Serie TV > Ghost Whisperer
Ricorda la storia  |       
Autore: MissShinigami    12/08/2011    4 recensioni
Kimberly Williams è una ragazza non poi così normale che abita in un paesino non molto distante da Grandview, dove abita sua cugina.
La cugina M, come la chiama sempre Kim, ha il dono particolare di vedere i fantasmi, cosa comune nella famiglia, poichè lo possiede anche la protagonista...
Tuttavia la cugina M non è mai stata coinvolta in una storia con molte sfumature del thriller!
Genere: Fantasy, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
John ormai mi seguiva da tempo, non facevo neanche più caso al fatto che gli piaceva spaventarmi, apparendo all’improvviso in angoli oscuri. Ero abituata a queste cose, me ne capitavano di peggio ...
La Cugina M. aveva detto: alcuni ti possono toccare. Dopo, avevo smesso di sobbalzare tutte le volte che me ne compariva uno davanti.
Sospirai, quando il vecchietto mi comparve davanti urlando: bu!
“Hai finito?” chiesi.
“No, solo mi chiedo: perché non ti spaventi più?”.
M’infilai velocemente un auricolare: non volevo sembrare pazza! E continuai a camminare verso la mia scuola.
“Allora?” insisté lui.
“Perché sei … hmm … insistente … no! Prevedibile!””.
“Oh, c’è di peggio, comunque io mi definirei costante!”.
“Parlando di costanza: sei sicuro di non avere niente in sospeso?”.
John fece finta di pensarci un po’ su. “No!”.
Mi fermai per guardarlo negli occhi. “Maaa s’è sihuro?!”.
Mi guardò sbalordito, di solito sono seria … ma non ne potevo davvero più: doveva passare oltre … o mi sarei suicidata e lo avrei spinto a calci!
“S-si, sono sicuro.”.
Lo guardai storto.
“Te l’ho detto voglio solo qualcuno con cui poter parlare!”.
Avevamo avuto quella discussione molte volte, ma quella mattina mi venne un’idea geniale. “Allora forse io non sono la persona giusta!!”
“Certo!” concordò, prima di attraversare la strada e prima di mettersi a urlare contro le persone che passavano. “Hey! Signora! Piacere mi chiamo John! Ho! Ragazzina aspetta ho tanti aneddoti da raccontare!!”
La gente gli passava davanti, accanto e attraverso senza né vederlo né sentirlo. Mi venne da ridere: a volte pensavo che essere un fantasma dovesse essere forte, poi mi ricordavo dei pericoli in cui potevi incorrere, l’avevo imparato a mie spese.
Continuai a camminare, rimuginando sulla mia teoria, eccitata dal fatto che avrei potuto non sentire più i blaterii di John.
La prima domanda da porsi era: con chi avrebbe potuto, no … dovuto parlare?
Un familiare. Figlio … figlia … nipote?
“John, come fai di cognome?”  gli chiesi quando tornò da me.
“Smith.”.
Risi. Anche in modo idiota, se la vogliamo dire tutta.
“È vero.”.
“Davvero?”.
“Sì.”.
Ecco, a quel punto non seppi se scusarmi di aver riso prima o ridere di nuovo. Poi mi resi conto che non c’era davvero niente da ridere: quanti Smith esistevano nella mia città … oh cazzo …
Ok, qual era il passo successivo? Sì, giusto il suo passato, chissà magari c’era solo una famiglia di Smith che veniva da … che ne so … l’Oklahoma!
“John, dopo la scuola dobbiamo parlare seriamente. Devo farti delle domande, sai … per aiutarti a …”.
“Kim, conosco il tuo lavoro.”
“Bene, meglio così!”
Eravamo davanti a scuola ormai e non volevo che mi vedessero parlare in un auricolare collegato a un cellulare spento. Non che m’interessasse ciò che gli altri pensavano di me, diciamo più che altro che ci avevo rinunciato … a piacere agli altri intendo.  Dopo che mi avevano visto urlare al nulla negli spogliatoi maschili della palestra, mi evitavano. Mi venne da ridere: quella volta mi divertii; anche se dovetti inventarmi la storia che mi era scappato il cane e che un ragazzo mi aveva detto di averlo visto nella scuola. Mentire mi riusciva bene …
Guardai la torretta in mattoni rossi accanto alla mensa, quello era l’unico luogo in cui nessuno andava, dicevano che fosse infestato: lo era. Tutte persone simpatiche! Era lì che passavo le ore di buco, le ricreazioni e ci mangiavo anche … lassù potevo essere me stessa.
Sì, certo … se solo lo avesse potuto sapere prima …
Era l’ora di pranzo, mentre salivo le scricchiolanti scale di legno della torre, parlavo con la Contessa, uno dei fantasmi che infestavano la torre. La Contessa era morta nel 1800 durante l’incendio che aveva distrutto tutto il monastero tranne la torre che ora era infestata (già il mio liceo era un ex-monastero, tanto lavoro per la sottoscritta!!), era una signora conosciuta e famosa, soprattutto per la sua generosità, la sua reale generosità. Era la mia confidente … anche perché diceva che mi aveva aspettato fino ad ora, le avevano ordinato di farlo.
Straaanooooo …
Comunque, eravamo quasi in cima alla torre e parlavamo di quanto può essere bella e affascinante la nebbia, quando sentimmo dei lamenti, quasi dei gemiti. Qualcuno stava piangendo, ma era un pianto strano: da bambino piccolo.
Era un fantasma: ne ero certa.
Salii gli ultimi scalini con un balzo. La sala in cima alla torre era polverosa, puzzava di muffa e di chiuso e c’erano travi e pezzi di legno sparsi un po’ ovunque o accatastati vicino ai muri: accanto a una di quelle cataste c’era una bambina.
Rimasi pietrificata: non era affatto un fantasma. La sua figura era avvolta in un cappotto marrone troppo grande per lei, ricadeva in terra per molti cm e intorno al collo aveva una gigantesca sciarpa gialla. Avrà avuto sì e no otto forse nove anni. I suoi capelli biondi e riccioli le coprivano il volto, erano sciupati e sporchi. Si teneva stretta nel cappotto, con il volto premuto nella sciarpa; piangeva e singhiozzava senza ritegno.
Ero confusa: mi aspettavo l’ennesimo fantasma con l’ennesimo conto in sospeso, lo avrei aiutato e poi sarebbe andato nella Luce … non questo …
La bambina alzò la testa, si era accorta che qualcuno era lì. Mi guardò: i suoi occhi erano gonfi per il pianto e cerchiati da profonde occhiaie, la cosa che mi colpì di più fu il colore verde scuro, come i miei occhi. Mi fece una strana impressione … era come guardare in uno specchio … solo che avevo perso qualche anno.
La bambina urlò spaventata e cercò di rintanarsi dietro alle assi di legno cui era appoggiata.
Ok, non seppi davvero come comportarmi. Cioè: non era un fantasma!
“Su, dille qualcosa! Tranquillizzala!” mi suggerì la Contessa preoccupata.
La bambina urlò di nuovo.
“Ok, ok! Senti non sono pericolosa, non devi avere paura!!” dissi allarmata, ero più spaventata di lei!! Cavolo!!
“Non ti credo!” rispose da dietro alla legna.
“Heee … no no! Davvero, ok io adesso mi tolgo il giubbotto! Così vedrai che sono una semplice ragazzina!” dissi la prima cosa che mi veniva in mente. Cavolo! Ma davvero  pensava avessi un coltello o una pistola in tasca?! No, ok quella che avrebbe potuto pensarlo ero io, ma non sapevo che fare, ero in preda al panico.
Le gettai il mio giubbotto di pelle, il mio giubbotto pulito, ai piedi, poi girai su me stessa con le braccia alzate: indossavo un paio di jeans scuri e un maglioncino grigio attillato.
La bambina mi osservò poi prese il mio giubbotto da terra e frugò nelle tasche, cosa che m’innervosì un po’, trovò la mia scorta di caramelle alla menta, quelle extra forti, ne masticò cinque o sei in un colpo solo facendo smorfie perché erano troppo forti.
“Hai fame? Allora aspetta, prima di finirmele tutte.” intervenni.
Presi il mio zaino da terra, dove lo avevo fatto cadere poco prima, estrassi il mio pranzo e glielo porsi, lei allungò la sua manina verso il contenitore e lo prese con uno scatto fulmineo. Mangiò tutto in pochi minuti, così ebbi il tempo di guardala per bene. Era magrissima come se fosse mal nutrita e, dal modo in cui divorava il mio cous cous, non mangiava da giorni; il suo viso era sciupato e aveva un livido su uno zigomo, molto vicino all’occhio. Era stata picchiata; mi montò una rabbia tremenda. Sentii un tocco leggerissimo e freddissimo della Contessa sulla mia spalla, mi girai a guardarla: aveva un’espressione afflitta sul volto, sapeva cosa provavo. Poi però mi accorsi che anche la bambina stava guardando nella direzione della mia amica fantasma; mi allarmai.
“Anche tu la vedi?” mi chiese con una vocina flebile e ancora rotta dal pianto.
Giusto, la cugina M me lo aveva detto: molto bambini possono vedere gli spiriti.
“Sì.” risposi con la voce più rilassata che potesse venirmi. “Tranquilla non ti farà del male, è una mia cara amica.” continuai cercando di tranquillizzarla.
Mi misi a sedere in terra, pronta a raccontare alla bambina tutto quello che avrebbe potuto calmarla riguardo ai fantasmi.
Ma la bimba fu più veloce di me: mi si gettò al collo, piangendo come una fontana.
Il mio primo istinto fu di allontanarla; poi mi ricordai com’ero spaventata io quando scoprii di poter vedere ciò che solitamente gli altri non vedono. La abbracciai, stringendola forte, cercando di farla sentire al sicuro … ma non era solo per i fantasmi che la bambina piangeva …
Suonò la campanella: l’ora per il pranzo era finita sarei dovuta tornare in classe in pochi minuti.
Restai qualche secondo ferma, continuando a stringere la bambina, stava ancora tremando e piangendo. Accidenti! Come face ad andarmene ora?
“Devo andare … devo tornare in classe …” dissi piano.
“NO!” urlò la bambina, stringendomi più forte.
“Non posso restare qui, devo andare.”
“NO! Ti prego non lasciarmi qui da sola di nuovo!!”
“No, non ti lascerò sola! Mai.” scattai. “Hei, guardami!”
La presi per le spalle e le sollevai il viso. “Non sei sola, la Contessa ti terrà compagnia fino al mio ritorno. Sta tranquilla, io tornerò!” dissi tutto d’un fiato. Poi sorrisi. “Sono solo tre ore.”
La bambina mi si gettò al collo ancora una volta, stringendomi forte. “Promesso?” chiese.
“Promesso.” risposi. “Guarda, ti la scio le mie chiavi di casa.” dissi, afferrando il mio zaino.
“Ecco! Guarda il portachiavi.” le porsi le chiavi.
Sul suo volto si allargò un sorriso a trentadue denti. “È un leoncino!” urlò, afferrandolo.
Sorrisi a mia volta, poi scesi di corsa le scale.
Entrai in classe appena in tempo. Tremavo dal freddo, perché avevo lasciato il giubbotto nella torre dalla bambina. Una mia compagna di classe mi fece il favore di avvertirmi del mio naso rosso: congelavo, altro che naso rosso!
Passai le ultime tre ore a pensare alla bambina che mi stava aspettando nella torre. Ma che diavolo mi era saltato in testa! Io prendermi cura di una bambina! L’outsider della scuola, quella che parla da sola negli spogliatoi, che accudisce qualcuno!
CAVOLO!!!
Che cosa avrei detto ai miei quando fossero tornati? No, no … niente da fare! La piccola sarebbe dovuta andare in un posto adatto a lei, dove ci sarebbero state persone capaci di prendersi cura di lei. Questa possibilità mi rese molto triste: mi ero già legata a quella bambina? Impossibile. Ero legata a poche persone … le contavo sulle dita di una mano …
Ma poi: come si chiamava quella bambina?! Non glielo avevo neanche chiesto.
Mi scoppiava la testa. Adesso capivo come si sentivano quegli spiriti morti di morte violenta: non ci capivi nulla!!
CAVOLO E ANCORA CAVOLO!!!!
Suonò la campanella. Il mio istinto fu di scappare via, riuscii a trattenermi. Inspirai profondamente, dovevo andare alla torre.
Un’impresa!!
Ero in corridoio, mi muovevo con calma, aspettavo che molti ragazzi se ne andassero.
“Hei, Williams!” disse una voce alle mie spalle.
Sapevo fin troppo bene chi era e non avevo voglia di metter su un altro spettacolino che mi metteva in ridicolo, ma che tuttavia nascondeva il mio segreto alla perfezione.
“Hei, Jhonson!” risposi senza voltarmi.
“Come vanno le allucinazioni?!” chiese ridacchiando la ragazza.
Mi voltai in uno scatto di rabbia, avrei voluto farle volare la testa. “Molto bene, grazie! “ risposi semplicemente. “Sai ieri il Bianconiglio mi ha invitato a prendere il thé con il Cappellaio e il Leprotto Marzolino!” sorrisi.
La ragazza finta bionda che mi stava davanti fece una faccia sconcertata e se ne andò.
Era andata bene, molto bene!! Troppo …
Poco dopo saltavo gli scalini della torre a due a due, in buona dose perché avevo un freddo cane …
Lei era lì, dove l’avevo lasciata, la Contessa era accanto a lei, vegliava su di lei. Mi avvicinai la scossi leggermente perché si era addormentata; quando si svegliò, mi saltò al collo, felice di vedermi.
“Hem, prima avevi lasciato qui il tuo giubbotto. Tieni.” disse tirandolo fuori dal suo enorme cappotto e porgendomelo.
Era caldo, me lo infilai subito. “Grazie di averlo riscaldato.”
La bambina sorrise.
“Come ti chiami?” le chiesi.
“Hope, tu?”
“Kim … Kimbely Williams.”
Sorrisi: sì, mi ero già affezionata.
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Ghost Whisperer / Vai alla pagina dell'autore: MissShinigami