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Autore: Mark MacKinnon    04/08/2011    16 recensioni
Questa non è casa tua.
Questa gente non è la tua famiglia, i tuoi amici, non importa quanto ci somiglino.
Non puoi stare qui.

Il capolavoro di Mark MacKinnon tradotto da Il Corra Productions, una delle ff più sconvolgenti mai scritte, torna riveduto e corretto.
"Diavolo, non posso biasimare Ryoga per non aver capito la differenza", disse alla fine. "Non potrei trovarla neanche io. Sembri proprio uguale a me".
"In un certo senso, io sono te".

ULTIMO CAPITOLO ON LINE.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Shadow Chronicles' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAST A LONG SHADOW

di
Mark MacKinnon



traduzione
Il Corra Productions




VIII

Quando si combattono mostri






Prologo


Nodoka scrutava il cielo minaccioso dalla finestra. Erano già passate due ore da quando Ranma e gli altri erano partiti per cercare la fonte dei demoni e sigillarla. Le cateratte del cielo potevano aprirsi in qualsiasi momento, e se ciò fosse accaduto, i bambini sarebbero stati in grave pericolo.
Bambini. Continuava a chiamarli così, anche se non lo erano più. Erano qualcosa di più che bambini, in equilibrio precario tra l'infanzia e la giovinezza, pieni di energia e selvagge emozioni e promesse. E quel giorno, poteva finire tutto.
Non era giusto.
Soun continuava a marciare rasente i muri della stanza, con il volto segnato dalla preoccupazione, i suoi capelli scuri scompigliati dall'abitudine di lisciarli nervosamente con le mani. Nodoka aveva rapidamente abbandonato l'idea di parlargli; era consumato dalla pena per la sua figlia minore. Non aveva nemmeno parlato con Nabiki o Kasumi da quando gli altri se ne erano andati. Le due ragazze sembravano molto più serene del loro padre, ma lei sapeva che erano altrettanto preoccupate.
Ripensò ad Akane, al modo in cui lei e suo figlio avevano fatto fronte comune nel rifiutarsi di essere separati. Qualcosa era cambiato tra di loro, ne era sicura, ed era felice che avessero finalmente cominciato a tollerarsi a vicenda. Ma dopo la storia che aveva raccontato Ranko, dopo aver saputo che il loro talento si era rivelato inadeguato già una volta contro quella minaccia, Nodoka sentiva il terrore affondare i suoi artigli dentro di lei, minacciando di dilaniarla. Si erano finalmente ritrovati solo per perdere ogni cosa?
Si sedette bruscamente, stringendo la sua katana. Subito sentì l'esclamazione di sorpresa di Kasumi, e si alzò per seguire la ragazza alla porta principale.
"Che succede, cara?", chiese con preoccupazione. Quell'uomo, Jack, li aveva avvisati che alcune creature fuori dal branco potevano rappresentare un pericolo per la casa, e i suoi sensi erano tesi allo spasimo per captare un'inafferrabile minaccia. Kasumi raggiunse l'ingresso e lei le lanciò un avvertimento.
"Kasumi, non farlo!". Ma era troppo tardi. Kasumi spalancò la porta e corse fuori.
Tra le braccia di uno sbalordito dottor Tofu.
Nodoka sospirò di sollievo e abbassò la katana, mentre Soun e Nabiki la raggiungevano correndo.
"Tofu", sobbalzò Kasumi, indietreggiando di un passo, "ho cercato di raggiungerti! Ti ho lasciato un messaggio prima che i telefoni smettessero di funzionare...". Tofu abbassò lo sguardo su di lei, e il suo volto infantile era composto, senza alcun segno dell'aria svagata che in condizioni normali avrebbe mostrato vicino alla maggiore delle sorelle Tendo. Nodoka vide scintillare qualcosa di cupo nei suoi occhi e il terrore ritornò, minacciando di spezzarle il cuore.
"Devi andare al Furinkan!", gli disse Kasumi con voce urgente, guardandolo in volto. "Gli altri, loro...", si interruppe, notando per la prima volta la sua espressione. "Tofu?", chiese, con voce bassa, implorante. Lui le appoggiò gentilmente le mani sulle spalle.
"È tutto finito", disse tranquillamente. "Gli altri stanno tornando".
"Finito?", ripeté lei senza capire. Nodoka si sentì improvvisamente vacillare, come se la terra stesse ondeggiando sui suoi assi, aprendo un abisso sotto i suoi piedi.
Ti prego, pensò. Ti prego, fa' che stiano tutti bene. Tutti.
Poi notò una macchia scura sulla manica del giovane dottore.
"Dottor Tofu", chiamò, "Diccelo". Tofu alzò gli occhi su di lei, con lo sguardo colmo di un dolore a malapena contenuto.
In quel momento, i cieli sopra Nerima cominciarono a piangere.


I loro sguardi erano fissati sulla cima del muro, e l'immagine di Ranko sembrava fluttuare ancora nell'aria, senza che nessuno di loro riuscisse a muoversi per un lunghissimo momento. Le sue ultime parole sembravano riecheggiare nell'aria immobile, gravida di promesse di tempesta.

("Voglio dirvi che sono felice di aver incontrato tutti voi, e sono felice di aver avuto una possibilità di dirvi addio. Abbiate cura di voi stessi, ok?".)

"NOOOOOO!". Il grido angosciato spezzò l'incantesimo che li aveva trattenuti, e Ukyo strappò due manciate di spatole dalla sua bandoliera e si lanciò sul muro, incurante del pericolo.
"Ucchan, aspetta!", gridò Ranma, ma era troppo tardi. Lei saltò senza fatica il muro e scomparve.
"Alla faccia del piano", borbottò Cologne, guadagnandosi uno sguardo cupo da parte di Ranma. "Che animo nobile, eh, futuro marito?".
"Vuoi aiutarci o cosa?", scattò Ranma. Con un sorriso, Cologne saltò sul muro, seguita subito dopo da Kodachi e Shampoo. Gli altri si susseguirono finché non rimasero che Ranma e Akane, curvi sulla forma accoccolata di Jack.
"Quello... continua... a picchiarmi", ansimò lui, cercando di alzarsi. Ranma si chinò e lo aiutò a reggersi in piedi.
"È capace di far funzionare quella cosa?", gli chiese. Jack annuì.
"Oh, sicuro. È un ordigno fatto in casa, senza protocolli di sicurezza. Accidenti a lui! Che sta facendo?".
"Crede che sia colpa sua, vero?", chiese piano Akane. "Pensa che è per causa sua e sta cercando di proteggerci".
"Beh, qualunque cosa pensi, ha bisogno di noi", replicò Ranma con voce piatta. "Lo dobbiamo aiutare. Tu stai bene?". Jack fece segno di sì, ancora piegato in due.
"Andate avanti, vi raggiungerò subito. Ricordate, dovete impedire ai demoni di seguirlo nel varco. Andate ora, svelti!". Ranma saltò sulla cima del muro, e Akane lo seguì. Jack strappò con rabbia la pistola dalla fondina e fece scorrere il carrello per caricare un colpo. "Diventi stupido con l'età, Jack", borbottò, mentre saltava per aggrapparsi alla cima del muro. "Avresti dovuto prevederlo".
Non c'era nessuno a sentirlo, comunque. Solo il sibilo del vento e il suono distante delle sirene.


Ranma capì che erano nei guai nel momento in cui atterrò nel cortile della scuola. Le creature sembravano uscire da ogni parte, come partorite da un incubo, ed erano tutte denti e artigli e occhi rossi pulsanti e urla da far gelare l'anima. Un cerchio risplendente che supponeva fosse il portale del varco era sospeso silenziosamente nell'aria all'incirca a metà strada dal muro posteriore della scuola, e Ranko vi si stava avvicinando a velocità massima, schivando tutto quello che spuntava sul suo percorso, nel tentativo disperato di portare dentro il suo prezioso carico. Dopo aver saltato sopra una creatura dalla testa di lucertola con una lunga coda, si voltò brevemente per controllare la strada da cui era arrivato, e i suoi occhi incontrarono quelli di Ranma.
In quel momento, qualcosa passò tra loro due come una corrente elettrica. Ranma guardò nel cuore della sua controparte e vide la verità cristallina che celava. Ranko aveva visto già una volta il suo mondo morire, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per impedire che succedesse ancora.
Qualsiasi cosa.
Poi quel momento passò, il contatto si ruppe, e Ranko ripartì di corsa. Ranma capì che i demoni erano stati presi in contropiede; stavano tutti sciamando fuori dal riparo del Furinkan per interporsi tra Ranko e il varco. Evidentemente non si aspettavano di essere scoperti così presto. E probabilmente non erano preparati per una singola persona lanciata in una corsa suicida.
A ogni modo, la loro confusione non sarebbe durata ancora a lungo. Il gruppo di Ranma era tutto all'inseguimento di Ranko, e quando i demoni avrebbero contrattaccato, li avrebbero divisi. Avevano bisogno di raggrupparsi, e in fretta.
"IL VARCO!", gridò Ranma. "DOBBIAMO FORMARE UNA LINEA DI DIFESA INTORNO AL VARCO!". Sperò che quel gruppo notoriamente anarchico riuscisse a combattere insieme. Ora che poteva vedere contro chi erano, era più preoccupato che mai. Le creature erano di tante forme diverse, tutte dall'aspetto letale. Il loro primo errore poteva anche essere l'ultimo.
Ukyo era la più lontana, stava quasi per raggiungere Ranko quando qualcosa le si impennò di fronte. Lei gli scagliò le spatole che stringeva in mano, poi saltò oltre la forma riversa, per poi essere intercettata dal demone-lucertola che aveva cercato di fermare Ranko. Fu costretta a saltare indietro per evitare la scudisciata della sua coda, e Ranko si allontanò, ormai a passi di distanza dal varco lucente.
Poi la luce lampeggiò e qualcosa ne uscì fuori.
La cosa era alta circa il doppio di Ranko, con tre dita artigliate in ciascuna mano e grosse zanne che le spuntavano dalla bocca. Per fortuna, fu sorpresa di incontrare Ranko almeno quanto lo era lui, e per fortuna si riscosse una frazione di secondo troppo tardi. Ranko si lanciò in aria, colpì la cosa coi piedi nel petto, e si lanciò nel portale.
Sparito.
Il demone ululò la sua rabbia, e si voltò preparandosi a inseguire il suo tormentatore, quando la sua testa svanì in una nuvola di icore verde. Ranma sbatté le palpebre, poi girò lo sguardo da sopra la spalla e vide Jack appollaiato sulla cima del muro, con la testa ancora abbassata al livello della canna della pistola, mentre l'eco dello sparo svaniva nell'aria. Jack fece un gesto frenetico al suo indirizzo e Ranma annuì. Proprio quando i demoni si stavano preparando a chiudere sul gruppo impreparato, Jack cominciò a bersagliarli di granate e proiettili, scegliendo i bersagli a caso. Ranma si avvantaggiò dell'improvvisa confusione per tentare di allineare la truppa. Ukyo era alle strette con la testa di lucertola, ma Shampoo e Kodachi l'avevano raggiunta. La cosa crollò subito dopo. Gli altri si radunarono in fretta, formando un cerchio attorno al portale, e Jack arrivò per ultimo lanciando un colpo a un essere minore con occhi sporgenti, per poi abbandonare il caricatore e inserirne uno nuovo. Ranma si guardò intorno.
"Da dove diavolo arrivano?", abbaiò. Il cortile sembrava brulicare di ombre, anche se non ce ne sarebbero dovute essere nella debole luce di quel giorno nuvoloso, e si muovevano e fluttuavano come se fossero cose vive. Vive e affamate. Gli esseri emergevano da quelle ombre, e si avvicinavano con cautela verso l'anello approssimativo che era stato formato intorno al loro varco.
"Che si fa se qualcun'altra di queste cose esce dal portale dietro le nostre spalle?", urlò Ryoga nel vento crescente.
"Dovranno prima passare su Ranko!". gli gridò di rimando Jack. "E se lo faranno, sarà già finita comunque!".
"Che cosa stanno aspettando?", chiese Ukyo, lanciando occhiate a destra e a sinistra. Dietro di lei, Akane spostò la presa sulla lancia e si chiese la stessa cosa. Erano circondati ormai da creature di ogni sorta, e il vento portava fino a loro il lezzo marcio della morte.
"Hanno paura!", esclamò Kodachi. "Paura della giustizia, paura della luce!".
"A dire il vero," disse Cologne nel vedere alcune delle mostruosità farsi da parte, "credo che stiano aspettando lui". Un essere sottile, quasi scheletrico camminò lungo lo spazio tra i guerrieri e i mostri. Al confronto con gli altri, sembrava quasi umano, eccetto che per la sua pelle incartapecorita, per gli artigli e i suoi malvolenti occhi rossi.
"Bene, bene, non è stupendo?", sibilò la cosa. "Abbiamo dei visitatori. Dobbiamo cercare di farli sentire bene accolti".
In realtà, Ranma non trovava quell'intenzione granché confortante.


Il battito del mio cuore mi tempestava nelle orecchie mentre cercavo di riprendere fiato. Vedere di nuovo quelle cose mi aveva quasi paralizzato, e solo l'impulso ferino di continuare a correre mi aveva portato in salvo. Ora dovevo farla finita, prima che gli altri, che non erano rimasti al sicuro come gli avevo chiesto, potessero essere feriti.
Sfortunatamente, c'era un ostacolo alla mia missione, e si ergeva non molto lontano. Se ergersi era la parola corretta.
Ero in una specie di... tunnel, immagino sia questo il modo migliore per descriverlo. Anche dopo aver deciso di essere io a entrare nel varco, non avevo pensato granché a come doveva essere. Non avevo potuto chiederlo direttamente a Jack, perché non volevo fargli nascere dei sospetti, ma ora mi stavo pentendo della mia mancanza di iniziativa. I muri del tunnel si curvavano verso l'alto, e sembravano percorsi da linee di energia. Le distanze, poi, erano difficili da giudicare. Era come se la prospettiva continuasse a cambiare, facendo sembrare il tunnel lungo chilometri un istante, metri l'altro.
Suppongo fosse per quel motivo che la creatura mi sorprese con la guardia abbassata.
Torreggiava sopra di me, e il tronco del suo corpo ricordava quello di un enorme verme, che si incurvava a una estremità in una testa con un unico, enorme occhio da rettile e delle fauci irte di zanne ricurve. Il suo corpo era costellato di lunghi tentacoli serpentini, e fu con uno di quelli che mi attaccò all'improvviso, scagliandomi contro il muro del tunnel. Quale che fosse il suo materiale, sembrava solido. Caddi di lato, con gli occhi momentaneamente annebbiati dal dolore.
E persi la presa sulla sfera. Rimbalzò via, rotolando lungo il suolo del varco e fermandosi vicino alla base del demone-verme. Guardai con orrore un tentacolo abbassarsi e raccoglierla.
"GUARDA GUARDA", rombò la cosa, "CHE COSA ABBIAMO QUI?".
Tremai, mentre il panico cercava di prendere il sopravvento su di me, nel vedere la nostra ultima speranza cadere nelle mani dei mostri.


L'essere li squadrò, con la testa inclinata dalla curiosità. I ranghi dei mostri si agitarono con impazienza ma non avanzarono.
"Ci state intralciando", sibilò. "Andatevene adesso, e non vi sarà fatto del male".
"Bugiardo", replicò Cologne con calma. Il demone la guardò, poi rise di cuore.
"Beh, sì", disse amabilmente. "Sono solito mentire. E naturalmente, vi sarà fatto del male, ma se ve ne andate ora, potremmo evitare di incontrarvi per un po' di tempo. Guardati intorno, vecchia. Non crederai seriamente di poterci fermare, no?".
"Possiamo trattenervi quel tanto che basta".
"Basta a fare cosa?". Cologne si limitò a fare un sorriso saputo al demone. Lui ricambiò il suo sguardo con odio.
"Molto bene, allora", disse alla fine. "Uccideteli".
Il suo corpo scheletrico arse di fuoco nero mentre i demoni si facevano avanti. Alzò una mano ossuta e scagliò una sfera di quel fuoco.
Che si schiantò contro una cortina di energia di Cologne.
La battaglia era cominciata.


La cosa sollevò la sfera in alto, sempre più in alto, fino al livello del suo unico occhio, mentre io mi rimettevo faticosamente in piedi. Esaminò sospettosamente il piccolo congegno ricoperto di nastro adesivo, voltandolo da una parte e dall'altra.
"È UN'ARMA UMANA? QUESTO GIOCATTOLO?", grugnì con tono petulante. "AVEVO SPERATO IN QUALCOSA DI PIÙ... IMPONENTE. BENE, RAGAZZO UMANO, CHI SEI TU CHE MI PORTI GIOCATTOLI? VUOI GIOCARE, VERO? MOLTO BENE, RAGAZZO, VIENI DA ME. VIENI E GIOCHIAMO".
Mi avvicinai con cautela, evocando le mie forze, sentendo l'energia scorrere sotto la pelle, riempiendomi. Alzai lo sguardo sull'occhio della cosa che si prendeva gioco di me, la cosa che sorvegliava il varco tra il mio mondo e il loro. Guardai in quell'occhio e alla fine non ero più spaventato. Conoscevo il nemico; aveva fatto del suo peggio, aveva preso tutto quello che possedevo, e un tempo avevo pensato di non avere più niente da perdere. Ma ora sapevo che non era così. Potevano uccidere di nuovo la mia famiglia e i miei amici. Potevano uccidere Akane ancora. E ancora. E ancora. E l'avrebbero fatto, se non li avessi fermati.
Qui.
E ora.
Non ero spaventato. Ma ero molto. Molto. ARRABBIATO.
"Già", gli dissi con un ghigno feroce. "Voglio giocare. Giochiamo a 'attacca la coda'. Tu fai l'asino, ok?". L'energia crebbe fino a un livello al quale era quasi doloroso trattenerla. Vidi un sottile arco voltaico formarsi tra le mie mani, e ripensai ancora al mio ultimo sguardo alla palestra, l'ultimo sguardo alla mia casa.
L'ultimo sguardo a lei.
E lasciai uscire fuori tutto quanto.
"SHISHI HOKODAAAAAAAAAAAN!"


Mentre avanzavano, Ranma notò quasi distrattamente che poteva vedere, con la coda dell'occhio, la lama di Kuno sfolgorare mentre la estraeva. La lama sembrava brillare di un blu brillante, non dissimile dal ki. Sull'altro suo fianco, Akane cambiò posizione e alzò la lancia per ricevere l'urto. Poi non ebbe più tempo per le distrazioni, il nemico era su di loro.
Si lanciò in avanti, scagliando un attacco delle castagne su un grosso demone con un corno e tre occhi, e lo mandò a ruzzolare all'indietro, causando il caos nei ranghi dietro di lui. Sfruttò il vantaggio della distrazione momentanea per saltare in alto, atterrare nel centro del piccolo groviglio e colpire tutt'attorno con velocità e precisione inumane. Il nemico si ritirò, ululando di dolore, e lui eseguì una perfetta serie di capriole all'indietro per rimettersi vicino al varco.
Intanto, Akane lanciò un fendente alto sul nemico più vicino, schivando la sua coda con un salto, poi velocemente invertì la presa sul manico e martellò la creatura con una randellata selvaggia anziché con l'affondo che il demone aveva anticipato. Crollò rapidamente, e lei si proiettò tra altri due, poi saltò al sicuro facendoli scontrare. Non ebbe comunque il tempo per vedere gli effetti del trucco, perché dovette accovacciarsi per schivare un artiglio, per poi eseguire un affondo verso l'alto. Una volta incontrata resistenza, indietreggiò e scavalcò la forma cadente per tornare alla posizione originaria.
Ukyo lanciava le sue spatole con precisione mortale, accecando alcune creature, mutilandone altre. Poi estrasse la spatola da battaglia con un movimento incrociato, abbassandone la lama, per poi manovrarla verso l'alto e di lato mentre un enorme demone urlante con quattro braccia la caricava. Appena fu entrato nel suo raggio d'azione, Ukyo mutò bruscamente posizione e presa e invertì rapidamente la direzione, calando la spatola nel punto di congiunzione del collo e della spalla del demone. Un fluido nero-verdastro ne sprizzò mentre cadeva, con un'espressione sorpresa sul volto.
Shampoo restava immobile, con un piede alzato, i suoi bombori stretti in un disegno incrociato sopra la sua testa, tesa, aspettando pazientemente l'attacco di una creatura. Un demone a due teste la puntò, e lei colpì con selvaggia velocità, disegnando un tatuaggio di crateri sul suo corpo e sulle teste prima che potesse tentare una difesa di qualsiasi sorta. Poi scattò sopra il suo corpo morente e attaccò quello dietro con pari furia.
Anche Mousse restava fermo, con le braccia incrociate e le mani affondate nelle voluminose maniche della sua tunica, finché non trovò i suoi bersagli, poi aprì le braccia mentre dozzine di coltelli scintillanti volavano fuori in un percorso mortale, colpendo numerose creature. Poi scattò in avanti, danzando con grazia sotto una goffa creatura orchesca, piantandole un tridente nella schiena, poi piroettando per stampare i piedi contro altri due demoni.
Ryoga si era fermato, con il volto chino e contratto dal dolore, per concentrare le sue forze. Poi, quando la linea degli attaccanti stava per raggiungerlo, alzò la testa ruggendo, con le mani tese, per rilasciare uno Shishi Hokodan che fece temporaneamente piazza pulita davanti a lui. Raccogliendo il suo ombrello dal suolo, saltò in aria per lanciare numerose fasce-rasoio all'apogeo del suo salto prima di tornare a terra in posizione di guardia, con l'ombrello di metallo completamente aperto.
Jack sceglieva i suoi bersagli, sparando i suoi ultimi colpi esplosivi. Gli restava un ultimo caricatore, proiettili cavi, che sarebbero stati molto meno efficaci contro quelle creature orribilmente vitali, e non aveva più granate. A quel ritmo, non avrebbe avuto il tempo di ricaricare. Imprecò ed estrasse l'oggetto a forma di maniglia dalla tasca mentre le creature si avvicinavano sempre di più.
Kodachi rideva, un suono acuto e folle, roteando un nastro affilato come un rasoio che tagliuzzava qualunque cosa abbastanza stupida da avvicinarsi troppo a lei. Si muoveva con la grazia di una ballerina, evitando con facilità zanne, code e gli occasionali tentacoli mentre si perdeva in una letale danza con i suoi avversari. Il suo cerchio era già rimasto sepolto nella testa di un demone, e tutto quello che ne rimaneva era una pozzanghera di icore verde.
Genma inghiottì la sua paura e si lanciò in salto contro la prima creatura a tiro, usando la sua massa per imprimere tutta la forza possibile al suo doppio calcio, e mandò la cosa a ruzzolare all'indietro. Atterrò, si voltò, e scalciò di lato in un ginocchio. Sogghignò al sentirlo rompersi. A quanto sembrava anche i demoni erano vulnerabili ai colpi sotto la cintura. Si ritrovò alle strette con un altro, lo colpì con una gomitata devastante alla gola, poi saltò per evitare una coda rostrata che si schiantò nel petto dello sfortunato nemico di prima.
Kuno reggeva la sua katana all'altezza della spalla destra, con la lama parallela al suolo, tenendo gli occhi socchiusi. La luce della spada irritava chiaramente le creature; erano riluttanti ad avvicinarsi. Lui non condivideva la loro riluttanza, così si mosse con velocità accecante per affrontare due demoni simultaneamente. La lama creò un arco azzurrino nel tagliare l'aria, e le due creature perfettamente divise a metà caddero prima ancora di capire che fossero morte, e i loro corpi si dissolsero in scoppiettanti pozzanghere verdi.
Gli altri esseri esitarono nella loro carica, creando uno spazio aperto intorno a lui. Non importava. Lui era tra loro e ciò che volevano. Sarebbero tornati.
Cologne fece roteare il bastone, mandando un vortice di energia contro lo scudo difensivo del suo avversario. Quello rispose con una sfera di fuoco nero. Le due energie si incontrarono e, con un suono come di un mondo morente, si cancellarono a vicenda. L'anziana strinse gli occhi. Stava cominciando a rovistare nella sua riserva di trucchi più di quanto le fosse capitato in più di quarant'anni. Sapeva che doveva combattere quella creatura, evidentemente il capo e senza dubbio la più potente del gruppo, da sola. Nessuno degli altri, nemmeno il futuro marito, avrebbe saputo contrastare la sua magia corrotta.
Ranma saltava da ogni parte, vedendo tutto. La vecchiaccia stava tenendo a bada lo scheletro, e tutti erano riusciti a respingere la prima ondata. Le creature erano forti, feroci, e abbastanza veloci, ma si affidavano alla paura e alla forza, non all'abilità, per sconfiggere i loro nemici. Ranma sapeva che avrebbero potuto vincere se quello era il massimo che potevano fare.
Ma continuavano ad arrivarne altri, probabilmente quelli che avevano seminato il caos nella città. E loro non potevano assumere una posizione meglio difendibile, dovevano coprire il varco. Avrebbero cominciato a stancarsi dopo l'esaurimento dell'iniziale scarica di adrenalina, avrebbero cominciato a perdere terreno. E quelle cose sembravano arrivare all'infinito.
Scoccò un'occhiata ad Akane, che stava infuriando attorno come quando combatteva la sua folla di pretendenti la prima volta che l'aveva incontrata, e le si avvicinò, tenendo sott'occhio il portale lucente dietro di lui.
Perché ci metteva così tanto? Non potevano resistere per sempre.
Che diavolo stava combinando Ranko là dentro?


Ansimando, cercai di valutare la creatura tenendo a bada la disperazione. Il mio raggio aveva inciso un largo squarcio nel suo corpo da cui colava un denso liquido nero, ma la cosa era ancora in piedi. E aveva ancora la sfera.
"OH, PERBACCO", rombò, "MI HA FATTO DAVVERO MALE. È PASSATO UN BEL PO' DI TEMPO DALL'ULTIMA VOLTA CHE UN UMANO MI HA FERITO. LA COSA SI FA INTERESSANTE".
‘Interessante’ non era esattamente l'effetto che avevo sperato. Controllai le mura del varco, che sembravano lampeggiare e brillare in sincronia con l'eco morente del colpo energetico. Il varco sembrava averne in qualche modo risentito, ma era ancora aperto. E il fatto che niente entrasse dietro di me mi faceva pensare che gli altri stessero combattendo per coprirmi le spalle.
Avevo bisogno della sfera. Dovevo porre fine a tutto questo. La creatura, apparentemente ignara della vera natura dell'ordigno, lo dondolava beffardamente in alto con un tentacolo, mentre una foresta di altri si muoveva come alghe in un mare tranquillo.
"ANDIAMO, RAGAZZO. SEI ARRIVATO FINO A QUI PER GIOCARE, NON È VERO? È SCORTESE FARE ASPETTARE IL TUO OSPITE". Feci un respiro profondo, mi concentrai, e scattai. Usai tutta le mia abilità, tutta l'agilità a mia disposizione, e saltai da un tentacolo all'altro, usandoli come gradini verso la meta mentre evitavo i loro tentativi di intercettarmi.
Salto, torsione, giro, pausa, schivata, balzo, colpo, avanti. Era un mortale balletto aereo dove un passo sbagliato significava il disastro. Per tutti noi.
Scivolai lungo un tentacolo ondulato verso la mia meta, saltando all'ultimo minuto per evitare un colpo dalla sinistra. Ruotai, individuai il tentacolo che reggeva la sfera, balzai verso di lui. Poi qualcosa mi intercettò nella schiena e mi scagliò al suolo. Il dolore dardeggiò attraverso il petto e i bordi del mio campo visivo si riempirono di una nebbia grigiastra. Quando il fischio nelle mie orecchie si fermò, tutto quello che riuscii a sentire fu un suono come di tuono.
Era una risata. La cosa stava ridendo. Di me.
"OH, MOLTO BENE! MOLTO DIVERTENTE INVERO! ANDIAMO, RAGAZZO, FALLO ANCORA! BALLA PER ME, RAGAZZO! BALLA SE VUOI IL TUO GIOCATTOLO!". Stava giocando con me. La sua risata mi si incagliò nello stomaco come cocci di vetro, e mi rimisi dolorosamente in piedi, barcollando per ritrovare l'equilibrio. Alzai gli occhi verso la sfera, appesa così lontano. Avevo deciso di essere io a occuparmene. Non potevo fallire. Non ancora. Il dolore non importava. Tutto quello che importava era proteggerli.
Raccolsi le forze.
E riprovai.


Arrivavano ancora e ancora. Non sembravano avere paura di ferirsi o morire. Cominciarono ad attaccare tutti insieme.
I muscoli di Ranma bruciavano per lo sforzo di girare in tondo alla massima velocità per impedire a tutti i demoni di attaccarlo alle spalle. Qualcosa con quattro delle spatole di Ukyo conficcate nel petto lo caricò, e lui lo martellò con quattro calci veloci, facendo affondare le spatole nella carne per tutta la loro lunghezza. La cosa ululò e cadde, ferita ma non morta. Si girò, colpì una creatura cornuta più piccola con una serie di colpi fulminei e si aprì la strada fino ad Akane.
Akane schivò un'altra creatura, mulinò la lancia per guadagnarsi un po'di spazio intorno, poi la diresse contro una cosa ringhiante coperta di aculei dall'aspetto letale, piantò l'estremità priva di lama contro il suolo e la usò per proiettarsi oltre il demone spinoso. Atterrando dietro di lui, ruotò su se stessa e lo colpì fulmineamente impalandolo attraverso il petto. La cosa si contorse e cadde, e la lancia si spezzò alla base della lama. Akane fissò senza capire l'estremità scheggiata della lancia, poi si riscosse e vide un incubo alto e sottile incombere su di lei. Sorpresa con la guardia abbassata, alzò le braccia, solo per vederlo crollare sotto un colpo velocissimo della spatola di Ukyo.
La ragazza non ebbe il tempo di rispondere al sorriso grato di Akane, ma si voltò, chinandosi di fianco a lei con la spatola, mentre il sudore le scorreva lungo la schiena. Il rumore era terribile, il fetore era anche peggiore, e non sembrava esserci tempo per pensare o riflettere. Per ogni mostro che soccombeva, ce n'erano altri tre che prendevano il suo posto. Percepì un movimento con la coda dell'occhio, e voltandosi vide una fascia tigrata affondare nella testa della cosa che era stata sul punto di schiacciarla.
Ryoga distolse la sua attenzione dalla creatura che aveva cercato di sorprendere Ukyo, solo per trovarne un'altra alla carica davanti a lui. Le mani artigliate scattarono e Ryoga sentì un'ondata gelida di dolore, seguita da una sensazione bruciante al petto. Atterrò la cosa con un doppio colpo a mani aperte, mandandola a rotolare, e constatò che c'era del sangue che scorreva da sottili tagli sul torace. Sentì Ukyo sussultare alla vista, ma non poteva fermarsi a controllare le sue ferite. Erano tagli ragionevolmente superficiali. Se si fosse fermato, la prossima volta non sarebbe stato così fortunato. Il demone che l'aveva ferito si era ripreso dal colpo e, sogghignando follemente, si stava movendo di nuovo, solo per finire abbattuto da una grossa palla chiodata che era uscita dal braccio teso di Mousse.
Mousse non riuscì a vedere gli effetti del suo attacco, né come se la stesse cavando Ryoga. Si voltò, eseguì un colpo a falce rasoterra, e atterrò due grossi demoni che stavano cercando di frapporsi tra lui e Shampoo. Rapidamente ne trafisse uno con una spada ricurva, ma l'altro riuscì a rialzarsi in piedi troppo velocemente e fu costretto a indietreggiare. La cosa sogghignò brevemente, finché una grossa mazza gli si stampò nella testa, facendolo cadere come un sacco di patate.
Shampoo scavalcò agilmente la creatura, ma venne scagliata a terra da un grosso tentacolo. Senza fiato, perse la presa di entrambi i bombori mentre il tentacolo le si avviluppava attorno alla vita e cominciava a trascinarla dal cerchio di difesa nella folla abominevole. Attraverso le macchioline che danzavano nel suo campo visivo vide un improvviso lampo di brillante luce blu, ed era libera.
Kuno amputò facilmente il tentacolo, respingendo il demone affamato mentre Shampoo si rialzava con fatica, barcollando leggermente, mentre cercava con lo sguardo le sue armi. Kuno descrisse un arco scintillante con la spada, la sentì penetrare nella spessa pelle di una delle bestie, udì il suo ululare infuriato, e continuò il suo attacco, mentre Genma Saotome accorreva a coprire il suo fianco improvvisamente vulnerabile.
Genma stava usando tutti gli sporchi trucchi del suo repertorio per contenere la marea, ma poteva vedere che era solo questione di tempo. Ogni volta che venivano respinti da una parte, incalzavano dall'altra. Grazie agli dèi non sembravano avere alcuna sorta di strategia. Il demone scheletrico che la vecchia aveva sfidato sembrava essere il cervello del gruppo, e non aveva tempo per alcunché eccetto tentare di sopraffarla. Si girò per offrire meno apertura possibile a un nuovo attaccante, quando lo vide crollare, con quell'icore verdastro che sprizzava dalla sua gola, e una risata acuta si alzava dal tumulto.
Non sapeva se essere più spaventato dai demoni o dalla sorella di Kuno.
Kodachi danzava, frustando con il nastro chiunque osasse avvicinarsi a lei, con gli occhi splendenti di piacere.
"Non potete più nascondervi!", urlava. "Qui! E qui! E qui e qui e qui!". E ogni ‘qui’ era sottolineato da uno schiocco del nastro-rasoio, che spillava sangue verde a ogni colpo, infuriando le bestie.
Dèi, si stava divertendo.
Jack strinse il manico della lama d'energia e desiderò aver passato più tempo al corso di combattimento corpo-a-corpo all'accademia, anziché correre dietro a quella tizia di Fisica Sub-Dimensionale 301. Mentre controllava la lama di energia pulsante sospesa sopra l'impugnatura, tutto quello che riusciva a ricordare era il suo istruttore dall'aria arcigna che diceva alla classe: "Per l'amor del cielo, qualsiasi cosa facciate, cercate di non amputarvi i piedi. Sarebbe imbarazzante, per non dire fatale in una situazione ostile". Era abbastanza sicuro che il sentirsi imbarazzato sarebbe stato l'ultimo dei suoi problemi.
Saotome ci stava mettendo troppo. Avrebbe dovuto aver già finito. Qualcosa doveva essere andato storto. Se solo avesse potuto allontanarsi per controllare il varco, pensò mentre qualcosa passava sopra la sua testa, per essere bloccata dalla sua parata istintiva.
Ranma colpì una creatura, fece dietrofront e ne colpì un'altra, poi saltò e bombardò una terza con un altro fulmineo Kachu Tenshin Amiguriken. Cologne occupava un'estremità del cerchio, ancora impegnata a combattere la cosa scheletrica, e niente poteva avventurarsi vicino al fuoco incrociato dei loro attacchi energetici. Altrove, la situazione non si stava mettendo bene.
Ranko non era tornato, il varco era ancora aperto, le nubi cominciavano a oscurarsi e ruotare in un minaccioso disegno sopra il varco, e i difensori cominciavano a stancarsi. Avrebbero perso se qualcuno non avesse pensato a qualcosa, e in fretta. Aveva bisogno di un piano.
No. Lui aveva un piano.
Aveva bisogno di Ryoga.


Mi schiantai contro il suolo per l'ennesima volta, e il respiro uscì dai polmoni in un grido angosciato. Lentamente, così lentamente, mi misi in ginocchio. A ogni mio attacco veniva concesso di avanzare fin quasi alla fine, poi la cosa mi colpiva alla schiena con facilità sprezzante. Avevo fallito.
È vero, mi sussurrò una vocetta oscura nella testa. Sei un fallimento. Non hai potuto salvare la tua famiglia. Non hai potuto salvare i tuoi amici. Non hai potuto salvare LEI. E ora stai per perderli tutti di nuovo.
"No", sussurrai, cercando di alzarmi, per ricadere sulle ginocchia, sentendo un dolore intenso come il fuoco in un fianco. Costole incrinate, una dozzina di tagli sanguinanti, il dolore che urlava attraverso ogni parte del mio corpo. Oh sì, puoi scommetterci. Ci stiamo proprio divertendo.
Mettiti giù, implorò la voce. Fa troppo male continuare. Non puoi sconfiggere questa cosa, e se ci riesci, cosa ottieni? Dovrai perdere ancora Akane? Dovrai lasciare ancora la tua casa? Per quale ragione? Mettiti giù, e lascia andar via il dolore.
"No", ansimai.
Mettiti giù. Arrenditi. Ormai sono già morti tutti, lo sai. Stai combattendo per niente. Finiscila.
"Nooooooo", singhiozzai, con il torace in fiamme. "Combattere, devo... devo continuare...".
Stenditi. Hai fatto del tuo meglio. Stenditi e muori. Fermerà il dolore per sempre. Non meriti un po' di pace? Allora?
Crollai sul pavimento stranamente caldo, mentre il sangue mi scendeva negli occhi da un taglio sulla fronte. Volevo solo riposare, dormire... arrendermi...

(la sua pelle è così pallida, i suoi occhi bloccano i miei, e vedono qualcosa là dentro. Con il suo ultimo respiro, lei mi salva, mi fa andare avanti.
"Ranma. Il mio Ranma. Promettimelo. Non ti arrenderai. Promettilo.")

"Nuh".

("Akane..."
"Promettilo". La sua pelle è fredda, tutta la vita negli occhi, a implorarmi di lasciarla andare. Tremo, e annuisco disperato.
"Lo prometto". Allora lei sorride, il sorriso più dolce, e le sue dita si alzano per scorrere sulla mia guancia, lasciandosi dietro una scia di sangue.
E poi se ne va. I suoi occhi si chiudono e lei scivola via senza sforzo, via da tutto il dolore, e tutto quello che voglio è andare con lei. Ma non posso. Mi ha fatto promettere. E io non romperei mai una promessa fatta a lei.)

"Nuh-No".

(Non le potrò mai dire che l’amavo.)
"NOOOOOOOO!". Faceva male, ma rialzai le ginocchia sul petto e tentai di alzami. In qualche modo, mi ritrovai in piedi.
Akane. Avevo promesso. Non mi sarei arreso. Dovevano uccidermi se volevano fermarmi. Dovevano.
Oh dèi, faceva male.
"ALLORA! IL MIO GIOCATTOLO NON È ANCORA ROTTO DOPO TUTTO! BENE! VIENI E FAMMI DIVERTIRE UN ALTRO PO', RAGAZZO! NON HO ANCORA FINITO DI PUNIRTI PER AVERMI FATTO SANGUINARE!". Guardai la cosa, pulendomi il sangue dagli occhi con una mano tremante. C'era qualcosa, un solletico sul retro della mia mente, qualcosa che avevo visto. Andiamo, Saotome, testa di legno, pensa dannazione. Guardati intorno. Cosa vedi?
I tentacoli frustavano allegramente l'aria, in attesa che rinnovassi il mio inutile assalto. Non era arrivato niente dall'estremità opposta del varco da quando ero entrato, e mi chiesi se l'aver distratto la creatura c'entrasse in qualche modo.
Ecco! Ogni volta che mi colpiva con i suoi tentacoli, quello sul lato opposto si ritraeva! Sì, ripensandoci, ne ero sicuro.
Perché? Cercai di scrutarlo dalla coda dell'occhio, senza darlo a vedere, facendogli credere che stessi solo riprendendo il fiato. Il che non era granché difficile.
C'era qualcosa chiuso nell'estremità del tentacolo, quasi nascosto dalla massa del corpo della creatura. Riuscivo a intravedere sottili archi neri di energia che vi danzavano intorno, apparentemente in sincronia con le pulsazioni del muro che il mio Shishi Hokodan aveva causato.
La chiave. La chiave di ipervarco, o come Jack l'aveva chiamata. Aveva detto che era quello che loro stavano usando per aprire il varco. Quel demone doveva essere a guardia della chiave mentre gli altri attraversavano il ponte.
La sua attenzione era concentrata sulla sfera. Bene. Forse potevo distrarlo in qualche modo.
Inspirai profondamente, radunando le forze restanti. Avevo una sola possibilità. Se non funzionava, sarebbe tutto finito.
Akane, pensai, il petto percorso da un dolore lancinante. Ho combattuto, Akane. Ricordatelo, comunque andrà a finire, ho combattuto fino all'ultimo. Per te.
Grazie.
E poi, urlando come una banshee, mi lanciai in avanti per l'ultima volta.


"Ryoga!".
"Sono occupatooooooh!", rispose lui da sopra il frastuono della battaglia. Ranma schivò un artiglio, rispondendo con un rapido cacio laterale.
"Abbiamo bisogno di spazio! Salta al tre, fuoco a ore sei e dodici! Capito?". Ryoga raggiunse un altro nemico in faccia con una serie di pugni, e lui cadde, facendolo quasi inciampare sul corpo mentre la battaglia infuriava attorno a lui. Cercò di concentrarsi, in attesa del segnale. Andiamo, Ryoga...
"Pronto!", segnalò alla fine. Ranma controllò rapidamente la posizione di Ryoga, vide che erano quasi opposti, e strinse i pugni.
"TUTTI PRONTI A RITIRARSI! UNO!". Scagliò un calcio, respingendo un grosso demone farfugliante con una lunga lingua.
"DUE!". Fece un passo indietro, e vide con sorpresa che Akane era scivolata di fronte a lui, coprendolo con una serie di larghi fendenti del suo bastone, affondando l'estremità spezzata in una ignara creatura.
Per favore, pregò, fa che non le succeda niente. Per favore. Si avvantaggiò dei pochi momenti di tregua per radunare le sue forze, le sentì crescere dentro di lui, e si tese.
"TRE!". Scattò in aria, in un salto curvato all'indietro, confidando che Ryoga fosse là. E c'era. Si toccarono, schiena contro schiena, all'acme dei loro salti, con le auree che brillavano rabbiosamente, volgendosi ad angolo retto con Cologne e il suo avversario.
"SHISHI HOKODAN!".
"MOKO TAKABISHA!".
I raggi gemelli sovrastarono la folla di demoni che erano troppo intenti a sopraffare i difensori per rendersi conto del pericolo prima che fosse troppo tardi. L'energia si abbatté su di loro, annichilendo la prima fila degli aggressori e disperdendo il resto, creando un po' di spazio vitale per gli esausti guerrieri. Poi Ranma e Ryoga si respinsero a vicenda e atterrarono nelle loro posizioni originarie.
"Ranma", ansimò Akane, con una smorfia selvaggia sul volto, "è stato grande!". Lui le sorrise di rimando. I mostri si stavano riorganizzando con lentezza, dando loro il tempo di cui avevano disperatamente bisogno per prepararsi alla prossima ondata.
E poi, il disastro.
Il suolo sotto Cologne eruttò, e lunghe radici nere si avvilupparono attorno al suo corpo, sollevandola in aria. Attorno a lei cominciarono a crepitare scariche di non-luce, facendola gridare di dolore, mentre lo scheletro cominciava a ridere.
"Si direbbe che il nostro stallo sia stato superato, vecchia", gongolò. Un altra scarica di fuoco color ebano spezzò il bastone dell'anziana, che gridò di nuovo.
"No!", urlò Ranma.
"BISNONNA!". Shampoo cercò di aiutarla, ma il demone le lanciò distrattamente una sfera di fuoco, schiantandola a terra. E in quel momento di distrazione, Cologne colpì. Attorno a lei si accesero lampi bianco-blu di energia, che si staccarono per circondare il demone impreparato. Quello ruggì di dolore, intensificando l'energia oscura attorno a Cologne. Erano bloccati in una sfida mortale, e con entrambe le loro difese crollate, il perdente sarebbe stato il primo a soccombere all'attacco nemico. Il primo a morire.
"Ranma!", urlò Akane. "Si stanno raggruppando!". Lui imprecò sottovoce e si girò per controllare la situazione.
"Per quanto ancora dobbiamo restare qui?", chiese Mousse, che era piegato protettivamente sopra la forma tremante di Shampoo, ancora semi-incosciente.
"Non possiamo mollare!", gridò Ukyo secca, alzando la spatola impregnata di melma. "Ko-chan ha bisogno di noi, dobbiamo guardargli le spalle!".
"Jack! Per quanto ancora?", gridò Ranma, mentre la sua ritrovata sicurezza cominciava a vacillare.
"Dovrebbe aver già finito a quest'ora!".
"Arrivano!", annunciò Ryoga, scagliando una gragnola di fasce nei ranghi nemici.
Si prepararono a trattenere il nemico, consapevoli che la fine era ormai vicina.
Presto sarebbe finito tutto, in un modo o nell'altro.


Ignorando il dolore lancinante di ogni respiro, saltai agilmente da tentacolo a tentacolo, attirandoli verso di me, cercando di far sembrare che stessi facendo un'altro tentativo di raggiungere la sfera. E all'apparenza, ci stavo riuscendo. La risata di quella creatura che sembrava uscita da un incubo mi colpiva come un tuono mentre ondeggiava la sfera appena fuori dalla mia portata. Beh, quello era un gioco a cui si poteva giocare in due. Aspettai il momento giusto, con il petto in fiamme per la fatica e il dolore delle costole. Infine, proprio quando cominciavo a pensare che il mio piano non avrebbe funzionato, mi si presentò un'apertura.
Colpii, e colpii rapidamente. Dondolandomi da un tentacolo pericolosamente attivo, usai la spinta per scavalcare il corpo della cosa, la colsi di sorpresa e tempestai di pugni il tentacolo che reggeva la chiave. Con un ruggito di dolore e sorpresa, la creatura sciolse la presa e io mi impadronii della chiave, percependo il suo fuoco oscuro bruciarmi la mano con un freddo intenso.
"Ehi, stupido! Che cos'è questa?", gracchiai, saltando giù dal tentacolo, calcolando l'arco con cura. Se riuscivo a farlo nel modo giusto...
"PAGHERAI PER QUESTO, VERME INSOLENTE!", strillò il demone infuriato, attaccandomi ferocemente con il tentacolo più vicino a me.
Che, proprio come avevo previsto, era quello che teneva la sfera. Ruotai nell'aria, colpendo prima che la creatura potesse capire il suo errore, e liberai la sfera con un pugno. Poi, premendo i piedi contro quel tentacolo, mi lanciai in basso per raggiungerla. Sapevo che avrei lasciato la schiena scoperta, ma mi servivano solo alcuni secondi. Solo alcuni, per rovesciare la partita.
Feci scivolare il pollice sul bottone. Dieci secondi, aveva detto. Gli ultimi dieci secondi della mia vita. Mentre mi buttavo contro lo squarcio che il mio primo colpo aveva aperto nel fianco della creatura, percepii più che vederlo un tentacolo che si dirigeva verso la mia schiena.
Troppo tardi, mostro. Troppo tardi.
Premetti il bottone, e ficcai il braccio nella ferita, affondandolo fino al gomito, per poi lasciarci la sfera dentro in profondità mentre il tentacolo finalmente mi ghermiva, strisciava attorno al mio petto e mi sollevava in aria.

DIECI

La cosa cominciò a stritolarmi, e la vista mi si riempì di macchie nere.
"SONO STANCO DI QUESTO GIOCO, RAGAZZO. DAMMI LA CHIAVE. ORA".
Sogghignai attraverso il dolore. La pace non era più lontana. Mi sentivo libero, la libertà di un uomo che sapeva la morte essere inevitabile. Non c'era niente che quella cosa mi potesse fare. Presto saremmo entrambi spariti, e mi sarei lasciato tutto dietro. Con un vago senso di rimpianto per tutte le cose che non avevo completato, aprii il colletto della camicia e lasciai cadere la chiave dentro, sentendola bruciare la pelle nuda con le sue nere fiamme ghiacciate, e allargai la braccia.
"Vieni a prendertela", gli suggerii freddamente. Jack non aveva detto niente di cosa avrebbe fatto la sfera a una persona quando sarebbe esplosa.
Mi chiesi se avrebbe fatto male.

NOVE

Mentre la marea urlante degli incubi tornava alla carica su di loro, Ranma vide lo scheletro crollare infine sotto l'attacco di Cologne. Mentre si disfaceva in polvere, le radici che trattenevano Cologne esplosero nel fuoco nero. Lei urlò, un suono terribilmente desolato, e cadde scompostamente a terra.

OTTO

Akane strinse disperatamente la lancia spezzata. Non riusciva a credere che sarebbe finita in quel modo. Non aveva mai pensato seriamente che avrebbero perso. Non ora, non quando lei e Ranma si erano finalmente dichiarati.
Non era per niente giusto...

SETTE

Genma scattò indietro verso la forma immobile di Cologne, con le braccia spalancate. Poi qualcosa si schiantò su di lui, facendogli espellere l'aria dai polmoni e schiacciandolo con forza al suolo. Sentì dita ruvide attorno alla gola e qualcuno cominciò a strangolarlo.

SEI

Ryoga e Ukyo erano ormai circondati, combattevano schiena contro schiena mentre le creature dilagavano attorno, urlando follemente. Lui sentì Ukyo fare un suono che poteva essere un grugnito, o forse un singhiozzo. Suppose che ormai non importasse granché. Con la coda dell'occhio vide la lama lucente di Kuno, e Kodachi che si precipitava a testa bassa verso il centro di quello che era rimasto del loro circolo difensivo.
Il centro?

CINQUE

Il demone stava tremando. Era seriamente preoccupato. Beh, tanto meglio. Era ora che fossero quegli esseri a preoccuparsi.
Improvvisamente, un fluido nero-verdastro schizzò dal tentacolo che mi reggeva, poi caddi, e un altro tentacolo venne avvolto attorno a me, trascinandomi indietro.
Le creature dovevano aver aperto l'entrata, pensai vagamente, ma era troppo tardi per loro...

QUATTRO

Mousse raccolse Shampoo con un movimento fulmineo, saltò indietro e scagliò una pioggia di oggetti contundenti contro i nemici più vicini. Girandosi, vide che con il collasso di Cologne ormai erano sul punto di essere sopraffatti ovunque. E...
Che diavolo stava facendo Kodachi?

TRE

La creatura urlò di dolore e paura e cominciò a muovere la sua massa poderosa verso di me. Abbassai lo sguardo senza capire, e vidi un nastro avvolto attorno al petto, che mi stringeva dolorosamente le costole infortunate, e mi tirava indietro verso il portale.
"Ranma, tesoro!". Che diavolo?
"Kodachi?". Ed era lei, nel varco a metà, che mi tirava col nastro. Incredibile.
"No, non farlo! Non c'è abbastanza tempo!", urlai, ma non si fermò.

DUE

Ranma martellò un gigantesco demone con una rapida combinazione, cercando di individuare Akane. C'erano decisamente meno nemici ora, ma stavano tutti convergendo su di loro, nel tentativo di recuperare il varco.
"Ranma, attento!". Si voltò, qualcosa di grosso incombeva su di lui, e improvvisamente l'estremità scheggiata di un bastone era conficcata nel suo occhio, e Akane era al suo fianco, gli gridava di fare attenzione, idiota! Si voltò, confidando che lei gli avrebbe guardato le spalle, ma non riuscì a vedere la maggior parte degli altri...

UNO

"NON PUOI SCAPPARE, RAGAZZO! DAMMI LA CHIAVE!". Si stava avvicinando, avanzava come un'onda di marea, e dietro di lui potevo finalmente vedere altri di loro che arrivavano dall'estremità opposta. Incespicai, cercando di rimettermi in piedi, poi Kodachi diede uno strattone al nastro, e faceva male ma barcollai verso di lei, la chiave aveva reso insensibile la pelle del petto dove premeva, e cercai di spingerla indietro attraverso il varco, e...

ZERO

...e improvvisamente un'esplosione muta e fredda mi travolse, e io ero me, e io stavo combattendo fuori al fianco di Akane, e io ero in una cella a domandarmi cosa avrebbe detto quando mi avrebbe visto e io ero per terra con Akane sopra di me e io ero io ero io ero Ranma Ranko Ran-chan ero tutti loro tutti loro TUTTI i Ranma contemporaneamente, le loro vite scorrevano dentro di me, e potevo vedere negli occhi di Kodachi che anche lei poteva sentirlo.
Poi quel momento passò e ci ritrovammo nel mondo reale, e il varco esplose dietro di me come una bolla di sapone, ed era tutto finito.
Finito.
Improvvisamente, Kodachi sussultò, la sua stretta sulle mie spalle aumentò, e guardai nei suoi occhi scuri, stupefatto, vedendoci uno strano sguardo pacifico, uno sguardo che non avevo mai visto prima nei suoi occhi. Stupefatto, sentii le sue braccia scivolarmi attorno al collo. Che diavolo...?
"Ranma", mormorò. "Tesoro". Poi tossì, e da un lato della bocca le scivolò un sottile rivolo di sangue. Abbassai gli occhi, senza capire, e vidi una macchia di sangue che si allargava da un punto sul davanti del suo body. Poi il punto sparì con un secco rumore di risucchio e lei sussultò, cadendomi contro. Vidi una grossa coda che terminava con un pungiglione che si ritirava da lei, grondante sangue. La coda era attaccata a un demone molto grosso, molto orrido.
"COSE CATTIVE. VICINO AL VARCO. COSE COSE COSE CATTIVE. MUORI ORA. SÌ, DEVI MORIRE ORA". E sorrise, un amabile sorriso da idiota pieno di denti coperti di mucosa. Non riuscivo a muovermi. Non mi rimanevano più forze, e riuscivo a malapena a reggermi in piedi con il peso di Kodachi contro di me. Mi resi conto che gli scontri erano quasi terminati, interrotti dal collasso del varco, e nel silenzio improvviso, sentii un suono, un lamento che crebbe e crebbe finché non mi convinsi che non poteva essere prodotto da una bocca umana.
Ma lo era.
Kuno.
Il demone si rese conto del pericolo troppo tardi, cominciò a voltarsi ma Kuno l'aveva già attaccato da dietro, a capofitto, incurante della sua sicurezza. Si portò la katana dal fianco e la alzò in un unico movimento. La cosa guardò ottusamente le sue braccia cadere al suolo. Poi la lama scattò ancora e ancora, lasciando scie di fuoco blu mentre squarciava il carapace del demone sempre più in profondità. La creatura urlò di dolore e paura e cercò di scappare, ma già veniva tagliata a pezzi, e il lamento angosciato di Kuno si confuse nelle strida della creatura morente. Di essa non rimase che una pozza di liquame verdastro. Poi Kuno cercò con lo sguardo un'altra vittima per la sua ira.
Non c'erano molti candidati. Il varco era scomparso, il loro capo sconfitto, le perdite erano spaventose, e non sarebbe arrivato alcun aiuto.
Ruppero i ranghi e si diedero alla fuga. Distolsi lo sguardo, sbalordito dalla scena di distruzione, e guardai la schiena di Kodachi da sopra la sua spalla.
Fu un errore. Era gravemente ferita, lo potevo vedere chiaramente. La feci distendere con cautela, cercando di non farle del male. Avevo ancora le sue braccia attorno al collo, e lei stava guardando nei miei occhi con un'espressione di meraviglia. Percepii gli altri che si avvicinavano a noi. Il suo volto era pallido, sentivo il sangue che usciva a fiotti dalla terribile ferita nella schiena, oltre la mia mano che poteva scagliare cento pugni al secondo ma non poteva trattenere la sua vita.
"Ragazzo?". Era Jack. Abbassò la voce e mi appoggiò una mano cauta sulla spalla. "Ragazzo, se c'e qualcosa che vuoi dirle, farai meglio a dirgliela subito", sussurrò. Lo guardai negli occhi, e vidi che diceva la verità. Ritornai a lei, confuso.
"Perché?", le chiesi. "Ero pronto ad andarmene. Sarebbe stato ok, perché hai rischiato?". Lei incontrò i miei occhi, e sorrise.
"Tutti quei mondi, tesoro mio... l'hai sentito?". Annuii. L'avevo sentito. "Tutti quei mondi. Ce n'era uno dove amavi me, tesoro. L'ho visto. Solo me". Sorrise, un sorriso sognante, poi le sue mani si contrassero spasmodicamente sulla mia nuca dal dolore.
"Ranma", sussurrò, "Lasciami andare... con un bacio. Ti prego".
Scossi la testa per scacciare le lacrime, poi mi chinai per sfiorare le sue labbra ghiacciate con le mie. Lei mi trattenne con quello che le restava della sua forza, lasciò indugiare la sua bocca sulla mia, ottenendo infine l'unica cosa che avesse sempre voluto.
Poi mi rialzai e vidi i suoi occhi chiudersi lentamente.
"Tatchi", sussurrò.
"Qui", disse lui da dietro di me, con voce roca. Lo sentii cadere sulle ginocchia. Lei sorrise ancora, un piccolo dolce sorriso da ragazzina. "Ti sbagliavi. Lui è la luce. È risplendente, e così caldo...". Non disse più niente, il suo respiro rallentò, le sue labbra erano ancora leggermente curvate in un sorriso. Lentamente, le sue braccia scivolarono via dalle mie spalle e caddero senza far rumore ai fianchi. Sentii Akane soffocare un singhiozzo.
Non doveva finire così. Dovevo essere io l'unico a morire stavolta. Erano stati così vicini alla vittoria, come poteva morire ora? E perché?
Perché non io?
Qualcuno si era inginocchiato vicino a me, e notai con un distante senso di sorpresa che era il dottor Tofu. Lui le sentì il battito, poi abbassò la mano dopo alcuni secondi.
"Mi dispiace", disse piano. Non aveva bisogno di dire altro.
La Rosa Nera era morta.


Akane si guardò attorno, scuotendo via le lacrime, esausta. Non riusciva a crederci. Nell'improvvisa calma ultraterrena, era difficile credere che avessero combattuto all'ultimo sangue solo un minuto prima. Ma il prato era devastato e c'erano pozzanghere rivelatrici di melma verde ovunque i demoni morti si erano dissolti.
E Kodachi era morta. Kodachi, che aveva la sua età. Kodachi, che era stata sua rivale. Kodachi, che amava Ranma. Morta.
Seguì il dottor Tofu che si stava dirigendo dove giaceva il corpo di Cologne. Si era dimenticata della matriarca amazzone. Vide Shampoo, evidentemente ferita, scostare Mousse e strisciare al fianco della sua bisnonna. Akane sentì una punta ghiacciata nello stomaco al pensiero improvviso che forse anche Cologne era morta. Guardò Tofu inginocchiarsi per controllarla.
"Dalla a me". La voce di Kuno, roca e con un accento di follia, la fece voltare. Ranko, sconvolto, stava ancora cullando il corpo di Kodachi. Sembrava quasi che non avesse sentito quello che Kuno aveva detto. Lui rinfoderò la spada, ormai inerte, e si inginocchiò di nuovo di fronte a Ranko.
"Saotome. Dalla a me". Questa volta Ranko alzò lo sguardo, sbalordito. I suoi occhi incontrarono quelli di Kuno e, qualunque cosa avessero visto, non riuscirono a sopportarla. Abbassò lo sguardo e silenziosamente gli tese il corpo della ragazza. Kuno la accolse gentilmente tra le braccia, come se lo potesse ancora sentire, e la cullò contro il petto. Poi si alzò e si voltò per andarsene.
"E-ehi, Kuno, dove stai andando?", chiese Ranma, con la preoccupazione evidente nella voce. Kuno si fermò ma senza voltarsi.
"Porto a casa mia sorella", disse. Nessuno si mosse per un lungo secondo.
"Senpai Kuno", disse Akane con gentilezza, "Forse dovresti aspettare..."
"La porto a casa", ripeté. "Non sentirò ragioni. Ora lei ha bisogno di tornare a casa". E con questo se ne andò. Akane si rivolse a Ranma, preoccupata.
"Ranma, cosa dobbiamo fare? Non possiamo lasciarlo tornare a casa in quelle condizioni!". Lui annuì, con il volto madido di sudore.
"Me ne occupo io. Sta’ vicina a Ranko, ok?". La guardò espressivamente, e poi scattò verso il gruppo radunato attorno a Cologne.
"State tutti bene?", chiese Ryoga. Una delle maniche di Ukyo era stata parzialmente strappata e aveva qualche taglio sanguinante alla spalla. Ryoga aveva tre ferite parallele sul torace, che avevano abbondantemente sanguinato ma non sembravano preoccuparlo più di tanto. Il cappotto di Jack era strappato in più punti, ma lui sembrava a posto. Akane si sentiva tutta un dolore, ed era piena di lividi, coperta di sangue verde, e distrutta dal terrore e dalla stanchezza.
Ma era sopravvissuta.
Si accovacciò vicino a Ranko, guardandolo in volto, e il provò una fitta al petto. Quello che aveva detto a Ranma non importava, la vista di Ranko non poteva non commuoverla. E Ranma lo sapeva, ma sapeva anche che lei era probabilmente l'unica che potesse confortarlo. E lui si fidava di lei. Con il cuore in tumulto per la confusione, posò una mano sulla spalla di Ranko.
"Su, Ranko. Dobbiamo andarcene". Lui alzò gli occhi su di lei, e lei si sentì crollare al vedere quanto il suo volto fosse vulnerabile.
"Dovevo essere io", sussurrò, e lei ricacciò indietro un improvviso attacco di pianto.
"Ranko, per favore. Dobbiamo andare", mormorò. Lui chiuse gli occhi, annuì, e si alzò in piedi. Lei lo sorresse, notando che lui le porgeva il fianco sinistro, e che era orami esausto. Mentre lo portava verso gli latri, si chiese cosa fosse successo dall'altra parte del portale. Jack li seguiva a breve distanza, mentre Ryoga aspettò finché Ukyo non ebbe finito di pulire la spatola sull'erba.
Mentre camminava lentamente verso l'altro gruppo, fece scorrere lentamente lo sguardo intorno al Furinkan. Erano successe così tante cose, e ora si sentiva come se una parte di lei fosse morta.
Si chiese tristemente se sarebbe mai stata capace di rivedere quel luogo senza pensare alla morte.


Gli altri formicolarono attorno casa Tendo, preparando coperte e medicamenti per i feriti, mentre Nodoka dirigeva i nuovi arrivati nella sala più ampia della casa. Con calma, controllò ognuno.
Mousse portava Cologne, che era evidentemente la più gravemente ferita. Ranma portava una Shampoo dall'aria spaventata, che non tentava nemmeno di trarre vantaggio dalla situazione. La posò gentilmente su un futon vicino a quello della sua bisnonna. Akane, che sembrava distrutta ma non seriamente ferita, con grande sollievo di Soun, condusse Ranko a una sedia. Ryoga stava cercando di richiudere il suo ombrello, con cui aveva cercato di tenere asciutti alcuni membri del gruppo, senza molta fortuna. Il rivestimento era deformato dagli impatti, e alla fine ci rinunciò. Ukyo tentava di convincerlo a farsi curare i tagli, e lo straniero, Jack, si era seduto, guardando tutti gli altri. Nodoka sentì un nodo allo stomaco e dovette respirare con calma per controllare la voce.
"Ranma", chiamò, con voce sufficientemente ferma, "dov'è tuo padre?". Ranma alzò gli occhi, sorpreso.
"Lo abbiamo mandato a seguire Kuno, per tenerlo fuori dai guai".
"Hai mandato tuo padre a tenere qualcuno fuori dai guai?", chiese brusca, cercando di nascondere il sollievo. "Quell'uomo è un guaio ambulante!". L'espressione di Ranma la fermò. "Cosa c'è?", chiese, all'improvviso di nuovo incerta.
"Mamma, c'è di peggio. Kodachi Kuno è morta". Nodoka sbatté le palpebre. Quella... ragazza? Come, era solo dell'età di Akane! Era stata a casa loro solo il giorno prima. Non poteva essere morta. impossibile.
"Come?", fu tutto ciò a cui riuscì a pensare di chiedere. Lo sguardo negli occhi di suo figlio la raggelò fino all'osso.
"Una di quelle cose l'ha colpita mentre stava aiutando Ranko", disse a voce bassa, mentre la madre gettava uno sguardo verso il punto dove Ranko era seduto, con gli occhi fissi al suolo. "È stato brutto, mamma. Per poco non ce la facevamo". Nodoka respirò profondamente per concentrarsi e cominciò a dirigere i feriti. Kasumi fece da assistente al dottor Tofu nel suo giro di visite.
"Non avremmo dovuto portarli all'ospedale? Shampoo e la sua bisnonna, almeno", fece Nabiki, entrando con una bacinella di acqua pulita e alcune bende. Tofu scosse la testa con aria assente.
"Gli ospedali dell'area sono intasati, e il traffico è difficoltoso. Anche se riuscissimo ad arrivarci, dovremmo aspettare. Tutto il distretto è nel caos. Staremo meglio qui dentro. E per Cologne, le sue ferite fisiche non sono il solo problema. La sua energia vitale è quasi completamente esaurita. Non sono sicuro di cosa devo fare per lei". La sua espressione era chiusa, e Nodoka vide quanto quell'ammissione gli costasse. Muovendosi tra il piccolo gruppo silenzioso, diede a Ryoga una pezza pulita da premere contro le sue ferite, parlò con calma a Ukyo, poi superò il punto dove Ranma e Akane sedevano vicini per inginocchiarsi vicino a Ranko.
"Sei ferito?", chiese piano. Non rispose. Lei soffocò un sospiro e riprovò. "Non è stata colpa tua, Ranko".
"Sono solo stanco", mormorò alla fine. "Stanco di gente che muore. Tutti stavano bene prima che arrivassi io". Nodoka avrebbe voluto controbattere, ma capiva che nel suo stato presente non gli sarebbe stata di alcun aiuto. Invece, lo guidò verso un futon vuoto e lo convinse a stendersi. Guardò la sua forma supina, i suoi lineamenti tirati, con la preoccupazione di una madre. Era davvero così simile a suo figlio, e la feriva vederlo così. Silenziosamente raggiunse Ranma e Akane.
"Voglio sentire cosa è successo", disse loro, guidandoli un po' in disparte dagli altri. "Tutto quanto".
Parlando piano, prima uno, poi l'altra, le dissero tutto quanto.


Mi risvegliai nel buio. Il cuore batteva a mille, anche se avevo solo sognato, quei sogni erano svaniti come nebbia, lasciando solo un vago senso di paura. Mi alzai con cautela, sussultando per il dolore al petto. Ero ancora nella sala principale della casa. Una luce soffusa filtrava dal corridoio per la cucina, da cui potevo sentire delle voci, lontane e calme.
Mi guardai attorno, intravedendo forme nella penombra, udendo il gentile sussurrio dei respiri. Quando i miei occhi si furono abituati al buio, riuscii a distinguere Ryoga scompostamente sdraiato in un angolo, con il torace fasciato, che russava piano. Mousse era raggomitolato vicino al futon di Shampoo, entrambi profondamente addormentati. E vicino a me, appoggiata a una sedia, con la testa sprofondata tra le braccia, c'era Ukyo. Si era addormentata mentre mi sorvegliava, non c'era dubbio. Sorrisi nel vedere il suo volto dormiente. Cara Ucchan. Un giorno, se c'era giustizia a questo mondo, lei sarebbe stata felice.
Scivolai fuori dal futon, notando che mi avevano tolto la camicia e bendato le costole. Non mi ero nemmeno svegliato mentre lo facevano. E anche i vari tagli erano stati medicati. Alzai con cautela le braccia, sentendo il bendaggio stringere leggermente. Non male. Raccolsi la camicia pulita che era stata lasciata di fianco al cuscino e sentii qualcosa che premeva contro la gamba. Mi chinai e la raccolsi, guardandola con curiosità.
Mi ci vollero alcuni secondi per capire cosa fosse. Ricordavo di aver fatto cadere la chiave avvolta dall'energia nella camicia, ricordavo la sensazione di bruciore. Poi, dopo che la sfera era esplosa e ci eravamo liberati del varco, me n'ero dimenticato. Non bruciava più e non la sentivo. Rigirai la cosa tra le mani. Si era rimpicciolita, dalla taglia del mio avambraccio a quella del dito medio. Sembrava essere fatta di una specie di cristallo bluastro, con un anello a una estremità e un uncino accennato sull'altra. Effettivamente assomigliava parecchio a una chiave.
Doveva essere rimasta nella camicia finché non l'avevano aperta, facendola scivolare sotto di me. Me la misi in tasca, senza sapere cosa farci, e mi alzai silenziosamente. Appoggiai con cautela la mia coperta sulle spalle di Ukyo e scivolai nella camicia, poi mi diressi senza far rumore verso la porta del giardino. Non volevo vedere nessuno, non ancora. Aprii la porta scorrevole e scivolai fuori.
Stava piovendo, dure linee d'acqua che battevano senza pietà il terreno, formando un sottile velo d'argento. Entrai nella veranda e mi calai giù per sedere contro il muro, a fissare la pioggia cadere. Dalle case del circondario arrivava poca luce, e per la prima volta mi resi conto che non c'era luce elettrica. Le luci calde della cucina dovevano essere candele o una lanterna.
"Ehi, ragazzo". Jack spuntò fuori dal buio, con il cappotto fradicio d'acqua. "Ti spiace se mi siedo qui?".
"Sì".
"Beh, cercherò di non prendermela troppo". Si sedette, appoggiandosi al muro di fianco a me. Lo guardai con una smorfia.
"Perché sei ancora qui?", chiesi.
"Affari da concludere. Che ti prende, ragazzo? Sembri un po' depresso".
"Che mi prende?", chiesi incredulo. "Kodachi è morta, tanto per cominciare, e Cologne ha un piede nella fossa, ed è colpa mia!". Lo vidi rivolgersi verso di me nella penombra, e l'unico suono per un lungo momento fu il cadere della pioggia.
"Lo credi seriamente?", chiese alla fine.
"Sarei dovuto riuscire a...", cominciai.
"A far cosa? Salvare tutti? Mettere tutto a posto? Ascoltami, Saotome, e per una volta cerca di fare attenzione a quello che ti dico. La tua amica Kodachi non è stata l'unica persona a morire oggi. Ci sono diverse morti e feriti gravi riportati in quest'area come risultato di quello che hanno fatto i demoni per coprire le loro mosse, e molta più gente è ancora dispersa. La cosa importante è che il varco è distrutto, la chiave perduta, e il pericolo è finito. Oh, sicuro, alcune di quelle cose sono ancora qui in giro, ma verranno cacciate. Il peggio è passato, ormai".
"E tutta la gente che è stata ferita o uccisa? Suppongo che siano perdite accettabili, eh?", chiesi acidamente.
"Andiamo, ragazzo! Perché non riesci a capire? Abbiamo perso mondi interi in incursioni come queste! Sei riuscito a fermarli con un pugno di artisti marziali adolescenti, e solo una del tuo gruppo è morta! Ve la siete cavata con POCO!", mi fissò. "Puoi non volerlo sentire, ma è vero. Altri cinque minuti là fuori e sarebbero tutti morti, te compreso. Il resto della città avrebbe presto fatto la stessa fine".
"Non sarebbe mai dovuto succedere!", scattai. "Se non fossi arrivato qui, non sarebbe mai successo! È tutta colpa mia, non ci arrivi?".
"Ah", disse piano. "Allora è per questo che mi hai colpito a tradimento e hai tentato quell'attacco suicida con il nucleo di transito, eh? Perché è tutta colpa tua?". Annuii rabbiosamente, con la gola stretta. "Ragazzo, non mi hai mai dato retta, e vorrei che cominciassi ora. La sola ragione per cui tutta questa gente è ancora viva è che tu sei qui". Lo guardai senza capire.
"Che cosa...".
"È la verità. Hai mandato in corto la mia porta e abbiamo dovuto atterrare qui. Se non fosse successo, non avrei potuto scoprire il varco, e tempo che qualcuno se ne accorgesse, questa città sarebbe stata perduta". Si chinò vicino a me, parlando a voce bassa e urgente. "Ricordati quello che ti ho detto. Quando il GDI avrebbe registrato l'incursione, tutte le vite di Nerima, probabilmente tutte quelle di Tokyo, sarebbero state annientate. Tu non hai messo in pericolo questa gente, Saotome, tu li hai salvati. Mi dispiace per i tuoi amici, ma avete fatto quello che dovevate fare. Milioni di vite erano in ballo".
Continuai a fissare la pioggia. Quello che aveva detto sembrava vero, ma non potevo togliermi dalla testa l'immagine di Kodachi che mi guardava, con l'amore negli occhi. Amore per me. Amore che alla fine l'aveva uccisa.
"Quando eravamo nel varco, quando si stava distruggendo, io... abbiamo entrambi sentito... non sono sicuro di come descriverlo. Era come se per una frazione di secondo potessi sentire centinaia di altri Ranma, con tutte le loro vite...".
"È possibile. Questa è una stringa dimensionale bella grossa, con centinaia di variazioni, e tu sei prominente in molte di queste. Ecco perché sappiamo così tante cose su di te". Scossi stancamente la testa.
"Non voglio essere prominente. Voglio solo avere un po' di pace. Voglio solo esser lasciato solo per un po'". Jack non ebbe niente da rispondere. "Come ci riesci?", gli chiesi alla fine. "Come puoi guardare la gente che ami morire ancora e ancora? Dev'esserci un posto, da qualche parte, dove ti stanno tutti aspettando, tutti felici, tutti vivi. Se solo potessi arrivarci...". Jack cominciò a ridere.
"Sindrome Paradiso", disse.
"Cosa?".
"Sindrome Paradiso. È così che la chiamiamo. Colpisce il GDI ogni tanto. Tu vedi tutti questi mondi-variante e cominci a chiederti se il mondo perfetto per te non sia là fuori da qualche parte. Il mondo dove la ragazza che hai sempre amato ti ricambia, o dove sei ricco, o potente, o dove sei ciò che hai sempre desiderato essere. Un bel sogno, ma non funziona mai. Ciononostante, di tanto in tanto, qualcuno si becca la Sindrome Paradiso e parte verso l'ignoto, e non viene mai più rivisto. Chi lo sa, magari trova quello che sta cercando".
"Non mi sembri molto ottimista".
"Questo mondo sarebbe perfetto, non è vero, ragazzo? Se non fosse per un piccolo dettaglio, ovvero che tu qui esisti già", sussultai. Aveva ragione, naturalmente. Ecco perché avevo deciso di andarmene.
"Allora il paradiso non esiste?".
"Ragazzo, che razza di vita avresti mai, se ogni volta che ti capita qualcosa di brutto potessi andartene e cercarti un nuovo mondo dove le cose vanno meglio? Il paradiso te lo fai da te, immagino. Avere troppe opportunità è quasi peggio che non averne nessuna".
"E questo succederebbe in ogni luogo?", chiesi alla fine.
"Cosa?".
"Questo. Ritrovare la mia vita già vissuta, tutta questa gente...".
"No, non dovunque. Questa stringa ha un sacco di variazioni di questo posto, ma ci sono centinaia di altre stringhe solo in questo settore dove tu puoi benissimo non essere mai esistito. Più ti allontani dalla tua stringa natia, meno possibilità hai di ritrovare te stesso".
Bene. Era un sollievo.
"Ehi, mi stavo giusto chiedendo: perché mi hai dato quelle quarantotto ore extra? Probabilmente potevi catturarmi facilmente, quindi perché ti sei messo in tutto questo casino?". Jack non rispose per così tanto tempo che cominciai a chiedermi se lo avrebbe fatto.
"Sindrome Paradiso", mormorò alla fine.
"Eh?".
"Ragazzo, io sono una Classe Y. Sai cosa vuol dire?". Ovviamente non lo sapevo. Lui annuì. "Significa che sono stato prelevato da un mondo morto, come te. Sul mio mondo c'era un virus che era mutato da un'arma biologica. Io avevo un'immunità naturale alla maggior parte delle malattie, inclusa quella che uccise il mio mondo, così sopravvissi", sospirò leggermente. "Per poco. Quelli che mi salvarono mi misero al lavoro". Mi risedetti, stordito. Non ne avevo idea. Lui riportò gli occhi sulla pioggia, tamburellando oziosamente le dita sulle ginocchia. "Lo fecero perché avevano bisogno di gente, e le loro leggi non permettevano loro di raccogliere personale da stringhe attive a piacimento". Poi si voltò verso di me, e i suoi lineamenti erano indistinti nel buio. "Alcuni anni fa ho commesso un errore. Un tragico errore. A causa del quale qualcuno morì. Da allora, sono arrivato a pensare che non avrei fatto quello che avevo fatto, se solo avessi avuto una possibilità di risistemare le cose, di dare un ultimo saluto ai miei fantasmi. Così ho pensato che sarebbe stato meglio lasciarti vedere che non c'era posto per te qui, piuttosto che lasciare che il dubbio ti divorasse per anni finché alla fine non avresti fatto qualcosa di stupido. E comunque, quel che è fatto è fatto". Non ero sicuro se stsse parlando a me o a se stesso in quell'ultima parte. Sospirai e mi appoggiai contro il muro, sobbalzando per le fitte alle costole.
"Allora cosa succederà quando arriveranno i tuoi rinforzi? Dovrò combattere anche loro?". Jack non distolse gli occhi dalla pioggia.
"Sono già qui. E non dovrai combattere proprio nessuno, perché sei morto". Per un attimo non seppi dire niente.
"Eh?", feci alla fine. Lui sorrise.
"Non sei riuscito a uscire dal varco prima che esplodesse. Un nobile sacrificio, una storia molto tragica. Che tu possa riposare in pace". Continuai a fissarlo stupidamente.
"Eh?", ripetei. Lui sospirò.
"Saotome, ho compilato un rapporto. In triplice copia. Una volta che la burocrazia pensa che tu sia morto, credimi, ci vorrebbe il diavolo in persona per convincerli del contrario".
"Perché?", chiesi alla fine. "Perché farlo per me?". Sorrise, un sorriso enigmatico.
"Consideralo un regalo d'addio. O consideralo un tentativo di redenzione per i miei peccati del passato, se vuoi. Non importa davvero, alla fine. Il risultato è lo stesso". Ritornò a fissare la pioggia. "I praticanti di arti marziali hanno un codice d''onore, giusto?".
"La maggior parte", replicai, ancora confuso.
"Forse il GDI dovrebbe adottarne uno. Alcune delle cose che ho dovuto fare sono state logiche, e anche necessarie, ma non molto onorevoli. Forse non mi sento più nel giusto. Francamente, non credo che ti saresti trovato bene nel GDI. Il mondo è grande, Saotome. Trovatene un angolo e ricomincia a vivere. Tu non appartieni a questo posto e lo sai". Si alzò lentamente, e mi squadrò con aria incerta, come se si stesse chiedendo se dirmi o no un cosa. "Ho un ultima parola di avviso per te, Ranma Saotome", disse alla fine. "Un uomo più saggio di me una volta disse: 'Colui che combatte mostri deve stare attento a non diventare un mostro lui stesso. E quando fissi il tuo sguardo nell'abisso l'abisso guarda dentro di te'. Ti sono accadute molte cose, e posso dire che hai già passato abbastanza tempo a guardare in quell'abisso. Ma se lo guardi abbastanza a lungo, arriverà a conoscerti per nome, e comincerà a chiamarti. E quel richiamo sarà molto seducente. La vita è stata dura con te, ragazzo, ma non c'è niente da fare ormai. Allontanati dall'orrido, Saotome, o una notte nei momenti più cupi, nelle ore poco prima dell'alba, sentirai l'abisso chiamarti. E tu risponderai". Ricambiai il suo sguardo, in silenzio. Per la prima volta capivo che lui poteva intuire in qualche modo quello che avevo passato.
"Questo è solo il mio consiglio, a ogni modo. Prendilo per quel che vale. Ho visto come guardavi la giovane signorina Tendo, prima. Sappiamo entrambi cosa succederà se rimani. Il passato è passato, ragazzo. Trovati un futuro".
E poi se ne era andato, camminando nella pioggia. Lo seguii con gli occhi, cercando di rendermi conto di quello che mi aveva detto.
Libero. Ero libero. Per quanto concerneva il GDI, ero morto. Nessuno mi sarebbe venuto a cercare. Una delle ragioni della mia partenza era scomparsa. Ma le altre ragioni, se volevo essere onesto con me stesso, restavano ed erano sempre più impellenti.
"Pensieri pesanti, bulletto?", saltai su, provocando uno scoppio di risate femminili. "Scusa", fece Nabiki, "non volevo spaventarti". Si sedette di fianco a me a gambe incrociate e appoggiò il mento sul pugno.
"Da quanto stavi ascoltando?", chiesi, mezzo arrabbiato, mezzo divertito. Lei sogghignò.
"Da abbastanza tempo. Sai, si imparano le cose più incredibili solo tenendo le orecchie aperte".
"Sei impossibile. Immagino lo saprai già".
"Uh-uh. Allora". Mi guardò negli occhi, con un espressione insolitamente grave. "Cosa farai?". Sospirai.
"Non lo so. Mi sento così... colpevole, sai?".
"Ho sentito cosa ha detto. Se non fosse stato per te, saremmo tutti morti a quest'ora. L'autocommiserazione non ti aiuterà, Ranko. Hai salvato un sacco di vite, inclusi mio padre e le mie sorelle. Lascia che io sia la prima a dirti grazie". Sentii che arrossivo.
"Andiamo, Nabiki. Non ho salvato Kodachi, giusto?".
"Se tu avessi potuto, l'avresti fatto", rispose semplicemente. "Ho sentito della tua stupida sortita da cowboy, hai cercato di fermare il varco da solo per non mettere nessuno in pericolo. Penso che questo dica tutto".
Rimase in attesa mentre cercavo di trovare qualche ragione per contraddirla.
"Come stanno?", chiesi alla fine. Lei intrecciò le mani dietro la nuca e fece una faccia pensosa.
"Beh, erano tutti esausti, naturalmente. Ukyo e Ryoga sono stati rappezzati, non avevano niente di grave. Shampoo era conciata mica male, e il dottor Tofu ha detto qualcosa a proposito della sua energia vitale, ma ha detto che tra qualche giorno sarà come nuova. Cologne dovrebbe vivere, ma lui non è sicuro di quando riuscirà a riprendersi. È preoccupato per i suoi nervi oculari. Pensa che potrebbe rimanere cieca". Sospirai. Dannazione. Quante altre cattive notizie poteva sopportare quel posto? Nabiki mi squadrò con uno sguardo preoccupato.
"Come è stato... Kuno...". Si interruppe, vagamente imbarazzata.
"Non bene", dissi piano. "Era fuori di sé. Se n'è andato come se niente fosse, con lei in braccio. Spero che sia riuscito a cavarsela".
"Quello sì. Tuo… voglio dire, il padre di Ranma è tornato poco fa. Kuno è riuscito a fare ritorno alla sua proprietà. Non ha detto molto altro, perché la pioggia lo ha fatto diventare panda e non c'è corrente per riscaldare l'acqua". Fece una pausa, come se stesse cercando le parole giuste. "Non riesco a credere che sia morta", disse alla fine. Annuii.
"Lo so. Ho ancora difficoltà a credere che siano morti tutti quanti. Immagino di poter aggiungere il suo nome alla lista".
"Stai per partire". Non era una domanda. Mi aveva preso in contropiede con l'improvviso cambio di argomento, ma conoscendola, era una mossa calcolata per carpirmi qualcosa.
"Devo".
"Anche ora?".
"Già, anche ora. Il GDI non mi dà più la caccia, ma se rimango... saranno guai per tutti. Devo trovare un posto che sia solo mio. Forse poi potrò tornare. Forse". Lei annuì come se se lo aspettasse.
"Gli altri lo sanno?".
"Per ora, l'ho detto solo a Ranma. Anche se potrebbe averlo detto ad Akane". Nabiki rise.
"Hai davvero finito per fartelo piacere, non è così?". Aggrottai la fronte.
"Che c'è di così strano?".
"Beh, pensavo che voi due foste troppo simili per andare d'accordo". Sentii un sorriso affiorarmi sul volto, al ricordo del nostro primo disastroso allenamento.
"Bene, immagino che a volte riesco a essere un arrogante figlio di puttana", ammisi mio malgrado. "Ma siamo riusciti a diventare amici comunque". Quindi lei si alzò, tendendomi la mano.
"Salta su", fece. "Akane e Zia Nodoka stanno preparando una cena fredda. Dovrai essere affamato, hai dormito tutto il pomeriggio". Ero affamato, ora che ci pensavo. Le sorrisi con gratitudine.
"Vai pure. Vorrei restare qui un paio di minuti". Vidi l'espressione sul suo volto cambiare e ridacchiai. "Arriverò in un attimo", le assicurai. Lei sospirò e si voltò per andare, poi si fermò.
"Ranko?".
Hmmmm?".
"Ci siamo andati davvero vicini, vero?". Ricordai quei momenti disteso sul suolo del varco, sentendo di non poter continuare, con la sfera fuori dalla mia portata. Avevo voluto così tanto stendermi e arrendermi, allora...
"Più vicini di quanto tu possa immaginare", dissi piano. Lei si volse silenziosamente ed entrò, lasciandomi solo con i miei pensieri e la pioggia.


"Sono passati solo due giorni, Ranko. Penso che dovresti lasciar guarire queste costole un altro po'".
"Ne abbiamo già parlato, doc. Sto bene, e sono pronto per partire. Andiamo, facciamola finita. Odio i lunghi addii". Uscimmo dalla porta principale nella luce del sole di primavera.
Stavano aspettando. I genitori di Ranma, Ranma e Akane, Nabiki e Kasumi, Ukyo, Ryoga, Shampoo e Mousse. Cologne aveva ripreso conoscenza per brevi periodi ed era fuori pericolo, o comunque così diceva il dottor Tofu. Comunque, i suoi occhi erano diventati dello stesso colore dell'energia nera che l'aveva avvolta durante l'attacco del demone. Era cieca. Shampoo aveva pianto per ore dopo che gliel'avevano detto, anche se il dottore le aveva detto che non era sicuro se potesse essere curata o meno.
Nessuno era venuto a sapere niente di Kuno. I servitori non ammettevano nessuno nella proprietà. Le richieste erano cortesemente ignorate. Ordini del padrone, dicevano. Il lutto della famiglia non doveva essere interrotto per alcuna ragione.
Così mi ritrovai qui, di fronte alla palestra Tendo, pronto per partire. Mi ci era voluto un bel po' per spiegare agli altri perché volevo andarmene così presto. Sapevo che non sarebbe mai stato più facile lasciarmi dietro questo posto, e sapevo che potevo perdere la mia risolutezza se aspettavo troppo a lungo.
Quindi stavo partendo. Mi incamminai lentamente lungo li sentiero. Mousse mi tese la mano e io la strinsi, sorpreso.
"Abbi cura di te, Ranko", disse solennemente. Annuii. Shampoo, ancora incerta sulle gambe, si avvicinò e mi gettò le braccia al collo.
"Tu salai semple il mio amole", sussurrò. La strinsi con gentilezza, cercando di non guardare Mousse.
"Fa' la brava", le dissi. Mi baciò ferocemente, poi fece un passo indietro. Arrossii.
Ukyo era la prossima. La guardai, e mi sentii stringere il cuore allo sguardo sul suo volto.
"Resta", disse silenziosamente. Scossi la testa, quasi impercettibilmente.
"Non posso", risposi. Lei fece un veloce passo avanti e mi chiuse il braccio non fasciato attorno la spalla, fece scivolare l'altro lungo la vita, e appoggiò la testa al petto. Improvvisamente, respirare faceva male. "Sii felice, Ucchan. Per favore", mormorai. Sentii le sue spalle sussultare leggermente, poi alzò il volto e mi baciò sulle labbra, gentilmente, indugiando come la rugiada d'estate.
Poi arretrò, con gli occhi bassi. Mi feci forza e continuai.
"Vuoi baciare anche me?", mi chiese Ryoga, facendomi sorridere.
"Pervertito", sbuffai.
"Ehi, devi tornare un giorno o l'altro, così potrò sconfiggerti una volta per tutte". Sogghignai.
"Sicuro, ti farò fissare un appuntamento dal mio segretario". Mi tese la mano, con qualcosa di nero e giallo che ne pendeva.
"Che cos'è?".
"Un regalo di addio. È la mia fascia fortunata". La presi con precauzione. Sembrava identica alle altre.
"Fortunata per cosa?", chiesi dubbiosamente.
"Le donne", rispose solennemente, "la trovano irresistibile". Lo guardai negli occhi, e cominciammo a ridere nello stesso momento.
"Scemo", dissi.
"Idiota", replicò. Ci stringemmo brevemente gli avambracci, poi dovetti proseguire.
"Accidenti, bulletto, sei rimasto nemmeno quanto bastava per indebitarti con me", fece Nabiki. La scrutai, e non vidi traccia della ragazza a cui avevo parlato quel giorno, così agii di impulso. La circondai con le braccia e avvicinai le labbra al suo orecchio.
"Nabiki Tendo", sussurrai, "io devo averti". Lei scoppiò in una ristata da ragazzina, e prese a martellarmi di pugni le spalle.
"Cielo, che impudenza", rispose con aria civettuola. "Andiamo, levati di qui prima che io decida di tenerti, casanova". Le sorrisi, felice di vedere che la ragazza che avevo conosciuto era ancora là dentro, e sperai che un giorno avrebbe trovato il modo di saltare fuori.
Kasumi mi raggiunse, con una scatola avvolta in un panno nelle mani.
"Ti ho preparato il pranzo", disse semplicemente.
"Ma naturalmente". Lo presi, cullandomi nel calore del suo abbraccio.
"Sii prudente, d'accordo?".
"Tenterò". Era la cosa più onesta che potessi dire, e non sono mai riuscito a mentire a Kasumi. La prossima.
"Vorrei che ci ripensassi", disse la donna che, in un'altra realtà, sarebbe stata mia madre.
"Fidati. So cosa sto facendo". Anche lei mi abbracciò, e sentii un improvviso accesso di rimpianto per non aver mai condiviso un momento simile con mia madre. Sorrisi.
"Cerca di tenere questo vecchio pazzo fuori dai guai, ok?", dissi, indicando suo marito col pollice. Lei sorrise, asciugandosi in fretta una lacrima.
"Io non faccio miracoli, caro".
"Ehi, che ne è del rispetto per gli anziani?", fece Genma.
"E tu riguardati, vecchio orso", dissi. Lui strisciò i piedi per terra e sorrise.
"Torna pure tutte le volte che vuoi allenarti con un partner decente", disse. Mi voltai verso il signor Tendo.
"Hai tirato su delle grandi ragazze, Tendo. Dovresti esserne fiero".
"Lo sono, Ranko. Lo sono".
"Potete chiamarmi Ranma adesso". Sorrise.
"Non ti ho mai ringraziato come si deve per aver salvato la vita di Akane quella volta, figliolo. Se c'è qualcosa...".
"Grazie". Deglutii, avvicinandomi alla fine. Gli addii più duri.
"Ehi". Akane mi sorrise, con tristezza. "Immagino che ci siamo". Annuii senza parole. Avrei voluto prenderla tra le braccia e stringerla, ma non potevo. Assolutamente.
Però lei poteva. Mi abbracciò fieramente, evitando con cura le costole bendate. Vidi Ranma voltarsi discretamente e ricambiai il suo abbraccio, abbassando il capo per respirarne il profumo. Un'ultima volta.
"Mi dispiace", mormorò. Mi dispiace di non essere la tua Akane. Mi dispiace di spezzarti il cuore solo con la mia esistenza. Mi dispiace che non possiate amarmi tutti e due. Mi dispiace per un milione di cose. Non sapevo a cosa si riferisse. Forse a tutte quante.
"Anche a me", le dissi, e sentii le sue lacrime sul collo mentre ricacciavo indietro le mie. Dopo tutto, i duri non piangono, giusto?
Alla fine dovetti lasciarla, e con un passo indietro li guardai entrambi.
"Ehi, non scordatevi di mandarmi l'invito al matrimonio", dissi il più allegramente possibile. Entrambi arrossirono furiosamente, poi Ranma raccolse il mio zaino e me lo allungò.
"Uffa, non rincominciare", borbottò. Presi lo zaino e me lo misi sulle spalle.
"Ehi, bello, accompagnami al cancello". Una volta arrivati ci fermammo, uno di fronte all'altro.
"Un'ultima fermata?", chiese con calma. Sorrisi con una punta di tristezza.
"Tu lo faresti, non è vero? Mi ha salvato la vita. Lo devo alla sua memoria".
"Kuno è instabile. Sii prudente". Annuii.
"Beh, questo è davvero tutto", dissi infine, guardando il gruppo. Ranma sospirò.
"Vorrei...".
"Vorrei, vorrei. Se i desideri fossero pesci, potremmo camminare fino in Cina senza bagnarci i piedi". Mi sorrise suo malgrado.
"Abbi cura di te, ok? È strano, mi stavo giusto abituando a vederti in giro. Ho sempre desiderato un fratello".
"Che coincidenza. Anche io". Ci stringemmo la mano, provando per l'ultima volta la sensazione di essere due metà di un intero.
Poi quel momento passò, e con esso, i miei giorni a casa Tendo. Partii in direzione della mia ultima fermata.
Resistetti al bisogno di guardarmi indietro, solo un'ultima volta.


I servitori, i muri, e il sistema di sicurezza non riuscirono nemmeno a rallentarmi. Lo stesso dicasi per le strane etichette che sembravano appiccicate dovunque. Alla fine, lo trovai in una piccola macchia d'alberi rintanata nel lussureggiante giardino della proprietà.
Non avevo mai visto prima quel boschetto. C'erano alcune lapidi sparse intorno agli alberi e un fitto tappeto d'erba. Kuno era inginocchiato davanti a una di queste, con la katana appoggiata sulle ginocchia. Di fronte alla lapide d'ossidiana c'era un tempietto portatile. Non avevo bisogno di guardare al suo interno per sapere quale fotografia contenesse.
"Sapevo che saresti venuto", disse, con voce piatta. Mi sorprese. Non avevo pensato che avrebbe capito che io ero lì. Scivolai giù dall'albero in cui mi nascondevo, e mi avvicinai lentamente alla lapide. Kuno, vestito con una tunica bianca, non si voltò verso di me. Cercai di pensare a qualcosa da dire. ‘Mi dispiace’ suonava terribilmente inadeguato. Lui mi risparmiò la fatica.
"Onorerai la memoria di mia sorella". Annuii, poi mi inginocchiai, battei le mani due volte e chinai il capo.
Vorrei averti voluto salvare, pensai. Vorrei almeno averti amato. Non è stato giusto che tu sia morta in quel modo. Giuro che tenterò di onorare la tua memoria, Kodachi. E prego che tu abbia trovato la pace, ovunque tu sia.
Mi alzai, con gli occhi sulla lapide. Sotto il suo nome e le date, una singola rosa nera era stata incisa nella pietra. Sotto, due righe.
"I codardi muoiono mille volte prima della loro morte. Il valoroso non assapora mai la morte se non una volta".
Shakespeare, probabilmente, conoscendo Kuno. Non avevo mai pensato a Kodachi in termini di valore, ma di sicuro non era mai stata spaventata da nulla che io sapessi in tutto il tempo che l'ho conosciuta.
"Lei ha sempre creduto che tu fossi la sua salvezza, Saotome. Invece, ti sei rivelato la sua fine". Non seppi cosa rispondere a quelle parole. Kuno continuava a non guardarmi. Notai che la spada nel suo grembo era la stessa che aveva impugnato al Furinkan. Avrei voluto chiedergli qualcosa al riguardo, ma non era il momento giusto.
"Va’, Saotome. Sono in lutto per mia sorella. Se potessi, ti rincorrerei fino ai confini del mondo per vendicarmi nel suo nome, ma il dovere non lo permette in questo momento. Ma sappi questo. Se mai ci incontreremo di nuovo, sarà come nemici, e solo un di noi due sopravvivrà a quell'incontro".
"Vorrei che non fosse così, Kuno", dissi lentamente.
"Quello che vuoi tu è irrilevante. Ti sto semplicemente dicendo le cose come stanno". Annuii.
"Ma devi ricordarti che è colpa mia, non di Ranma. Ricordatelo se vuoi la tua vendetta". Accennò brevemente col capo ma non disse niente. Non c'era costrutto nel parlargli. Mi voltai per andarmene.
"Saotome?".
"Sì?".
"Tutte quelle donne", disse amaramente. "Me lo sono sempre chiesto. Cos'è che le spinge a qualunque cosa per ottenere il tuo amore?".
"Vorrei saperlo", feci, altrettanto amaramente. E dicevo il vero. Poi lo lasciai con le memorie dei morti, certo che non ci saremmo mai più rivisti.
Mi sbagliavo, anche se non c'era modo di saperlo allora. Non avrei mai immaginato quali strani e contorti sentieri mi stavo preparando a calcare. Non avrei mai creduto che un giorno sarei tornato in quel luogo, o quali sorprese il fato avesse in serbo per tutti noi.
Mi diressi verso il muro dove avevo lasciato lo zaino. Nessun segno di Sasuke. Questo era un bene. Poteva non valere granché come ninja, ma non avevo voglia di vedermela con lui, quel giorno.
Raccolsi lo zaino e scavalcai il muro. Sotto la camicia nera, avvolta in un pezzo di cuoio grezzo, c'era la chiave. Nessuno sapeva che l'avevo io. Non sapevo nemmeno come farla funzionare. Ma tutto ciò che avevo era il tempo, non avevo un luogo dove andare o giorni da spenderci.
Il mondo è grande, aveva detto Jack. Forse, ma ero troppo irrequieto, troppo ferito nell'animo, per mettermi a vagare per un mondo solo. Ce n'erano centinaia là fuori, forse migliaia. Certamente abbastanza per perdersi, lasciare i luoghi familiari alle spalle e ricominciare.
Sindrome Paradiso, eh? Jack aveva detto che ogni tanto qualcuno partiva alla ricerca del paradiso e non tornava mai più. Forse trovavano quello di cui avevano bisogno, o forse lo stavano ancora cercando.
In un modo o nell'altro, mi stava bene.





Fine


Revisione versione originale inglese: 8 agosto 1997
Revisione traduzione italiana: 22 luglio 1999
Betalettura a cura di TigerEyes: 4 agosto 2011

Sono certa che questa ff non vi ha lasciati indifferenti. A suo tempo rappresentò una svolta epocale in mezzo alle migliaia di ff tutte uguali, improvvisate, ingenue, dalle idee trite e ritrite, dai dialoghi banali, dalle descrizioni infantili. L’autore non ha semplicemente concepito una ff geniale. Ha pianificato questa ff senza tralasciare il minimo particolare, studiando tutto nei minimi dettagli affinché tutto si incastrasse alla perfezione, affinché non ci fossero falle o incongruenze. Ma non si limitò a elaborare scrupolosamente la trama affinché la presenza di due Ranma in uno stesso mondo fosse plausibile, l’autore è senza meno partito con l’idea di analizzare cosa sarebbe accaduto se due Ranma fossero vissuti sotto lo stesso tetto, cosa avrebbe comportato la presenza di un secondo Ranma per tutti i personaggi principali del manga. Dunque ha puntato sulla caratterizzazione, o meglio, su una profonda analisi psicologica dei personaggi takahashiani, qualcosa che ancora oggi riesce a pochissimi. E l’ha fatto in modo strabiliante: l’approfondimento psicologico di ogni personaggio è tuttora senza pari. L’autore ha affrontato con grande maturità e sensibilità temi delicatissimi, portando ogni singolo personaggio a vedersela con le parti più oscure del proprio animo e a evolvere drammaticamente nel giro di poco tempo. Ha preso il mondo di Ranma e l’ha stravolto per sempre, stravolgendo per sempre anche il fandom internazionale.
E non finisce qui.

Ringrazio tutti coloro che hanno commentato i precedenti capitoli e che commenteranno questo, nonché coloro che vorranno lasciare un commento in futuro. Io sono solo una beta, non posso rispondere in nome dell'autore o del traduttore, purtroppo, ma a nome loro vi ringrazio profondamente.
Come sempre, se mi fossero sfuggite delle sviste, non esitate a segnalarmele, grazie! ^_^
TigerEyes
   
 
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