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Autore: Neal C_    20/08/2011    4 recensioni
[AGGIORNAMENTI MOLTO LENTI_ l'autrice chiede perdono per le lunghe attese! T.T ]
Nel 1989 aveva diciassette anni, viveva in un posto sperduto della California, Rodeo, vicino Berkeley e “frequentava” gli Sweet Children e i ragazzi della Squatter House tra la West 7th e Peralta Street.
Adesso, nel 2004, ne ha trentaquattro di anni, è felicemente sposata con il solito marito scansafatiche fissato con la musica, ha due figli, e la maggiore è la tipica adolescente piena di pretese, con le stesse manie del padre.
È sempre lei, Virginia Foster, ma gli Sweet Children non esistono più, sono diventati i Green Day e sono il nuovo successo dell’anno.
Tutte le radio trasmettono “American Idiot” o “Boulevard of Broken Dreams” e, purtroppo per Virgin, anche quella di camera di sua figlia.
Un piccolo seguito di “Pinole Valley 1989-1990” che continuava a frullarmi in testa.
Enjoy!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Billie J. Armstrong, Mike Dirnt, Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Virginia Foster 1989-2004'
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Los Angeles 2004


WARNING: Questa Fanfiction è collegata ad un’altra “Pinole Valley 1989-1990” e ne è il seguito.
In linea di massima si dovrebbe poter leggere tranquillamente anche da sola e per qualunque chiarimento potete sempre chiedere. Comunque se vi incuriosisce e volete saperne di più su Virginia Foster e la sua benedetta adolescenza, potete sempre farci un salto.

Ottobre 2004

Finalmente casa.
Torno da un viaggio in macchina quasi avvilente su queste benedette autostrade californiane dove avrò rischiato la vita almeno un paio di volte e un qualunque vigile mi avrebbe multato perché “ostacolavo la circolazione”; non ci posso fare niente, non ce la faccio ad andare a centoventi all’ora come tutti quei pazzi che si scapicollano in autostrada solo perché “l’autostrada è l’autostrada, babe, mica un’insulsa stradina di città”.
A San Francisco ho lasciato i miei colleghi che discutevano su quanto potesse essere affascinante il processo di metastasi delle cellule epiteliali ma, per quanto possa essere interessante io ho ribadito che il week-end sarei tornata a LA, costi quel che costi.
è il compleanno di Ronnie e io voglio esserci.
Purtroppo ogni anno, in Ottobre, cominciano una serie di conferenze e corsi di aggiornamento per la prevenzione del cancro al seno e alle ovaie e io non posso mancare: è il mio lavoro.
Per due anni consecutivi sono mancata al compleanno di mio figlio, il secondo, Ronnie James.
Si, esatto, come Ronnie James Dio.
Non ne parliamo che è meglio altrimenti appena arrivo a casa finirò per litigare con mio marito.
Diciamo che sono abbastanza nervosa per incazzarmi per queste scemenze.
D’altra parte non avrei mai immaginato di perdere il mio tempo in coda, per prendere l’uscita dell’autostrada. Maledetto traffico cittadino.
Un’altra cosa che mi premeva era di arrivare in tempo per prendere Alice da scuola.
Almeno per la mia prima figlia sono riuscita a scegliere io il nome, evitando che si chiamasse come qualche altra rockstar che infesta casa nostra.
Diciamo che non sono una che si smentisce.
Non ascoltavo musica a diciott’anni e non ne ascolto nemmeno adesso che ne ho trentaquattro.
Tranne qualche concerto per pianoforte e per violino di Bach, la “pastorale” di Beethoven, la “Rapsodia in Blue” di Gershwin o qualche sinfonia di Mozart e Mahler.
Insomma si contano sulle dita della mano.
Tra l’altro la cosa pericolosa di Juls, mio marito, è che con la sua passione per il rock e il blues comincia a contagiare anche Alice.
Va bene, forse “contagiare” è un po’ troppo terroristico come termine ma in fondo siamo in tempi di guerra, “esportiamo la democrazia” e del terrorismo sentiamo parlare almeno sei volte al giorno su quattro servizi giornalistici diversi*. Insomma và di moda.

Mi scappa un sorriso.
Se penso a cosa non ha fatto Juls per convincermi a non votare Bush.
Non che io avessi le idee chiare per carità. Ma Al Gore* insomma non mi stavano particolarmente simpatici nessuno dei due. Forse avrei preferito non votare, ecco la verità.
Uno è un farabutto, l’altro non è molto meglio, anzi è anche più incapace.
Ma su una cosa aveva ragione mio marito (miracolo!): questa storia dell’esportazione della democrazia è vergognosa, è un insulto all’intelligenza dell’americano.
Meglio che torno a concentrarmi sulla strada altrimenti mancherò la traversa della scuola di Alice.

Non amo Los Angeles. Non è una bella città, è piena di cemento, incasinata come non mai, e seguire il traffico è a dir poco stressante.
Per non parlare di insegne, luci colorate, cartelloni pubblicitari elettronici che la rendono una specie di circo ambulante. Alcune strade sono squallide, specie nel centro, e non brilla per la pulizia.
Quando mi ci sono trasferita, praticamente quindici anni fa, appena diciottenne non ci facevo caso.
Era una metropoli, più grande di Berlino, la mia città di origine,  mastodontica rispetto a Rodeo e Berkeley, dove ho fatto il mio ultimo anno di liceo.
Quello che mi interessava era fare l’università, laurearmi in medicina all’UCLA*, specializzarmi nella cura del cancro al seno e alle ovaie e aprire uno studio di ginecologia privato.
All’epoca l’appartamento era davvero un buco, un monolocale con angolo cottura e un bagno, al centro della città, anzi a poche strade dall’università.
E a me stava bene così.
Poi tutto è diventato più complicato, con l’arrivo di Alice.

Avevo detto che non avrei fatto un figlio a vent’anni neanche morta ammazzata.
Beh, mi sbagliavo.
A ventun’anni ero già incinta e stavo sostenendo degli esami infernali.
Fortunatamente Alice l’ho partorita ad Agosto, mese in cui l’università chiude i battenti.
Poi Ronnie tre anni dopo.
Io e Juls ci siamo sposati proprio nel luglio del ’93 un mese prima che arrivasse Alice.
Ricordo la faccia di mio padre: era verde.
Non di rabbia altrimenti certo non mi avrebbe finanziato: alla fine è grazie a lui che adesso abitiamo in una casa da sogno nella periferia-bene di LA, con giardino, posto auto, spaziosa con tutte le comodità possibili ed immaginabili.
Credo fosse terrorizzato, probabilmente anche più di me e Juls.
I miei sono stati molto pazienti i primi anni.
C’è stato un periodo in cui mi sono praticamente dimenticata della mia famiglia, di Franz, il mio fratellino, che cresceva dando loro non so quanti grattacapi, persino di Frank e il figlio, Dominic, con cui tutt’ora i miei sono in ottimi rapporti.
Io e Frank non ci siamo mai chiariti veramente.
Tutt’oggi evitiamo di parlarne, lui forse per imbarazzo, io per non metterlo in difficoltà:

questo disagio è nato con una mia ragazzata, quindici anni fa, quando lo accusai di farsi mia madre che allora portava in grembo Franz.
Come posso aver pensato che mia madre, al settimo mese, andasse a letto con qualcuno non lo so.
Adesso sono abbastanza scettica, ma preferisco non tirare in ballo il discorso, ai pranzi di famiglia.
Uff, sono successe anche troppe cose.
E adesso devo affrontare il tornado-Alice che cresce sempre di più e io non riesco a starle dietro.
Una settimana fa, prima di partire, si era fissata con una canzone che ascoltava continuamente, in modo quasi ossessivo.
Sentivo per la casa la vocetta di uno sbarbatello che non faceva altro che ripetere “What’s my age again? What’s my age again*?” e mi dicevo fra me e me che non me ne fregava un bel niente di quanti anni avesse, purché stesse zitto e buono.
Alle volte, anzi, è quasi piacevole uscire da quella casa perché tutta quella musica diventa un incubo.
Ho chiesto tante volte a mia figlia, forse un po’ ironica, che cosa ci sia che non va nel silenzio, ma lei si è sempre limitata a scuotere la testa, scrollare le spalle, e qualche volta faceva pure l’offesa quando coglieva la mia presa in giro

Fermo davanti alla  John Marshal High School.
Quest’auto non è molto riconoscibile, è una semplice Citroen Xara Picasso, una come tante, ma solo io arrivo così in ritardo quindi non mi pongo il problema.
Il cortile della scuola è quasi semivuoto, i ragazzi saranno usciti da più di mezz’ora e non mi è difficile riconoscere la figuretta di mia figlia e della sua amichetta Charlotte, sedute sul muretto del cortile che chiacchierano, probabilmente di qualche nuovo cantante o attore, o di quello e quell’altro musical che danno al Pantages Theatre* .
Busso per attirare la loro attenzione e mi aspetto che Alice saluti l’amica e mi raggiunga di corsa.
Il copione è praticamente il solito, però stavolta non gira così.
Alice apre la portiera e si infila insieme all’amica sul sedile posteriore.

“Ciao, mamma!”
“Ciao Charlotte, come va?
Tesoro, com’è andata questa settimana senza di me?”
“Salve, signora Foster.”
“Mamma, come al solito e forse meglio perché abbiamo mangiato cinese per due giorni.”
“Grazie cara, troppo gentile.
Cinese?! A casa papà mi sente!”

A proposito perché quella benedetta ragazza mi chiama ancora “signora Foster”?!
Ci conosciamo da almeno cinque anni! E ogni volta che sparisco per un po’ mi fa questa storia!
Ogni dannato giorno io passo a prendere Alice e, ogni volta che devono studiare insieme, scarrozzo anche lei. Possibile che questa ragazza ancora non si sia imparata a chiamarmi Virginia e a darmi del tu?! Ho trentaquattro anni, cristo, non settantaquattro.

“Ma che fai, Charlotte, mi chiami per cognome?
Io sono sempre Virginia, honey, anche se non ci vediamo da una settimana!”

Eccola che arrossisce, lei e quelle guancie paffute. Che differenza abissale con mia figlia.
Ovviamente Alice mi assomiglia parecchio, anche troppo.
è un’acciuga che non ha nemmeno una prima ed è un po’ pallida.
Fortunatamente ha preso da Juls i folti capelli scuri che ha, le labbra che non sono due sottilette come le mie, ha un garbato nasino e un’altezza che si rispetti.
Poi ci sono i miei occhi verdi.
Direi che è stata piuttosto fortunata, anche perché Ronnie è un po’ tappo, come me.
E ovviamente sono adorabili, meravigliosi, ma io sono di parte.

“Si, scusi...cioè, scusa, Vig, hai ragione. ”
“Ecco brava così andiamo molto meglio.”
“E chiamami Charlie che Charlotte è orribile, fa troppo Sex&City!”
“Beh, a me piace Sex&City!”
“Ah...ok...”

Ecco una delle tipiche gaffe che ogni tanto fa Charlotte o Charlie, come diavolo vuole.
Per lei ciò che non è nero è bianco, ha solo grandi sicurezze, idoli meravigliosi che poi vengono dimenticati per fare posto a nuovi dei, i cui poster tappezzano le pareti di camera sua e da poco tempo anche di camera di mia figlia. Almeno lei si limitava alle fotografie, ma ultimamente mi sa che si sta facendo influenzare un po’ troppo.
Poi ovviamente veste sempre di nero, con borchie, catene, anfibi, calze a rete, roba di pelle.
Tutti io li trovo. Non solo la mia gioventù è stata costellata di gente simile ma anche la mia vecchiaia lo deve essere.
Bene, adesso mi sto ufficialmente lamentando.

“Mamma, possiamo passare da Larry?”
“Amore, cosa devi fare da Larry?”
“E dai!!! TipregoTipregoTipregoTiprego!”
“Prima dimmi che cosa hai ordinato e poi ne parliamo...”
“Ho ordinato un nuovo CD dei Nirvana e...”
“Alice, grazie a tuo padre e alla sua scelleratezza, abbiamo la discografia intera dei Nirvana, è anche originale!”
“Ma mamma, quella è su vinile! Io voglio i Cd altrimenti come faccio a metterle sull’Ipod e a passarle a Charlie.”
“L’Ipod?! Ma non abbiamo detto –nienteIpod- prima dei quindici anni?!”
“Me l’ha preso papà.”
“...”

Va bene, appena arrivo a casa devo fare una storia a Juls che non finisce più:
Ok, le ha fatto mangiare cinese.
Ok, le ha comprato quella benedetta maglietta dei Led Zeppelin che lei desiderava e che adesso indossa fiera, alla faccia mia, spendendo buoni quarantadue dollari per quella schifezza, con un finto autografo sopra.
Ma l’Ipod no.
Adesso mia figlia si deve rimbambire anche mentre va a scuola, con quella stupida musica nelle orecchie?!
Ma quante volte avrò detto che le vibrazioni possono essere cancerogene?!
è lo stesso discorso del cellulare nelle tasche!
Ho in cura un caso di cancro alle ovaie per questa scemenza! Non è uno scherzo!

“Allora mamma, Larry?”
“No, amore, sono stanca, prima andiamo a casa, poi litigo con tuo padre e poi vediamo questo fatto di Larry, va bene?”
“No! E dai! Tipreeeeegooo!!!”
“Alice, per piacere.”
“Che palle che sei mamma.”
“Modera le parole e i toni.”
“Aehm...scusate...”

Con la vocina fioca fioca anche Charlie si unisce alla tipica conversazione fra la mamma-rompipalle che sarei io, e la figlia-esosa-pretenziosa che sarebbe lei.

Voglio proprio vedere che dirà, viste le sue scarse capacità diplomatiche.

“Calma, Lys ok? Magari facciamo un’altra volta ok?”
“Uff...”
“Piuttosto, Vig, sarebbe un problema mettere un po’ di musica? Io mi sento male in macchina se non canto.”

Annuisco, alzando gli occhi al cielo.
Ovviamente la sceglieranno loro la musica.
Charlie si porta sempre appresso un vecchio walkman e un porta-cd stracolmo a cui attingiamo ogni volta che andiamo in macchina.
Alcune volte le scongiuro di mettere qualcosa di tranquillo, perché non ce la faccio a sopportare anche l’urlo di chissà quale cantante rock, loro idolo.
Mi porgono un disco, non lo guardo nemmeno e lo infilo dentro.
Improvvisamente ne esce lo strimpellare di una chitarra elettrica che esplode nelle mie orecchie.
MEIN GOTT, IL VOLUME!!!
Quando finalmente metto a tacere quell’inferno, abbassando lo stereo, ecco che quelle due cominciano a battere le mani e a strillare, tutte eccitate:

Don't want to be an American idiot.
Don't want a nation under the new media
And can you hear the sound of hysteria?
The subliminal mind fuck America.

La violenza di queste parole mi colpisce come il gong.
Aspetta aspetta... fuck?
Non voglio schifezze sboccate nella mia macchina, nel mio stereo!
E mia figlia la sta pure cantando, insieme a quell’altra lì!

Welcome to a new kind of tension.
All across the alienation.
Everything isn't meant to be okay.
Television dreams of tomorrow.
We're not the ones who're meant to follow.
For that's enough to argue

E poi è terribilmente ripetitivo. Sembrano sempre i soliti quattro accordi!
Certo le parole sembrano proprio adattarsi a questa America.
Sarà stata appena scritta. Sarà uno dei biondini che piacciono tanto a Charlie.
Che danno quella ragazza, ogni settimana uno nuovo?!

Well maybe I'm the faggot America.
I'm not a part of a redneck agenda.
Now
everybody do the propaganda.
And sing along in the age of paranoia

Ne ho abbastanza.
Spengo lo stereo lasciando allibita mia figlia e la sua amichetta che mi guardano come se fossi un’eretica.
Adesso, cominceranno le urla di protesta, come da copione.

“Mamma! Perché hai spento?!?! Rimetti subito!!!”
“Amore, è una schifezza. È una roba rumorosa, violenta, probabilmente scritta da qualche pazzo scatenato, un satanista, e anche un maleducato che non conosce altro che le parolacce.
magari è anche analfabeta! Non c’è bisogno di saper suonare per fare una cosa del genere!
Scommetto che tuo padre saprebbe rifartela tutta al piano, alla chitarra o anche al basso.”
“Ma se ha appena iniziato a studiarlo!”
“Appunto, una roba per dementi, per celenterati, per cogli...”

E qua mi blocco.
Mi stava scappando un bel “coglioni” che avrebbe mandato in visibilio le due ragazze.
Speriamo che non se ne accorgano.
Dopo tutto il discorsetto che ho fatto su quell’idiota lì che urlava volgarità nel suo microfono ci manca solo questo...

“Mamma, stavi dicendo coglioni!
Anche tu dici un sacco di parolacce, e papà mi ha raccontato che eri peggio di un carrettiere quando vi siete conosciuti!”

Mio marito è un uomo morto. Tra l’altro non è affatto vero!
è stata colpa sua e dei suoi amichetti se io sono diventata una specie di ragazzaccio di strada.
Credo che  l’anno scolastico 1989-1990 sia stato il periodo più sboccato della mia vita.
Ho continuato ad usare espressioni più o meno turpi per i due anni successivi, poi pian piano, ho perso questa pessima abitudine.
Ma adesso devo immediatamente smentire questa ragazzina impudente che prima o poi finirà per farmi perdere la pazienza. Tra l’altro ha un gusto per la polemica che non è né mio né di Juls.
Beh, forse un po’ è mio, ma  io non sono così...così, ecco.

“Ragazzina, non mi interessa quello che dice papà, quello che ho fatto da giovane e blablabla.
Con Charlie e con i tuoi amichetti puoi dire tutte le volgarità che vuoi, ma con me devi essere assolutamente ineccepibile, perché sono tua madre e per questo non sopporterò schifezze come la...COSA che abbiamo sentito prima.”
“Non è una schifezza!”
“Oh, immagino sia una grande opera musicale invece.”
“Sono i Green Day!”
“Mah, chi saranno al confronto Keith Jarret, Miles Davis e Charlie Parker*? Gli ultimi arrivati!
Invece i Green Davis o come diamine si chiamano, sono dei grandi classici.”

“Green Day, non Davis!”

 

Con la coda nell’occhio vedo che mia figlia comincia a scaldarsi.
In questo è un po’ simile al padre. Le manca il mio sarcasmo ma quando afferra l’ironia  comincia ad innervosirsi. Tra l’altro so che non dovrei provocarla, perché questo potrebbe portarmi un sacco di guai ma sinceramente non mi interessa.
Fino ad adesso l’ho sempre avuta vinta io.
Anche quando faceva la sostenuta e litigavamo furiosamente, poi lei veniva sempre a scusarsi, prometteva di non aggredirmi più, di essere meno impulsiva la prossima volta e pensare prima di parlare. Poi puntualmente si dimenticava la famosa promessa ed eravamo punto e a capo.
Uff, io non sono mai stata così complicata!

È proprio vero che tra l’insoddisfazione e la pigrizia i ragazzi di oggi diventano insopportabili!
E le richieste! Continue richieste!
Cristo santo, se non avevo qualcosa me la guadagnavo, a modo mio, studiando come una pazza, chiedendo ai miei amici e, una volta all’università, cercavo sempre un lavoro per avere un mio stipendio.
Invece no. Ormai ho capito la strategia.
Alice viene da me, controlla se sono di buon umore e poi mi espone la sua richiesta.
La prima volta, la seconda volta, la terza volta.
Poi aspetta che io sparisca dalla circolazione e va subito a chiedere al papà.
E in quel caso non c’è nemmeno bisogno di una prima volta.
Così è stato per il cellulare, il buco alle orecchie, il computer, la cartella nuova quando la vecchia era in ottimo stato, il monopattino, l’altalena in giardino quattro anni fa, e la piscinetta di gomma, sei anni fa.
Non parliamo dei Cd. Per quello ha perso anche l’abitudine di chiedere.
Tanto qualunque cosa porti a casa, poi bussa da suo padre, che in genere sta là a strimpellare qualcosa o a leggere tesi di alunni piene di note, chiavi di violino, di basso e cose simili, entra e si intrattengono davanti ad uno stereo Bose che ci è costato un patrimonio, ad ascoltare il nuovo cd.
Nessuno ha preso la mia passione per la lettura.

Forse Ronnie ma è troppo presto per dirlo.
Il pediatra si è complimentato con me perché il bambino legge molto più di quanto non facciano altri alla sua età. Ama le storie di Roal Dahl alla follia, se le faceva leggere prima di andare a letto e oggi le divora, rileggendo più volte gli stessi titoli.

 
“Aehm...Vig?”
“Si, Charlie?”
“Non mi sento molto bene.”
“Vuoi che apra il finestrino?”
“Si, per favore. Non è che si può rimettere un po’ di musica?”
“Non quella schifezza di prima.”
“Beh, posso farti sentire una cosa più...tranquilla.”
“Ecco, brava...”
“Però è sempre quello il Cd.”
“Ah...proviamo...altrimenti tolgo tutto, eh.”
“Grazie. Traccia 11.”

Reinserisco quel benedetto Cd e mi soffermo  per un attimo a guardare la copertina nera, con una mano bianca che regge una chiave rossa, in bianco il nome del gruppo, questi “Green Day” e in rosso il titolo dell’album, “American Idiot”.

Poi prende l’avvio una chitarra acustica che pizzica una specie di litania e subito attacca una voce leggermente roca, dolce per essere quella di un uomo.

Summer has come and passed,
the innocent can never last,

Wake me up when September ends.
Like my father’s come to pass,
seven years has gone so fast,

Wake me up when September ends

Tra l’altro non mi è completamente sconosciuta questa voce.
Eppure io non conosco assolutamente nessun cantante di persona, tanto meno una rockstar che protesta contro il mondo.
Non so cosa mi ricordi ma sarò io che sono completamente stonata.
Dove l’avrò sentita? Magari questi tizi hanno scritto qualche altra canzone famosa o cosa?

“Mamma, è verde!”
“Cosa...? Oddio, si.”
“Che accidenti stavi pensando?! Ma guarda la strada piuttosto!”
“Tesoro, tu hai altri cd di questi Green Day?”
“No. In realtà me li ha fatti conoscere Charlie, una settimana fa.”

Una settimana per impararsi un cd a memoria.
Mia figlia fa progressi non c’è che dire.
Eppure io sento che qualcosa di questa voce mi è familiare.
E non mi viene in mente, dannazione.

“Uhm...sono americani, giusto?”
“Si, vengono da una cittadina sperduta della California, Berkeley, se non sbaglio.
Lys, abbassi un po’ il finestrino?”
“Berkeley?”
“Charlie, mamma è vissuta a Berkeley per un anno.”
“Non esattamente a Berkeley, tesoro, a Rodeo.”
“Ecco, infatti, anche loro vengono da lì!”
“I Green Day?”
“Eh, si. Adesso mi pare che stiano qui a Los Angeles, da qualche parte.”
“Uhm. E come li hai scoperti?”
“Beh, li stanno trasmettendo su tutte le radio. E poi mia sorella è innamorata del cantante!”
“Ah si?”
“Si, continua a parlare e a straparlare del suo Billie, di quanto sia bravo, di quanto sia bello, colleziona le interviste, i dischi, registra i programmi televisivi, sa tutto su quando si terranno tour, concerti, eventi e cose del genere. Se l’è attaccato sul frigo, Billie, perché le dia il buongiorno tutte le mattine, quando prende il latte per i cereali.”
“Capisco. E anche tu sei innamorata di lui?”
“No, a me piace Mike!”
“Chi?”
“Il bassista.”

Billie, il cantante.
Mike, il bassista.
Vivevano a Rodeo, Berkeley, in California.
Coincidenze?

“Mike come?”
“Mike Dirnt. E poi c’è Tré, Tré Cool.”
“Hai detto Dirnt?! Proprio così?! D-I-R-N-T?!”
“Beh, si.”
“E per caso fa Pritchard di cognome?!”
“Beh, in realtà non lo so...mia sorella forse lo saprebbe.”
“E il tuo Billie ha per secondo nome Joe e fa di cognome Armstrong?”
“Si, proprio lui! Lo conosci?”
“Anche meglio di quanto pensi.”

Sono gli Sweet Children.
Non ci posso credere.
Quei coglioni ce l’hanno fatta.



Note

* Siamo nel 2004, tre anni dopo l’attentato alle Twin Towers, le torri gemelle, in piena amministrazione Bush che porta avanti la sua campagna contro il terrorismo e sostiene che è dovere dell’America “esportare” la democrazia in paesi come l’Afghanistan o l’Iraq, invaso nel 2003, per “liberarlo” da Saddam Hussein, considerato un pericoloso dittatore in combutta con Al Quaeda e Bin Laden. Il pretesto per l’invasione è stata la falsa notizia che Saddam Hussein nascondesse in Iraq armi di distruzione di massa. 


* Il 2003 è stato l’anno delle presidenziali in America a cui si sono presentati George W. Bush, candidato dei repubblicani e Al Gore, candidato dei democratici. Inutile dire che ha vinto Bush e i risultati disastrosi si sono visti <.<

* University of California, famosa università californiana a Los Angeles

* Canzone dei Blink 182 “What’s my age again”

 

* Teatro di Los Angeles, famoso per i musical.

 

* Keith Jarret, Miles Davis e Charlie Parker: Personaggi che hanno fatto la storia del Jazz.
Jarret al piano, Davis con la tromba e Parker al sassofono.


Angolo dell’autrice

Buondì a tutti, vecchi conoscenti e nuovi arrivati.
Mentre stavo scrivendo l’ultimo chappy di “Pinole Valley 1989-1990” non facevo che pensare a questa scena. So che può apparire un po’ scontata, letta così, ma assume tutto un altro significato se inserita nel contesto della fic precedente. O almeno spero xD
Per intenderci non ho intenzione di scrivere una quindicina di capitoli o qualcosa del genere, non ho in cantiere una vera e propria storia. Solo non riuscivo a togliermela da testa e non riuscivo a non pensare “Ma se all’alba dei loro trentacinque anni, tutti quanti adulti, vaccinati e realizzati si ritrovassero?”.
Poi magari si trasformerà in un’occasione per scrivere una “family fiction”, come le chiamo io, una di quelle fic in cui si descrive la vita quotidiana delle rockstar in questione, che sono davvero poche eppure sono il mio genere preferito in questo fandom.

Ebbene si, mi sto cimentando ù.ù

Dunque vediamo un po’ come gira...brutta cosa la nostalgia...bisogna saper lasciare andare i propri personaggi...
+ dice mentre il cervelluzzo comincia a farsi tutti i film mentali di questo mondo adesso che ha una nuova storiella
Et donc, people, alla prossima, fatemi sapé che ne pensate!

Misa

P.s  scusatemi, si lo so, nelle mie fic ricorre spesso “American Idiot”(come ad esempio nella One-shot: Bullet in a Bible, Overture ) ma stavolta non è colpa mia se la prima canzone del Cd “American Idiot” è quella omonima.
Per quanto riguarda “Wake me up when September ends” l’ho scelta perché è la più “tranquilla” dell’album e la voce di BJ si distingue abbastanza bene perché possa fare al caso mio xD.

  
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