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Autore: Candice Hazel    11/09/2011    6 recensioni
Anche un guerriero sanguinante e temuto è capace d'amare.
Anche una vergine che serve un Dio è capace d'innamorarsi.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Attenzione: Alcune frasi riportate dentro la storia sono appartenenti al film "Troy". Ma la maggior parte son frutto della mia mente.

Ho viaggiato sopra il sangue di innocenti,
ho stroncato vite ritenute immortali,
 

ho fatto di loro un futile fuoco con due monete negli occhi.
Avevo fallito come uomo e come persona,
ero solo un assassino in cerca di pace.
Le mie mani erano sporche e macchiate dal dolore,
erano stanche e ferite.
La mia vita si riduceva alla commiserazione di me stesso,
e quando la notte loro apparivano al mio cospetto,
aspettavano di vedermi sconfitto.


Il profumo del cielo era aspro e il sole focoso riscaldava i giardini di Troia, le voci che provenivano dal mercato lì vicino facevano intendere a Briseide di quando tempo fosse passato. Era rinchiusa dentro il tempio fin dalle prime luci dell’alba e pregava Apollo di liberare ogni uomo presente sulla terra dalla schiavitù della guerra, pregava perché ogni donna potesse avere la libertà e potesse vedere l’amore suo ritornare alla propria patria. Era inginocchiata da ben tre ore, e le sue ossa fragili e umane cominciavano a farle male. Un ministro di Apollo poggiò la sua mano priva di peccati sopra l’umile e esile spalla di Briseide che con un piccolo sussulto si scostò; si alzò sentendo scricchiolare le ossa delle sue ginocchia. «Briseide, avete fatto abbastanza per oggi. Vi prego andate.» Ella cercò di protestare ma il ministro la zittì subito, così raccolse le sue erbe prodigiose e si ritorno a palazzo. All’interno c’era una grande frenesia e tutti intorno a lei si muovevano con un enorme distacco e soprattutto c’era parecchia fretta. Priamo, se ne stava seduto nella sulla sua sedia con accanto Andromaca impaziente di vedere Ettore, suo marito. Briseide volse il suo sguardo all’orizzonte e potette già intravedere le navi di Ettore e di Paride sulla via del ritorno. Sorrise, vedendo brillare gli occhi di Andromaca. Briseide non sapeva cos’era amare davvero qualcuno di mortale, sapeva solo che il suo amore era dedicato ad un Dio e lei lo rispettava. Un vergine vestale: pensò Briseide. Lei era una sacerdotessa e come tale doveva comportarsi. I rumori delle navi si avvicinavano e i remi che spingevano l’acqua erano quasi qualche kilometro di distanza. Fra poco avrebbe riabbracciato i suoi cugini. Andromaca si alzò e si sporse contro il balcone di creta, cercando di mettere a fuoco la sua visuale, cercando gli occhi troppo lontani del marito. «Vieni a sederti, Briseide cara.» Le disse Priamo. Lo zio di Briseide: portava un lungo vestito bianco e azzurro (da sempre i colori della tanto amata Troia) e i suoi capelli oramai brizzolati di bianco arrivavano fino alla nuca in una messa piuttosto scombinata. La sua pelle era chiara ma si intravedevano le chiazze dell’età, marchiarla. Ma il sorriso di Priamo era sempre splendente, come quello di un bambino. Briseide annui e si sedette dall’altra parte.

Le navi finalmente, intorno a mezzogiorno fecero capolino sulle sponde del mar Egeo, e velocemente da una di esse scese Ettore. Paride, invece, balzò giù dopo qualche minuto, e dietro di sé c’era una donna minuta che portava un mantello color mezzanotte. Entrarono dentro le porte di Troia con le carrozze reali fornite di cavalli bianchi. Tutti a Troia festeggiavano il ritorno dei Principi, ma quando la donna tolse il mantello, in un certo senso tutti si zittirono. Elena di Sparta. Avanzarono lentamente verso Palazzo dove Priamo con un viso pallido fissava costantemente Elena. Ella era intimidita e restava ferma e immobile. «Ettore, benvenuto», Priamo aprì le sue stanche braccia e diede un bacio sulla fronte a Ettore. «Paride, vieni qua.» Disse rivolgendo uno sguardo speranzoso al figlio. Paride si avvicinò e si fece baciare la fronte. «Padre, questa è Elena.» Priamo la fissò e ne parve estasiato. I capelli di Elena erano color miele e i suoi occhi immersi nell’azzurro, la sua pelle di pesca era ambrata al sole e le sue labbra sottili si sottomisero a quelle di Priamo che le baciò la fronte, anche a lei. «Devi essere Elena di Sparta, tu.» Rispose lasciando leggermente la presa dalle braccia di Elena. Briseide se ne stava in disparte fissando tutto con curiosità, ma un terribile presentimento le prese la bocca dello stomaco. «No, padre. Ormai Elena è una principessa di Troia.» Intervenne Paride, intrecciando le sue dita fra quelle di Elena. Priamo parve per un attimo spaventato dalla dichiarazione del figlio ma poi sorrise. «Benvenuta allora.» Dopo di che, Elena fece un sospiro e chiuse leggermente gli occhi. Sicuramente era stato un grande stress per lei, sopportare tutti gli occhi indagatori delle donne Troiane.

Quando furono dentro Paride si avvicinò a Briseide e la guardò come se non la vedesse da anni. «Briseide, cugina mia. La vostra bellezza è sempre più disarmante.» Disse Paride stringendola in un abbraccio. In effetti Briseide figlia di Briseo era una delle donne più ambite di Troia. Quando i giovani Troiani, non che suoi contendenti seppero la notizia della sua scelta: essere una vergine rosa, ne furono amaramente delusi. Briseide aveva grandi ed espressivi occhi colori cioccolato, il colore delle sue pupille era così sopraffino che era quasi somigliante alle profondità del mare. I suoi capelli ricadevano selvaggiamente sulla sua schiena, morbidi e leggeri, le punte erano arricciolate all’insù e il loro colore nero pece era splendete e vivido. Il suo corpo era snello e le sue cosce erano affusolate e magre. Si intravedevano le clavicole e questo faceva di lei una ragazza molto raffinata ed educata. La sua pelle era così chiara che le vene pulsanti al suo interno erano rosse e viola e si riuscivano a distinguere l’una dall’altra. Il suo naso alla francesina era delizioso, e nel complesso lei era una rara creatura. «Adesso Sacerdotessa di Apollo, eh!» Disse Ettore avvicinandosi e stritolandola anche lui in un caloroso abbraccio. Andromaca stava quasi piangendo e le sue mani tremavano per la gioia. Eppure anche se tutta quella felicità faceva sentire bene Briseide non era abbastanza. Forse dentro di lei mancava qualcosa che cercava da sempre, ma che non aveva mai trovato.

 


Le braccia della ragazza, si stringevano intorno alla vita muscolosa di Achille: le palpebre marmoree di lui erano chiuse e le sue ciglia toccavano le guance rosee. I capelli biondi cadevano sul suo collo, puliti e odoranti di muschio. Achille sentì i passi di qualcuno avvicinarsi ed entrare nella sua tenda, ma non ci fece caso e rimase con gli occhi chiusi. I passi leggeri si avvicinarono ancora di più ma non parvero spaventarlo. La mano dell’individuo si porse verso di lui, pronto a sfiorargli la spalla per svegliarlo ma Achille prontamente afferrò la sua mano e poi velocemente tirò il suo colletto per rimproverarlo. «Uhm..» Mormorò Achille, ancora assonnato. Il ragazzino che aveva davanti poteva avere dieci o undici anni, e la sua pelle era macchiata dal fango. «Stavo facendo un bel sogno, un sogno davvero bello.» Si voltò dall’altra parte e chiuse nuovamente gli occhi. La donna vicino a lui aveva il braccio sopra la sua schiena e dormiva profondamente. «Mio signore, Agamennone mi manda a dirvi che..», Achille fece un'altra roca e maschile dichiarazione con la voce impastata dal sonno: «Parlerò con lui domattina», Rispose con la testa affondata nella pelle della coperta che aveva sotto. Il ragazzino fece un gemito silenzioso e poi corrucciò la fronte. «Ma mio signore, è mattina.» Il ragazzino era ancora lì, inginocchiato sul pavimento. Achille tirò su la testa e sospirò esausto, così afferrò il braccio della ragazza che le stava accanto e lo ritrasse da se, e poi fece cennò al ragazzo d’uscire.  Aveva già intuito perché Agamennone era venuto a cercarlo, sapeva qual era la sua motivazione, eppure non voleva tirarsi indietro anche se il suo orgoglio lo feriva. Mise la sua corazza, l’elmo e lo scudo, afferrò la sua spada (la sua prodigiosa spada) e uscì dalla tenda, lasciando dietro di se la scia della morte.
Il ragazzino lo aspetta fuori con un cavallo vicino. I suoi occhi perlustrarono il vestiario di Achille e parvero essere spaventati dalla sua avvenenza sulle persone. Achille non diede molto conto al ragazzino e salì in sella. «E’ vero che nessuno può ucciderti e che tua madre è una Dea immortale?.» Sussurrò il ragazzino guardandolo dal basso, strizzando gli occhi a causa del sole. «Allora farei a meno dello scudo, non credi?» Lanciò un occhiata torva al ragazzino e poi comando al cavallo di cominciare a galoppare verso la Tessaglia, la patria che Agamennone voleva conquistare.
Il viaggio non fu lungo e lui arrivò in tempo. Davanti a lui c’erano schierati miliardi di soldati e anche dalla parte opposta il silenzio incombeva. Achille saltò giù dal cavallo e rivolse un occhiata a Nestore che stava accanto ad Agamennone. «Achille, potevi anche risparmiarti questo viaggio. Forse avevi bisogno di ancora più riposo.» Agamennone era l’uomo e il Re che Achille odiava maggiormente, se ne avesse avuto l’occasione avrebbe infilzato la sua spada dritta al suo cuore. «Allora fa a meno di me. » Achille stava quasi per andar via, quando Nestore si avvicinò a lui e lo fermò. Lo fissò negli occhi e con grande gentilezza si rivolse a lui. «Achille», Sussurrò guardando i soldati. «Lì vedi tutti questi soldati? Molti di loro non ritorneranno a casa. Metti fine a questa guerra con un colpo della tua spada.» Achille si guardò intorno e con un sospiro spinse leggermente Nestore e si fissò l’uomo a qualche metro da lui. Era alto e corpulento e i suoi occhi parvero due fessure. Era calvo e scuro di carnagione. Achille corse verso di lui, era quasi sicuro che quello che voleva compiere era colpirlo al collo, in modo da mettere fine subito a quella battaglia. Il suo nemico gettò su di lui due volte le sue due lance ma nessuna di esse scalfì minimamente Achille. Lui aveva i riflessi più veloci di qualunque altro sulla Grecia e anche sulla Tessaglia. L’uomo schernito afferrò la sua spada ma non fece in tempo che Achille saltò in diagonale sullo scudo dell’uomo e lo colpì alla gola proprio come previsto. La sua spada sanguinava e tutto intorno si era zittito di colpo: niente più urla di gioia. I soldati della Tessaglia erano immobili ma si erano arretrati ancora di più. Il Re della Tessaglia si avvicinò a lui e con un voce sorpresa sibilò: «Chi siete voi, giovane guerriero?» Achille si voltò e fissò l’uomo vecchio e dritto davanti a lui. «Sono Achille, figlio di Peleo.» Rispose con voce possente, mentre desiderava con tutto se stesso non trovarsi lì. Il Re al suo cospetto afferrò uno scettro dal suo fodero e lo mise nelle mani di Achille, che lo fissò con disprezzo. Non gli piaceva essere toccato, tanto meno dal suo nemico. «Achille», rispose pensoso l’uomo e poi continuò: «Dallo al tuo Re. Chi governa questa terra ha bisogno di questo dono.» Achille gettò a terra lo scettro a lui dato e si voltò acidamente. Avrebbe ucciso in quel momento chiunque gli si fosse trovato a tiro. «Non è il mio Re.» Mormorò e poi girò e ritornò dalla parte dei Greci. Agamennone lo fissò con un punta d’orgoglio, ma soprattutto con uno sprezzante ripugno e poi sorrise accecato dalla vittoria. Achille non guardò più nessuno, si limitò solo a montare sul suo cavallo e a farsi spazio fra i soldati.


  
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