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Autore: BaschVR    31/07/2011    4 recensioni
“E’ così strano?” domandò Cissnei, fissandolo a suo volta nei luminosi occhi azzurri. “Difficilmente rivivrò un’esperienza del genere. Me lo sento. Però… non so, ma il sole, il mare, la gente che ride… qui si respira un’altra atmosfera rispetto a quella che c’è alla ShinRa. E poi, il poter stendersi qui, senza preoccupazioni, a guardare il cielo attraversato dalle nuvole, o le stelle, la notte… è tutto diverso. A Midgar non si riescono a vedere nemmeno le stelle. O almeno, non dall’interno della città. Troppe luci, credo”.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli scuri, sorridendo. “Non è strano per niente. Anzi, sai che ti dico? Questo è il luogo dove ritorneremo, insieme, quando le cose alla ShinRa si saranno sistemate!”

[Remake di After Crisis]
Genere: Dark, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cissnei, Cloud Strife, Scarlet, Tseng
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core
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Capitolo 5
 

C’era qualcosa, nella sottile pioggia che solcava leggiadra i vetri della sua auto, che lo rendeva ansioso, livido, incapace di emettere alcun suono che non fosse quello di uno stanco sospiro di disapprovazione. Il silenzio all’interno dell’abitacolo era greve, massiccio, inasprito dal battito pulsante delle gocce di pioggia che s’infrangevano soavi e cariche di disprezzo, scivolando lentamente lungo il finestrino. Incrociò gli occhi con il sottile orologio da polso che portava al braccio sinistro: le quattro e ventuno. Quella notte tremendamente lunga non aveva ancora nessuna intenzione di intravedere la tanto agognata alba.
Gettò uno sguardo vago al cellulare, immobile in uno dei tanti vani portaoggetti pieni di inutili scartoffie. Lo prese in mano grossolanamente, facendo scivolare in fretta il proprio dito sul tasto di spegnimento. Lo stress delle ultime ore gli aveva procurato un grande, terribile mal di testa, e non aveva certo intenzione di condividerlo con il resto del mondo. Portò una mano alla tempia, quasi improvvisando, mentre con l’altra teneva ancora il volante, distratto, avanzando nel fragore crescente della tempesta. Ripercorse con la mente le tappe di quella lunga ed oscura notte, passata a tessere intrighi sulla tela del fato: disfaceva il filo dei suoi ricordi, smembrandolo in più parti, cercando di ricordare ogni parola dei discorsi di poche ore prima con Tseng e Scarlet. Era sicuro di essere riuscito a manovrare entrambi: dopotutto, aveva studiato i suoi piani con estrema attenzione, facendo in modo che coincidessero almeno apparentemente con quelli della direttrice; in quella notte, aveva davvero messo in moto gli ingranaggi che lo avrebbero portato alla vittoria.
Il cupo rombo della pioggia lo riscosse momentaneamente dai suoi pensieri. L’auto avanzava per le strade deserte un po’ a fatica, scivolando sulla spessa cortina di ghiaccio che la notte aveva portato con sé; si disse di fare più attenzione, se non voleva schiantarsi contro un muro. Aguzzò la vista per riuscire a distinguere gli edifici che incorniciavano il grande viale in cui si trovava, chiedendosi se mancasse ancora molto alla meta: quando riconobbe uno dei locali più dimessi della sesta strada, capì di essere finalmente vicino alla sua destinazione.
Involontariamente, le sue mani andarono ancora una volta sulle tempie pulsanti. Era sicuro di aver controllato qualunque cosa, e che ogni parte del suo piano fosse pressoché architettata alla perfezione. Ma allora, cos’era quella sensazione che gli impediva di felicitarsi per la riuscita dei suoi progetti? Sentiva che qualcosa non andava. Aveva certamente dimenticato un dettaglio, o magari non era stato abbastanza cauto in alcune sue mosse. Forse Scarlet si era accorta di qualcosa ed aveva cominciato a pedinarlo, e così aveva scoperto dei piani per sovvertire i suoi progetti. In effetti, adesso che ci pensava, c’erano troppe falle in quelle che aveva definito strategie perfette: frammenti lasciati al caso, ma che, con la giusta spinta, potevano irrimediabilmente rovinare ogni cosa.
Magari, era solo il suo latente nervosismo a parlare. Magari era il suono della pioggia che lo rendeva inquieto. Magari, quando il tifone avrebbe lasciato la città, i suoi sensi avrebbero ritrovato pace.
Magari, era destino che qualcosa andasse irrimediabilmente storto.
Le sue labbra si schiusero in un breve sospiro di riprovazione. Quando spense il motore dell’automobile, esausto, ebbe l’impressione che lo scroscio costante del temporale aumentasse addirittura d’intensità.
Il vento sferzava il suo viso con raffiche improvvise di gelo che lo costringevano a socchiudere gli occhi, ansante. Con soffi così poderosi era inutile persino tenere aperto l’ombrello. Avanzava con fatica, un passo dopo l’altro, mentre l’usuale sporcizia che distingueva la ragnatela di strade di Midgar veniva trascinata dal vento e dalla pioggia via dalla strada, verso i bassifondi. Dopotutto, nei bassifondi finiva tutto ciò che, a detta della ShinRa, non doveva essere mostrato.
I suoi passi si arrestarono davanti ad un edificio come tanti, un po’ dimesso, la cui luce proveniente dalle finestre appariva flebile nella foschia di una Midgar dilaniata dalla tempesta. Si strinse più forte nella sua lunga giacca invernale: poi, una volta emesso un lungo sospiro, si avvicinò lentamente alla porta e bussò tre volte, in rapida successione.
Mentre attendeva che qualcuno gli aprisse, sotto lo scroscio pulsante della pioggia che si abbatteva sulle strade, i suoi pensieri ripercorsero ancora una volta i numerosi intrighi che aveva intrecciato quella notte. Si rianimò, convincendosi di aver agito per il meglio e di non aver lasciato nulla, nemmeno la più sottile eventualità, sotto le direttive del caso. Sì, era la cosa giusta da fare: dopotutto, era da parecchio che non agiva più solamente per se stesso, nonostante fosse quella l’immagine che la gente poteva avere di un uomo che aveva anteposto ad ogni cosa la strada per il potere.
La porta scivolò lentamente sui propri cardini, producendo un sottile cigolio appena udibile nel fragore vibrante del tifone: sul volto della donna che gli stava davanti, per un momento, scivolò un’ombra di stupore.
“Non credevo che sarebbe venuto anche oggi. E’ la tempesta più violenta degli ultimi vent’anni.” La donna si ricompose velocemente, scostandosi leggermente dall’uscio per far sì che Michael entrasse.
“Avrebbe dovuto immaginarselo” commentò Michael, serio, facendole un cenno di saluto con la testa.
“Già, forse. In tutti questi anni non ha mai mancato una settimana.” La voce della donna si fece più seria, mentre richiudeva la massiccia porta alle spalle di Michael.
La sala d’attesa dell’edificio era stretta, un po’ angusta, con un pavimento a scacchi sbiadito dal tempo e dall’usura. Le pareti erano verdi, leggermente umide, quasi soffrissero della vigorosa tempesta che stava piegando Midgar in ginocchio. Senza ulteriori indugi si avvicinò al bancone, seguito dalla donna.
“Il paziente della camera 13 sta dormendo, mi spiace” esordì lei, mentre consultava rapidamente diversi fascicoli posti sulla sua scrivania.
“Non mi importa. Non è che mi aspettassi diversamente, data l’ora.”
“Sembra che questa notte sia destinata a non terminare mai” commentò quella in risposta, quasi leggendogli nella mente. “Credo sia colpa del tempo, sa. Non che di solito Midgar sia abbagliata dal sole, ma… con nuvoloni del genere, credo che non avremo nemmeno un po’ di luce per un bel po’ di giorni… sarà triste.”
Michael non rispose, forse perché non aveva particolarmente voglia di stare a contatto con la gente, a quell’ora. Era stanco e provato dalla sferzante bufera di eventi che aveva coinvolto la ShinRa, e tutto ciò che voleva era soltanto attendere e lasciare che il destino si compisse, nonostante tutto ciò che riguardava il futuro lo turbasse più di quanto riuscisse ad ammettere persino a se stesso. Quando la donna gli intimò di seguirla, Michael era ancora perso tra i suoi pensieri, e si riscosse solamente quando quella, fermandosi bruscamente, aprì la porta della camera 13 e lo invitò ad entrare.
“Si prenda tutto il tempo che vuole” disse, facendo scivolare la mano sulla maniglia.
Michael annuì e la ringraziò a bassa voce; poi, con un respiro profondo, entrò all’interno della camera e richiuse la porta alle proprie spalle, con un leggero tonfo il cui eco fece vibrare appena le finestre rigate dalla pioggia.
E infine, era arrivato. La stanza era piccola, forse anche più di quanto ricordasse, nonostante non vedesse quel luogo da solo una settimana; la luce al neon era fredda e innaturale, e illuminava con violenza le pareti completamente bianche della stanza. Mentre si avvicinava lentamente al letto bianco all’interno della camera, diversi lampi squarciarono il cielo notturno, illuminando con chiarezza, anche solo per un attimo, l’intera Midgar in preda alla furia del vento e della pioggia.
Lentamente, alzò un braccio fino a toccare la guancia della bambina che dormiva serenamente nel candido letto della stanza. Scottava di febbre, ma non se ne sorprese più di tanto: dopotutto, non era una novità.
Ebbe la tentazione di svegliarla, di scuoterla leggermente per un fianco fino a farle aprire gli occhi gonfi di sonno; e poi di parlarle, perché sentiva che poter esternare a qualcuno le proprie preoccupazioni avrebbe potuto aiutarlo, tranquillizzarlo in quella turbinosa notte in cui aveva scelto di venire allo scoperto. Ma non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, perciò si limitò a scostarle una ciocca di capelli chiari dal viso e ad osservarla dormire, in silenzio, mentre pensieri sconnessi si agitavano nella sua mente, trainati dalla crescente inquietudine che lo irretiva e che, ne era certo, lo avrebbe sicuramente portato a commettere un passo falso. Mentre osservava il viso della figlia, si chiese se quella sarebbe stata l’ultima occasione in cui avrebbe potuto vederlo: il destino aveva già dimostrato di essergli avverso, ed un ulteriore attacco durante quella notte avrebbe potuto rivelarsi fatale.
In quel momento, mentre la tempesta infuriava per le strade della città, ogni cosa era nelle mani di Tseng. Se avesse consegnato l’Antica ad Hojo, Scarlet non sarebbe riuscita a prendere il potere e lo scienziato avrebbe rispettato i loro patti. E Michael Kreuger, finalmente – per la prima volta da parecchio, forse – avrebbe potuto essere libero.
 
 
 
 
 
Era accaduto parecchio tempo prima, in un’altra serata di pioggia, quando il futuro della ShinRa era ancora ricolmo di sogni e speranze – era l’epoca dei Soldier e di Sephiroth, dopotutto. Ricordava qualcosa, nel tiepido fragore del temporale che si abbatteva sulla città silenziosa, che lo circuiva e ammaliava al tempo stesso, spingendolo ad osservare con sempre rinnovato interesse le gocce che scivolavano lungo la superficie delle grandi vetrate della ShinRa.
Ricordava di aver ammirato la pioggia scendere oltre il bordo della finestra, mentre i suoi pensieri, sfuggevoli come la scia leggera dell’acqua, si muovevano vorticosamente, trainati dal turbine degli ultimi eventi che l’avevano travolto con la forza del temporale che si era abbattuto sulla città.
D’un tratto, s’era ritrovato a respirare profondamente, percorrendo con le dita la linea elegante di una goccia d’acqua appena infrantasi contro la superficie velata del vetro. La testa gli pulsava terribilmente, ma non se n’era preoccupato, poiché aveva questioni più urgenti a cui pensare e che richiedevano prepotentemente la sua attenzione.
Quando uno scienziato dal viso anonimo lo aveva chiamato, chiedendogli di seguirlo, Michael aveva tirato un profondo sospiro, in preda all’agitazione; poi, cercando di dissimulare il proprio nervosismo, s’era alzato in piedi e, a passi lenti e ben calibrati, l’aveva seguito fino all’interno del laboratorio del Professor Hojo, guardandosi intorno in un misto di timore e preoccupazione.
Alla fine, era stato condotto proprio davanti al sorriso sardonico del direttore del reparto scientifico, che l’aveva osservato con lo stesso malcelato interesse perverso che avrebbe avuto per una qualsiasi cavia da laboratorio. I suoi occhi s’erano stretti fino a diventare due fessure, mentre con una mano raddrizzava gli occhiali su per il lungo naso.
“Devo dire che non mi sarei mai aspettato una tua visita, Michael Kreuger” aveva gracchiato Hojo, sorridendo beffardo. “Ho sempre pensato che il tuo testone fosse così pesante da non permetterti neanche di alzarti dal letto di Scarlet.”
Michael non aveva risposto, perché sapeva che Hojo non avrebbe mai resistito all’idea di canzonarlo un po’. Era rimasto in silenzio, mordendosi le labbra per non controbattere alle provocazioni che l’altro elaborava con l’ombra di un ghigno sottile sul viso.
“D’altro canto, però,” aveva ripreso Hojo, schiarendosi la voce e guardandolo negli occhi, “sapevo che saresti venuto da me fin dalla prima volta che ho sentito di tua figlia. Insomma, Eliza Kreuger affetta da intossicazione da mako? Non è mica uno scandalo a cui la ShinRa deve porre rimedio, è soltanto un pettegolezzo succoso che non farà altro che alimentare quelle meravigliose voci nei tuoi confronti. E questa faccenda sarà la tua rovina.”
“Ma tu stai conducendo diverse ricerche sull’intossicazione da Mako…” aveva protestato Michael, avvicinandosi di qualche passo allo scienziato gongolante. “Potresti inserirla nel programma di sperimentazione Soldier che…!”
“Credi sul serio che userei il corpo di un fragile essere come tua figlia per i miei esperimenti?” il ghigno vibrante sul volto di Hojo si era aperto sempre più, fino a schiudersi in una risata stridente che aveva fatto scorrere diversi brividi sulla sua schiena. “Perché non ti rivolgi semplicemente ad un becchino, allora?”
D’un tratto, aveva sentito i propri muscoli del viso irrigidirsi. “Si dice che con Lucrecia Crescent però non ti sia fatto problemi, vero? Quindi non sarebbe la prima volta che…”
“SILENZIO!” il grido improvviso di Hojo l’aveva zittito in un istante, ma qualcosa nel suo viso, in quel momento, gli aveva suggerito che forse era quello il tasto giusto da premere per ottenere ciò che desiderava.
Hojo si era ricomposto in pochi attimi, tuttavia i suoi occhi lo avevano guardato con sospetto e ammonizione. “Forse potrei accettare la tua richiesta. Dopotutto, è da parecchio tempo ormai che le mie ricerche non vertono più sulle direttive del Presidente. Suppongo che aggiungere un paziente idoneo al programma di sperimentazione non sarebbe un… problema.”
Michael aveva alzato lo sguardo, quasi incredulo per le parole dello scienziato davanti a lui. Proprio allora, però, aveva notato con timore l’ampio ghigno sul volto di Hojo. “Tuttavia, credo che… chiederò qualcosa in cambio. Giusto perché ritengo che Scarlet non sia per nulla adatta a diventare Presidente di una compagnia come questa.”
I loro occhi si erano incontrati nuovamente, ed era stato in quel momento che Hojo – osservando la determinazione di un padre disperato – aveva compreso di aver trovato un prezioso alleato in quel gioco di potere contro Scarlet.
Così, in una serata di pioggia di qualche tempo prima, Michael e Hojo avevano stretto un patto. Michael avrebbe dovuto tradire Scarlet e consegnare l’Antica al reparto sperimentazione scientifica, attribuendo ad Hojo il merito della sua cattura. A quel punto, Hojo sarebbe riuscito a prendere il potere e a spodestare il presidente, e solo allora la figlia di Michael – già in fin di vita – avrebbe potuto avere una possibilità di salvezza.
 
 
 
 
 
La tempesta di Midgar, se possibile, sembrò aumentare d’intensità durante tutta l’ora successiva. Quando l’orologio sulla sua scrivania in mogano segnò le sei e trenta del mattino, Scarlet, con un mezzo sorriso tirato, gettò uno sguardo di sfuggita alla sottile linea dell’orizzonte oltre Midgar, quasi invisibile nella furia della pioggia ininterrotta e del vento. Il sole, che già raramente lambiva la ragnatela di strade di Midgar, sembrava non esser nemmeno sorto: il buio delle strade persisteva con la stessa intensità di alcune ore prime, quando era ancora notte fonda. Interi settori della città erano in pieno blackout, probabilmente a causa dei danni del vento e della pioggia ai generatori di elettricità: dovunque, la luce sembrava flebile ed effimera, pronta ad annichilirsi per l’effetto del tifone che aveva colpito la città con inaudita violenza.
Un lampo squarciò il cielo plumbeo e gonfio di pioggia a poche centinaia di metri della sua finestra, mentre i suoi occhi si dilatavano per la sorpresa: appena pochi secondi dopo, un intero vicolo della città ardeva tra le fiamme di un generatore d’energia esploso. Il boato che seguì l’esplosione fece tremare le grandi vetrate del suo ufficio. Mentre il bagliore pulsante delle fiamme che si espandevano a macchia d’olio, contrastando la pioggia battente, si rifletteva nei suoi occhi, si chiese quante fossero fino ad ora le vittime di quella tempesta: probabilmente, erano già centinaia solo nella parte superiore del piatto, non considerando i bassifondi. Tuttavia, non è che le importasse granché delle vite umane in pericolo nella città: la sua era una stima rigorosamente scientifica dei danni causati dal temporale, qualcosa che, nel momento in cui avrebbe preso il comando, si sarebbe rivelata di vitale importanza.
Era ormai certa della riuscita del suo piano. Dopotutto, la discussione avuta con Michael poche ore prima dimostrava la validità dei suoi progetti, che avrebbero trovato riscontro entro pochi minuti da quel momento. Ripensò alle parole dell’uomo, mentre la rassicurava sulla riuscita della strategia che avevano ideato insieme per ottenere l’Antica. Un leggero sorriso sprezzante le si dipinse sul viso, mentre prendeva un fascicolo dal cassetto più profondo della sua scrivania e lo osservava. Ma davvero Michael l’aveva creduta così stupida? Aveva creduto sul serio che non avrebbe raccolto informazioni sui suoi spostamenti e sulle sue intenzioni? Di certo non si sarebbe lasciata ingannare così, senza far nulla per contrastare le sue mosse. Al contrario, aveva lavorato duramente per far sì che ogni possibile mossa di Hojo e Michael potesse venire intercettata dalle sue spie: solo così era riuscita ad elaborare una strategia alternativa a cui avrebbe dato il via entro pochi minuti. Come ogni settimana, Michael aveva lasciato l’edificio ShinRa per andare a trovare Eliza nella casa di cura della sesta strada, ma al ritorno avrebbe trovato un comitato di benvenuto pronto a sequestrarlo. E con Michael fuori dai piedi, l’Antica sarebbe finita dritta nelle sue mani, e il Presidente – probabilmente l’unico escluso nel gioco di potere che mirava alla sua posizione – sarebbe stato arrestato e rinchiuso in una delle celle dei sotterranei.
Si era dimostrata più astuta dei propri avversari, ed aveva vinto la battaglia. Pregustò il sapore della gloria imminente, mentre alle sue spalle, oltre la spessa vetrata del suo ufficio, in basso, tra le strade di Midgar, il fuoco crepitava e s’inaspriva con violenza, riducendo a nero carbone le vite e i sogni degli abitanti di Midgar.
 
 
 
 
 
Michael osservava dal parabrezza la pioggia di scintille che si espandeva per l’aria. Il cielo sopra Midgar si era tinto di rosso, mentre l’incendio si propagava con rapidità trainato dal vento sferzante della tempesta. Alcune centinaia di metri alla sua destra, un altro generatore esplose con un grande boato che risvegliò l’intera città. Le urla dei cittadini di Midgar crebbero d’intensità, mentre la luce abbagliante di un terzo lampo annunciava l’ennesima violenta esplosione.
Scese dall’auto a passo svelto, guardandosi intorno e stringendosi nella propria giacca per cercare di ripararsi dal vento e dalla pioggia. Gli edifici alla sua destra sfumavano nel rosso cremisi delle fiamme, mentre i corpi della gente all’interno – i più probabilmente colti nel sonno – emanavano un odore nauseante di carne bruciata. Il calore delle fiamme era quasi insopportabile.
Risalì nell’auto, afferrando una manciata di documenti e una pistola dal cruscotto; poi, richiudendo la portiera alle sue spalle, cominciò a correre il più lontano possibile dalle possenti fiamme dell’incendio: inciampò nel cadavere semicarbonizzato di una donna mentre l’aria veniva scossa da un’ulteriore esplosione, e  le fiamme, ancor più selvagge e indomabili, avvolsero ben presto l’automobile che fino a qualche minuto prima l’aveva ospitato, distruggendola. I suoi occhi si spalancarono di sorpresa mentre diversi frammenti di lamiera fendevano l’aria alle sue spalle, incartapecorendosi e sfumando nel rosso accesso delle strade di Midgar. Si rialzò in piedi proprio mentre molti degli edifici alla sua destra cedevano sotto il loro stesso peso e una valanga di detriti invadeva la strada prepotentemente.
Si mosse con circospezione, evitando i numerosi cadaveri che gli intralciavano il cammino; ascoltò le grida disperate di un uomo sepolto sotto le macerie lambite dal fuoco, ma non fece nulla per cercare di salvarlo, e mentre un’ulteriore esplosione scatenava le fiamme con una nuova e rinnovata furia distruttrice, si chiese se Hojo avesse rispettato il loro patto anche qualora fosse morto. La risposta gli venne quasi spontanea, insieme ad un sorriso leggero carico di disprezzo che gli curvò gli angoli della bocca.
Muovendosi con circospezione evitò i cadaveri di due bambini trascinati in strada dall’onda d’urto dell’ultima esplosione: corse con forza, mentre la pioggia picchiava sul suo viso e il vento scuoteva forte le sue membra, cercando di ignorare le urla e lo sfrigolio della carne bruciata dal fuoco alle sue spalle.
E poi, all’improvviso, qualcosa afferrò una delle sue gambe, impedendogli di muoversi. Era un ragazzo, non più che quindicenne, semisepolto dalle macerie di una casa già bruciata che aveva ceduto sotto il peso delle sue fondamenta. C’era del sangue che colava dalla sua fronte, e mostrava diverse scottature sul viso.
“Ti prego, aiutami, le mie gambe…!”
Michael gettò un’occhiata alle fiamme trainate dal vento, poi guardò nuovamente il ragazzo, incerto sul da farsi. Alla fine si chinò su di lui e cominciò a spingere via le macerie. Il ragazzo tossì forte per i fumi dell’incendio, mentre cercava di dare una mano all’uomo che tentava di salvarlo.
“N… non riesco…” la voce di Michael era quasi rotta dallo sforzo. “Non riesco… a spostarlo…” Provò per un’altra manciata di secondi, poi si rimise in piedi, ansante. “Mi spiace… io, devo… devo andare via…!”
Il ragazzo rafforzò la presa sulla sua gamba. “Non lasciarmi qui, ti prego! Il vento soffia da questa parte, le fiamme arriveranno a momenti, ti prego, aiutami!”
“Lasciami andare!” esclamò Michael, mentre il cuore gli batteva a mille. Diede uno strattone, ma non aveva più molte energie e non riuscì a liberarsi dalla presa del giovane; a pochi metri, il fuoco venne alimentato dall’esplosione del serbatoio di un automobile. “LASCIAMI!”
Il ragazzo non sembrava intenzionato a lasciarlo andare, e Michael, quasi senza accorgersene, prese una decisione. Estrasse dalla giacca la pistola che poco prima aveva recuperato dal cruscotto della proprio auto e la osservò impassibile, mentre gli occhi del giovane si dilatavano per la sorpresa e la paura. Ma prima ancora che quest’ultimo potesse aprire bocca per supplicarlo, Michael lo aveva già colpito con il calcio dell’arma, e il ragazzo era già morto sul colpo, accasciandosi con grazia sulle rovine del marciapiede. La presa intorno al suo piede non sembrava più così salda, adesso.
E poi, ancora una volta, saette, vento, pioggia, fuoco: l’inferno si era scatenato sul settore 6 di Midgar, e la città stava ardendo annichilendosi sotto il peso della tempesta che l’aveva stracciata. Quando alla fine, correndo senza mai voltarsi indietro, raggiunse l’ombra rassicurante di un vicolo nei pressi dell’Edificio ShinRa, il suo cuore batteva forte e le sue mani tremavano terribilmente, ma di certo era ancora vivo. E mentre osservava il cielo rosso sopra di sé, e guardava le proprie mani sporche di sangue e polvere, si disse di analizzare con calma la situazione, e di decidere il da farsi una volta giunti al Quartier Generale. Mentre il suo respiro, lentamente, tornava regolare, si mosse con circospezione, incurante del proprio aspetto stravolto, ed entrò all’interno dell’Edificio ShinRa, fino a raggiungere la hall della struttura.
C’erano due uomini davanti al bancone d’ingresso. Appena lo videro, incuranti del suo aspetto, si fecero un cenno di assenso e gli andarono incontro, con un’espressione neutra sul volto.
“La Direttrice Scarlet vorrebbe vederla. Siamo stati incaricati di scortarla fino al suo ufficio.” Le loro voci non tradivano alcuna emozione, tuttavia, nel momento esatto in cui Michael le ascoltò, capì che qualcosa, nei suoi piani, era andato storto. E si dimenticò dell’inferno al Settore 6, dei morti, del fuoco, degli occhi di quel ragazzo che avevano implorato prima aiuto e infine pietà, mentre la sua mente si focalizzava su un unico pensiero che lo paralizzò e lo gettò in preda al terrore. Lei sa. Ha sempre saputo.
Con un gesto elegante portò la propria mano al mento, come se si stesse chiedendo il perché di quella strana convocazione, ma poi, con uno scatto repentino, la fece scivolare all’interno della giacca e, con la pistola in mano, sparò colpendo uno dei due uomini in testa.
Il sangue gli schizzò sul viso e sulla giacca nera, mentre il corpo dell’uomo crollava sul pavimento di marmo della hall. Mentre l’altro uomo osservava con stupore la bile rossa che sgorgava dal cervello del cadavere, Michael lo stese con un pugno e lo freddò colpendolo allo stomaco con un altro proiettile.
In breve, si scatenò il panico. Cominciò a correre per la hall, evitando gli spari dei numerosi fanti posti a guardia dell’entrata; poi si infilo in uno dei corridoi secondari del primo piano, mescolandosi tra la folla che si accalcava verso le uscite. Doveva andarsene, prima che lo uccidessero: se Scarlet l’aveva scoperto sul serio non sarebbe resistito molto lì dentro. In verità, doveva allontanarsi da Midgar: l’intera zona sarebbe stata sicuramente messa a ferro e fuoco dalla direttrice, nella speranza di trovarlo. Si avvicinò a una delle tante uscite di emergenza, ma con un tuffo al cuore si accorse che tutte le porte erano state bloccate. A quanto pare, Scarlet aveva progettato i suoi piani con cura.
Alle sue spalle accorsero diversi fanti della ShinRa. Michael ne colpì uno, poi si gettò a terra per evitare gli spari di altri tre soldati. In risposta al fuoco nemico alzò il braccio e premette nuovamente il grilletto con forza: un altro fante si accasciò a terra ansante, mentre la vita scivolava via dalle sue mani. Si rimise in piedi, evitò un altro proiettile e rispose con un colpo che tuttavia mancò il proprio bersaglio.
D’un tratto, sentì le ossa della propria gamba spezzarsi con un sonoro schianto, mentre il sangue gli impegnava i pantaloni sgualciti e macchiava il pavimento di marmo. Represse un urlo di dolore e crollò a terra, trascinandosi sulla gamba ferita dallo sparo di uno dei fanti che lo inseguivano. Rispose con un altro sparo che colpì due fanti, poi si rimise in piedi a fatica e cercò di fuggire trascinando la gamba ferita. Imprecò quando si accorse della scia di sangue che la sua gamba aveva lasciato sul marmo lucido del corridoio.
Attorno a lui, adesso, c’era il silenzio. Si trascinò ansante sulla gamba ancora sana fino a poggiare la schiena lungo la parete, poi riprese fiato ansimando, approfittando dell’innaturale quiete di quel momento. Si posizionò meglio, con la pistola pronta in mano: presto sarebbero accorse altre guardie, dunque sarebbe stato meglio non farsi cogliere impreparato.
“Sai che è stata una mossa stupida venire qui, vero?” pronunciò d’un tratto una voce femminile davanti a lui. Ascoltò l’eco dei suoi passi avvicinarsi sempre di più, mentre sul volto gli si dipingeva già un sorriso sprezzante.
“E tu sei una che se ne intende di mosse stupide, giusto?” ironizzò lui in risposta, osservandola.
Scarlet chiuse gli occhi, mentre un sorriso sarcastico le curvava le labbra. “Non avresti dovuto allearti con Hojo: ho vinto io. Sapevi che sarebbe finita così, dopotutto! Non ricordi cos’è successo a Eliza?”
Michael scattò all’improvviso, levando la pistola in alto e cercando di colpire Scarlet, ma la donna si rifugiò dietro lo stipite di una porta e il colpo andò a vuoto. 
“Che c’è, è passato così tanto tempo, dopotutto…!” fece lei ironica, mentre rispondeva con un colpo di pistola che gli sfiorò la spalla.
“L’ho fatto soltanto per salvarla!” rispose, la faccia contratta dal dolore per il brusco movimento che era stato costretto a fare per evitare il proiettile della donna.
“Beh, è stato comunque inutile. Io ho capito fin dal primo istante che non c’era più nulla da fare per lei… avresti dovuto lasciar perdere!”
Scarlet pronunciò le ultime parole con ferma amarezza, poi prese nuovamente la mira, uscendo allo scoperto: e prima ancora che Michael riuscisse a puntarle contro la propria arma, lei aveva già premuto il grilletto. L’urlo di Michael riecheggiò per i freddi corridoi della ShinRa, seguito dal clangore della pistola che toccava terra. L’ultima cosa che l’uomo vide, prima che la coscienza lo abbandonasse, furono i tacchi alti di Scarlet che si allontanavano, salendo le scale, certamente diretti verso l’ufficio del presidente ShinRa. 

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Bene, avevo promesso un capitolo entro 15 giorni ed è passato un anno. Forse è meglio non far più nessuna promessa, se è questo l'effetto che hanno. xD
Che capitolo travagliato. Ci ho messo un anno e non sono per niente soddisfatto: magari la prossima volta mi prendo un decennio. 
Comunque, ringrazio tutti coloro che hanno letto e commentato il precedente capitolo, ovvero Zackneifan, the one winged angel e shining leviathan. Ringrazio ulteriormente Zackneifan per l'entusiastica recensione che ha permesso ad ACS di meritarsi un posto tra le Storie Scelte (sebbene da allora non è che mi sia ammazzato di aggiornamenti, ma vabbé, proverò a farmi perdonare). Infine, un grazie anche a tutti coloro che hanno letto. Arrivederci al prossimo capitolo di questa storia! 
 
   
 
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