DEDICA: Sempre a Cloud,
che mi ha tartassata
perché terminassi al più presto il primo
capitolo, e a feyilin, la mia sis del
cuore. E’ tutto per voi, mie omonime <3.
NOTE: Capitolo un
po’ meno scoppiettante
del precedente (niente Arthur che canta, sorry!), ma molto
più consistente. Se
vi dovesse risultare prolisso o troppo tedioso, fatemelo sapere. Le
critiche,
purché costruttive, sono sempre ben accette.
Un bacio con
schiocco a chi ha recensito il prologo e a chi ha messo questa storia
tra le
Seguite, le Ricordate e le Preferite.
Buona lettura, ci risentiamo a fine pagina!
Merlin non
poteva saperlo, in quanto non aveva mai avuto modo di studiare il
greco, ma
qualche secolo prima della sua venuta al mondo un uomo di nome Polibio,
storico
di una certa levatura dedicatosi allo studio delle cause che si celano
dietro
agli avvenimenti passati e presenti, ne aveva distinte di tre tipi: aitìai (ovvero le cause
profonde), profàseis (i
pretesti) e archài (le
prime iniziative e azioni di
cose già decise).
Forse, se
Merlin avesse cercato di analizzare la situazione in cui si trovava
applicando
il metodo polibiano, sarebbe giunto alla conclusione che,
poiché alla seconda
tipologia di causa corrispondeva la propria goffaggine e alla terza la
geniale
pensata di Kilgharrah, rimaneva
sconosciuta la prima, e più temibile, aitìa.
Il buon
Emrys, infatti, era totalmente ignaro delle perfide macchinazioni di
Morgause,
nemica giurata di Uther. L’ossigenata strega, stanca di
girarsi i pollici ventiquattr’ore
su ventiquattro, in combutta con la sorellastra Morgana cercava ormai
da tempo
di impadronirsi di Camelot, tuttavia i precedenti tentativi erano
falliti a
causa di “quell’insolente, sparuto maghetto dalle
orecchie enormi”. Questa
volta, però, Morgause aveva ordito un piano a suo dire
geniale e senza falle.
Cenred (sì, proprio lui: il coglio- ehm, furbacchione che le
obbediva come un
cagnolino) si sarebbe recato alla corte di Pendragon senior con il
pretesto di
stringere, dopo anni di rivalità e ripicche più o
meno gravi, un’alleanza tra i
loro regni ma con il reale intento di scatenare, spalleggiato dalle
sorelle
Materassi, una sanguinosa guerra per mettere le mani
sull’ambita terra
camelottiana. Eliminati Uther e quell’impiastro di suo figlio
Arthur, Morgause
avrebbe fatto incoronare Cenred e Morgana re e regina, riservando per
se stessa
il ruolo di governo ombra, consigliandoli e manovrandoli a suo
piacimento
quando necessario.
Grande
sorpresa e perplessità generò l’arrivo
a Camelot di un messaggero per conto di
Cenred; sorpresa e perplessità che aumentarono (sfociando
rispettivamente in
speranza e scetticismo) quando la voce secondo cui l’altro re
chiedeva di
stipulare una pace raggiunse le orecchie di tutti gli abitanti di
Camelot,
nobili o popolani che fossero.
Uther si
mostrò da subito favorevole all’idea di un
abboccamento pacifico -tanto più che
una tregua al giorno toglie il medico di torno- e così
invitò il collega a
raggiungerlo nel suo bel castello
(marcondirondirondello) per discutere più dettagliatamente
della cosa.
Morgause, che aveva fatto affidamento sul desiderio di pace e
tranquillità del vecchiaccio,
quando il messaggero le riferì la risposta si
esibì in una delle sue risate tanto
malefiche che più malefiche non si poteva.
Tutto stava
andando secondo i suoi piani.
C’è
da dire
che, sebbene non tutti fossero propriamente convinti della trasparenza
delle
intenzioni di Cenred, a Cameolt non si badò a spese per
accogliere l’illustre
ospite che in fondo, per quanto scarmigliato e un poco rozzo, era pur
sempre di
sangue reale.
Le strade vennero ripulite da residui di sterco, fieno, bucce
d’ortaggi e
carcasse di animali, i tetti delle abitazioni più malmesse
ricoperti con nuove
assi di legno e foderati di paglia fresca, le insegne delle osterie e
delle
botteghe ridipinte. I mercanti di stoffe, il barbiere ed il sarto
fecero affari
d’oro, poiché -grazie alla distribuzione di una
moneta d’argento ad ogni
singolo abitante, per gentile concessione di un decreto reale- i
camelottiani,
tenendoci a fare bella figura con l’alleato straniero,
approfittarono della
gioiosa occasione per rinnovare il look e farsi dare una puntatina a
barbe,
baffi e chiome selvagge.
Purtroppo
per Merlin, quest’euforia si tradusse in un sacco di lavoro
in più. Tutta la
servitù di corte fu colta dal bisogno impellente di lucidare
e addobbare il
castello (marcondirondirondello) affinché fosse splendido
splendente. Motivo
per cui anch’egli -valletto
del principe,
d’accordo, ma pur sempre un servitore- venne coinvolto nelle
pulizie generali.
Quelli che seguirono furono giorni pienissimi e sfibranti per il nostro
eroe,
diviso tra un arazzo da passare col battipanni, un’armatura
da lustrare e la
solita, entusiasmante routine che
lo
vedeva al servizio di Arthur Pendragon, alias il più grande
Asino Reale di
Britannia.
Tuttavia, a
voler essere obiettivo, Merlin doveva ammettere che sarebbe potuto
capitargli
un signore molto, ma molto peggiore.
L’erede al trono, per quanto si divertisse un po’
troppo a tiranneggiarlo e a
sfogare su di lui la propria irritazione quando aveva le
sue cose (il mago ne era certo, Arthur soffriva di misteriosi
cicli mestruali psicologici con relative sindrome premestruale e
ritenzione
idrica), era un cavaliere di tutto rispetto, onesto e coraggioso,
magnanimo con
i propri avversari e, tutto sommato, di buon cuore. Sarebbe stato un
grande re,
giusto e vicino al suo popolo… E poi era un gran bel pezzo
di figliolo, il che certamente non
guastava. Se solo non fosse stato
così irrimediabilmente somaro e viziato!
Durante la
settimana che precedette l’arrivo di Cenred, una volta
constatato che il
servitore non poteva più accorrere ad ogni suo schioccare la
dita perché troppo
impegnato con stracci e ramazza, l’erede al trono lo prese
come un affronto
personale e mise il broncio.
Se così facendo pensava che Merlin
non avrebbe dormito la notte, assalito dai rimorsi, si sbagliava di
grosso.
L’altro se ne accorse, e si limitò a ridere sotto
i baffi: Arthur era un principino
sul pisello, proprio come aveva sospettato. Eppure non lo avrebbe
scambiato con
nessun altro nobile, semplicemente perché era lui.
Venne infine
il giorno dell’arrivo di Cenred a Camelot. Lo accompagnavano
il suo
luogotenente, che altri non era che Morgause sotto mentite spoglie,
alcuni
decrepiti consiglieri e un cospicuo numero di soldati. Uther
però non si mostrò
turbato dalla loro presenza, visto che la prudenza di quei tempi non
era mai
troppa. Le strade erano ricettacolo di predoni, sicari e oscuri ceffi
spesso
dotati di poteri magici, sicché poteva comprendere benissimo
il presunto timore
dell’altro di venire assalito durante il viaggio.
I due re si
scambiarono violente pacche sulle spalle e strette di mano simili a
tenaglie,
poiché se veri uomini si vuole apparire un pochetto si deve
soffrire, mentre il
seguito dell’ospite venne fatto accomodare negli alloggi
appositi. Dopo di che
la corte si riunì nella sala dei banchetti, dove la
servitù attendeva i
commensali per servire il pasto di mezzodì.
Una volta
che ebbero tutti saziato il loro appetito vorace, neanche fossero stati
orsi marsicani
a digiuno da mesi, Uther comunicò a Cenred che gli era stato
assegnato come
servitore per tutta la durata della sua permanenza nientepopodimeno che
il “prezioso valletto di mio figlio”. A
quell’annuncio Merlin impallidì per
la sorpresa, rischiando di far cadere la brocca di vino che teneva in
mano;
Cenred si mostrò compiaciuto, il suo luogotenente
digrignò i denti... e Arthur,
beh, lui si imbronciò ancora di più.
Non appena i
convitati si furono alzati da tavola, Emrys ignorò il
principe, che lo fissava
a metà tra il cucciolo orfano di madre e il bambino cui
è stato appena
sottratto il suo balocco preferito, e trotterellò dietro a
Cenred. Benché non fosse
particolarmente entusiasta dell’idea di fargli da sguattero,
la sua improvvisa
richiesta di pace l’aveva insospettito non poco. Avrebbe
approfittato
dell’occasione per tenerlo d’occhio.
Allora,
soddisfatte di questo capitolo? Ho anche aggiornato in anticipo, non mi
sembra
vero.
Non vedo
l’ora di sentire il vostro parere!