò a sorridere e posò il vassoio sopra al comodino di Akane.
"Oh, Ranma, i tuoi genitori hanno chiesto se puoi scendere e parlare con loro", aggiunse. Ranma annuì e si staccò dal muro. Sapeva cosa lo aspettava. Si diresse verso la porta.
"Ranma". Si voltò per vedere Akane che lo guardava, preoccupata. Le lanciò un sorrisetto.
"Mangia la tua cena, Akane. È ora di affrontare la musica". Uscendo chiuse delicatamente la porta. Dentro, sentì Kasumi dire qualcosa al dottor Tofu, e lo sentì spiccare una risposta nervosa. Si attardò un momento dietro la porta, desiderando di poter tornare dentro, poi sospirò. Non c’era ragione di ritardarlo.


Lo sguardo sul viso di sua madre gli disse che lo aspettava un brutto quarto d’ora. Suo padre era seduto di fianco a lei, assorto a studiare la superficie del tavolo. E Ukyo era lì. Lui sbatté le palpebre. Si era completamente dimenticato di lei. Li aveva seguiti, portando le loro cartelle. Si chiese perché fosse ancora lì.
"Siediti, Ranma", disse freddamente sua madre. Si sedette di fronte ai suoi genitori, di fianco a Ukyo. Ukyo lo guardò ma non disse niente. Il silenzio si protrasse per lunghi secondi mentre Nodoka studiava suo figlio, poi finalmente parlò.
"Ranma, sono molto delusa". Se il suo tono prima era stato freddo, ora era assolutamente gelido. "Perché il modo in cui hai messo in pericolo Akane è stato stupido e imperdonabilmente sventato. Le tue azioni sconsiderate avrebbero potuto uccidere la tua fidanzata, e da come l’ho capita ci sono andate molto vicino". Ukyo sussultò alla parola «fidanzata». Ranma non lo notò.
"Mamma...".
"Fa’ silenzio". Lei non alzò la voce. Non ne aveva bisogno. Era una lama ben temprata che non avrebbe ammesso disobbedienza. Lui si zittì. Dopo un momento, lei riprese. "Tu e il tuo amico Ryoga avete padroneggiato alcune tecniche molto potenti e potenzialmente mortali. Ma ancora non sembrate aver padroneggiato un semplice ma vitale concetto delle arti marziali. La disciplina". Lei lanciò uno sguardo severo a Genma, che stava ancora conducendo la sua esplorazione sul piano del tavolo. "Suppongo che noi tutti sappiamo chi incolpare per questa lacuna nella tua istruzione. Sono molto dispiaciuta. Questo non è il tipo di comportamento che io mi aspetto da mio figlio, che si supponeva dovesse essere cresciuto come un vero uomo, un uomo tra gli uomini". Ranma e suo padre impallidirono entrambi a queste parole, mentre lo sguardo di Ranma scivolava sulla katana fasciata al fianco di sua madre. Lei aveva cercato di accettare il loro problema, col tempo, ma Ranma non aveva particolari interessi a forzare la sua fortuna da quando i suoi erano arrivati a un «accordo» per la sua istruzione.
"Suppongo comunque che il tuo operato per soccorrere Akane sia una buona attenuante", continuò, "così come il fatto che le hai salvato la vita".
"Cosa?", chiese Ranma, sorpreso. Sua madre si accigliò.
"La tua amica Ukyo mi ha detto che hai salvato Akane...". Ukyo si schiarì la gola, apparendo chiaramente a disagio.
"Beh, non è esattamente quello che ho detto", mormorò Ukyo. "Ho detto che Ranma ha salvato Akane...".
Nodoka aggrottò le sopracciglia.
"È quello che ho detto, cara". Ukyo si voltò verso Ranma, impotente.
"Non so come...". Ranma alzò la mano per rassicurarla.
"Va tutto bene, Ucchan. Proverò a spiegarglielo".
"Sì", disse Nodoka, con la voce che si approssimava allo zero assoluto. "Te ne prego".
"Il tipo che ha salvato Akane mi assomigliava. Voglio dire, era vestito come me, sembrava me, parlava come me, si muoveva addirittura come me! Non c’è molta gente veloce abbastanza da agguantare Akane e scamparla da quelle traversine. Era come... beh, non è che ho qualche fratello gemello che non conosco, vero?".
"Non essere ridicolo, figlio!" scattò suo padre, facendosi sentire per la prima volta. Ranma fremette.
"Beh, ho un sacco di fidanzate che non avevo mai conosciuto!", ribatté.
"Che cos’è successo a questo... altro Ranma?", interruppe sua madre, aggrottata. Ranma sospirò.
"Ha salvato Akane, poi se n’è andato".
"Cosa? E perché non hai provato a seguirlo?", chiese suo padre, oltraggiato.
"Ehi, non potevo mica lasciare lì Akane!".
"Piuttosto giusto, caro", disse Nodoka con comprensione, "spero che tu non stia suggerendo che avrebbe dovuto lasciare indietro la sua fidanzata per dare la caccia a quella persona". Genma chiuse la bocca con uno schiocco udibile e ritornò allo studio del tavolo. Nodoka spostò l’attenzione di nuovo su Ranma e Ukyo, guardandoli duramente, ma prima che potesse continuare si sentirono delle voci dalla sala.
"Mi spiace interrompervi, ma Ryoga è qui per vedere Akane e ho pensato che a Ranma avrebbe fatto piacere saperlo".
"Um, Kasumi, lo sa già," disse una voce dal corridoio. Poi Ryoga entrò nella stanza e si immobilizzò.
"Allora, Ryoga, hai deciso di tornare a strisciare qui, eh?", grugnì Ranma. Dall’espressione sulla faccia di Ryoga, il ragazzo doveva pensare che Ranma l’avrebbe ucciso. Molto bene, pensò Ranma, facciamolo sudare.
"Giovane Ryoga Hibiki", disse Nodoka facendo cadere la temperatura interna della stanza di qualche altro grado. "Stavamo giusto discutendo di qualcosa che riguarda anche te. Siediti, per favore".
Lui non lo fece. Alzò una mano tremante e indicò Ranma.
"Tu... ma... come...". Ranma sospirò.
"Ryoga, prometto che non ti tocco, va bene?". Almeno non subito, aggiunse in silenzio. "Siediti". Poi sbuffò. La bocca di Ryoga si stava muovendo, ma non ne usciva niente.
"Ryoga, tesoro, che ti prende?", chiese Ukyo.
"Ma tu... tu non mi hai appena accompagnato dal parco?", riuscì finalmente a dire. Ranma impiegò solo una frazione di secondo per connettere.
"È LUI!", esclamò, saltando in piedi. Scattò oltre uno sbalordito Ryoga e si lanciò nel corridoio, uscendo dalla porta e guardando in tre direzioni alla volta. Uscì dal cancello, senza vedere niente di insolito, poi saltò sulla cima del muro sperando in uno scorcio di una camicia rossa o un codino nero.
Niente.
Si voltò e vide i suoi genitori, Ryoga, Kasumi e Ukyo dietro di lui. Scosse la testa.
"Nessun segno", riferì accigliato. Saltò giù, atterrando leggero vicino a Ryoga.
"Ranma, che succede?", chiese Ryoga. "Stai dicendo che non stavo parlando con te?".
"Ryoga, credevi davvero che quel tizio fossi io? Era così convincente?". Ryoga aggrottò le sopracciglia.
"Ora che ci penso, ha parlato con me anziché colpirmi, e in effetti mi ha dato dei consigli piuttosto buoni". Ryoga guardò Ranma. "Avrei dovuto immaginare che non eri davvero tu".
"Ryoga", sibilò Ranma, "chi ha salvato Akane quando stavamo combattendo?". Ryoga sembrò sorpreso.
"Io, uh... non l’ho guardato con attenzione, in realtà. Ero troppo preoccupato per...". I suoi occhi si sbarrarono quando colse l’implicazione. "Vuoi dire...?". Ranma annuì.
"L’Uomo del Mistero in persona. Il problema è...".
"Ranma. Ryoga. Sono così contento di vedervi entrambi". Soun Tendo era sotto il portico, con gli occhi iniettati di sangue, un sorriso sdolcinato sulla faccia. Non sembrava felice di vederli. "Venite qui un momento, ragazzi, voglio... parlarvi". Ryoga scomparve dietro un minuscolo Ranma, artigliando la sua camicia in una stretta mortale. Ranma tremò allo sguardo negli occhi del padre di Akane.
"Oh, ragazzi", bisbigliò. "Siamo morti".
"Papà, perché non torni dentro", disse dolcemente Kasumi, "ti porterò qualcosa da bere e ti massaggerò i piedi. Non vuoi?".
"Non ora, cara", rispose allegramente. "Andiamo, ragazzi, cosa state aspettando?". I suoi denti erano stretti nel sorriso meno sincero che Ranma avesse mai visto. Provò a muoversi ma Ryoga lo aveva agganciato ed era piantato sul posto.
"Tendo", disse cordialmente Genma, "abbiamo già parlato ai ragazzi per quello che è successo...".
"Ma sembrano ancora così sani, Saotome", ghignò. "Lascia che ci parli IO per un po’". Fece un passo verso la coppia rimpicciolita.
"Papà!". Tutti si voltarono per vedere un’arrabbiata Akane ritta nel vano della porta. "Cosa stai facendo?".
"Akane, non dovresti essere fuori dal letto! Il dottore...".
"Il dottore ha detto che starò bene, papà, finché non mi agito".
"Il dottore ha anche detto niente agitazione, e diceva sul serio", disse Tofu solennemente, seguendo Akane fuori dalla porta. "Penso che tutti dovrebbero semplicemente darsi una calmata". Fissò Soun con decisione e aggiunse "Ordini del dottore." Con riluttanza, Soun aprì i pugni, continuando però a lanciare occhiate taglienti a Ranma e Ryoga. "Bene. Ora, nessuno s’è fatto niente, così perché non proviamo tutti a evitare che questo rischio si ripeta, mh? E Akane, non credo che dovresti startene fuori in pigiama". Akane diventò rossa e annuì.
Kasumi ringraziò il dottore, che immediatamente cominciò a balbettare e poi si allontanò, coi piedi che toccavano a malapena il terreno.
Ryoga aveva appena cominciato ad allentare la presa sulla camicia di Ranma quando Nodoka disse: "Ora, ragazzi, credo che dovremmo continuare la nostra conversazione. E mi piacerebbe sentire tutto riguardo questo misterioso altro Ranma". Ryoga cominciò a irrigidirsi di nuovo e Ranma dovette girarsi e aprire le sue dita.
"Andiamo, amico. È ora di affrontare la musica". Guidò un poco entusiasta Ryoga dentro la casa.


Akane si sedette sul suo letto e sospirò profondamente. Gli eventi della giornata l’avevano spossata, e anche se era presto, stava considerando l’eventualità di mettersi a dormire e basta.
Ryoga si era letteralmente prostrato davanti a lei per chiederle scusa riguardo quello che era successo. Un’occhiata all’espressione contrita sul suo volto l’aveva convinta che lui era stato scosso dall’incidente come lei, se non di più. Lo aveva perdonato dopo avergli chiesto di non combattere più con Ranma. Non aveva idea di quanto quella promessa sarebbe durata, ma valeva la pena tentare.
E poi c’era Ukyo. Lei non era stata capace di guardare Akane negli occhi per qualche ragione, e se n’era andata poco dopo il dottor Tofu. Akane era confusa dal suo comportamento. Tra tutti, lei era l’unica a non doversi sentire in colpa per qualcosa.
Sospirò ancora, ascoltando il suo collo schioccare mentre ruotava la testa, sciogliendo i muscoli tesi. P-chan si era fatto vedere poco dopo la partenza di Ryoga ed era raggomitolato vicino a lei nel letto. Lei si abbassò per dargli un grattatina in mezzo alle orecchie. C’era, naturalmente, un’altra questione che la preoccupava molto più del comportamento di Ukyo.
Qualcuno bussò alla porta.
"Avanti". La porta si aprì e Ranma allungò la testa dentro.
"Uhm, hai un secondo, Akane?", chiese cautamente. Lei annuì e il ragazzo entrò nella stanza. Le aveva girato attorno con fare guardingo fin dall’incidente, il che l’aveva irritata almeno quanto il modo con cui aveva battibeccato con lei prima che accadesse. Lo vide irrigidirsi al vedere P-chan, e si rabbuiò.
"Lascia in pace P-chan, Ranma. Per qualche motivo stasera è molto teso". Ranma sembrò sul punto di dire qualcosa, poi si limitò ad annuire. Si avvicinò al letto e si lasciò cadere sulla sedia di Akane.
"Dunque, ecco... mi dispiace". Lei sbatté le palpebre.
"Prego?".
"Mi dispiace," ripeté, guardandola negli occhi. "Io e Ryoga avremmo dovuto essere più prudenti, e avremmo potuto... farti davvero male". Lei avrebbe detto che stava per dirle qualcos’altro, e poteva immaginare cosa sarebbe stato. "Comunque, sono contento che tu non ti sia fatta male, tutto qui". Saltò giù e guardò il pavimento, mentre un flusso di sangue gli saliva agli zigomi. Akane era impressionata. Ranma era molto orgoglioso e pieno di sé. Gli costava molto ammettere di essersi sbagliato. Si alzò per posare leggermente la mano sul suo braccio. Lui sorrise a quel gesto, e rialzò lo sguardo su di lei.
"Ah, c’è qualcos’altro di cui ti vorrei parlare", disse con calma. Il suo sorriso morì subito.
"Vuoi dire lui". Non ci voleva un genio per capire che cosa gli passasse per la mente.
"Già. Lui. Lui ti ha salvata, lui ha riportato qui Ryoga, io... ma chi diavolo è? Tu gli sei stata molto vicina, Akane. Hai notato qualche differenza?". Akane, colpita dal tono risentito nella voce di Ranma, ci pensò un momento. Lo sguardo negli occhi del ragazzo la pregava di dire che lei non si era ingannata, che c’era un solo Ranma e ce ne sarebbe sempre stato uno.
Ma non poteva. Lei non aveva visto o avvertito alcuna differenza in quel momento. In effetti, lo sguardo preoccupato negli occhi dell’altro Ranma si era rispecchiato quasi esattamente nello sguardo del suo Ranma mentre la riportava alla palestra. Ricordava uno sguardo tenero, gentile, che avrebbe desiderato vedere sul suo viso più spesso. Stare tra le sue braccia... tra le loro braccia... le era piaciuto più di quanto avrebbe mai ammesso con nessuno.
"Non lo so, ero un po’ scossa, Ranma, ma devo ammettere che ho pensato che fossi tu", disse finalmente, sentendosi un po’ colpevole vedendo la sua espressione cadere. "Tutto di lui sembrava lo stesso. Ranma, chi può essere? Da dove è venuto? Può avere qualcosa a che fare con la tua maledizione?".
"Me lo stavo giusto chiedendo. Non so chi sia veramente questo tizio, Akane, ma intendo scoprirlo".
"Come?".
"Tutti quelli che l’hanno visto dicono che è proprio come me. Bene, intendo mettere alla prova questa piccola teoria". Si alzò e si volse verso la porta. Akane si alzò, allarmata.
"Ranma!". Lui si voltò. "Sii prudente, d’accordo?".
"Ehi, Akane," disse lui con una traccia della sua solita asprezza, "mi conosci". Strizzò l’occhio e uscì dalla stanza.
"Sì", sussurrò lei, "ecco perché te l’ho detto. Stupido". Strinse un mugolante P-chan al petto e cercò di convincersi che non c’era niente di cui preoccuparsi.


Sedevo con la schiena contro il tronco di un albero e guardavo il sole tramontare. La brezza della sera aveva rinfrescato l’aria, ma non pensavo che la notte sarebbe stata intollerabilmente fredda. E se lo fosse stata, bene, mi ci sarei adattato e basta. Un tempo ne avevo passate di peggiori, allenandomi con mio padre.
C’erano poche cose a cui non mi potevo adattare.
Affondai pigramente le dita nell’erba soffice dell’argine.
Là il fiume girava, e quella piccola macchia di alberi era un posto perfetto per guardare sotto la gentile pendenza la corrente scorrere, o per vagare con lo sguardo lungo la linea dei grattacieli del centro e guardare il tramonto. Era il mio nascondiglio segreto, un posto dove venivo quando avevo bisogno di stare lontano da tutto e da tutti. Non ne avevo mai parlato a nessuno.
Perciò mi sorpresi quando sentii un sottile fruscio dietro di me, ma solo per un secondo. Dopo tutto, supponevo di averlo dovuto sapere. Faceva uno strano effetto. Parlai senza voltarmi.
"Ciao, Ranma", dissi.




Fine prima parte
1/4/1997

Revisione versione originale inglese: 23/7/1997
Revisione traduzione italiana: 3/4/1998
Betalettura a cura di TigerEyes: 26/7/2011

Nel caso doveste riscontrare refusi che mi sono sfuggiti, vi prego di segnalarmeli, grazie.
   
 
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