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Autore: veronica85    06/09/2011    6 recensioni
Questa shot era nata, inizialmente, per essere il quinto capitolo della mia raccolta sull'episodio 124. Ma a causa un piccolo, insignificante inconveniente tecnico che avrete modo di scoprire, non ha potuto farne parte così com'è. Per cui, ve la propongo separata. Leggetela e fatemi sapere che ne pensate :)
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mamoru/Marzio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza serie
- Questa storia fa parte della serie 'Death Busters vs Sailor Senshi: the beginning and the end'
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Come nasce questa shot? Beh, in maniera totalmente inaspettata, direi. Avevo deciso che dovevo assolutamente completare la mia racoclta sull'episodio 124, visto che ero ispirata e mi sono messa a scrivere il capitolo su Mamoru. Se non che, arrivata alle 400 parole, mi sono resa conto:
- che me ne mancavano solo 100 per restare nel limite che mi sono data
- che non avevo scritto neanche un terzo di quello che avevo pensato.
Da qui, l'idea di fare di questa fic una shot, che poi ho opportunamente tagliato per infilare nella raccolta. Come avete quindi potuto capire, anche questa shot si riferisce all'episodio 124, anzi, in realtà, ne prende in esame tre: il 123, 124, e 125. Non ho altro da aggiungere se non... spero che possa piacervi: leggetela e fatemi sapere che ne pensate :) .




Era così strano: per una volta non era stata Usako ad aver bisogno di lui. Per un istante si era anche chiesto come avesse potuto sentire il bisogno di aiuto di Chibiusa, in fondo, non era la sua vera figlia, era la figlia di Endymion e anche se Endymion era lui…  Scosse la testa mettendo da parte quel ragionamento cervellotico: nata o meno che fosse in quel tempo, sua figlia ora era lì ed aveva bisogno di lui, non avrebbe permesso a quella donna di prenderla! Ma si era immediatamente reso conto che una semplice rosa e una frase ad effetto non lo avrebbero portato da nessuna parte. Kaolinite era scoppiata a ridere e aveva fatto schiantare la bambina fuori dalla finestra. No!
“Sailor Chibimoon!” Doveva muoversi, fare qualcosa… ma cosa? Ad un tratto, una potente sfera di energia andò ad infrangersi contro  la parete della casa: qualcuno era giunto in loro soccorso. Rivolse una veloce occhiata di ringraziamento a Setsuna ma la sua espressione si mutò presto in una di stupore misto ad impotenza: nonostante i loro sforzi, Kaolinite era riuscita a prendere la bambina e loro potevano soltanto stare lì immobili a guardarle sparire. Digrignò i denti, furioso, sferrando un pugno al muro della casa, ferendosi le nocche: era stato un inetto, solo un inetto! Non era riuscito ad impedire che portassero via sua figlia, ma che razza di padre era? Una mano si posò sulla sua spalla e voltandosi poté notare Setsuna scuotere  la testa: aveva ragione, non era il momento di rimproverarsi: dovevano sbrigarsi e tentare di salvare Chibiusa… ma dove poteva essere? La risposta gli venne un istante dopo:
“Andiamo all’istituto Mugen, presto!” Ma giunti lì, li accolse il caos più totale: gente in preda al panico, studenti che sembravano automi... e non c’era traccia di Usako e delle ragazze. Cosa potevano fare? Entrare in tutto quel caos era fuori discussione… e per fare cosa, poi? Girare a vuoto in cerca delle ragazze? Quella scuola era enorme, aveva più di ottanta piani, avrebbero potuto non trovarle mai… e di certo, non con tutte quelle persone dentro.
“Non possono restare lì dentro è troppo pericoloso… dobbiamo farli uscire!” Setsuna aveva appena dato voce a quello che era anche un suo pensiero: annuì, in quel modo avrebbero aiutato quei ragazzi e dato un aiuto anche alle loro compagne che, uscendo, avrebbero trovato la strada sgombra. Si mossero velocemente entrando nell’istituto e dividendosi dopo essersi dati appuntamento all’ingresso entro un’ora. La situazione di quei ragazzi era veramente preoccupante: alcuni erano palesemente sotto ipnosi, altri sembravano in trance, altri ancora erano paralizzati dalla paura. C’erano anche quelli che, seduti in qualche angolo, avevano piegato la testa sule ginocchia e singhiozzavano. Iniziò ad avvicinarsi a quelli più prossimi all’uscita, chinandosi accanto a loro ed incitandoli con poche parole a seguirlo. Complice probabilmente anche la situazione, dopo un iniziale sconcerto, nessuno fece domande ed i primi ragazzi iniziarono a seguirlo fuori dall’edificio.  Lentamente, tutti i presenti in quel punto si riebbero: quelli che stavano un po’ meglio iniziarono ad andarsene barcollando sulle gambe, ma tutto sommato abbastanza in grado di raggiungere la loro casa. Ma ce n’erano alcuni fin troppo sotto shock per muoversi. Decise di farli sedere poco distante: quando si fossero ripresi un po’, li avrebbe riaccompagnati a casa, magari insieme anche alle altre guerriere. Già, chissà come se la stavano cavando Usako e le ragazze dentro la scuola?  E Chibiusa? Dove potevano averla portata? Si ripromise che l’avrebbe cercata, una volta che l’edificio fosse stato completamente evacuato. Era una guerriera anche lei, era certo che avrebbe capito che i civili avevano la precedenza…  vero? Sì, si disse, avrebbe sicuramente capito… ma non era sua intenzione farla attendere troppo. Per fortuna non doveva fare tutto da solo, si disse sollevato, osservando Setsuna condurre fuori altri due ragazzi. Una veloce occhiata e poi di nuovo al lavoro: nel giro di un’ora e mezza la scuola era stata completamente evacuata… ma dove si erano cacciate Usako e le altre? Venne per fortuna, di nuovo distratto: dovevano aiutare anche quelli che piano piano sembravano riprendersi. Altro tempo passò in quell’operazione e quando finalmente anche l’ultimo studente se ne fu andato, lui e la guardiana del Tempo si pararono davanti all’entrata, pronti ad entrare per l’ennesima volta, alla ricerca delle altre. Ma non ce ne fu bisogno: proprio in quel momento, Sailor Moon e le altre guerriere varcarono la soglia dell’istituto, diretti verso di loro. Usagi stringeva qualcuno tra le braccia e si avvicinò a lui con le lacrime agli occhi:
“Guarda Mamo-chan, fa qualcosa, ti prego, Chibiusa non respira più!” Esclamò, con voce rotta dalle lacrime. Lo sconcerto si dipinse sul suo volto: e così, alla fine, c’erano riusciti, le avevano sottratto il cristallo del cuore. E lui adesso, cosa avrebbe potuto fare per salvare la sua bambina? Non poté fare a meno di darsi dell’inetto per tutto il percorso fino alla sua casa. Una volta lì, la distese sul suo letto,  mentre Usagi si posizionava dall’altro lato e le ragazze li lasciavano soli e si accomodavano intorno al tavolo del soggiorno. Senza dire una parola, Usagi iniziò a passare, lentamente, una mano sui codini della piccola, e poi sul suo viso che aveva assunto un colorito grigiastro. Luna e Artemis erano accanto a loro, silenti. Anche lui, lentamente, prese ad accarezzare con un dito il contorno del viso di sua figlia: doveva esserci un modo per farla sopravvivere, dannazione! Non poteva permettere che morisse, non era giusto! Piuttosto le avrebbe donato tutta la sua vita, tutta la sua energia, se fosse servito. E fu nell’istante in cui la sua mano sfiorò inavvertitamente una di quelle della bambina, che il suo corpo iniziò ad emettere uno strano bagliore dorato.  E osservando l’espressione incredula di Usagi si rese conto che era accaduto davvero, che non se l’era affatto sognato. Anzi… sembrava che Chibiusa stesse riprendendo un po’ di colore. Si spostò lasciando involontariamente la presa ed improvvisamente, il bagliore dorato scomparve, mentre il viso di sua figlia tornava di un colore tendente al grigio. Ma allora… allora forse poteva aiutarla davvero! Fu Luna ad avanzare nella stanza dando voce ai suoi pensieri:
“Sì, puoi aiutarla, solo tu puoi. Questo era uno dei poteri del principe Endymion ai tempi del Golden Kingdom: aveva la capacità di guarire le ferite e trasmettere la sua energia a chiunque ne avesse avuto bisogno solo tenendolo per mano”. Tutta quella situazione lo stupiva sempre di più e lesse lo stesso stupore anche negli occhi di Usagi.
“Prendila per mano e concentrati, pensa intensamente  alla tua voglia di tenerla in vita e lascia che il tuo potere fluisca da te a lei”. Stavolta fu Artemis a parlare, lasciandolo ancora più interdetto: davvero sarebbe bastata soltanto la sua forza di volontà? E qual’era questo suo fantomatico potere? Scosse la testa: non c‘era tempo per le domande: dovevano salvare Chibiusa. Fece quindi come gli era stato detto: la prese tra le braccia tenendola per mano, concentrandosi sulla sua volontà di tenerla in vita… e funzionò: improvvisamente un bagliore dorato avvolse la bambina, facendole riprendere appena un po’ di colore. Da quel momento, le parole di Luna gli arrivarono attutite:
“Mamoru dovrà stare accanto a Chibiusa e mantenere il contatto con lei”.
“Solo con la sua energia vitale riuscirà a tenerla in vita”. Bene, e l’avrebbe fatto, avrebbe tenuto in vita sua figlia anche se questo avesse significato perdere la vita lui stesso. E presto venne l’ora per Usagi e le altre di partire, recarsi di nuovo al Mugen e tentare di sconfiggere i Death Busters. Lui sarebbe rimasto lì, con Chibiusa, Luna ed Artemis. Si sollevò continuando sempre a tenere la piccola tra le braccia, solo per osservarle andare via attraverso la finestra. Chiuse gli occhi, lasciando che dalle sue labbra sfuggissero tre parole:
“Buona fortuna, Usako”.  Non seppe mai per quanto tempo rimase a quella finestra aspettando il loro ritorno: l’unica cosa certa fu che, ad un tratto, sentì qualcosa di morbido strusciarsi contro le sue gambe. Si voltò e abbassò lo sguardo incontrando gli occhi preoccupati di Luna:
“Perché non ti siedi? Usare il potere ti debilita e hai bisogno di mantenerti in forze”. Annuì, dirigendosi di nuovo verso il letto: Luna aveva ragione, doveva cercare di risparmiare le forze per poterne regalare il più possibile alla sua bambina. Vederla così gli procurava quasi un dolore fisico: ricordava come fosse stato solo il giorno prima quando Chibiusa era caduta sulla testa di Usagi mentre si trovavano al laghetto, la sensazione di familiarità e benessere provata la prima volta che l’aveva tenuta in braccio e tutte le volte che la prendeva per mano, la gioia che l’aveva pervaso quando Endymion gli aveva confessato che Chibiusa era sua figlia e lo sconcerto e il senso di impotenza quando l’aveva vista nella forma della Black Lady. In quell’occasione si era chiesto cosa avesse fatto di così sbagliato per far covare tutto quel risentimento alla bambina, ripromettendosi che da quel momento in avanti l’avrebbe sempre protetta, se gli fosse stato concesso, e avrebbe fatto il possibile per cambiare il futuro. E invece… invece era stato un inetto ed ora sua figlia rischiava di morire: sentiva che non avrebbe mai potuto sopportare un simile dolore. Aveva già perso i suoi genitori e non aveva potuto fare nulla per cambiare le cose, ora non avrebbe permesso che gli strappassero anche la sua bambina. Ma le cose non cambiavano, il suo cuore non batteva più da troppo tempo… e non era sicuro di poter resistere ancora per molto. Alzò gli occhi al cielo in una muta preghiera Usako, ti prego, fai presto.  Spostò la testa indietro, a destra e sinistra, per sgranchirsi un po’ da quell’immobilità forzata, per poi tornare a guardare Chibiusa, assorto. Improvvisamente, un soffio di potere sconosciuto  gli fece sollevare la testa, all’erta: se volevano fare del male a Chibiusa se la sarebbero vista con lui. Invece, una ragazza con una fuku viola tese una mano verso di lei, lasciando andare il cristallo del cuore.
“Chibiusa non corre… più alcun pericolo”. lo rassicurò la guerriera. Ed era vero, pensò guardandola andarsene, mentre Chibiusa lentamente si svegliava tra le sue braccia.  Finalmente quell’incubo era finito.


Voglio approfittare di questo spazio finale per ringraziare tutti coloro che hanno recensito la mia raccolta e chi l'ha inerita tra le preferite/seguite :) Grazie di cuore :)
   
 
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