Cesare aveva sempre guardato a Lucrezia con un occhio di riguardo rispetto ai suoi fratelli.
Già dal giorno in cui era nata e aveva visto lacrime di gioia inumidire gli occhi di suo padre, Cesare aveva saputo che Lucrezia era speciale.
Erano speciali la sua pelle bianca, i capelli chiari come luna, il sorriso allegro e gli occhi innocenti.
Lucrezia rideva spesso di lui, prendendolo in giro quando sentiva tra i capelli del fratello il profumo di una donna, o lo osservava stringere con bramosia una spada in mano, perché fratello, tutto ciò si addice molto poco a un cardinale.
Lucrezia sapeva, con quelle battute, di toccare un tasto dolente per Cesare, e lo faceva volutamente, insegnandogli che delle disgrazie si poteva anche ridere, e lui in quei momenti la amava ancor più del consueto, desiderava abbracciarla e sentire la sua risata argentina cullargli l’udito fino alla fine dei tempi, perché quando Lucrezia era felice il mondo era bello, e giusto, ed era tutto perfetto.
Cercava di pensare il meno possibile al giorno lontano in cui la bella sorella gli sarebbe stata strappata da un marito sconosciuto. Cesare avrebbe odiato quell’uomo, chiunque egli potesse essere, perché sarebbe venuto per portargli via la sua unica luce, trattandola come una misera fiammella, invece che porgerle gli ossequi e le gentilezze che il suo splendore di sole meritava.
Rodrigo una volta aveva avuto l’ardire di fargli notare quanto fosse inusuale quel suo attaccamento fedele e totalizzante per Lucrezia, ma Cesare gli aveva risposto candidamente.
«È la mia sorellina, padre. Perché non dovrei amarla?»
A quel punto suo padre aveva taciuto, e gli aveva concesso di andare, di tornare da lei a proteggerla dal mondo crudele dei Borgia.
Che fosse. Che almeno uno di loro si prendesse l’incarico di salvare il cuore puro di Lucrezia dalla sporcizia dei loro intrighi.