Premessa:
Questa
è una ff a quattro mani ‘terminata’
(mancano gli ultimi capitoli) di circa 66
capitoli.
Se vi state chiedendo il motivo per cui lo
sottolineiamo è solo per enfatizzare il fatto che intendiamo aggiornare costantemente un paio di volte la settimana ( sempre di
Lunedì e di Giovedì, in via del tutto eccezionale in questa prima settimana, in
cui postiamo oggi e Sabato.).
La
storia si snoda su due diversi piani temporali: passato e presente. Abbiamo
segnalato nel prologo le parti in corsivo, rappresentative del presente, ma
intendiamo fornire sempre delle pseudo date approssimative, capiamo che non
sarebbe facile seguirci se no xD tanti salti)
I
personaggi sono prevalentemente: I
Panic at the Disco (che entrano nella narrazione a partire dal terzo capitolo,
diventando in assoluto i protagonisti insieme alla nostra band inventata) e in
particolare si parla di Ryan Ross e Brendon Urie, Gabe Saporta (che arriverà
nel capitolo otto) , William Beckett
(Gabilliam inclusa), Pete Wentz (Da
subito) e Patrick Stump. Sono incluse
tutte le band della DecayDance in quanto questa FF è un escursus di tutta la
storia dei Panic at the Disco e della stessa casa discografica dal 2006 ad
oggi (date dei tour esatte comprese, si, siamo pazze e non abbiamo un c***o da
fare xD). Abbiamo effettuato riadattamenti in alcuni casi, come notizie poco
chiare.
Detto
questo spero apprezziate la band che abbiamo partorito sulla base di una band
realmente esistente (di Jess per la precisione), che tra l’altro ringraziamo
per averci passato il copiright sulle loro cazzate. Abbiamo cercato di essere
realistiche.
Per
agevolarvi la lettura delle due protagoniste del racconto, ecco un paio di
foto:
Buona
lettura :D
Jessy
e Miky.
Jill Pov – Chemical Lady
May Pov – Heven Elphas
Expect
the Unexpected
is
Smarter than
Trust
in Possible Things.
Prologo:
Life is sweet like a peach jam sandwich.
Jill
Pov.
17 dicembre 2010 (Presente)
Lo
shock mi paralizza.
È un incubo, non può essere vero… cioè…
-Jilliahn - Un singhiozzo le rompe la voce mentre mi chiama –Ora devo chiamare
i suoi genitori… come posso dirgli per telefono che loro figlio è morto??
Come??-
Non posso crederci “Io…. Io…”
Non riesco a formulare una frase di senso
compiuto.
Non
posso darle conforto in alcun modo.
-Potresti avvisare tu gli altri? Io non ce la faccio è troppo per me…-
“Stai con vostro figlio… avviso io gli altri, dirò a Gabe di spargere la voce…”
riesco finalmente a mormorare, riscuotendomi.
-Grazie Jill…- un altro singhiozzo più forte, mi sembra quasi di vederla
raggomitolata su se stessa sul divano, in preda al dolore più forte di tutti.
Aver perso la persona amata.
“Mi dispiace di non poter essere lì ora e…” La chiamata cade. Così come il mio
cuore sprofonda nel mio petto lasciando un vuoto nel punto in cui si trovava
prima.
Ma devo agire, devo chiamare Gabe… devo fare qualcosa…
Perché se mi fermo a pensare allora no,non riuscirò più a reagire.
Ma dove cazzo è il mio cellulare?? Era qui prima, dove l’ho messo? Cercarlo ma
non trovarlo mi fa arrabbiare moltissimo, così mi lascio cadere a sedere sul
divano, chinandomi un po’ in avanti e commettendo così un errore madornale.
Mi fermo, penso.
E qualcosa si rompe dentro di me.
Dicono che il dolore ha tre fasi distinte… il rifiuto, la crisi e poi
l’accettazione… io sono nel pieno della prima perché no, dai, non può essere
vero… deve esserci stato un errore… non può essere davvero morto… è assurdo…
Sento una chiave girare nella toppa della porta d’ingresso e riesco a mala pena
a realizzare che è mio marito che è tornato prima. Sono decisamente spiazzata,
così tanto che non sto capendo nemmeno dove sono con precisione….
Lui entra in sala appoggiando la valigia nell’ingresso e rimane sorpreso nel
vedermi così, sul divano con le mani tra i capelli con nemmeno la forza
sufficiente per alzare la testa e fargli un sorriso. Da quanto non lo vedo?
Cinque giorni?
Avvolte
mi sembrano troppi…. Avvolte troppo pochi.
“Jill…”
si siede cauto accanto a me “Cosa succede? Non ti senti bene? Kylian è ancora
da mia sorella?”
Io alzo il capo di scatto esclamando un debole ‘damn’ contro me stessa. Mi sono
dimenticata di mio figlio, non lo sono andata a prendere. Che razza di pessima
madre sono?
“Io… io mi sono dimenticata e poi…” Sposto il mio sguardo dentro ai suoi occhi
nocciola colmi di preoccupazione. Chissà cosa ha pensato trovandomi in questo
stato pietoso… Mi passa un braccio attorno alle spalle, mentre appoggia
delicatamente la sua fronte alla mia e avvolta da questo calore amato arrivo
alla seconda fase in un batter d’occhi.
La crisi.
Scoppio in un pianto disperato, buttandogli le braccia al collo mentre lui mi
stringe forse a se “Ma cosa è successo?” mi domanda agitato mentre io mi porto
una mano alla bocca per cercare di frenare almeno un po’ i singhiozzi, o non
sarò in grado di rispondergli.
Mi stacco appena da lui, che mi prende la mani fra le sue guardandomi
implorante di parlargli ma io non so davvero cosa dire, tutto è così confuso…
tutto è così… così distante come se non fossi io a viverlo.
“Lui è… morto…” Non ci riesco, davvero non ce la faccio a parlare…
Guardo mio marito sbiancare e perdere un attimo la lucidità iniziando a
balbettare qualcosa riguardo a nostro figlio ma io scuoto violentamente il
capo.
“No! Kylian sta bene non è lui che è morto…” dico respirando affannosamente, al
meglio visti i singhiozzi che mi scuotono così violentemente ma farmi male al
petto.
Lo guardo rilassarsi un attimo prima di stringermi di nuovo in un abbraccio caldo
che però fatica a calmarmi “Respira… e poi raccontami tutto…”
Non so nemmeno da che parte iniziare… posso solo stringere convulsamente la tua
camicia versare tutte la lacrime fino a rischiare la disidratazione… Fa così
male che sembra che sia io a dover morire…
E voglio riavvolgere il nastro di questo film malinconico chiamato vita.
Voglio tornare all’inizio, quando ero solo una ragazza di montagna come molte
altre…
Gennaio 2006 (Passato)
Evansville,
Wyoming, non è mai stata una meta turisticamente ambita, ne tanto meno
conosciuta al resto d’America, figurarsi al mondo intero.
Noi vivevamo nella parte dello stato caratterizzata dalle belle montagne verdi
che si vedono nei Segreti di Brokeback Montain. Bella roba nei film che però si
rivela uno schifo nella vita reale in quanto le notizie e i film al cinema
arrivavano con notevole ritardo da noi…
Avevo da poco iniziato l’ultimo anno di scuola superiore quando decisi di dare
una svolta alla mia vita e quella dei ragazzi che componevano la mia band. Quattro
per la precisione, eravamo due ragazze e tre ragazzi.
Tornando un attimo a quello schifo di location, io sono cresciuta all’interno
di una famiglia abbastanza sana, ne troppo permissiva ne troppo l’estremo…
figlia più piccola, ero anche fin troppo viziata e coccolata.
Se questa fosse una biografia dovrei iniziare col dire che sono nata il 22
gennaio 1989 in una fredda notte d’inverno… ma questa non è propriamente una
biografia… a dire il vero non so che cazzo sia… non è nemmeno una cosa patetica
alla ‘caro diario…’, potrebbero tranquillamente essere le mie memorie… o
ricordare il passato per non pensare a quanto faccia male il presente… a questo
ci arriverò poi!
Mi piace pensare che a soli diciassette anni non capivo davvero un cazzo perché
stavo male per il ragazzo che mi piaceva e che non mi guardava nemmeno in
faccia, perché a scuola andavo male e perché la mia band aveva davvero talento
ma nessuno si degnava di darci una possibilità…
“Hai mandato la demo a Pete Wentz?”
Alzai gli occhi dal mio frappè scontrandoli con quelli di Simon, il mio
migliore amico e il mio chitarrista. Feci spallucce “Tanto non ci calcola
nemmeno uno così… figurati se si può interessare a una band sfigata come i
Killer Peaches”
Gwen, altra mia migliore amica e ultima componente del meraviglioso trio, mi
diede una pacca in testa “Perché parti negativa?” chiese mentre i capelli mossi
le andavano davanti al viso.
“Al massimo ci snobba” concluse Simon con un’alzatina di spalle.
Quella sera stessa mandai un paio di mp3 e un paio di video delle nostre
performance alla casella postale del bassista dei FOB presso la sua casa
discografica lasciandogli la mia email e sapevo che si, era una mossa a vuoto.
Aveva di certo band migliori a cui badare che un branco di ragazzini, in gran parte
minorenni.
La maggior parte della mia vita in quel periodo ruotava attorno alla saletta
prove, una stanza di otto metri quadrati polverosa sistemata sotto all’ossario
di una chiesa. Era nostra 24 ore al giorno eccetto quando doveva essere
recitata la messa o altri riti. Ci cacciarono più di una volta per aver
interrotto un funerale, a dire il vero….
Li mangiavo, avvolte ci dormivo, incidevo, scrivevo i pezzi… e suonavamo.
E
non avevamo nemmeno il riscaldamento in inverno….
Sapete
quanta neve cade in Wyoming? Un sacco.
Come dicevo poco fa, eravamo una band abbastanza numerosa, ben cinque persone.
Simon era un po’ il mio punto di riferimento visto che avevamo iniziato a
suonare assieme e era l’unico componente della prima formazione ad essere
sopravvissuto alla diaspora.
I capelli biondi, gli occhi azzurri… potevamo essere fratelli a dire il vero.
Era il dio indiscusso della chitarra nonostante avesse sedici anni era davvero
eccezionale…
Phill era la persona più pallosa mai vista, in quanto la sua etica morale era
anche troppo pesante. Ma viveva con il paraocchi, giudicando a manetta tutto e
tutti senza dare la possibilità di replica a nessuno e intestardendosi come un
mulo. Ma era un buon chitarrista, e un amico fidato. Di solito lui era già in
saletta da un po’ al mio arrivo, essendo di solito puntuale e io no. Nessuno di
noi era puntuale eccetto lui, per farla breve.
Io e Simon arrivavamo sistemando gli strumenti e spalmandoci sulle due
poltroncine rosse della saletta aspettando il nostro batterista, Dam, che
entrava con un viso cupo e un paio di bestemmie sulle labbra sottili, di solito
deformate da qualche smorfia infastidita. Dam era particolare, era
l’uomo-sopprammobile. Parlava pochissimo, il giusto, e tendeva a guardare male
tutti… ma non perché non ci volesse bene ma perché era un ragazzo abbastanza di
ghiaccio, dopotutto proveniva dalla fredda russia, ma con in mano due bacchette
poteva fare miracoli… lui aveva quindici anni allora ma sembrava quasi più
grande di Phill, il maggiore di noi che di anni ne aveva ben diciannove.
Arrivati noi quattro non dovevamo far altro che attendere la grande diva della
situazione, la nostra cantante May. Di solito arrivava trafelata scusandosi per
i 98 minuti di ritardo dovuti a un qualche cataclisma naturale a cui noi
ovviamente non credevamo. Potevamo almeno accendere gli ampli nel frattempo ma
no, eravamo forse troppo pigri per alzarci. Era più divertente bere la birra e
prendersela con lei facendole un po’ pesare i ritardi.
Ma non molto infondo, una cosa giusta.
Eravamo una band molto affiatata, tanto da passare più tempo possibile in
saletta a provare tutti insieme prima di ritirarci a casa nostra, dove io e
Simon lavoravamo tutta la notte prima di andare a scuola per buttare giù
qualche testo o lavorare su una nuova melodia…
Ricordo bene il periodo in cui tutto cambiò.
Il 2006 era iniziato da una manciata di giorni e come regalo di compleanno
volevo solo una risposta da Wentz che però, come avevo immaginato, non era
arrivata e visto che erano passati ormai quindici giorni da quando gli avevo
mandato il mio SOS via email avevo capito che potevo metterci una pietra sopra.
Era un venerdì sera normale, con un’esibizione normale al solito bar cittadino.
Il palco di cinque metri quadrati non poteva di certo contenere l’esuberanza di
Simon che finì per capitolare per terra due volte.
“Sei incredibile” Phill mise la chitarra nella custodia rigida mentre May e Dam
andavano a passo veloce verso il bancone per bersi qualcosa. Loro non dovevano
smontare dopotutto… non avevamo nemmeno un camerino. Simon si tolse la
maglietta rivelando un bel livido violaceo sul fianco e facendo sospirare un
paio di ragazzine ai piedi del palco.
Oh si, avevamo le fan tredicenni del paese…
Il mio collega biondo sistemò, anzi gettò, la Les Paul nella custodia e la
abbandonò al tavolo dirigendosi poi al bancone, abbracciando May e cercando di
scroccarle una bevuta come faceva ogni volta. E lei puntualmente ci cascava.
Appoggiai il basso accanto a quella chitarra che ne aveva viste di tutti i
colori e poi mi lasciai cadere sulla panca appoggiando la testa al muro. Phill
si mise al mio fianco grattandosi un occhi e sbavandosi così la matita nera “è
andata bene anche stasera…”
Gwen prese posto di fronte a me con uno sbadiglio mentre io ribattevo “Va
sembra bene, cazzo… ma non ci muoviamo di qui. Ci moriremo in questo buco di
merda…”
“Lo penso anche io”
“Oddio non voglio sentire questi discorsi” Simon mi mise una birra davanti
mentre May faceva la stessa cosa con Phill “Cazzo ragazzi siamo giovani ne
abbiamo di tempo per farci vedere… e poi io credo in Dio Pete!”
Alzammo tutti gli occhi al cielo.
“Si certo” dissi io sbuffando senza però nascondere una certa amarezza “se
aspettiamo Pete Wentz allora si che possiamo arrenderci…”
Simon scosse il capo sbuffando, aggrappato con le unghie e con i denti a quella
speranza davvero lieve.
Uscimmo dal locale alla chiusura e ci separammo. Dam era tornato a casa da un
po’ e anche Phill si sentiva stanco così ci abbandonò.
“Allora anche noi andiamo” disse May prendendo le chiavi dalla tasca dei jeans
prima di abbracciarmi “ti porto a casa” disse poi a Gwen mentre io e Simon ci
avviavamo alla mia vecchia auto salutandole con un sorriso.
Come al solito non tornammo subito a casa, ci stringemmo nel cappotto mentre il
vento invernale ci faceva lacrimare gli occhi e ci mettemmo a sedere sul cofano
dell’auto con una sigaretta fra le labbra e la schiena appoggiata al vetro,
guardando le stelle “Prima o poi anche noi voleremo lassù” mi disse il mio
amico indicando un punto imprecisato del cielo e facendomi sorridere appena
“saremo così luminosi che tutte le altre stelle spariranno…”
“Che bello sognare…”
“Sarà ancora più bello realizzarlo”
Voltò il viso verso il mio sorridendo e io non riuscì a non ricambiarlo “Ci
credi davvero così tanto?”
“Ovvio che si… saremo così famosi da non poter più uscire di casa senza essere
circondati da paparazzi” disse concitato bracciandosi.
“Si certo” risposi io scettica alzandomi “Ora per piacere andiamo a letto che
mi si stanno gelando le chiappe!”
Non che io non credessi nella band, assolutamente, sentivo un’energia così
forte quando stavamo su un palco e che ci univa con così tanta potenza da darmi
alla testa. Avevo solo paura di rimanerci male, di subire una batosta dalla
vita così grande da perdere le speranze e non riuscire più a scrivere nemmeno
una riga o a riprendere in mano il basso.
Il tutto parve risolversi un nevoso pomeriggio, per la precisione il 10 gennaio
2006.
Data storica.
Eravamo nella nostra salettina ad aspettare May e Simon mentre Dam mi mostrava
dei video demenziali su youtube, come facevamo tutte le volte. Il chitarrista
arrivò sedendosi accanto a Phill vicino all’unica stufetta elettrica che
emettesse un po’ di calore.
“Si assidera qui dentro cazzo!” disse sfregandosi le mani e soffiandoci dentro.
“Spostati” dissi a Dam costringendolo ad alzarsi “controllo la mia email,devo
vedere se hanno spedito quella felpa che ho comprato su ebay”
Phill sbuffò prendendo la chitarra “ma non potevi farlo a casa?” chiese seccato
mentre May arrivava con il fiatone come sempre.
“Non ho più la connessione” spiegai mentre accedevo alla mia email “è crollato
il traliccio con la nevicata di lunedì scorso…”
“Che posto di merda” Dam, con la solita finezza prese posto alla batteria
avvitando meglio il charlie.
Io
guardai velocemente le email cercando tra le mille notifiche di myspace quello
che cercavo ma nulla… solo due o tre email di alcuni amici, una da un indirizzo
di posta sconosciuto… un tale PeterPony@decaydance.com....
Rimasi in silenzio tombale per alcuni istanti mentre rileggevo quel indirizzo
suddividendolo pezzo per pezzo. Peter. Pony. Decaydance.
Con la mano tremante mossi il mouse fino ad aprirla, ma senza trovare il
coraggio di leggerla, almeno in un primo momento. Le gambe tremavano più della
mano ma ehy, era sicuramente una email in cui ci diceva che aveva preso visione
del materiale ma che no, non facevamo al suo caso… doveva essere così… non
poteva essere altrimenti…
Sapevo che Phill mi stava ordinando di spegnere il pc e prendere il basso ma
non lo cagavo pari. Era un momento di pathos, non potevo ascoltare lui.
Presi un respiro e iniziai a leggere…
Carissima e dolcissima Jilliahn…
Sei la bionda vero? Potere ai bassisti!
Venendo a noi ti chiedo scusa per non averti risposto prima ma stavo
verniciando casa e non avevo tempo :P Ho ascoltato attentamente le vostre demo
e lasciami solo dire che le trovo strepitose! Tra un paio di giorni passo per
il Wyoming così mi fate sentire qualcosa live ok? Ora torno da Patrick, siamo in
sala di registrazione, prima che abbia un altro attacco di crisi di nervi e
perda altri capelli! Allora ci vediamo tra un paio di giorni! Ti lascio il mio
cellulare per poterci sentire meglio quando arriverò li!
Make some noise for me!
Pete.
Mi alzai di scatto dando una ponderosa testata a Phill che si era chinato su di
me per poter leggere cosa avesse attirato la mia attenzione in quel mondo e
urlai come una pazza sclerotica in preda a una crisi di panico.
Pete Wentz sarebbe venuto da noi… lì, nel Wyominh, a Evansville…
Simon corse a leggere a sua volta mentre io giravo per la stanza con le mani
nei capelli riuscendo solo a dire ‘Oh My God!’
“Merda!” urlò concitato dando una gomitata al povero Phill che si teneva una
mano al naso sanguinante imprecando “Oh merda non ci posso credere! Pete
Wentz!”
Da lì fu il delirio più assoluto. Sembravamo un branco di scimmie in una
gabbia, urlatrici per lo più.
Persino Dam prese vita.
May mi prese per mano e prendemmo entrambe a saltellare gridando mentre Phill,
che si era ripreso subito dal male fisico rideva abbracciando Dam che gli
guardava il sangue sulla maglietta con fare schifato.
“Ragazzi calma…” Simon ci riportò alla realtà e il suo sguardo preoccupato mi
mise ansia. Ma che diavolo… “L’ha mandata due giorni fa questa email…” disse
guardandomi con gli occhi sgranati.
Io non ci arrivai subito, poi però un bestemmione al pari di quelli di Dam e
dissi “Cazzo è già qua!”
“Chiamalo” disse Simon prendendo il mio telefonino e scrivendo rapidamente il
numero.
“Qui non c’è campo” replicai io infilandomi il cappello di lana nero sui
capelli biondi “è meglio se vado fuori dal bar!” non feci nemmeno in tempo a
finire la frase che ero già fuori dalla porta.
La neve cadeva sottile e lenta e non era una bella cosa. Se il tempo fosse
peggiorato? E se non avendo ricevuto una risposta non fosse nemmeno partito?
Mi feci prendere dallo sconforto ma poi fui raggiunta dagli altri e mi feci
coraggio, facendo partire la chiamata.
La piazza era deserta e il solo rumore che sentivo era quello del mio cellulare
che suonava a vuoto, senza ricevere risposta.
“Niente” dissi sconfortata abbassando il telefono mentre cinque teste mi
guardavano strette attorno a me in attesa.
“Forse non è riuscito ad atterrare con questo tempo” iniziò Phill, sparando un
sacco di motivi per i quali Pete non ci aveva raggiunti come ci aveva detto.
Tutti lo guardammo rattristandoci.
“O forse è qui ma non trova il posto” disse Simon, come sempre positivo.
May annuì convinta “Dopotutto abitiamo in una zona difficile da raggiungere
normalmente! Mandagli un sms!”
“E che cazzo posso scrivergli?” chiedo impanicata guardando il suo numero di
cellulare come se no, non potesse essere quello vero.
“Non lo so, digli che hai letto ora l’email perché sei una cogliona” disse Phill
potendosi le mani ai capelli neri e stringendoli “Scrivi!”
“Ma scusa ma scrivilo tu un sms a Pete Wentz io non ce la faccio!”
“Ehm… ragazzi…”
“Taci Simon” proseguì Phill mentre Simon si bloccava “No devi farlo te Jill,
sei tu il frontman e lui ha comunicato solo con te!”
“Ragazzi non serve…”
“Taci!” infierì verso il mio chitarrista mentre continuavo a guardare decisa
Phill “ma io non so che dirgli!”
“Ma cosa vuoi dirgli?? Chiedigli dove è e basta!”
“No sul serio ragazzi non serve io sono..” una nuova voce tentò di parlare ma
io e Phill la zittimmo insieme con un’occhiata omicida prima di tornare a
guardarci e realizzare che avevamo appena guardato male Pete Wentz in carne ed
ossa…
Lui ci sorrise quando notò che lo stavamo tutti fissando come se ci fosse
appena stata un’apparizione della madonna di Lourdes “Ehy ciao! Voi siete i
Killer Peaches vero? Chi di voi è Jilliahn Bayler?” chiese guardandoci tutti
quanti “Ho visto i video ma con i cappelli e le sciarpe non vi posso
riconoscere!”
Io alzai la manina come durante l’appello e lui allungò la mano che io strinsi
tremante e in soggezione, come se stessi per baciare i piedi di un santo “Io
sono Peter!”
Ma dai… chi lo avrebbe mai detto.
Gli sorrisi “Beh io sono Jilll…. Loro sono Phill e Simon, i due chitarristi”
dissi mentre il primo lo guardava adorante e il secondo lo salutava con
entusiasmo “Dam alla batteria” dissi facendo un cenno al mio amico come sempre
impassibile “e lei è la cantante, May”
Lui ci guardò interessato sistemando meglio la valigia sulla spalla poi disse
“Avete un posto, come una garage, in cui posso sentirvi suonare qualcosa?
Purtroppo ho il volo per New York tra quattro ore e devo correre! Se tutto va
come ho previsto vi passo a riprendere domani nel pomeriggio…”
“Ci passi a prendere per portarci.. dove?” chiese Phill teso.
Pete ridacchiò “A Los Angeles!”
Silenzio.
“Ma… subito?” chiesi stupita.
Lui annuì “Ovvio che si!”
“Devo comprarmi delle canottiere” disse sovvrapensiero May beccandosi
un’occhiata stranita generale.
E i miei genitori? Come avrei detto loro che avrei lasciato la scuola?
Avevo 24 ore di tempo per sistemare tutto li prima di andarmene? Era una
pazzia..
Ma era dannatamente eccitante…
Per prima cosa però dovevo dimostrare a Pete che non lo avevo contattato a
caso.
“Vieni” dissi trovando una sicurezza inaspettata e mostrandogli la strada con
un gesto del braccio “ti dimostreremo che abbiamo le carte in regola per
diventare le tue punte di diamante”
A lui brillarono gli occhi “Bene! È proprio quello che voglio! Determinazione!”
rispose seguendomi mentre gli altri erano ancora in parte sconvolti.
Ma si ripresero anche loro in fretta, appena presero in mano i loro strumenti.
Pete si mise a sedere su una delle due poltroncine avvicinando la stufetta e
scaldandosi le mani “Quando volete” disse con un sorriso osservandoci
attentamente uno per uno.
Io scambiai uno sguardo con le due chitarre e con May prima di fare un cenno a
Dam che prese a scandire il tempo “Signore e signori” iniziai a dire nel
microfono mentre Simon faceva partire un paio di schitarrate “Inizia lo show”
dissi, pragmatica come sempre facendo l’occhiolino a Wentz per il quale ci
esibimmo in quello che pareva più un concerto,che una prova.
Alla fine ci fermammo stremati, con Simon matido di sudore tanto da perdere delle
goccioline dai capelli. E io non ero di certo da meno.
May si sistemò il ciuffo alla meglio prima che tutti ci voltassimo in
contemporanea a guardare Pete che se ne stava zitto e serio a braccia
incrociate. Aspettammo che parlasse.
Stavo morendo nell’attesa.
May Pov
17 Dicembre 2010
(Presente)
Sto
trafficando con l’ultimo testo che è scaturito dalla mia mente, pensando che
–sì devo ammetterlo- questa volta è troppo demente pure per me. Dovrei scrivere
qualcosa di più serio… Ma se mi ci metto va a finire che diventa troppo
deprimente. Mi passo una mano sugli occhi, ascoltando quella melodia al
pianoforte registrata qualche giorno fa dalla mia dolce metà, quando
all’improvviso il telefono di casa squilla.
Qualcosa nel mio
petto si rivolta improvvisamente e sento che se rispondo a quella chiamata sarà
di certo qualcosa di brutto. Eppure mi appresto ad afferrare l’apparecchio
sotterrato tra le scartoffie e rispondo.
-Pronto…?-
Dall’altra parte
sento un respiro tremolante e un singhiozzo molto simile ad un pianto. Dal
colpo di tosse che ne segue riconosco chi mi sta chiamando.
-Will…? Will sei tu?-
Dico in preda
all’ansia e ad un brutto presentimento. Lui prende fiato un attimo e cerca di
parlare senza farsi prendere troppo dal panico.
-May…- Gracchia un
nome, ma riesco ad afferrarlo senza problemi. -…lui è morto. In… in un
incidente….-
Le sue parole
rimbombano nella mia testa e per un attimo ho bisogno di appoggiarmi allo
schienale della poltroncina girevole per evitare di perdere le forze. Non puo’
essere vero… Con tutta la gente a cui poteva succedere, proprio a lui? No…
-Stai… Stai
scherzando?-
Mormoro senza
poterci credere… Will non è la persona più seria al mondo, ma non mi
prenderebbe mai in giro per una cosa simile. Non potrebbe mai scherzarci su.
Non ho subito
lacrime da versare, non ce la faccio quasi mai a piangere in queste situazioni.
Mi limito a tirare un pugno alla superficie della scrivania mentre stringo il
cordless.
-Ora… Ora lo dico
anche a…-
Non finisco la frase
William riattacca violentamente. Posso capirlo… Posso avverire il suo stesso
rimorso, per questo non lo richiamerò. C’è qualcun altro per cui sono più
preoccupata. Qualcuno che di sicuro la prenderà più male…
Appoggio il
telefono, prima di alzarmi ed accorgermi che nelle gambe ho poca forza. Dopo
qualche passo mi appoggio alla soglia ed inizio a piangere, inaspettatamente.
Dall’altra stanza arriva la melodia suonata da una chitarra acustica… Qualcosa
di veramente bello che non avevo mai sentito prima. E mi chiedo se nel momento in
cui apparirò di là, quella musica cambierà drasticamente e non potrà mai più
essere suonata.
Ma ormai la colonna
sonora della nostra vita è destinata a cambiare in altri toni, più tristi e
cupi. Diremo addio alle melodie spensierate e stupide che cantavamo prima…
Eppure, proprio ora,
mi torna alla mente quel testo idiota che Jill aveva scritto nella nostra sala
prove, quasi cinque anni fa… Una canzone che abbiamo suonato in fin troppi
live. Adesso non mi fa più ridere come a quei tempi…
Wear your
silver shoes while you’re making his wedding cake…
He’ll throw
off his hat and his ring in front of your grave.
…we’ll make
an apple-pie in your funeral day.
Gennaio
2006 (Passato)
A quel tempo la vita scorreva tranquilla e me ne
stavo beata e felice nella mia cittadina montana del Wyoming, vivendo alla
giornata e senza pensare al futuro. Avevo tutto quello di cui avevo bisogno,
beh, tranne di un’occupazione… Sa dio come non si possa trovare lavoro in
quell’America elogiata da tutti quanti. Non consideravo il mio posto come
cameriera saltuaria in un ristorante come un lavoro vero e proprio, cercavo di
più ovviamente, ma per il momento conveniva accontentarsi di quel che passava
il convento. Certo mio padre non ne era molto felice, dato che doveva
continuare a mantenermi… Per sua fortuna non sono mai stata una spendacciona
amante dei lussi o dei bei vestiti di marca. L’unica cosa per cui spendevo
soldi erano i cd e i cappelli. Non che a Evansville ci fossero vestiti costosi
da comprare o lotte con cheer-leader all’ultima moda a cui far fronte… La cosa
più alla moda che avevo visto era un cavallo con le treccine con in groppa un
allevatore di bestiame in pieno stile Heath Ledger ma molto meno figo.
Io di certo facevo concorrenza a questo cowboy di
ultima generazione con le mie trovate nell’abbigliamento, chi a Evansville non
ricorda la camicia a quadri che arrivava alle ginocchia che ho indossato sopra
alle sole mutande al mio primo concerto a novembre? Si gelava, ma perlomeno ho
fatto un figurone e anche qualche conquista. Anche se le anziane che mi avevano
visto durante la cena non erano molto attratte dalla cosa. Nemmeno i miei
genitori a dire il vero. Non che fossi la più stramba in quella band… C’era una
grossa gara in campo di bizzarria, originalità e deficienza. Ma senza dubbio il
vincitore indiscusso era Simon. Avrei dovuto impegnarmi e cercare di annullare
i miei neuroni per molti anni prima di poter arrivare a quei livelli.
Beh, comunque torniamo a Evansville ed il panorama
musicale in quella zona. Ecco, era praticamente nullo… C’eravamo noi -i Killer
Peaches- e una band di allevatori di mucche che suonavano l’armonica, la
fisarmonica, il tamburello e la chitarra acustica. Il loro cantante si era
cimentato nel provare a darmi qualche lezione di armonica ma era stata un
totale fallimento… Soprattutto se la storia delle lezioni era una scusa per
adescarmi. Inoltre non sarebbe mai riuscito a convermi al country in quel modo.
Oddio, non che il genere non mi piacesse, ma non era esattamente quello che
volevo fare. In conclusione a portare buona musica dalle nostre parti eravamo
noi cinque. Perlomeno qualcosa di utile facevo…
Nella mia famiglia non tutti la pensavano così.
Papà avrebbe preferito che avessi trovato un lavoro ed una passione più stabile
ed approcciabile della musica, che secondo lui per quanto fosse bella poteva
solo restare un hobby occasionale. Mia madre odiava proprio totalmente ciò che
facevo, secondo lei avrei dovuto subito lasciar perdere per occuparmi di
qualcosa di serio, smettendola di pensare in grande... Ma alla fin fine potevo
capire il vero motivo del suo rigetto verso la mia voglia di far successo con
la band.
Mi chiedevo perché la gente continuasse a
considerare la musica solo un passatempo e non una vera e propria occupazione,
nonché ragione di vita. Con questi presupposti, inizialmente, ero la prima a
demoralizzarsi quando le cose andavano male e quando mi accorgevo che un live
fuori da lì non l’avremmo mai fatto. Ma a tirarmi su ci pensava Jill che spesso
mi prendeva a sberle e mi riempiva di insulti… Beh, prima ancora che il mio ego
si gonfiasse ed splodesse.
Ecco,
comunque, Jilliahn era il leader della band… Scriveva i testi, suonava il
basso, cantava come seconda voce e con Simon scriveva le canzoni. Diciamo che
avevo trovato in lei una grande amica quando decisi di smettere di odiarla a
priori, soprattutto perché aveva un’ottima mente musicale. Credo che se lei non
ci fosse stata a quest’ora sarei a fare la commessa nel mini-market della
signora Redwood e ciao ciao musica. Insomma, lei era la donna tuttofare e la
fondatrice del gruppo. Ovviamente è stato grazie a lei che siamo andati avanti…
Nella
band, altro punto di riferimento e genio, era Simon… Ovvero colui che ci
superava tutti in demenza, ma altrettanto per quanto riguardava la musica. Ma
credo che sarà elogiato troppo anche più avanti, quindi mi limiterò a dire che
era il mago della chitarra. Lui sì che poteva andare lontano!
Il
più “anziano” di noi era Phill, chitarrista e seconda voce. Era l’uomo irremovibile
e indubbiamente era un gran musicista e –devo ammetterlo- aveva una gran bella
voce. Mi chiedo perché avessero preso me come cantante…
E
parlando di età, il più giovane era Dam, il batterista, quello con cui avevo
parlato meno nella storia della nostra band. Approcciarmi con chi non parla è
una cosa che mi riesce difficile. Non che io non provassi a rompere le palle
–sono rompicazzo di natura- ma dopo due volte che mi guardava male forse era
meglio capire che era ora di smettere. Nonostante questo, quando suonava non
potevo criticare nulla di lui!
Per
quanto riguarda me… Io ero l’inutilità in persona. Non sapevo suonare niente,
se non uno stupido “re” alla chitarra… E non ero così brava a cantare da essere
presa come voce principale. Avrei potuto far la corista alla band country se
proprio… Ho continuato a sostenerlo per un po’ di tempo.
Comunque,
nonostante questo, continuavano a volermi far cantare con loro e mi tenevo
questo ruolo, felice che qualcosa andasse bene nella mia insulsa vita. E pian
piano iniziai ad esaltarmi al massimo, perdendo del tutto quel pessimismo e
guadagnando autostima. Beh, forse troppa.
Non
che prima non avessi fiducia nella band, ogni volta che ci sentivo registrati o
guardavo un video di un nostro live finiva che mi immaginavo su un palco enorme
a forma di pesca. Però non ho mai detto a nessuno di questa idea per il palco,
anche perché qualcuno avrebbe potuto darmi ascolto… Suonare su una pesca
gigante e morbida doveva essere una figata!
Beh,
il mio sogno avrebbe potuto avverarsi a quanto pare… Pete Wentz ci sorrideva
seduto sulla poltroncina e sventolava il contratto come se fosse il fazzoletto
del gioco della bandierina. I primi ad urlare fummo io e Simon, che proprio non
riuscivamo a trattenere l’eccitazione. Pure Jill si lasciò sfuggire un verso
esaltato intanto che nella saletta iniziava ad aleggiare un senso di gioia e di
agitazione generale. Ricordo ancora la sensazione di vittoria che mi bruciava
nel petto e il tremolio che correva per tutto il mio corpo.
-Finalmente
potrò farmi William Beckett!-
Urlai,
abbracciando Jill in un impeto di felicità mentre lei mi mormorava “eccola…”.
-Se
vuoi te lo presento… Magari le irish-girl gli piacciono.-
Sentii
Simon scoppiare a ridere alle mie spalle prima che mi accarezzasse i capelli
rossi rame e si lanciasse contro Pete ad abbracciarlo. Tutti rimanemmo
congelati… Va bene essere espansivo, ma quello era Pete Wentz! Era Dio Pete!
Per
fortuna Pete ricambiò l’abbraccio e lanciò un urletto di gioia, prendendo a
saltellare con Simon e lasciando tutti un po’ basiti per qualche momento.
Insomma… Il bassista dei Fall Out Boy stava saltando con il nostro chitarrista
nella nostra sala prove, sembrando più umano di quello che credevamo.
Lasciò
Simon per andare da Phill e Dam e stringere loro la mano e complimentarsi. Poi
fu il mio turno e venni stretta in una presa soffocante… In quel momento pensai
che avrei anche potuto morire che tanto sarei stata felice, ma era perché non
sapevo ancora cosa mi aspettava. Infine andò dal nostro leader e dopo un
abbraccio altrettanto stritolante, gli porse il contratto che dovevamo firmare.
Il
contratto che ci spediva direttamente nella DecayDance ed addio stupidissime
montagne del Wyoming, alle band di cowboy, alle pecore al pascolo e alla neve
perenne. Avrei potuto svenire al solo pensiero di ciò che saremmo di certo
diventati… Ma a congelarmi sul momento fu l’immagine di mia madre che mi
rincorreva con un rastrello per le vie del paese. Oh cazzo. Quello era un gran
bel problema e le battute di Wentz passarono in secondo piano. Sospirai ed
andai a prendere posto su una poltrona, prendendomi la testa fra le mani.
Pensai che la band avrebbe dovuto continuare senza di me…
Ma
no cazzo! Pete Wentz era venuto a prenderci tutti e cinque personalmente! Dovevo
assolutamente seguirlo ovunque e mandare a cagare tutti quanti! A costo di fare
le valige e scappare di casa a notte fonda. Sì, avrei fatto così! Non che fosse
un problema per me, dato il mio smisurato egoismo…
Mi
rialzai in piedi infiammata da questa nuova speranza e mi ritrovai addosso gli
occhi degli altri.
-Andiamo
via da questo buco e compriamoci dei costumi…-
-Cazzo
è vero… Io non ho nessun costume!-
Disse
Jill, seguita da un mormorio generale degli altri. Nessuno aveva dei costumi in
effetti, dato che la piscina più vicina era a chilometri dal nostro paesino e
nel lago non era una buona idea fare il bagno. Fu Pete a rassicurarci tutti
allargando le braccia tranquillo, sembrando però un gangster.
-Non
preoccupatevi! Ci penserete quando arriverete a Los Angeles a queste cose!-
Proclamò
semplicemente, prima di guardare l’orologio appeso alla parete e sgranare gli
occhi.
-Oh
cazzo!! Devo andare in aereoporto altrimenti chi lo sente Pat se non arrivo in
tempo?-
Riprese
la giacca e se la infilò velocemente, prima di domandare se qualcuno lo potesse
accompagnare in aereoporto. Ovviamente ci offrimmo tutti –tranne Dam che era
senza patente- e l’ebbe vinta Phill che sembrava l’unico in grado di non
sbandare per la felicità di portare Wentz in auto. Dam lo seguì per non farlo
tornare da solo così noi altri restammo in sala prove come dei poveri coglioni…
Simon che fissava la poltroncina che era stata occupata da Pete, Jill che
guardava la porta come se ancora non credesse che lui se ne fosse andato ed io
che mi ero messa a pc a guardare il meteo di google.
-Dite
che con 35° vuol dire che mi prendo una di quelle ustioni alla pelle tremende e
divento un pomodoro?-
Continua….