Anime & Manga > Bleach
Ricorda la storia  |      
Autore: ElderClaud    02/09/2011    2 recensioni
Lo sguardo della dea era profondo e malvagio. Pareva ammiccargli con quegli occhi verde scuro, scrutandolo dentro l'anima e ridendo di ogni sua malefatta passata, con una voce maliziosa e compiaciuta che risuonava dentro la sua immaginazione sconvolta.
Poi il rosso.
È un colore potente che domina l'opera nonostante siano presenti i cupi rami tinti di nero e una pelle lattea che dire bianca era poco. I capelli della donna fluttuavano nell'aria come immersi nelle più gelide acque nordiche, seppur accesi di una rovente tonalità che solo quella catturava la vista dell'osservatore.
Come il sangue che scorreva a fiumi nel suo cupo passato da dimenticare, quei fili rossi danzavano in torbide acque primordiali portandolo per questo a scostare istintivamente lo sguardo da quella cruda visione.
E fu scostando proprio lo sguardo che dalle labbra rovinate dal tempo e da una precoce vecchiaia fuoriuscì un commento tutt'altro che positivo verso l'opera. Avvalorato anche dal titolo del quadro, scritto in una elegante targhetta dorata, ossia “Ira”.

[Kenpachi & Yammi][Altri personaggi: Ulquiorra, Isane, Shawlong, Nakeem e Yachiru]
Prima classificata al contest "Ca***i ancora - la rivincita dei personaggi secondari" indetto dal Bleach Yaoi Forum
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Arrancar, Kusajishi Yachiru, Zaraki Kenpachi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Raining Stones'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Titolo: Crossing the Styx
Prompt:
Yammi Llargo/Kenpachi Zaraki, “I don't wake up early every morning
'Cause the more I sleep the less I have to say” [Robbie Williams – “Singing for the lonely”]

Personaggi:
Yammi Llargo, Kenpachi Zaraki, Isane Kotetsu, Ulquiorra Shiffer (appaiono anche Shawlong Koufang, Nakeem Greendina e Yachiru).
Genere: introspettivo, generale, e aggiungerei un pelino angst (se così si può intendere l'amara ironia)
Avvertimenti: AU, oneshot, slice of life
Note dell'autore:
Allora, ho scelto di ambientare questa oneshot nel mio universo alternativo chiamato “Raining Stones”. In questa serie ho spiegato molte cose e si trattano di oneshot tutte legate tra loro in modo più o meno decisivo. Possono anche essere lette separatamente tra loro e pure questa può essere letta in modo separato. Ho difatti cercato di essere il più chiara possibile nonostante mi sia già espressa su alcuni dei personaggi presenti qui in precedenti lavori. Per quanto riguarda il cognome di Ulquiorra, ho usato la vecchia traslitterazione “Shiffer” poiché quando ho iniziato a scrivere questa serie ancora non era uscita la traslitterazione Cifer. Visto che non volevo cambiare di punto in bianco ciò che avevo ormai iniziato da quasi due anni, ho deciso di lasciare il nome così.
Spero inoltre di essere stata sufficientemente IC (in particolare spero di esserlo stata con Yammi e Isane poiché è la prima volta che ci scrivo su) oltre che non essere andata troppo fuori tema con ciò che chiedeva il contest. Ho cercato di sfruttare un espediente a mio avviso originale, per quanto salti fuori solo più tardi e l'inizio quindi potrebbe apparire un po' lento.
È presente anche una coppia crack. Vi chiederete perchè proprio la Yammi/Isane... Non so XD mi facevano molto Roky Balboa e Adriana nel mio malato mondo immaginario.
Ps: per il titolo della storia (tradotto in italiano sarebbe “attraverso il fiume Stige”), è stato liberamente preso dalla colonna sonora di Dante's Inferno. Mi sono basata su questo pezzo per descrivere un dipinto presente nella storia.

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Un intenso aroma di tabacco, simile all'incenso per tanta che era la sua delicatezza nel salire in cielo, avvolgeva il piccolo ambiente rendendolo saturo di una fine nebbia argentata come un velo sottile di un sudario ben più peggiore.
Fili sottili di orrido fumo si districavano dalla intensa brace della sigaretta accesa, ad ogni boccata del suo stanco proprietario.
Forti labbra secche e screpolate la tenevano ben salda in bocca, lasciando solo intravedere i bianchi incisivi ogni volta che le dischiudeva per far fuoriuscire sbuffi velenosi.
Zaraki Kenpachi non era mai stato un grande tabagista, tuttavia in quella specifica circostanza era la sola cosa che gli restava per sminuire la tensione di una giornata assurda e imprevedibile.
Spesa assai male e conclusa nei peggiori dei modi, quasi gli scappava da ridere nell'alzare lievemente il capo chino mentre sorreggeva con due dita quella sigaretta sfuggita ai controlli.
Seduto sulla propria brandina da carcerato, con ancora indosso abiti un tempo eleganti e ora sporchi in diversi punti di sangue, guardava da oltre candide sbarre scrostate di ruggine il suo stesso avversario sconfitto ma non piegato.
A Yammi Llargo non avevano dato una sigaretta.
Poveretto, si potrebbe volentieri dire. Se non altro ringhiava in silenzio e contava le crepe nelle piastrelle sotto i suoi stessi piedi.
Ma no. Yammi non era tipo da essere rincuorato in tal modo. Non da lui che si fumava con falsa beatitudine una sigaretta mezza pestata, ne da nessun altro.
Di grazia che la polizia gli aveva fatto tenere quel suo odioso cagnaccio viziato – un barboncino cotonato – ora tranquillamente seduto sulla brandina in silenziosa attesa di un comando del proprio padrone.
La creatura, comodamente accovacciata al fianco dell'imponente uomo, pareva indifferente al frastuono che aveva colto i due ex sfidanti quel tardo pomeriggio – nonostante il suo fastidioso contributo nell'azzannare le caviglie di Zaraki – dormendo beatamente su quelle lenzuola sgualcite.
Come avessero fatto i poliziotti di quello scalcinatissimo distretto a lasciare che Llargo potesse tenersi la sua bestiaccia rimaneva un bel mistero. Ma forse l'ira del gigante rosso poteva anche non giovare al più arrogante tra i poliziotti.
Ed ecco quindi, che con quell'ultimo effimero pensiero l'ombra di un pestaggio non concluso si stemperò sul volto di Kenpachi Zaraki, lasciando spazio ad uno sbuffo quasi divertito, se non ironico, per l'assurda situazione in cui si era cacciato.
“Che hai da ridere tu?!”
in un ambiente ove il silenzio è puro eufemismo è facile farsi scoprire da orecchie ben attente come quelle di un corpulento, nonché iracondo, ex avversario.
Domanda scandita da una voce ancora cavernosa e stentorea nonostante il trattenersi come dinnanzi ad un luogo sacro, pare dettata con una punta di rassegnazione da un uomo che pare non volerla avere persa per nessun motivo al mondo. Nonostante una ben più cocente sconfitta.
Lodevole, decisamente lodevole.
Ciò porta ancora discreta ilarità nell'uomo intento ad assaporare con calma una sigaretta sgualcita come uno straccio umido, divertito da quella ostinatezza a non voler cadere per forza di cose.
“Nah! Niente di ché... Penso solo che sia una cosa divertente!”
E se per un momento nello sguardo di Kenpachi si illumina una piccola scintilla di – presumibilmente – follia in quell'ambiente riscaldato da anonimi neon, per Yammi è solo un moto di rabbia soppresso e un ringhio che si perde ancora una volta in quell'umida cella di un ben altrettanto anonimo seminterrato.

[…]

“Sembra che stia procedendo bene... no?!”
una voce speranzosa di donna si perse lievemente nel grande atrio attrezzato per l'occasione, riuscendo comunque a raggiungere le orecchie dell'uomo che l'affiancava e di cui l'altezza faceva invidia ad un gigante.
Isane Kotetsu – pardon, la signora Llargo – osservava la folla composta che si districava nel grande atrio circolare incentrata nell'osservare le opere esposte, in un eterno chiacchiericcio simile ad una remota litania.
Forse la sua voce risuonava un po' timida in quell'ambiente dal gusto neoclassico e decadente – dai pregiati stucchi dorati e dalle altrettante statue di granito scadente – ma c'era da capirla, data l'attuale circostante di una mostra allestita in un luogo che non fosse “le salon a refusé ”. In un luogo importante insomma.
Yammi guardò la moglie solo di sbieco – troppa era la sua concentrazione nell'osservare la
marmaglia che si apprestava a giudicare le sue opere di pittore collaudato, secondo sua modesta opinione personale – constatando che si, la donna aveva in parte ragione nell'essere un poco sollevata per l'atmosfera generale della mostra.
Tuttavia un mezzo grugnito di disprezzo se lo lasciò scappare dalle possenti labbra come a volerle ricordare – non tanto in spregio alle sue parole gentili – con chi avevano a che fare in quel luogo agognato da ogni artista in erba quanto mostruosamente imbarazzante una volta finiti al suo interno.
“Questi bastardi ci capiscono di arte come io ci capisco di chimica! Puah! Non sanno distinguere un dipinto da un cesso chimico, e hanno il coraggio di chiamarla arte!”
a stento le parole non gli fuoriuscirono stentoree da quella sua grande bocca, solo trattenute dal buon senso di una moglie che si apprestò a calmare acque di una ben peggiore ebollizione qual è l'ira primordiale. Avvicinandosi ulteriormente all'uomo, deglutì parlandogli con tono gentile.
“Quello che non capiscono loro... Lo capisco io però...”
Poche erano le persone al mondo capaci di comprendere cosa un semplice operaio dipingesse in tele di lino, oltre alle mere figure femminili che ne popolavano le fantasie mitologiche.
Pochi conoscevano ogni singola pennellata tratteggiata a secco con una tempera grassa ed oleosa su tela ruvida e tesa come un tendine, capace di parlare oltre l'aspetto forse semplice e inusuale del soggetto creato.
Ma Yammi Llargo non era certo con interesse prettamente aristocratico che si era messo a fare il pittore a tempo perso, ne le sue mani erano passate attraverso una accademia d'arte o ben più peggiori lecca-culo.
No, il fatto che campasse da vivere facendo il manutentore alle macchine di una delle più grosse ditte farmaceutiche presenti in città – la rispettabilissima ditta di Aizen Sosuke e di tutto il suo esercito di galoppini geniali – la diceva lunga sul suo stato sociale oltre che culturale.
Eppure era innegabile il fatto che il pennello avesse sempre esercitato su di lui un certo... Fascino?
Forse si trattava della parola che più si avvicinava alla descrizione da individuo qual era, tuttavia ben pochi erano a conoscenza di questo “fascino” che la pittura esercitava in Yammi. E una di quelle poche persone erano la moglie Isane – sua prima e unica modella – e Ulquiorra Shiffer.
Un contabile della stessa ditta in cui lavorava lui, seppur a piani e con mansioni differenti, eppure dannatamente vicino a quello che per il pittore poteva essere considerato come un “amico”.
Voltando di poco lo sguardo difatti, notò il pallido omino dallo sguardo inflessibile intento a gustarsi un calice di cupo martini. A distanziarli solo qualche passo sul pavimento di granito rosso e la gente che si muoveva distratta come pollame in strada nel mezzo della mostra tanto faticosamente ottenuta.
Si erano conosciuti la prima volta in sala mensa – quasi nello stesso modo in cui aveva incontrato Isane, solo che lei l'aveva conosciuta in ospedale durante il suo ricovero per quello stupido braccio rotto a causa di un altrettanto stupido incidente sul lavoro – ma da allora, più che ricordare un momento “speciale” tra loro, ricordava sempre piuttosto chiaramente le loro brevi chiacchierate.
“E tu Ulquiorra – esordì infine il colossale artista riferendosi chiaramente all'apatico individuo – secondo te questi ci capiscono qualcosa o è solo una perdita di tempo? Pensi che dovrei schiacciarli tutti?!”
tralasciando la domanda fatta che lasciò momentaneamente interdetta la premurosa sposa, Ulquiorra Shiffer impacchettato in un grigio completo – fin troppo simile a quello sfruttato al lavoro – dallo sguardo basso e imperscrutabile, lasciò scorrere almeno trenta secondi di tempo prima di rispondere a suo modo all'iroso artista. Un mezzo minuto in cui il tintinnare del freddo ghiaccio immerso nel caldo martini fu l'unico suono udibile ai due individui in attesa di risposta. Come un preludio di una risposta fredda come quel ghiaccio che traballava delicato in quel rosso alcool per “signori”, lo sguardo freddo del contabile incontrò infine quello fin troppo passionale del collega di lavoro.
“Sciocchezze Yammi... Non servirebbe a nulla”
i suoi occhi verdi non tradivano emozioni. Era come alle volte guardare un morto e la sua agghiacciante realtà dei fatti, piuttosto che una persona vera e viva. Anche se poi per Yammi era difficile poter decifrare ciò che quel pallido omino volesse alle volte dire, era encomiabile il fatto che gli portasse un certo rispetto proprio perchè, con quel suo modo di fare per lui bizzarro, era fin troppo sicuro che non lo stesse denigrando.
Non uno che è abituato a spiattellarti la cruda verità davanti alla faccia. Portandolo per questo, quasi di riflesso, a esibire un piccolo ghigno soddisfatto.
“Ah... E ad ogni modo – proseguì Ulquiorra avvicinandosi ai due coniugi con molta lentezza – quel tuo cane ti sta riempiendo la giacca di peli...”
Ovviamente Llargo non era andato li solo con la moglie. Era raro per lui non portarsi dietro il suo consueto barboncino bianco – e i fiocchettini rosa non erano stati messi addosso alla creatura da Isane, c'era da dirlo – anche tenendoselo senza quasi farci caso in braccio. Come esattamente in quel caso specifico, si era tenuto in braccio quella dannata bestia per tutto il tempo senza quasi neppure accorgersene.
E quando abbassò lo sguardo sul cagnetto scodinzolante, dalle grandi labbra fuoriuscì un grido di guerra alla vista di tanti peli bianchi che chiazzavano il suo completo buono.
Ohi!! Maledetta bestiaccia!!”
Più di una testa si indirizzò verso il trio di persone accompagnate ora da urla disumane e latrati striduli e mortificati, alla vista di un insolito siparietto poco consono al luogo di culto dove ora dimoravano.
Il cagnetto si precipitò a terra ansioso di sfuggire all'ira del suo padrone – in qualche modo sedato dalla moglie e dai suoi “calmati, la giacca te la sistemo io” – iniziando a latrare e a muoversi sconsolato per la sala come un bambino dispiaciuto di aver causato danno ad un genitore inflessibile. Sparendo infine alla vista dei tre voltando verso un'altra sale, ove erano presenti altri pseudo artisti e altre opere di discreto orrore, scodinzolando felice per conto suo.
“Maledetto animale – mugugnò Yammi cercando di trattenere ira il più possibile – uno di questi giorni giuro che...”
“Forse dovresti semplicemente lasciarlo a casa una volta tanto” sbuffò la signora Llargo bloccando così parole ingiuriose ed inutili, aiutandolo tra l'altro a sfilarsi via la giacca per potergliela sistemare almeno un po'.
Anche se forse erano parole un po' buttate al vento, la speranza che le desse in parte retta almeno sulla questione “cane da tenere al guinzaglio” era l'ultima a morire.
Ma più di una occhiata contrariata l'uomo non vuole aggiungerle altro, trovando che fosse giustissimo accontentarla, ma stranamente difficile dall'attuare una cosa simile.

[…]

Quando ai figli spunta fuori un “pallino” difficilmente non li si accontenta in una loro nuova passione.
Per quanto dura – o per quanto alle volte davvero insostenibile – se si è capaci di accontentarli entro il limite delle proprie possibilità allora non ci si può tirare indietro.
Bene, a Yachiru era venuto il pallino per l'arte e per il suo mondo in generale, quindi oltre ad aver tempestato la casa di disegni a tempera e pastello, le era venuta l'insolita voglia di visitare ogni mostra presente in città, anche se lontanissima da casa.
Anche se dannatamente cara per il portafoglio di Kenpachi Zaraki.
Con uno sbuffo rassegnato l'uomo un tempo mercenario di ventura – ora invece dedito a fare il vigilantes in una tranquilla città di provincia dopo una vita passata fin troppo movimentata e piena di nemici – si passò una mano tra i lunghi e ispidi capelli neri, massaggiandosi con cura la cute e notando che... Si, la donna dipinta nel quadro che stava osservando aveva una capigliatura messa decisamente meglio della sua.
Oltre che a tutto il resto si intende... Di sicuro però, non capiva perchè certi cosiddetti artisti volessero a tutti i costi pitturare qualcosa che al massimo indossava si e no un paio di infradito.
Splendidi capelli dorati finché si voleva, e di altrettante morbide forme femminili, almeno uno straccio potevano addossarglielo no?
“Dannata mocciosa...”
senza neanche farlo apposta dalle sue labbra rovinate dal tempo e dal venticello di un sottile gelo proveniente dai condizionatori d'aria, fuoriuscì malvolentieri una mezza imprecazione verso la piccola Yachiru, inascoltata da tutti a causa della voce resa bassa come un sussurro.
Non che la volesse mandare al diavolo per davvero si intende, era l'ultima cosa che voleva e si stava già pentendo di quelle precedenti parole ingiuriose, ma c'era da capirlo visto il prezzo del biglietto tutt'altro che economico.
Inoltre il posto era enorme – a guardarlo dall'esterno non lo avrebbe mai detto, somigliava ad un vecchio palazzo europeo – ed era così pieno di gente che il loro chiacchiericcio si estendeva in lungo e in largo per le sale sconfinate e i corridoi, da diventare un eco simile a quello che si sente in certe gole inesplorate del Sahara.
Tra le altre cose, aveva perso di vista quella ragazzina esuberante e ora si ritrovava da solo a contemplare quadri che affatto capiva.
Per carità, alcuni erano davvero belli e così curati che lui mai e poi mai sarebbe riuscito ad eguagliare. Il suo massimo in disegno era fare il giochino dell'impiccato e basta. Di prendere in mano un pennello lui non sapeva neppure da dove iniziare.
Seccato da quello spettacolo variopinto e sensuale, il vecchio mercenario sbuffò tra l'imbarazzato e il nervoso decidendo di cambiare aria. Strisciò quindi i piedi in direzione di una galleria poco affollata, tentando di tenere a bada pensieri contrastanti e deciso a beccare quella ragazzina prima che ne combinasse una delle sue, facendosi magari bandire persino da un luogo simile. Meglio evitare altre pietose figure di merda come quelle della biblioteca di quartiere, anche se alla fine non era tanto colpa della sua piccola, quanto dello staff presente troppo svogliato per lavorare. Questo andava chiarito.

Ohi! Kenny!!”
Infine, una voce squillante di ragazzina – stridula e insolitamente gioiosa – raggiunse le orecchie di Zaraki Kenpachi nell'esatto momento in cui l'uomo stava per sedersi su di un divanetto rosso di vecchio velluto. La sala dove si trovava ora era immensa e di forma circolare, le cui pareti erano scandite da grandi quadri di tema mitologico – supponeva – e di altre tipologie che non stava neanche li a pensare a cosa potevano rappresentare.
Si stava decisamente annoiando e quella piccola peste si era finalmente fatta notare nel peggior modo possibile.
Urlando a squarciagola il suo nome – facendo voltare più di un visitatore verso di loro – e correndogli in contro come una maratoneta nonostante le gambe corte tipiche di una bimba di sette anni. Addosso la piccola portava ancora la sua divisa scolastica – dai cupi toni blu di una severa scuola privata – ma il tutto era stemperato dalla sua incommensurabile gioia di trovarsi li e di aver ritrovato l'uomo che accidentalmente aveva smarrito una mezz'oretta prima, a causa della sua troppa curiosità e voglia di esplorazione.
“Era ora che arrivassi! Mi stavo annoiando sai?!”
la piccola rise a quel mezzo rimprovero del padre, più concentrata a strattonarlo per una gamba in modo da farlo alzare dal divanetto rosso che disposta a dargli una risposta concreta.
“Kenny vieni! Ho trovato un quadro bellissimo! Ti piacerà di sicuro!!”
“Lo spero bene...”
sbuffando senza reale noia, l'ex mercenario decise di seguire i capricci di una Yachiru eccitata lasciandosi trascinare a fatica verso l'altro capo della sala discretamente popolata di presunti intenditori d'arte e altri lecchini.
Egli si lasciò quindi guidare da una creatura minuta ma dalla forza spropositata per la sua stessa taglia, lasciando che la piccola gli strattonasse i pantaloni del completo buono sino al punto tanto agognato fino allo stremo.
E li, ove due colonne di marmo rosso facevano da cornice ad un quadro più lungo che largo, finalmente lo sguardo dell'uomo si sgranò quel poco alla vista del ritratto. E se in un primo momento di totale smarrimento – si poteva dire seppur in modo molto scomodo per lui – Kenpachi aveva cercato di mettere ordine ad un cervello momentaneamente colpito da ciò che stava osservando, ciò che rimase dopo era qualcosa di simile ad una primordiale paura.
Ma per quanto ora non fosse più un soldato sanguinario stanco della violenza che lo circondava, e ancor più esasperato da un mondo che dire folle era poco – tanto da finire plasmati a sua immagine e somiglianza – ciò che vide in quel dipinto lo portò a sentire il cuore fremere in petto di una istintiva gioia sanguinaria.
Trovandosi a breve confuso per il poco ossigeno che il muscolo striato pompava in petto, venendo subito notato nel suo improvviso e strano pallore da una figlia felice di aver fatto una inaspettata sorpresa.
“Vero che è bello? Sapevo che ti sarebbe piaciuto!”
Yachiru non conosceva bene il passato di colui che da anni le faceva da padre – e poco le importava francamente – ma sapeva comunque cose che altri non sapevano. E in particolare quello che si sarebbe potuta chiamare empatia verso determinate cose, come ad esempio i colori molto accessi come il rosso. Un colore che a Kenny piaceva davvero tanto.
Un colore che si allacciava al suo passato e ai suoi combattimenti sanguinari. Una tonalità intensa e sgargiante che aveva ben sperato di cancellare dalle proprie memorie in favore di una vita, faticosamente ottenuta, più possibile normale.

Ciò che osservava Kenpachi era alla vista di tutti, eppure solo ora riusciva a vedere come quel dipinto fosse realmente fatto. Ed era strano, poiché lui di arte non ci capiva nulla ma era altrettanto vero che quel quadro – nella buona e nella cattiva sorte – gli stava letteralmente parlando.
A troneggiare in un universo buio fatto di rami morti simili al limbo eterno del girone dei suicidi, vi era una figura femminile imponente e maestosa.
Completamente nuda e pallida, irradiata di una luce non in vista tanto da renderla ancora più eterea, aveva un fisico sinuoso e morbido, delicato e in netto contrasto con il grezzo paesaggio alle sue spalle. Ne osservava le forme femminili come rapito, tentando di deglutire e non soffermarsi con troppo imbarazzo verso quella palese nudità.
Lo sguardo della dea era profondo e malvagio. Pareva ammiccargli con quegli occhi verde scuro, scrutandolo dentro l'anima e ridendo di ogni sua malefatta passata, con una voce maliziosa e compiaciuta che risuonava dentro la sua immaginazione sconvolta.
Poi il rosso.
È un colore potente che domina l'opera nonostante siano presenti i cupi rami tinti di nero e una pelle lattea che dire bianca era poco. I capelli della donna fluttuavano nell'aria come immersi nelle più gelide acque nordiche, seppur accesi di una rovente tonalità che solo quella catturava la vista dell'osservatore.
Come il sangue che scorreva a fiumi nel suo cupo passato da dimenticare, quei fili rossi danzavano in torbide acque primordiali portandolo per questo a scostare istintivamente lo sguardo da quella cruda visione.
E fu scostando proprio lo sguardo che dalle labbra rovinate dal tempo e da una precoce vecchiaia fuoriuscì un commento tutt'altro che positivo verso l'opera. Avvalorato anche dal titolo del quadro, scritto in una elegante targhetta dorata, ossia “Ira”.
Un commento non tanto malvoluto verso il dipinto – bello come gli altri – ma da ciò che trasmetteva all'uomo dall'aria vissuta in una istintiva negazione di un passato che ancora lo eccitava da morire.

Io... Non ci capisco niente di questa merda!”
una eccitazione alla vista del rosso sangue di un passato violento e ormai, finalmente, alle spalle possenti di una guardia giurata, che giunse comunque alle orecchie di un attento e irascibile ascoltatore. Oltre che stupire una bimba di sette anni o più decisa a contestargli in modo polemico il commento poco grazioso.
Le parole del contestatore non erano state dettate come un sibilo udibile solo da pochi intimi, come nei casi precedenti, ma abbastanza potente da essere udito anche da chi era poco distante da lui.
In particolare da un uomo di corporatura robusta e accompagnato dal suo iroso peregrinare da un piccolo barboncino bianco, che rispondeva al nome di Yammi Llargo ovvero l'autore di codesto dipinto malamente contestato.

E l'autore – già seccato di trovarsi in un luogo in cui nessuno capiva l'importanza di ciò che creava – decise che quelle oneste parole erano l'autentica goccia che faceva traboccare il vaso.
E ora più che mai, camminò con passo spedito fino all'emerito idiota deciso a dare delucidazioni, ignorando come quell'uomo fosse ora intento a discutere con una bambina che – grazie al cielo – di arte ne capiva qualcosa..
“Kenny non è vero! Sei tu che non riesci a vedere come è fatto per davvero!”
“Ah, se lo dici tu...”
Ignorando il piccolo battibecco nato tra i due – più che altro l'adulto si sorbiva la ramanzina della piccola in modo praticamente impassibile – e fin troppo annoiato di gente incapace e insulsa, il colossale gigante indispettito da un commento che per lui riassumeva l'insieme del visitatore medio, sovrastò con la propria ombra l'uomo ancora intento ad osservare il dipinto.
Solo il silenzio si aggiunse dopo i passi rimbombanti del pittore risentito, accompagnato dalle piccole lamentele del cane in cerca di attenzioni da un padrone troppo preso a scrutare la schiena del probabile avversario.
Ed un brivido percorse la schiena di Zaraki Kenpachi – fatto di una adrenalina che lui ben conosceva – ancor prima di voltarsi sentendo unicamente la voce arrogante della montagna che gli oscurava la visuale con la propria ombra, interrompendo la sua discussione con Yachiru.
“Non ci capisci niente? Beh... La cosa non mi stupisce affatto! Cosa può saperne un mentecatto di città di cosa io metta in queste tele?!”
la sua era una voce potente e cavernosa. Ancor più minacciosa e roca di quella dell'ex mercenario ma così simile nel timbro da dare l'idea di essere pure lui un ex soldato con tanto istinto assopito.
Fu questa sensazione che portò Zaraki a voltarsi verso chi aveva parlato con così tanta arroganza, seguito di riflesso da una bambina incuriosita ma che, però, alla vista del candido cagnolino incipriato si dimenticò immediatamente della sua aspra discussione per accontentare la bestiola in cerca di attenzioni.
Quindi per tal motivo, essendo troppo occupata a fare le feste al cane senza nome, non si accorse di come i due adulti in quel preciso momento si scrutassero.
Occhiate tese e cariche di un silenzio innaturale – tipico del combattimento all'ultimo sangue in procinto di essere compiuto – accompagnarono i due sfidanti per diversi preziosi secondi, prima che tale momento di “stallo” venisse stemperato dalle parole del più basso tra i due.
Anche se ad essere onesti, pareva una provocazione nata come risposta dopo essere stato colto di sorpresa.
“Ah... Lo hai fatto tu? Certo che voi pittori fate delle cose davvero assurde!”
aggiunse quell'affermazione con un sogghigno nascente sulle labbra sottili, che si contrappose immediatamente alla smorfia disgustata dell'imponente meticcio.
Come osava quell'essere inutile dire che creava assurdità? Proprio lui che aveva osservato la sua “ira” come se avesse visto una folgorazione divina. Si, glielo aveva intravisto quello sguardo stupefatto. Ma notandolo aveva sorriso lievemente soddisfatto per aver fatto nuovamente impressione e aveva voltato semplicemente lo sguardo per tornarsene dalla moglie dall'altro capo della grande sala. Finendo così il suo giro di perlustrazione.
E tutto questo, solo per ritrovarsi insultato da uno che non accettava ciò che osservava.
Tra l'altro quel dipinto era stato uno tra i primi più importanti che avesse mai creato. Un'opera di gioventù creata verso i venti anni di vita appena lasciato lo snervante orfanotrofio gestito da quelle acide suore giù nel suo paese natio, deciso più che mai a “sfogare” così la propria ira repressa.
I pugni comunque, li sapeva dare eccome.
Ma poiché la prospettiva di passarsi più tempo dietro le sbarre di una fetida cella che nel mondo civilizzato non gli piaceva affatto, l'unico modo che sentiva davvero efficace di sfogare il malcontento della propria intera esistenza era attraverso le setole dei pennelli che, gradualmente, si impregnano di colori oleosi o grasse tempere industriali.
Proprio come gli consigliavano le suore da bambino, “provare a rappresentare la propria ira è meglio che manifestarla”, per buona pace di nostro Signore.
Certo, magari critiche costruttive sul dipinto le si possono fare. È un'opera che lui considera stilisticamente vecchia e da allora sa di essere migliorato nello stile – aveva giusto ritoccato il dipinto da poco, tingendo gli occhi della dea di un verde sgargiante in modo da sottolineare la sua rabbia repressa – ma quel tipo di critiche insensate e piatte, tipiche della gente media arrogante e sicura di se, non le accettava affatto.
E allora ecco che per buona pace, questa volta, delle suorine dell'orfanotrofio, i pugni li faceva cantare eccome.
Perchè era sicuro che, lui come il suo stesso sfidante che osservava di rimando come un animale pronto al combattimento, conoscesse un vecchio detto ancor più significativo di quello che per tanti anni lo aveva accompagnato nella pittura. Parole che mormorò con un ghigno lieve e sicuro di sé sulle grandi labbra, scrutandolo attentamente nei secondi successivi.
“Di un po'... Lo conosci quel detto che dice: Non mi alzo presto alla mattina... Perché più dormo, meno devo parlare?!”
quello che Yammi aveva citato era un vecchio proverbio polveroso che si sentiva spesso pronunciare dietro da gente – presumibilmente – più intelligente di lui, di cui per molto tempo aveva ignorato il significato.
Eppure era una frase cristallina come l'acqua di alta montagna, e per di più pareva che il suo sfidante avesse capito cosa stesse cercando di dirgli.
Zaraki alzò le le sopracciglia sorpreso a quelle parole marcate con fare teatrale, trovandosi per un momento spiazzato di fronte a quella perla di saggezza che pure lui – come si aspettava il pittore – ben conosceva.
La tipica frase indirizzata a chi non ama molto esprimersi a parole, perchè totalmente futili rispetto alla ironica schiettezza di gesti ben più manuali.
Ironia, ecco cosa trasudava maggiormente quell'orribile frase. Seppur chiara nelle sue sibilline parole, c'era l'ironia che accompagnava le gesta di individui che spesso – per una questione di forza maggiore o di educazione – non riuscivano a relazionarsi con il prossimo nella sufficiente maniera civile.
E Kenpachi lo conosceva molto bene quel detto. Spesso gli uomini della sua brigata mercenaria gliela ripetevano più di una volta con fare divertito o critico – nella giusta maniera senza per forza incappare nel suo malandato machete – ad ogni sua azione impetuosa e civilmente criticabile da un mondo che per lui, così come per il pittore arrogante, era a dir poco folle per il modo in cui condannava i suoi stessi figli a marcire in un inferno voluto da altri.
Vecchio proverbio questo che aveva marcato le vite di entrambi come un fastidioso marchio a fuoco tipico del pregiudizio voluto da una società civilizzata, a cui avevano saggiamente deciso di dare un taglio in favore di dimostrare cosa esattamente sapessero fare.
Chi dedicandosi alla pittura come celebrazione iconoclastica di un'ira furente, chi invece apprezzando una vita normale dopo una violenza che tingeva spesso di rosso ogni suo sogno notturno.
Eppure non basta essere capaci di debellare i pregiudizi in modo così ingegnoso. Non con loro due marchiati a fuoco ormai da così tanto tempo da rasentare la frustrazione per non riuscire a far parlare – il più delle volte – i forti pugni callosi. La celebrazione unica di questo maledetto detto – non mi alzo presto la mattina, perchè più dormo, meno devo parlare – era rinata sotto forma di due uomini ormai non più nel fiore degli anni ma desiderosi ormai da troppo tempo di non parlare più e continuare a dormire a lungo.
Un lungo sonno chiamato impulsività, che ora si mostrava nella sua irascibile forma.
Per questo l'ex mercenario sorrise malevolo all'imponente meticcio, tirandosi su le maniche della giacca e mostrando così all'aria gelida della grande sala, vecchie cicatrici e muscoli tesi e simili nella loro consumata esistenza a quelli di un fabbro o maniscalco.
“Ehe! Ma perchè non me lo hai detto subito? Non amo in modo particolare i preliminari!”
sorrise il signor Llargo, allontanandosi un poco dal suo sfidante entusiasta in un semicerchio perfetto come una bestia pronta all'attacco, togliendosi la giacca ancora sporca di candidi peli per gettarla lontano – con fare non volutamente teatrale – facendo ritornare in vita muscoli per troppo tempo assopiti.
“Sono Yammi Llargo, l'unico vero artista presente in questa mostra! Ricordatelo bene merdina, perchè ti schiaccerò ancor prima che tu te ne renda conto!”
la presentazione del massiccio pittore – davvero ben piazzato per essere un comune essere umano, magari sarebbe riuscito davvero a metterlo a dura prova – venne accolta dall'ex mercenario, che si sistemò una lunga ciocca di capelli ribelli prima di presentarsi a dovere pure lui.
“Mi chiamo Kenpachi Zaraki, guardia giurata. E spero davvero tanto che tu mi faccia divertire!”
una determinazione unica mista ad una eccitazione che ormai non provava più da molto tempo, che lo colse con una frenesia ormai da troppe stagioni assopita, ignorata o quasi da una ragazzina ancora intenta a coccolare un barboncino bianco.
Yachiru infatti, pur non smettendo di grattare la testa ad una bestiola tutta contenta, guardò incuriosita lo strano comportamento dei due adulti intenti a girare in cerchio e fissarsi contenti e rabbiosi.
Ancora non sapeva quello che sarebbe capitato, ma presto avrebbe fatto il tifo per Kenny fino a seccarsi la piccola gola dalle grandi corde vocali.

[…]

Quando l'ago della siringa sterilizzata andò a perforare la stagnola che ricopriva – come una pelle tesa e impenetrabile – la bocca del flacone di anestetico inviolato fino a quel momento, un timido suono di perforazione raggiunse unicamente le orecchie del dottore che stava in quel momento effettuando l'operazione di prelievo.
Aspirò avido il liquido incolore, oltre la dose consigliata per un essere umano, osservando con sguardo apparentemente inespressivo la siringa colma fin quasi alla fine di potente anestetico.
Però, era chiaro che sul volto di Shawlong Koufang c'era una punta di cinico – o meglio ironico – divertimento nel lavoro che svolgeva.
Come avevano poi appurato i due novelli galeotti in prigione, quel medico dall'aspetto allampanato e rigido nel suo candido camice da dottore, più che essere un un puro uomo di medicina era il coroner di quello scalcinatissimo distretto di polizia in cui erano alla fine giunti dopo una colossale rissa. Erano talmente tanto in economia, questo almeno poteva sembrare se non era che magari non avevano tempo da perdere con due individui come loro, da utilizzare un affetta cadaveri su di loro anziché un comune dottore d'ospedale.
Ma magari questa la si poteva contare come una punizione morale nei loro confronti.
Ci si pensa sempre dopo alle conseguenze di certi gesti sconsiderati e folli, purtroppo non percepiti tali da due sfidanti intenti in un duello all'ultimo sangue nel vero senso della parola.
Molto sangue vermiglio – rosso e acceso come una fiamma dell'inferno esattamente come i capelli della dea portatrice di ira – schizzò sul lucido pavimento di cupo porfido rosso simili a schegge impazzite ad ogni colpo di nocche andato a buon segno.
Gli zigomi non vennero risparmiati. I setti nasali quasi si piegarono ad ogni pugno inferto, avvertendo in malo modo il freddo metallo di anelli quando c'erano delle dita che ne portavano. La fede di Yammi aveva fatto dei bei graffi sul volto dell'uomo chiamato Kenpachi, eppure quest'ultimo pareva spassarsela così tanto da ridere come un matto e ricambiargli ogni singolo favore.
Le nocche colpirono petto e addome, a tratti come sfondare nel caldo burro da tanto che erano forti quei colpi, tanto da lasciare il pittore senza fiato e colmo di rabbia repressa.
Più la battaglia tra i due imperversava come se fossero stati mostri intenti ad attraversare le fiamme dello Stige per raggiungere le porte di regni ben più peggiori, senza esclusione di colpi alcuno, più la gente della mostra voltava il capo verso di loro e ignorava gli splendidi dipinti.

Chi con occhio preoccupato, chi storcendo il naso critico e offeso per quello spettacolo fin troppo popolare, chi invece non sorprendendosi affatto data l'irascibile popolarità del signor Llargo.
Persino Ulquiorra assistette imperturbabile al massacro dei due gladiatori – come usciti da uno dei violenti dipinti della star della mostra – continuando a sorseggiare il proprio discreto alcoolico senza dar mostra di volerli fermare.
Addirittura, quando Yammi atterrò vicino a lui a causa di un manrovescio della guardia giurata – ma menava come un soldato, altroché – si azzardò unicamente a dire “ti serve una mano?” con tono neutro verso un uomo che più ribolliva d'ira, più diventava potente negli attacchi.
L'amico rifiutò l'aiuto punto nell'orgoglio ora più che mai, tuonando un “ce la faccio da solo a sistemarlo”nel mentre che si rialzava dal suolo veloce e caricava come un orso un autentico lupo sempre più divertito.
Poi si toccò il fondo quando sia la fastidiosa bimbetta e il cane bastardo iniziarono il loro irritante spettacolino. Non contenti di fare il tifo con voce stridula o latrare rabbiosi, pure loro si buttarono sui due quasi inaspettatamente.
Di norma non era da Yachiru intromettersi nei combattimenti di Kenny quando c'era da picchiare stupidi criminali. A lei piaceva guardarlo in azione e vederlo divertirsi per divertirsi a sua volta.
Tuttavia l'adorabile barboncino non più contento a stare a bordo campo, aveva stupidamente deciso di partire all'attacco e azzannare la caviglia sinistra di Zaraki.
Partì all'attacco anche lei piuttosto contrariata di quello che il cane stava facendo – anche se alla fine stava solo difendendo il proprio padrone – dando sonori calci ai polpacci di Yammi e sfuggendo veloce come un fulmine ai suoi patetici tentativi di cacciarla via.
Le mani del pittore semplicemente colpivano l'aria, e intanto stava iniziando ad incassare più colpi dall'avversario. Che seppur ferito dai temibili canini del barboncino – quello non era divertente – fu quasi in procinto di mettere al tappeto il proprio avversario.
Ci riuscì difatti, ma senza neanche farlo apposta ad essere onesti.

La colpa fu di Isane. La moglie del pittore.
Fino a quel momento, la premurosa signora Llargo si era tenuta distante dal combattimento, ignara di ciò che stava accadendo nella sala circolare, persa nell'osservare il lavoro di altri pittori e a chiacchierare amichevolmente con gli appassionati d'arte che si complimentavano con lei per il superbo lavoro del marito.
Poi però schiamazzi e voci alterate raggiunsero persino i corridoi lontani da dove si stava svolgendo il misfatto, portati a lei da un cupo eco che sapeva – quasi inconsciamente – di rosso scarlatto e di fiamme potenti come in uno dei tanti dipinti del proprio sposo.
Una sensazione di disagio unica, che la portarono a correre veloce sul luogo doveva aveva lasciato il compagno nonostante i tacchi piuttosto alti, fino a raggiungere senza fiato un luogo dove molta gente le faceva da muro allo scontro titanico e mal voluto che stava coinvolgendo Yammi e un totale sconosciuto.
Si fece strada a forza per quel muro di carne viva e pulsante di sentimenti contrastanti – c'era pure chi rideva e scommetteva dei soldi sull'incontro – arrivando con un nodo in gola in prima fila nel vedere il volto del proprio compagno tumefatto e sporco di sangue.
Non furono le voci e le malignità della gente che la circondavano a raggiungerla. Non fu il latrato del cane e gli strilli di una bambina arrabbiata a colpirla. Neppure la plausibile “vittima” del pittore le fece scalpore.
Ciò che la colpì fu come il marito si era ridotto. Come avesse “spezzato” una promessa che si erano fatti ormai tanti anni fa, spezzandole il cuore in un orgoglioso silenzio che aumentò di significato quando ella si portò una mano verso la bocca per placare singhiozzi crescenti.
No, sapeva di non dover piangere di fronte a lui, lo avrebbe reso solo più frustrato. Sapeva che piangere non avrebbe risolto proprio nulla, a fare l'infermiera si impara ad essere forti anche nelle situazioni più temibili. Però proprio non ci riusciva a resistere a quello spettacolo per i suoi occhi a dir poco tremendo. Non riusciva a smettere di ripetersi che Yammi sporco di sangue – per quanto fosse un uomo forte come un titano – era uno degli spettacoli più orribili ai quali mai avrebbe dovuto assistere. Non poteva impedire ai propri occhi dorati di mettersi a piangere in un silenzio duramente trattenuto.
Isane era una donna forte, questo il signor Llargo lo sapeva assai bene. Tuttavia neppure lui riusciva ad ignorare quegli occhi arrossati e... Delusi da quello che stava facendo, da non poter non provare qualcosa dentro il petto congiungibile non più all'ira, ma al rimorso che era ben peggiore.
Un piccolo passo falso quindi, come l'istinto gli aveva detto di scrutare alla propria destra e osservare tra le file di persone la propria sposa, che gli costò un ultimo pugno da parte di Kenpachi non accortosi che a distrarre il proprio avversario era stata una donna. La moglie per essere precisi.
A Zaraki non era mai piaciuto avere la meglio in un modo così stupido, abbattendo un nemico distratto e poco concentrato sull'estasi della battaglia. Quindi ciò che si ritrovò ad affrontare nel giro di pochi secondi, non la calcolò affatto come una vittoria.

Da dopo quel pugno, alcune manganellate si riversarono sulla sua testa ad opera di un drappello di poliziotti – dai metodi piuttosto spicci a quanto pare – che dopo uno straordinario ritardo erano finalmente sopraggiunti sul luogo della rissa riscontrando le peggio assurdità presenti.
Dopo quelle manganellate che ruppero il cuoio capelluto di Zaraki facendogli riversare sangue sulla fronte, ci fu solo uno strano buio accompagnato da frasi sconnesse e altri rumori lontani, fino al risveglio dentro una cella che sapeva di muffa e candeggina.
E in quegli attimi che seguirono il suo risveglio, un certo via vai di personaggi strani aveva accompagnato il suo ingresso in quello strano limbo malinconico.
Era sicuro di aver fatto “cambio” con un ragazzino dai capelli ramati e dallo sguardo così aggrottato da essere ridicolo, a cui aveva dato solo una fugace occhiata stordita rimanendone comunque sorpreso che uno stupido moccioso portasse così tanto orgoglio in corpo.
Seguiva spedito e duro come una lapide l'uscita della piccola prigione – scortato da un paio di guardie annoiate e da un tizio piuttosto strano che non faceva altro che scusarsi con lui – ignorando il fatto di avere la giovane vita ormai smerdata per qualunque sua malefatta compiuta, all'incontrario dei due poderosi uomini che avevano tutta una esistenza alle loro spalle che più oscura non si poteva, tanto da essere quello un loro punto di forza quando i pugni iniziavano a cantare.
Susseguirono infine le visite parentali e quelle degli avvocati – piccoli avvolto d'ufficio che cercavano di spillare denaro inutilmente – accavallati dai sorrisi amari di spose affrante e silenzi cocciuti di uomini feriti nell'orgoglio.
Yachiru non assistette all'incarcerazione del padre, ma ebbe comunque modo di telefonargli alla centrale per augurargli buona fortuna e di dare una lezione anche a quei ceffi dei piedipiatti.
Yammi invece, ebbe da affrontare la dura prova di giustificarsi con una moglie ancora delusa seppur ligia ai propri doveri, avendo come sola “consolazione” il barboncino complice delle sue battaglie lasciatogli in concessione e ora beatamente addormentato accanto al suo padrone.
Infine, ore passate a scrutare le crepe sull'alto soffitto di quel seminterrato e ascoltando distrattamente il cigolio provocato dalle ruote di un carrello da infermiere, pieno di tintinnanti flaconi semi vuoti di strane sostanze, trascinato come in una silenziosa processione da un uomo corpulento e da una assurda acconciatura a caschetto.
Il dottore e quello che doveva essere il suo aiutante erano passati almeno un paio di volte a visitarli per fare solo un paio di iniezioni e tenerli buoni. Niente di più, niente di meno.
Dovevano rendersi presentabili per il processo che si sarebbe tenuto da li a poche ore, quindi era il caso di far sbollire i bollenti spiriti con un po' di sedativo somministrato a intervalli regolari.

E quell'uomo di nome Shawlong – presentatosi con una certa ironia ai due come nientemeno che il coroner del distretto – sembrava trarne un infinito piacere nel sedare due perfetti imbecilli iracondi.
Sotto lo sguardo vigile del massiccio infermiere – in teoria avrebbe dovuto fare qualcosa nel caso il paziente avesse reagito in malo modo alle premure del medico – il dottore legò ben stretto il laccio emostatico sul braccio di Zaraki Kenpachi, toccando i punti giusti per sentire vene pulsanti di sangue e vita pronte all'iniezione.
L'ex mercenario rimase buono e zitto nel mentre che il freddo ago entrava nell'incavo del gomito, contraendo istintivamente i muscoli per la piccola punta di dolore provata e osservando con un piccolo sorriso ironico il pittore dall'altro capo della sua cella.
Di fronte a lui Yammi stava iniziando a sentire gli effetti del sedativo, pur restandosene seduto sulla branda intento a scrutare il pavimento scuro in volto. L'orgoglio era l'ultima cosa ad essere sedata in uomini come loro, spezzato solo da sentimenti più gravosi e difficili da ricostruire.
Ancora una volta, quel maledetto detto popolare aveva mietuto le sue illustri vittime.
Il siero venne accolto da Kenpachi con uno sbuffo sarcastico, avvertendo fin da subito il torpore fornito da quella sferzata gelida nelle sue vene e reclinando per questo la testa all'indietro come soddisfatto per quella geniale trovata della legge.
Colpì lievemente le sbarre della spalliera del suo letto provvisorio con una testa ancora spettinata più a causa della rudezza degli agenti che per il suo epico combattimento, sorridendo quasi soddisfatto e per nulla preoccupato da ciò che lo avrebbe aspettato l'indomani.
No, neppure Yammi era preoccupato, quanto seccato per la noiosa situazione in cui si era cacciato oltre ad essersi fatto fregare da quei deboli – in tutti i sensi – piedipiatti di periferia.
C'erano molte questioni nella sua testa che non gli permettevano di riposare al meglio. Contrariamente alla serenità del suo avversario, tutte le sue emozioni si impastavano tra loro in una spirale di colori accesi e prepotenti, da essere considerata un'ira primigenia scatenata solo – ancora una volta – attraverso una pittura fatta più per terapia che per diletto.

Non mi alzo presto alla mattina. Perché più dormo, meno devo parlare... non pare anche a te mio buon Nakeem, che questo bizzarro detto abbia una base di fondata verità?”
quando la cella contenente Zaraki Kenpachi si chiuse con un secco clangore, la rigida figura del dottore – ora spezzata da sbarre candide scrostate di vecchia ruggine – pronunciò parole che parevano melliflue e sinceramente ammirate verso i due soggetti appena sedati.
Ad accogliere la sua domanda in un ambiente illuminato freddamente da luci al neon, ci fu solo un silenzio interrotto da un basso grugnito d'assenso del silenzioso infermiere, e la tesa situazione dei due uomini carcerati dai sentimenti contrastanti tra loro. Unicamente uniti dalla loro diversità e ripugnanza vista attraverso l'occhio del mondo, colpevoli semplicemente di essere forgiati a sua immagine e somiglianza genuina.
Non vi furono risposte seccate o arcigne verso l'allampanato dottore, quanto un silenzio e mimica facciale che solo quella parlava da sola. Troppo sedati ormai per ridere o insultare chi continuava a tacciarli – con non troppa sottile rudezza – con quel detto ridicolo, semplicemente si beavano dell'ironica situazione dove si erano cacciati.
“Ammirevole davvero...” contemplò infine l'uomo di nome Koufang, guardandoli di scorcio nel mentre che il fido collega annuiva alle sue parole portandosi alla porta del corridoio, per raggiungere quelli che erano i piani superiori. Lo stesso coroner decise infine di seguirlo, con le braccia incrociate dietro la schiena e un nobile passo su quelle mattonelle un tempo candide e ora rese grigie dal tempo e sporcizia varia, deciso anche lui a lasciare quel luogo di teso silenzio e orgoglio piegato ma non spezzato.
“Allora vi lascio soli signori, spero che il sonno possa portarvi consiglio”
Infine, giunto alla soglia della porta grigia e anonima come ogni singola gabbia presente in quel seminterrato, le dita di Shawlong si posarono sull'interruttore delle luci al neon lasciando finalmente che le tenebre si impossessassero di quel triste luogo. L'unico rumore che accompagnò l'uscita di scena dei due, fu solo il catenaccio che veniva chiuso per ragioni di sicurezza.
Ma per quanto quell'oscurità avanzava imperterrita fuori nell'ambiente che circondava i due e dentro i loro corpi sempre più assonnati, ebbero ancora il tempo di scambiarsi un paio di battuti veloci prima che il forzato sonno di Morfeo non li stringesse nel suo abbraccio.
Quasi spavaldi si potrebbe dire, erano come due gladiatori che per quanto odiassero quell'infamante detto, oramai non potevano non elogiarlo prendendosi deliziosamente gioco di lui.

Quasi in sincronia, i due sorrisero nell'oscurità scandita solo dal ronzio di qualche zanzara e dal sonno del piccolo cagnetto tranquillo, riuscendo ancora una volta a provocarsi prima di vedere tutto buio dentro la psiche.
“Ehe! Certo che è stato proprio divertente, non credi anche tu?!”
“Pff... Appena esco di qui ti mostro il resto della mia tavolozza! E credimi, ha parecchi... Colori...”
poteva anche essere l'inizio di una bella amicizia tra i due, tuttavia per il momento erano solo sogni dove per una volta tanto il colore rosso non dominava ogni loro singola sfaccettatura onirica.
E dove non esisteva pregiudizio alcuno, capace di esasperare anche l'uomo più temprato.


Piccole note aggiuntive:

La traccia fornita, in base anche ai due soggetti usati, mi era parsa fin da subito piuttosto difficile da strutturare in modo realistico e convincente. Lo ammetto, mi avete fatto sudare non poco nella realizzazione di questa oneshot XD
Ad ogni modo, questa fanfiction si è classificata prima al contest “Cagami ancora – La rivincita dei personaggi secondari” indetto dal Bleach Yaoi Forum. Ringrazio le giudici per i loro giudizi sia positivi che negativi. Questo risultato non avrei mai sperato di ottenerlo!

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Bleach / Vai alla pagina dell'autore: ElderClaud