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Autore: Laura del Sordo    21/08/2011    4 recensioni
Vi siete mai messi dalla loro parte?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono ormai diversi giorni che ci guarda.
 
E li conosco, quelli come lui: quando ti guardano, e poi così insistentemente, c’e’ da aspettarsi di tutto.
 
Dapprima, all’inizio, li vedi che studiano dove vai, che percorso fai, quante siamo, e cosa facciamo, soprattutto.
 
Poi, il giorno dopo, tornano, e ti scrutano di nuovo, magari più da vicino.
 
“H, non incontrare il suo sguardo!”, dico sottovoce alla mia amica, cercando di far finta di nulla e sperando che lui non ci senta.
 
 E che lei capisca.
 
“Cammina, ti ho detto, ed attenta a dove metti i piedi. Possibile che quel bastoncino debba stare sempre nel mezzo?”, sibilo, un po’ innervosita.
 
Lei e’ H ed io ed H ci conosciamo sin dalla più tenera infanzia, siamo praticamente sorelle.
 
H ha qualcosa che non va, non e’ come tutte noi.
 
E’ nata su un bastoncino e forse quell’evento l’ha segnata per sempre.
 
H non parla, non so nemmeno se capisca tutto, ma quel che le dico tutto sommato lo segue senza troppe proteste.
 
Diciamolo, H mi adora. Credo, almeno.
 
Fa tutto quello che faccio io, trascinandosi dietro quel piccolo bastoncino, che la segue dappertutto.
 
Che volete, ognuna ha le sue fisse.
 
Io, ad esempio, ho quella dello zucchero.
 
Quando ne vedo in giro, beh, non posso fare a meno di prenderlo tutto, e vi assicuro che e’ una fatica immane.
 
Già, una fatica immane.
 
Ma d’altronde tutta la nostra vita e’ faticosa, siamo nate per lavorare.
 
Io ed H di sicuro, ma anche le altre.
 
Una vita breve, fatta di strada e di lavoro, e di inverni trascorsi a far sì che la nostra Regina sia nutrita a dovere e che tutta la vita del formicaio sia garantita.
 
Per questo, noi operaie non ci fermiamo mai.
 
H crede di lavorare, io le dico sempre che e’ bravissima e che senza di lei il formicaio sarebbe finito,  ma in realtà non fa altro che seguire me, portandosi il suo bastoncino dietro, sempre lo stesso, da quando e’ nata.
 
Nessuno le dice nulla, sanno tutte benissimo che H non capirebbe, e le lasciano vivere la sua vita così com’e’, sempre vicino a me, e pazienza se non trova nulla da portare nel formicaio.
 
H e’ dolce, ha un sorriso bellissimo che la illumina tutta, e non nascondo che, qualche volta, quando trovo dello zucchero, un granellino lo tratteniamo per noi, e ce lo mangiamo di nascosto, all’ombra del sottovaso, quello dei gerani.
 
H non parla, ma sorride. Sorride spesso.
 
Poi mi mostra il suo bastoncino, lo stringe affettuosamente a se socchiudendo gli occhi,  e poi indica me e lo zucchero, ed io devo fare lo stesso.
 
Forse mi vuole mostrare cos’e’ l’amore, o l’affetto che prova per me.
 E desidera che io faccia altrettanto.
 
Certo, non sempre posso portarmela dietro.
A volte noi formiche copriamo distanze lunghissime, estenuanti.
 
Ad esempio, una volta, quando ero molto giovane, mi spinsi oltre la bouganville, lì dove il muro e’ tutto screpolato.
 
Fu tutto un salire e scendere, le crepe nel muro sono davvero faticose, e la sera rientrai nel formicaio stremata.
 
Ma quando troviamo qualcosa di interessante, non possiamo permetterci di rinunciarvi, ed allora devo lasciare H a casa.
 
Oltretutto, col suo bastoncino, ci ostacolerebbe soltanto ed io finirei per prestare più attenzione a lei che non al cibo ed alla sua ricerca.
 
Le dico di comportarsi bene, di non andare in giro da sola, di attendermi buona buona in uno dei tanti locali del formicaio e, se protesta, le dico che al mio rientro le darò un po’ di zucchero.
 
In genere, funziona.
 
E, quando rientro, la trovo lì’ ad attendermi. Lei, ed il suo inseparabile bastoncino.
 
A volte la trovo addormentata, e le metto vicino un chicco di zucchero, immaginando la sua felicità, al risveglio.
 
Ma i pericoli, per noi formiche, sono tanti.
 
Siamo piccole, ma ci rendiamo visibili con i nostri andirivieni, e spesso un posto che ci sembra sicuro per diventare il nostro formicaio, diventa una trappola dalla quale e’ difficile fuggire.
 
L’ultima parola sulla sicurezza spetta alla nostra Regina, ma nemmeno lei e’ infallibile e, soprattutto durante il cambio di stagione, diventa suscettibile, al punto che anche un solo suggerimento la mette di cattivo umore.
 
Ma, per tornare all’oggi, quell’uomo lì, che ci guarda, a me non piace.
Si e’ accorto di noi, e questo non vuol dire nulla di buono.
 
Se andrà bene, metterà del borotalco, o del limone, o un’altra sostanza che ci disorienterà, senza ucciderci.
Funzionerà, certo. Per un pochino saremo tutte come ubriache, ma in genere l’effetto passa abbastanza velocemente ed e’ sufficiente rimanere distanti dal formicaio per un paio di giorni.
 
Eppure, stavolta parto con un senso di dolore e preoccupazione, un cattivo presentimento.
 
Non dormo, guardo il soffitto della mia stanza, che divido con altre 348 sorelle, oltre ad H.
 
Mi arrampico fuori dal formicaio, la notte e’ stellata, per fortuna non pioverà, perché, quando piove, diventa tutto più’ difficile. E spesso molto del nostro faticoso raccolto finisce assorbito dalla terra.
 
Domani si va.
 
Alcune compagne hanno avvertito chiaramente l’odore di immondizia umana oltre il cancello del giardino, e di sicuro ci sarà da correre e da sgobbare parecchio.
 
Il cancello e’ alto, ma per noi formiche l’altezza non e’ un problema, troviamo sempre poi il modo di infilarci in fenditure che sfuggono a tutti.
 
Certo, i viaggi non sono privi di rischi.
 
Nei muri a volte si nascondono lucertole che, con un guizzo della lingua, fanno allegri spuntini a base di formica.
 
Ma certo non possiamo fermarci e, pur con dolore, siamo pronte al nostro sacrificio, per il bene della Regina e del formicaio.
 
Vorrei potermi sentire tranquilla, ma non lo sono.
La mattina siamo tutte pronte, grandi pacche sulle spalle, e saluti alle sorelle che rimangono a vegliare la nostra Regina e l’andamento del formicaio.
 
Poi, sveglio H scuotendola, lei mi guarda col quel bellissimo sorriso e gli occhi ancora semichiusi.
 
“Mi raccomando”, le dico, “fai la brava. Non uscire per nessuna ragione dal formicaio. Stasera torno da te e ti porto lo zucchero, contenta?”.
 
H sembra aver capito, mi tocca con il suo bastoncino, e poi lo stringe a sé, rimettendosi a dormire.
 
Rincuorata, mi metto in marcia con le mie sorelle.
 
La giornata trascorre lentamente, fa caldo, lavoriamo tanto, davvero tanto, per estrarre dal quell’immenso cumulo di roba ciò che può tornarci utile e, soprattutto, che sia di facile trasporto.
 
Io sono fortunata!
 
Ho trovato mezza bustina di zucchero.
 
Una parte e’ sporca di caffè, ma, per la maggior parte e’ pulito e meravigliosamente dolce.
 
Penso all’espressione di H, questa sera, quando mi vedrà rientrare trascinando con me questa meraviglia di bottino.
 
Finalmente abbiamo passato anche il cancello.
 
E’ il tramonto, e di lucertole per fortuna, nemmeno l’ombra.
 
Siamo tutte, siamo illese, e pur stremate dal lungo cammino ci sorridiamo a vicenda, felici e soddisfatte.
 
Il formicaio si avvicina sempre più, ma delle altre sorelle nemmeno l’ombra.
Beh, mi dico, la giornata deve essere stata difficile anche per loro, e sorrido fra me e me, pregustando il rientro a casa.
 
Poi, finalmente, da lontano, ecco che comincio ad intravvedere la familiare sagoma delle altre operaie, ed affretto il passo.
 
Voglio tornare a casa, al sicuro.
 
Una sensazione, però, forse suggerita dal mio istinto, mi dice che c’e’ qualcosa che non va.
 
Vedo movimento, sì, certo, ma e’ un movimento che non mi sembra quello delle serate d’Estate.
 
Le sorelle sembrano agitate. Ma non lo sono tutte.
 
Cerco di avvicinarmi, ma il carico di zucchero mi pesa, ed ho una giornata di lavoro sulle spalle.
 
Man mano che la distanza si riduce, vedo che alcune sorelle si muovono in maniera strana, mentre altre sono immobili.
 
Trascino lo zucchero, che ormai e’ un masso pesantissimo, e mi avvicino ancora di più.
 
E quello che vedo mi terrorizza.
 
Le sorelle operaie ferme sono morte, quelle ancora vive si dibattono nell’agonia.
 
Tutt’intorno, una polvere bianca.
 
Disperata, grido “H! H, dove sei?”, mi guardo intorno piena di angoscia, ma di H nessuna traccia.
 
Il formicaio sembra deserto.
 
Le ancelle hanno portato fuori la Regina, nel tentativo di salvarla.
Ma sono tutte morte.
 
Tutte. Anche la Regina.
 
Ha reclinato il capo sulla spalle di un’ancella, ed entrambe sono morte vicine, quasi abbracciate.
 
“Dov’e’ H?”, chiedo quasi urlando ad una sorella che sta morendo anche lei, e lei indica il formicaio.
 
Ma io sono entrata, ho guardato dappertutto, mi sembrava di non vedere più nessuno.
 
Scendo a precipizio, scivolando sulla polvere assassina, rotolando con il mio chicco di zucchero per decine di centimetri.
 
Poi la vedo.
 
H e’ li’, dove l’ho lasciata stamattina, chiedendole di stare buona e di aspettarmi.
 
Sembra che dorma, ma so che non e’ così.
 
“Guarda cosa ti ho portato, H, piccolina, vedi? C’e’ lo zucchero. A te lo zucchero piace tanto, vero?”.
 
Le parlo, a lungo, inutilmente.
 
Le metto lo zucchero vicino, affranta, anche se so che non mi sorriderà mai più per ringraziarmi e che non mangeremo mai più zucchero insieme.
 
Non ci saranno più lunghi percorsi insieme, né attimi rubati all’ombra del sottovaso dei gerani.
 
Sono stanca, e sto male.
 
La morte in polvere serpeggia ancora fra le pareti del formicaio distrutto, in cerca di qualcun altro da uccidere.
Mi stendo sulla nuda terra vicino ad H, metto il granello di zucchero vicino alle sue antenne, e la tengo abbracciata a me.
 
Spero che non abbia sofferto, e questo e’ il mio ultimo pensiero.
 
Poi, anche io, mi addormenterò per sempre.
 
L’odore familiare di H mi culla, riesco ancora a sorridere, e mentre le mie zampe avvolgono il suo corpicino, sento che le sue stringono ancora il bastoncino. 

  
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