Titolo: Burning
End of a Midnight Cigarette
Autore:
Nemeryal
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Arancione
Genere: Slice of Life, Drammatico,
Introspettivo
Avvertimenti: OneShot, Missing
Moments, Shonen-Ai, Au, Non per Stomaci Delicati
Personaggi: Arthur Kirkland/Inghilterra, Alfred F. Jones/
America,Francis Bonnefoy/Francia
Pairing: FrUk
Musica: Whiskey Lullaby – Brad Paisley
Trama: Solo dopo qualche ora Arthur si accorse di
essere rimasto con in mano un libro francese.
A farlo
fermare non era stato la consapevolezza di non aver capito nulla di quello che doveva aver letto, ma una frase sottolineata -e poi tradotta in inglese- nella grafia aggraziata
di Francis.
Il faut bien que je
supporte deux ou trois chenilles si je veux connaître les papillons.
“Devo pur
sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle”
Dedica: a Silentsky
Note: Sì, potete odiarmi. Ho raggiunto l’apice dell’Angst. Odiatemi, davvero.
Se vorrete insultarmi per la quantità di dramma che ho cacciato qui dentro,
davvero, non ve ne porto rancore.
Io..non lo
so. E’ uscita da sola, mentre ascoltavo la canzone. Ditemi se è OOC.
Scusatemi.
Burning End of a Midnight Cigarette
Fu strano
rivedersi in quel bar, solo pochi giorni dopo che tutto era successo.
Eppure, non
sembrava che la cosa ai due interessasse più di tanto: Arthur si limitò ad
alzare gli occhi dalla tazza di tea,
Francis a guardarlo di sbieco mentre sorbiva un caffè.
Forse le
mani del francese tremavano un po’ più del dovuto e la faccia dell’altro aveva
uno strano colorito terreo, ma erano particolari talmente minimi che loro due
furono gli unici ad accorgersene. Non lo diedero a vedere, comunque.
Continuarono
ad ignorarsi reciprocamente, a lanciarsi un’occhiata di tanto in tanto, senza
dire una parola.
Non che ne
avessero sprecate troppe, qualche giorno prima; anzi, a dire la verità, Arthur
si era aspettato qualche grido in più da parte di Francis, viste le sue manie
da attricetta di quart’ordine. Peccato che, come aveva poi scoperto, questo suo
lato il parigino lo dimostrasse solo nei loro litigi scherzosi, che finivano
ogni volta in una buona dose di coccole, sesso, vino e rhum. Era stato strano
per l’inglese vedere gli occhi dell’altro divenire freddi come specchi e
riflettersi dentro di essi, vedersi mentre lo cacciava di casa e gli diceva di
andarsene e non farsi più rivedere. Forse gli aveva fatto anche un po’ male. Ma
questo non l’avrebbe mai ammesso neppure a se stesso.
-Come va,
Arthur?-
Una domanda
come tante, forzata come poche.
-Tutto bene-
Lapidario.
Come non aveva versato lacrime, Arthur non aveva intenzione di sciorinare
parole su parole per colmare quel silenzio cristallizzato.
-Ho un
appuntamento, stasera- lo informò la voce beffarda di Francis e per un solo,
maledetto istante, l’inglese fu sul punto di lasciar cadere la tazzina. Si
ricompose immediatamente, assumendo l’espressione più disinteressata che
riuscisse a mettere insieme in una manciata di secondi –e a detta del francese, erano davvero molte.
-Con chi?-
Tono
monocorde, un accenno di sbuffo, labbra piegate in una smorfia annoiata.
Avrebbe ingannato chiunque, e ne era consapevole. Solo, si chiese se fosse
stato abbastanza da ingannare Francis.
Forse sì,
perché il ghigno sul suo volto si incrinò e gli occhi si tinsero di nero. La
sua espressione ferita non durò molto, anzi, scomparve quasi subito. Posò il
mento sul palmo della mano destra e lo guardò con un sopracciglio inarcato.
-Con una vedova- soffiò, schioccando la lingua
contro il palato.
-Sei
disgustoso-
Francis aveva imparato che la dolcezza non era in
alcun modo prerogativa di Arthur. O almeno, non la dolcezza come l’aveva sempre
pensata. Era stato una persona estremamente romantica, in fondo, di quelle che
non si fanno problemi con l’Amore, perché basta che l’Amore sia tale perché non
vi sia bisogno di giustificazioni.
Ritrovarsi a dividere la propria vita con un
inglesotto di prima categoria, tutto Regina e sopracciglia –soprattutto queste ultime- era
stato un colpo, all’inizio.
Insomma, si aspettava qualche parola dolce ogni
tanto, un abbraccio, una carezza, qualcosa. Nella sua romantica e rosea visione
della vita, ci aveva messo qualche tempo prima di capire che non era un caso
quando le dita di Arthur scivolano sulle sue spalle o sul suo viso durante i
loro –finti- litigi,
che quando lui gli appoggiava la testa in grembo mentre guardavano un film non
era sempre perché si era addormentato. Che non c’era alcun negozio di fiori da
lì al posto dove lavorava Arthur, e quindi nessuna graziosa fioraia che gli
regalava dei bellissimi mazzi di rose o non-ti-scordar-di-me oppure gigli solo
per ingraziarselo.
Aveva imparato, Francis, che Arthur era un po’ come
il whiskey che
gli piaceva tanto: amaro sulle labbra, ma con un dolce retrogusto, tanto tenue
da essere impossibile da scovare se bevuto tutto d’un fiato.
Chissà, forse fu proprio per quello che allontanò
quel collo troppo sottile, quella bocca troppo zuccherosa.
Forse fu proprio per quello, per soffocare i ricordi
in una patina seppia dentro cui non avrebbero più potuto ferirlo, che cominciò
a contare la vita al gocciolare del whiskey nel bicchiere di cristallo.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia…
Solo dopo
qualche ora Arthur si accorse di essere rimasto con in mano un libro francese.
A farlo
fermare non era stato la consapevolezza di non aver capito nulla di quello che doveva aver letto, ma una frase sottolineata -e poi tradotta in inglese- nella grafia aggraziata
di Francis.
Il faut bien que je
supporte deux ou trois chenilles si je veux connaître les papillons.
“Devo pur
sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle”
Oh, al
diavolo! Lui, il suo Petit Prince, al diavolo tutto!
L’inglese
chiuse il libro con uno schiocco secco ed entrò in cucina, con la fredda
intenzione di gettare il libro nella spazzatura per non rivederlo mai più.
Rimase con
la mano ferma a mezz’aria, senza il coraggio di buttarlo. Perché anche se lo
avesse fatto, i ricordi non sarebbero mai andati via. Non la voce di Francis,
non la sua risata irritante, non il suo vizio di chiamarlo chenille.
Retaggio
del suo passato Punk, pensò Arthur passandosi inconsciamente la mano libera fra
i capelli; non si accorse nemmeno di star sorridendo nel ripensare a quando
Francis lo aveva trovato mezzo ubriaco anni prima, alla fine di un concerto-tributo
dei Sex Pistols.
Sembri tanto uno chenille, un bruco gli aveva detto scattandogli una foto Con
quei capelli lunghi tutti pieni di indecente roba inglese!
God, ma quanto l’aveva odiato? Quanto lo aveva maledetto, quanto avevo
inveito contro di lui e la sua francesità? Quanto lo aveva am...
Fu lo
squillo del cellulare, la voce di Sid Vicious che cantava God Save
the Queen, a trascinarlo via da quel vortice di ricordi, di voci, di
profumi, di mani, di labbra, di respiri.
Gettò il
libro nella pattumiera e tornò in salotto, afferrando il telefonino e
portandoselo all’orecchio.
-Qui
Kirkland-
-Arthur..-
L’inglese
inarcò un sopracciglio.
-Alfred?
Sei tu? Perché quella voce?-
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, finché ogni ricordo non
si fosse fuso al seguente, ogni profumo reso vivo e vero, talmente vero e vivo
da rendere incolore la realtà, vago ogni rumore, vuota ogni parola.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, finché l’ambra del whiskey non fosse divenuta rossa
come le rose, come le labbra, come il sangue.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..
-Bastardo!-
Arthur si
chiese se le foglie del salice stessero tremando per un qualche spostamento
d’aria o perché il pugno appena ricevuto da Gilbert gli avesse regalato una
commozione cerebrale in piena regola.
-E’ colpa
tua, è colpa tua, è colpa tua..!
L’inglese
non aveva fatto in tempo a rialzarsi che subito l’altro gli si era avventato
contro, prendendolo per il bavero e cominciando a scuoterlo, sputando saliva –e veleno- ad ogni parola.
Fu
l’intervento di Antonio a salvargli la vita.
-Calmati,
Gilbert..!- esclamò lo spagnolo, prendendo il tedesco per la vita e tirandolo
indietro –Ti prego, basta..-
-Smettetela tutti e due- sibilò Lovino, lanciando a
Gilbert e ad Arthur un’occhiata omicida –Siete in un cimitero, cazzo-
L’inglese si
rassettò stizzito il completo nero, evitando a tutti i costi di guardare
Feliciano inginocchiato davanti alla tomba, le spalle scosse dai singhiozzi, la
bocca storta dalle urla, il corpo che si dondolava avanti e indietro mentre
Ludwig tentava inutilmente di calmarlo, carezzandogli la schiena.
Ma più
voltava la testa, più tentava di estraniarsi da quella situazione, più cercava
in ogni modo di sciogliere il nodo che gli stringeva la gola, più gli occhi
correvano all’iscrizione sulla lapide, alle lettere d’ottone che rilucevano tra
le foglioline de salice.
Plus encor que la Vie, la Mort nous tient souvent par
des liens subtils.
“Assai più
della Vita, è la Morte a tenerci sovente con lacci sottili” .
-Aveva un
appuntamento con una vedova..- mormorò Arthur, forse a se stesso, forse
al mondo, forse a nessuno –Aveva sempre un appuntamento con una vedova..-
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia
dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, a contare la Vita.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, ad incontrare la Morte.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, a Vivere, Morto, nei
Ricordi.
Veuve Clicquot, la Vedova
Clicquot.
A sentirla
nominare, Arthur si era immaginato una vecchietta raggrinzita, un ragno rugoso
avvolto in taffettà e pizzi stantii di naftalina, col volto oblungo macchiato di
chiazze, di trucco rancido e polveroso.
Mentre
girava la chiave nella toppa –perché,
perché Antonio gli aveva dato la chiave? Perché voleva che vedesse?- aveva
pensato ad una figuretta pietosa messa in qualche cornice di argento sbeccato,
magari in bianco nero, a ricordare una bellezza svanita nello sgocciolio
impietoso degli anni.
Aveva girato
per l’appartamento in lungo e in largo, cercando in ogni dove, in ogni luogo,
ma le uniche foto che aveva visto erano state le sue, quelle che Francis gli
aveva rubato con uno scatto improvviso, quelle che Francis gli aveva pregato di
fare mettendosi in una particolare posizione con una particolare luce, quelle
che Francis definiva “oscenamente
deliziose”, quelle che Francis aveva fatto a loro due con l’autoscatto.
Era entrato
nella camera del parigino col fiato conficcato nei polmoni, ormai incapace di
respirare.
Aveva visto
la chiazza sul muro e aveva immaginato i cocci a terra, il collo della
bottiglia spezzato, il corpo del francese riverso sul letto sfatto.
E finalmente
aveva fatto la conoscenza della Vedova Clicquot: una bottiglia di champagne
ancora piena, dolce e zuccherino, cui Francis aveva preferito l’amaro del whiskey.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..
Goccia dopo
goccia, eccome come passa il tempo.
Scivola
lungo il Cielo dell’Eternità e si mescola alla precedente nel gran Mare del
Mondo.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..
Arthur
cominciò a sentirsi proprio come quelle gocce di tempo: stille di secondi che
si mescolavano a gocce di settimane, unite a lacrime di mesi impastate a grumi
di anni.
Perse la
cognizione di tutto, persino di se stesso. Aveva coscienza di sé come labbra
incollate alla bocca della fedele bottiglia di whiskey, come prolungamento di
quel liquido ambrato che gli bruciava la gola e lo faceva annegare in una
scivolosa fanghiglia di alcool e memoria.
Si sentiva
affogare da quelle onde fumose che si crogiolavano incandescenti nel suo
stomaco, e gli facevano perdere gli appigli non solo con la realtà, ma anche
con la propria mente.
Quella
matassa informe di whiskey, oleosa, che puzzava d’alcool e vomito e rose
putrefatte, sembrava addensarsi e solidificarsi solo negli apici
dell’alienazione, quando Francis gli appariva accanto e lo guardava e scuoteva
la testa e diceva Chenille, basta
chenille, mon cher, se continui morirai, basta chenille..e allora lui gli
gridava, gli diceva di andarsene, perché se non si fosse ammazzato, lui e
quelle sue maledette manie di protagonismo, se non si fosse sbronzato fino a
non distinguere più la realtà dai ricordi, se non si fosse fatto fottere
interiormente da quel suo cazzo di Amour,
allora lui, Arthur, lui non ci sarebbe mai finito con una bottiglia in mano ad
inveire contro muro e contro il nulla, perché lui, Francis, non era vero, non
era vivo, era morto, era falso, non c’era, non c’era, non c’era, non c’era, non
c’era..
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, finché ogni ricordo non
si fosse fuso al seguente, ogni profumo reso vivo e vero, talmente vero e vivo
da rendere incolore la realtà, vago ogni rumore, vuota ogni parola.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, finché l’ambra del whiskey non fosse divenuta rossa
come le rose, come le labbra, come il sangue.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..
God, gli sembrava così
vero, così reale, poggiato contro il muro, con le braccia incrociate al petto
ed il volto piegato di lato. Poteva contargli i capelli biondi con le dita,
posandoli sulle spalle e sfiorando la camicia candida, salendo lungo la linea
del collo fino ad accarezzare gli zigomi, le labbra, le ciglia..
Ma era così
freddo, così freddo, freddo come i ricordi, amaro come il whiskey che
tracannava senza sosta, perché se il whiskey gli scaldava lo stomaco e gli
bruciava la gola, perché non poteva rendere più caldo quel corpo così gelido,
quella visione appena accennata ed evanescente, che il muro, bianco, così
bianco, troppo bianco, risucchiava senza pietà, inglobava senza un singulto, o
un gemito, quando avrebbe dovuto lasciarlo lì, quella visione, perché più
whiskey beveva più i grumi ambrati della sua testa si addensavano, e più si
addensavano loro più si coagulavano i ricordi, e allora anche il volto fumoso
di Francis diveniva reale, sì, sì, se solo il muro non l’avesse inghiottito
ogni volta..?
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, a contare la Vita.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, ad incontrare la Morte.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia, a Vivere, Morto, nei
Ricordi.
Posò la
fronte, sul muro. Era freddo. Un brivido che gli corse nella gola arsa
dall’alcool e lo scosse un istante da quel torpore brumoso che lo stava
soffocando. Stringeva tra le dita una foto accartocciata. Era solo.
Di nuovo, la
visione svanita. E la bottiglia era vuota. E lui non c’era.
Un colpo.
Non c’era. Un colpo. Non c’era. Un colpo. Non c’era. Un colpo. Non c’era. Un
colpo. Non c’era.
Un colpo.
Un baluginio di dolore. Non c’era. Un colpo. Stupido francese. Un colpo. Non
c’era. Rosso e bianco. Un colpo. Non c’era. Un colpo. Idiota. Un colpo. Non
c’era. Francis, sei un idiota. Un colpo. Non c’era. Francis. Un colpo.
Non ci
sarebbe stato.
Un colpo.
Non ci
sarebbe stato mai più.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..
-Mettersi
una citazione di Baudelaire come epitaffio- Arthur sbuffò, scalciando un po’ di
neve davanti alla lapide –Solo a te poteva venire in mente una tale buffoneria-
-Disse Monsieur “To die, to sleep; to sleep: perchance
to dream”- lo sbeffeggiò Francis, con un ghigno stampato sul volto.
-E’ Shakespeare, frog- ringhiò l’inglese, scoccandogli un’occhiata
omicida –Non un poetastro francese qualunque-
-Poetastro
francese qualunque?!- strillò l'altro, inorridito, levandosi in piedi –Hai
presente il Decadentismo? Hai presente i bohemienne? Hai presente i Dandy? Hai
presente..?-
-Sì sì, continua pure a gracidare-
Arthur sventolò una mano, come a scacciare un insetto fastidioso –Tanto non ti
ascolto-
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..
Il sole scintillò tra le fronde del
salice. Sulle due lapidi vicine, l’una accanto all’altra.
Goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo
goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia dopo goccia..
{ We laid her next to him beneath the willow
While the angels sang a whiskey lullaby }