Autore: Late Night Iridescente
Storia: Governament Dog
Il Livello Sei
era rumoroso. Forse il più rumoroso fra tutti i piani di Impel Down,
e anche se Ace non trovava la cosa particolarmente fastidiosa, quel casino rendeva
impossibile conversare con qualcuno. Specialmente se questo qualcuno contribuiva
a quella cacofonia, bestemmiando e maledicendo ed insultando, certe volte tentando
anche di sventrarti attraverso le sbarre.
Ma erano pirati e quella piccola – okay, parecchio grande –
parte di Ace che non aveva rinunciato totalmente al suo sogno di libertà
era impaziente di ascoltare le storie che i prigionieri avevano da dirle. Le
voleva ascoltare tutte.
Ace indossava l’uniforme che lo identificava come una delle guardie d’onore
di Impel Down.
Odiava quella maledetta uniforme. Non era adatta a lui, né lo
sarebbe mai stata. Per fare bastian contrario, Ace perseverava nell’indossare
il cappello il cappello da cowboy color arancio che Rufy gli aveva regalato
per il compleanno. Ace vedeva come un suo preciso dovere portare un po’
di colore ad Impel Down, anche se quel capello brillante gli aveva fatto avere
più di un’occhiataccia da parte del direttore.
Ace si agitò nella sua giacca mentre si avvicinava alla cella del loro
ospite più recente, un pirata a cui si era particolarmente affezionato
nelle ultime due settimane.
Marco la Fenice, comandante della prima flotta dei pirati di Barbabianca.
Marco era calmo. Non bestemmiava o minacciava o lo insultava quando andava a
parlargli. E non aveva cercato di ucciderlo. Ad Ace Marco piaceva.
L’unico problema era riuscire a fargli aprire la bocca per rispondere.
Era andato a trovarlo in cella ogni giorno da quando era stato portato là
dentro, ma Marco era sempre rimasto seduto, a guardarlo oppure tenendo gli occhi
chiusi mentre Ace parlava di qualsiasi cosa gli venisse in mente, sperando di
beccare un argomento in cui avesse interesse a rispondere.
Per il momento, non aveva avuto fortuna.
Ma non si sarebbe arreso così facilmente, però. Quel giorno si
accomodò davanti alla cella di Marco ed iniziò a lamentarsi. “Odio
stare quaggiù. La taglia di mio fratello è aumentata e io l’ho
scoperto solo ora! Accidenti.”
Marco, che aveva avvertito salutato il suo arrivo semplicemente muovendo leggermente
le sopracciglia, aprì gli occhi e lo guardò. Sembrava
che per la prima volta stesse prestando davvero attenzione, e il cuore
di Ace mancò un battito. Stava facendo progressi?
Estrasse dalla tasca l’avviso di taglia piegato e lo tenne alto per mostrarglielo.
“Trecento milioni. Niente male per una matricola, vero?”
Marco sbatte le palpebre semichiuse e disse, “Tuo fratello è un
pirata, eh.”
“Già. Non te lo avevo detto?” Ace diede un pugno alla parte
vuota dei suoi pantaloni, eccitato. La sua voce era calma e fredda; gli sarebbe
piaciuto sapere se quell’ ‘eh’ era un suo modo di esprimersi
e che cosa avrebbe potuto fare per sentirlo di nuovo.
Era riuscito a farlo parlare. Si sentiva particolarmente soddisfatto.
“Tuo fratello è un pirata,” ripeté Marco, “eppure
ne parli come se fossi orgoglioso di lui.”
“Perché lo sono,” disse Ace, sorridendo all’avviso
di taglia. Era come se Rufy gli stesse sorridendo in risposta.
L’espressione di Marco indicò chiaramente che pensava che fosse
pazzo.
Era un inizio.
Da quel momento in poi, Marco interruppe le chiacchiere senza senso di Ace con
commenti suoi, ed ogni tanto faceva anche domande sulla situazione al di fuori
di Impel Down. Ace gli rispondeva e in cambio aveva qualche risposta ad alcune
delle sue domande.
“Com’è navigare con Barbabianca?”
Lo sguardo di Marco era curioso, investigativo, ma sorrise. “Da dove dovrei
iniziare, eh?”
“Dall’inizio,” disse Ace, sporgendosi in avanti con la curiosità
di un bambino.
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“Perché
non sei un marine?”
Ace bloccò la frase a metà, chiudendo la bocca di scatto. Era
irrazionale, lo sapeva, ma gli faceva male pensare che Marco lo associasse a
quelli del governo. Il suo desiderio di bruciare la sua uniforme aumentò.
“Tu ami il mare,” continuò l’altro, ed Ace si sentì
un po’ meglio, “ma invece di unirti alla marina, fai la guardia
quaggiù, eh. Perché?”
“Non è stata una mia scelta. Mio nonno voleva da sempre che io
fossi un marine, ma per via di... cose, Sengoku mi ha assegnato a Impel
Down. ‘E’ pericoloso lasciarlo andare libero per la Rotta Maggiore,
Garp. Potrebbe decidere di disertare. Mandalo ad Impel Down così possiamo
tenerlo d’occhio.’ ” ripeté Ace facendo una seria
imitazione del Grand’Ammiraglio.
“Cose?” Marco alzò un sopracciglio, incuriosito, ma senza
insistere. Un’altra cosa per cui Ace lo apprezzava; non era pressante,
a differenza di un certo vecchio insopportabile.
Marco era con Barbabianca da tanto tempo. Forse da abbastanza per aver incontrato…
quello.
E non avrebbe insistito.
Ace prese un profondo respiro, ben udibile. Non l’aveva detto a nessuno
ad eccezione dei suoi fratelli. “Mio padre.”
“Qualcuno che conosco, eh?”
“Oh, certo. Lo conosci,” mormorò Ace. “Lo conosci molto
bene. Come l’intero maledetto mondo. Se ne ricordano ancora, anche se
è morto anni fa.”
Ci fu una pausa prolungata in cui Marco passò su di lui uno sguardo interrogativo
penetrante, ma Ace si sentì a suo agio. Stava riflettendo a suo riguardo.
Quando disse, “Quindi è lui. Non sapevo avesse avuto figli,”
Ace avvertì l’enfasi e vide che Marco aveva capito. Aveva fatto
un mezzo sorriso e forse Ace si sentì un pochino più sollevato
di quanto avrebbe dovuto essere perché al pirata non gliene importava
un accidente.
“Il Grand’Ammiraglio fa bene ad essere prudente, eh,” disse
Marco. Ovviamente stava scherzando.
Ace si accigliò comunque guardando il pavimento. “Se deciderò
di disertare, non sarà per via del mio sangue.”
“Oh?” Stava quasi facendo le fusa. Ace fu felice di avere lo sguardo
basso; nascondeva il rossore sulle guance.
“Ho in mente qualche ragione,” sussurrò.
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Marco alzò lo sguardo avvertendo il suono di passi diretti verso di lui.
Cinque secondi dopo, Ace frenò davanti alla sua cella, premendo una mano
contro le sbarre prima di tornare indietro.
Non aveva mai detto di avere i poteri del frutto del diavolo.
Mise le mani sulle ginocchia, piegandosi in avanti cercando di parlare tra un
respiro affannoso e un altro.
“Respira,” disse Marco asciutto. Ace smise di brontolare e fece
esattamente come gli aveva detto.
Marco non sapeva ancora cosa fare di una guardia di Impel Down che prendeva
ordini dai pirati, o almeno che prendeva ordini da lui. Seriamente,
era grato che Ace gli desse una lista infinita di motivi su cui riflettere mentre
era chiuso in quell’inaspettatamente noiosa prigione. Non c’erano
state altre torture a parte la sterilizzazione iniziale, nemmeno qualche bel
ceffone o qualche maltrattamento.
Era deluso.
Ace prese un ultimo respiro profondo, e quando parlò Marco poté
capirlo. “Nascondimi!”
“Da cosa, eh?” chiese l’altro, accigliandosi. Cosa poteva
esserci di così spaventoso per costringere una guardia a rifugiarsi in
una cella?
In quel momento si sentì un ruggito risuonare per tutto il Livello Sei,
che gli fece venire la pelle d’oca. Ace-chaaaaaaaaaaaaaan!
Ace gemette. “Il vecchio. Dio, Marco, per favore!”
Perché preoccuparsi di chiedere il permesso? “…Vieni
dentro, ragazzino,” disse infine.
Ace sospirò sollevato, poi piegò le sopracciglia per concentrarsi
e si dissolse in fiamme dello stesso color arancione di quel suo ridicolo cappello,
infilandosi sinuosamente attraverso le sbarre. Il fuoco si sistemò in
un angolo lontano, crollando nell’ombra mentre riassumeva forma solida.
Si strinse in se stesso, il mento tra le due gambe e le braccia avvolte intorno,
cercando di farsi piccolo per non essere visto. Un gruppo di uomini apparve
alla vista, Hannyabal e tre marine, compreso un anziano signore che riconobbe
come Monkey D. Garp.
E Hannyabal, accidenti a lui, si fermò. “Eccolo.” Aveva indicato
Marco, che sentì un brivido scorrere lungo la spina dorsale.
C’erano lumacamere ovunque. Aveva pensato che Ace fosse stato abbastanza
furbo da spostarle prima di sedersi a parlare amichevolmente con lui.
“Ho sentito che stai facendo delle belle chiacchierate con mio nipote.
Ti diverti?” Garp lo stava guardando, ma non sembrava arrabbiato; si grattava
la punta del naso, sorridendo leggermente. No, non arrabbiato. La parola migliore
era rassegnato.
Quello non era il posto per Ace, e lo sapevano entrambi.
“Quel ragazzino? Da come parlava a vanvera, credevo fosse una nuova forma
di tortura.”
Garp rise, ma uno degli altri marine con lui aveva evidentemente deciso che
Marco aveva superato una soglia. Gli sputò addosso, e fu maledettamente
fortunato. La palla di saliva si spiaccicò contro la sua fronte.
“Summers,” disse Garp secco, e l’uomo si fece da parte, sorridendo
soddisfatto. Marco non fece alcuna mossa per pulirsi. “Lascia perdere.
Troviamo Ace. Ace-chaaaaaaaaaan!"
Quando se ne andarono, con Garp che ancora urlava il nome di quel suo nipote
ribelle, Ace si spostò dall’angolo per inginocchiarsi a fianco
di Marco. Tolse dalla vista le ciocche di capelli biondi sudati e pulì
leggermente lo sputo con la manica, prima che potesse scivolargli negli occhi.
“Maledetti marine. Li odio quando fanno stronzate del genere.”
Marco era rimasto immobile di nuovo. Ma si sentiva del tutto giustificato, dato
che probabilmente Ace era il più grande idiota mai incontrato.
“Che stai facendo?”
Ace esitò. “Pulendoti la faccia.”
“Sai che non stavo parlando di quello, eh.”
Sostenne lo sguardo di Ace finché lui non si appoggiò contro il
muro, con gli occhi serrati. Aprì la bocca, si morse il labbro, poi disse,
“Il sogno di Rufy è diventare il Re dei Pirati. Continuava a ripeterlo
e ripeterlo e ripeterlo e alla fine il vecchio se n’è accorto –
stava facendo dei progetti per portare via Rufy dall’isola e farlo addestrare
la quartier generale.
“Non potevo sopportare un pensiero simile. Perciò ho proposto un
patto: avrei volentieri fatto il marine. Senza lamentarmi. In cambio, Rufy avrebbero
potuto vivere liberamente come voleva.”
“Ace,” disse Marco, adesso impaziente. “Questo non spiega
perché tu sia ancora qui.”
Ci fu una pausa più lunga questa volta. “Perché quel vecchio
potrebbe ancora seguire Rufy. Non è forte-”
“Con una taglia da trecento milioni? Secondo me tuo fratello se la sta
cavando benissimo anche senza il tuo aiuto.”
Marco gli stava dicendo tutto quello che aveva bisogno di sentire,
e anche se non era in realtà la persona da cui sentirlo, doveva farlo.
Delle dita tremanti gli afferrarono il braccio, e quando Ace alzò lo
sguardo i suoi occhi erano spalancati e umidi e disperati.
Marco si trattenne dal baciarlo. Appena.
Le catene di kairoseki che lo imprigionavano tintinnarono mentre Ace si faceva
più vicino. Marco pensò che alla fine si sarebbero baciati comunque
– e al diavolo le conseguenze – quando si sentì Garp urlare
ancora. Un altro gruppo di passi veloci si avvicinarono alla cella.
Ace sobbalzò, ed un attimo le sue labbra soffici toccarono un lato della
bocca di Marco. In un secondo era sparito, l’improvvisa fiammata aveva
lasciato l’altro accecato.
Garp frenò scivolando, e questa volta era arrabbiato. Scoccò occhiate
in giro come se si aspettasse che Ace spuntasse fuori dai muri.
“L’ha appena mancato, eh,” disse Marco, sorridendo gentilmente.
Ace aveva bisogno di fare delle riflessioni per conto suo.
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Marco realizzò per la prima volta che stava succedendo qualcosa quando
tre guardie si fermarono fuori della sua cella, le pistole puntate alla sua
testa attraverso le sbarre. Stavano tremando; erano spaventati e con i nervi
tesi, le dita che giocavano ansiose sui grilletti che avrebbero posto fine alla
sua vita. Uno di loro stava tremando così intensamente che la pistola
scivolava fra i palmi sudati, e Marco pensò che non sarebbe riuscito
a capire cosa stava succedendo prima che tutto fosse finito.
“Signori,” disse, alzando le mani aperte per mostrare quanto fosse
indifeso, sperando di rilassarli abbastanza da far loro rispondere alla prossima
domanda. “Sareste così gentili da spiegarmi perché sto per
essere giustiziano prima del tempo?”
La guardia che se la stava facendo sotto scoppiò improvvisamente in un
attacco di risa isterico. “Perché? TE LO DICO IO PERCHE’!
BARBABIANCA STA FACENDO A PEZZI IMPEL DOWN PER TROVARTI!”
Un’altra guardia, quella che sembrava aver un miglioro controllo su di
sé, brontolò in direzione del compagno per farlo calmare. Poi
spostò la sua attenzione su Marco. “Gli ordini del direttore Magellan
sono di ucciderti adesso, prima che Barbabianca ti raggiunga.” Le sue
mani si sistemarono ferme sulla pistola, di nuovo pronto a mirare il colpo fatale.
Gli altri due seguirono il suo esempio, anche se erano ancora parecchio spaventati.
Una grande esplosione scosse la prigione, e le conseguenze furono sufficienti
a togliere l’equilibrio alle guardie. Marco ne approfittò per tentare
un’ultima volta di sollevare la kairoseki stretta attorno ai suoi polsi,
ma la forza che più sufficiente, essendo stata portata via continuamente.
Il tentativo lo lasciò esausto. Raddrizzò la spina dorsale e fissò
gli occhi dei tre uomini che stavano per ucciderlo. Che non si potesse dire
che un pirata di Barbabianca era morto senza orgoglio.
A patto di morire davvero.
Proprio mente credeva di sentire il rumore del grilletto premuto, ci fu un movimento
improvviso dietro le guardie; in un attimo, erano tutte e tre svenute, dopo
che la testa era stata spiaccicata contro le sbarre. Crollarono, con i visi
insanguinati, rivelando dietro Ace – le gambe stese in posizione da combattimento
e le mani strette a pugno.
Era una settimana che non lo vedeva.
La chiave scricchiolò nel lucchetto, e poi Ace era dentro con lui, chinato
a togliergli le manette che sigillavano la sua abilità. Il cuore di Marco
rallentò i battiti impazziti.
“Hai pensato abbastanza, eh?”
Mentre l’ultima manetta cadeva dalla sua caviglia, Ace sorrise e annuì
e si avvicinò e poi si stavano baciando, con impeto e tensione repressa.
Marco immaginava di non avere un alito profumato, ma Ace continuò tranquillamente,
la lingua che si intrufolava tra le sue labbra, passava veloce contro i denti,
poi dolcemente sulla guancia, poi gettandosi contro la lingua di Marco con una
brutalità dovuta alla fretta.
Non c’era molto tempo. Ace aveva ancora la sua uniforme di Impel Down,
ma mentre Marco si riprendeva le sensazioni che ritornavano nelle sue membra,
massaggiandosi la pelle rovinata dove le manette avevano serrato i suoi polsi,
Ace afferrava uno zaino che aveva portato con sé, lo apriva, e ci frugava
dentro e fino ad estrarne una massa colorata.
Marco guardò con interesse e con un desiderio crescente il giovane spogliarsi
senza problemi, completamente nudo ad eccezione di un paio di boxer attillati
– delle stesso arancione insopportabile del suo cappello – che risaltavano
la curva tentatrice del suo sedere. Il materiale risultò essere un paio
di pantaloni neri. Marco nascose la delusione quando quelli coprirono i boxer,
oscurando la sua visione.
C’erano più di quante cinture un uomo avesse bisogno attorno alla
vita, e una piccola borsa attaccata alla coscia. Nessuna maglietta completava
l’insieme, con grande gioia di Marco.
Ace prese l’uniforme spiegazzata e la guardò con un livello di
disprezzo che Marco non pensava potesse avere, e poi gli diede fuoco. Con un
disgustato gesto del polso, la fece cadere a terra e la lasciò lì
a bruciare.
“Porca miseria, finalmente,” disse, sorridendo gioioso a Marco mentre
lo raggiungeva fuori della cella. “Stavo morendo dalla voglia di farlo.”
“Non l’avrei mai detto, eh,” disse Marco ironico. Diede un
calcio per allontanare un fagotto marrone, e allungò la testa per sentire
se arrivavano dei nemici, e poi spinse Ace contro il muro di pietra. L’altro
sbatté le palpebre ma non cercò di scappare.
Marco si avvicinò abbastanza da far toccare i loro nasi. Ace rispose,
cercando la sua bocca. Il pirata lo prese per le spalle. “Hai preso la
tua decisione?”
“Ovvio,” esalò Ace, il viso alzato ad aspettare un bacio.
“Nessun rimpianto, eh?” Marco si allontanò di poco dalla
sua bocca. Il fiato caldo raggiunse il suo mento.
“Non più.”
Ed Ace sembrava così sicuro, così determinato e sollevato, che
Marco gli diede quello che voleva. Tenendolo fermo, unì i fianchi e le
labbra, e solo una seconda esplosione, più vicina, gli ricordò
che avevano degli affari più urgenti al momento. Quello potevano
continuarlo più tardi, al sicuro sulla Moby Dick.
Marco lasciò che le fiamme curative eruttassero sulla sua pelle ferita.
La maniera in cui gli occhi di Ace erano fissi, come la sua lingua passasse
attraverso le sue labbra gonfie era gratificante, come le fiamme che prendevano
vita sulla sua pelle. Ad Ace piaceva quello che vedeva.
Perciò Marco si trasformò completamente. Riprendere liberamente
la forma di fenice dopo così tanto tempo rilasciò una serie di
sensazioni estatiche, ed Ace che stringeva il suo collo ora affusolato non aiutava
per niente.
Si accovacciò meglio che poteva nella sua forma animale, ed Ace capì
il segno, arrampicandosi sulla sua schiena. Marco ebbe un brivido mentre l’altro
tremava e si strusciava contro le sue piume, il corpo così caldo…
Ma erano in ritardo.
“Andiamo,” esclamò, allargando le ali.