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Autore: LilithJow    22/08/2011    7 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Avevo ventitrè anni all'epoca, fresca di college e pronta per tuffarmi nel mondo del lavoro, degli adulti. Decisi di tornare nella mia città natale per affrontare ogni cosa. In una cittadina come la mia, tutti si conoscono e non sarebbe stato difficile trovare un posto. Qualche giro di parola, qualche raccomandazione ed era fatta.
Laureata in grafica e design, andai alla sede del giornale locale, che aveva nettamente bisogno di una spolverata innovativa. Non ci volle molto per farmi assumere, nel giro di qualche ora ero la nuova addetta alla composizione della prima pagina del giornale.
Fu tutto assolutamente semplice, non mi ero mai sentita più realizzata, ma purtroppo, fino a quel momento, la mia vita non era stata affatto facile. Dentro di me, nascosta dalla gioia e dall'euforia, c'era un presentimento, una sensazione che sarebbe successo qualcosa che mi avrebbe sconvolto. Ancora non sapevo che quella cosa avrebbe segnato la mia vita in modo indelebile, tanto da spingermi a raccontarlo come ora sto facendo.
Nel mio primo giorno di lavoro, tutto filò liscio. Avevo un ottimo rapporto con i colleghi, mi stavano sempre a sentire e mi guardavano con ammirazione perchè, a loro dire, ero un pezzo forte; questo solo a causa dei miei studi lontani da Rossville.
Uscii tardi dal giornale: nonostante fosse il primo giorno, c'era già del lavoro arretrato lasciato dal mio predecessore. Preferii sbrigare ogni cosa subito per evitare di ritrovarmela nei mesi successivi.
Camminavo distrattamente, frugando nella mia borsa in cerca delle chiavi della macchina (era mia abitudine perderle), che non mi accorsi di qualcuno che mi stava venendo incontro, finché non gli finii addosso.
“Oh, mio Dio! Scusa, mi dispiace” esclamai, dopo aver notato di aver causato la caduta di mille fogli e documenti che aveva in mano. “No, scusami tu, avevo la testa del tutto altrove” replicò lui, raccogliendo la mia borsa da terra e non preoccupandosi per nulla della sua. Ci pensai io allora, cercando di ridare una forma alla pila dei fogli. Messi insieme solo un paio, glieli porsi, alzando gli occhi. Solo in quel momento mi accorsi contro chi ero andata a sbattere, strano che non lo avessi riconosciuto già dalla voce: una come la sua era unica.
“Lucas” dissi. O meglio, soffocai. Pronunciai il suo nome come farebbe un'atleta dopo aver percorso i cento metri. “Sam”. Lui disse il mio in modo del tutto normale, abbozzando un sorriso.
Non vedevo Lucas dai tempi del liceo. Era stato il mio ragazzo per tre anni, ma il giorno del diploma, quando ogni studente annunciò il college che era intenzionato a frequentare, lui non disse la Brown, come avevamo deciso insieme. Scelse la Columbia, a ore ed ore di distanza da me. Non mi spiegò mai il motivo, anzi, non mi rivolse mai più la parola.
Fino a quel momento.
“Sei tornata a casa?” mi chiese, tirando su gli ultimi fogli. “Già” replicai, distaccata. “Anche tu”.
“Mi mancava questo posto” disse, tenendo gli occhi fissi dentro i miei. Ricordavo bene quell'espressione e sapevo benissimo dove voleva arrivare. Avrei voluto scaraventarmi contro di lui e prenderlo a pugni per tutto ciò che mi aveva fatto passare negli ultimi quattro anni. Ero stata peggio che male per lui e per il modo in cui mi aveva lasciata. Con quale faccia tosta riusciva a starmi davanti, facendo finta che non fosse successo nulla, non lo sapevo e non lo so tutt'ora. Non seppi neanche che cosa fece in quei cinque anni che non ci vedemmo, non me lo raccontò mai e io non glielo chiesi. Non volevo essere troppo invadente o forse non volevo che qualche mia domanda dimostrasse palesemente il fatto che ero ancora totalmente persa per lui.
Quel nostro incontro casuale non durò a lungo. Dopo qualche secondo, con nessuna risposta da parte mia alla sua ultima frase, raccolse gli ultimi fogli a terra e si allontanò, lasciando l'eco di un “Ci vediamo”. Rimasi per un attimo immobile, con lo sguardo perso nel vuoto. Purtroppo vederlo mi aveva fatto l'effetto di sempre: il mio cuore palpitava, le mani sudavano freddo, come avessi la febbre alta.
Così ho sempre definito Lucas Monroe: colui che mi provocava la febbre. Rideva ogni volta che glielo dicevo, ma era semplicemente la verità.
 

  
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