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Autore: coccodemamma    14/09/2011    0 recensioni
Il ricordo del fratello scomparso guiderà Davide sul sentiero della vendetta.
Un vecchio omicidio mai risolto, intrighi politici e uomo di nome Vongord rappresentano solo i pochi pezzi del puzzle che lo condurrà alla verità.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Ho cominciato il mio sentiero creativo solo pochi giorni fa. Penso di poter migliorare di molto il mio stile, quindi commentate/criticate numerosi!;)]

5 Ottobre 2011


Davide era nel suo ufficio, seduto con le gambe appoggiate alla scrivania. Si prese qualche momento per riflettere sulle parole di Yuri, e decise che poteva ritenersi soddisfatto: dodici punti di vantaggio nei sondaggi. Dodici. All’inizio della campagna non aveva registrato che qualche sporadico successo, e i membri del suo partito non avevano certo brillato per solidarietà. Ma con il passare del tempo, la sua popolarità era cresciuta di pari passo con il suo ego e stava cominciando, lentamente e con fatica, a prendere le distanze sugli avversari.
Guardò il quadrante dell’orologio Omega ultima serie: le dodici meno un quarto, e (secondo le miriade di altre lancette) mancava una settimana al plenilunio. Aveva abbastanza appetito, ma aveva fatto l’errore di prendersi un caffè cinque minuti prima, e non voleva rovinarsi il sapore. Decise comunque che con dodici punti di vantaggio una piccola pausa poteva permettersela, e uscì dall’ufficio per sgranchirsi le gambe indolenzite. Lavorava, da non più di un anno, in un grattacielo nel centro di Milano: uno dei pochi, e dei meno alti. Il corridoio quadrato ospitava almeno una decina di uffici oltre al suo, tutti altri rappresentanti del partito. L’ufficio vicino al suo era di Yuri, il suo mentore e col passare del tempo, suo amico. Sbirciò attraverso la porta di legno semichiusa nell’ufficio: innanzitutto, notò che era più grande del suo, e meglio arredato. Yuri comunque non c’era. Pazienenza. Chiamò l’ascensore, ma quando arrivò non lo prese. Aveva voglia di pranzare, e farsi tredici piani di scale avrebbe certo giovato all’appetito.
Quando arrivò alla reception, si era allentato la cravatta e sbottonato la camicia infradiciata di sudore. Possibile che sentisse già il peso dell’età a soli trent’anni? Forse, dopotutto cominciare a fumare a sedici anni non era stata una grande idea; in quanto fratello minore, però era parzialmente scusato. In fondo era stato Ema a convincerlo che una tirata non avrebbe fatto male a nessuno, e inoltre non voleva sentirsi dare del perdente. Si ricordava ancora a distanza di quattordici anni lo sgradevole sapore della prima sigaretta. Il fumo e la prima violenta boccata di tabacco lo fecero tossire, sputacchiare e raschiare con la gola, senza contare che il saporaccio ci mise un buona mezz’ora ad andare via. Sinceramente, all’epoca non capiva proprio cosa potesse spingere un uomo a fumare. Faceva male, era costoso e pure cattivo. Ma si sa, i bei ragionamenti spariscono quando per inerzia o per noia si imbocca la seconda sigaretta. Negli anni, bisogna dirlo, aveva tentato un bel po’ di volte di smettere. Una volta smise addirittura per un anno, tre mesi e quattordici giorni. Quando poi ricominciò fu per compiacere una donna, e quindi anche in quel caso era quasi scusato.
Si tastò i pantaloni e si accorsa che aveva lascialto le Malboro su in ufficio.
Pazienza pensò, tutta salute.
Si fermò a mangiare un delizioso panino con la salamella al “da Michele”, un chiosco proprio vicino al grattacielo. Sfogliando il giornale, adocchiò pigramente le solite notizie. Saltò le prime pagine della politica perchè la conosceva a memoria, e ormai gli faceva quasi nausea. Diede una rapida scorsa alla cronaca, con un omicidio qua e là, qualche moglie infedele e altre notizie più o meno passabili. Invece, ordinò una birra per gustarsi a pieno la pagina dello sport, che non occupava più di tre paginette, e di cui lesse fino all’ultima riga. Chiuse il giornale un po’ insoddisfatto, perchè in fondo nello sport come nella politica si parlava un po’ di aria trita. Si pulì la bocca con un fazzoletto di cartà, pagò e uscì a fare due passi. Non gli piaceva granchè quella zona: troppo invasa da macchine e cartelloni pubblicitari full size per potersi ritenere vivibile.
Attraversò tranquillamente la strada che tanto era congestionata dal traffico, e atterrò sul lato della zona più vivibile. Diede un’occhiata ai negozietti che conosceva a memoria, tanto per fare due passi, e dopo una mezz’oretta guardò di nuovo l’Omega: le due e dieci. Sempre una settimana al plenilunio.

Erano circa le sei quando la segretaria bussò all’ufficio
- Signore...
- Dimmi pure Mara
- E’ quasi ora, le faccio portare i vestiti?
- Prego - disse sorridendo cordialmente.
Mara era la sua segretaria fin da quando aveva cominciato la carriera politica. Una donna timida ed efficiente. Portava lunghi capelli rossi, su una testa più grande del normale che poggiava sul collo magrolino, bassina e in generale minuta.
Tra di loro c’era sempre stata una timida e quasi fraterna intimità, che non era però mai riuscita ad oltrepassare il confine del “buongiorno/buonasera”.
Guardò alla finestra, e decise che in effetti era ora di prepararsi. I punti di distacco, quella sera sarebbero sicuramente aumentati.

Il camerino era piccolo e spoglio, quasi intimo. La truccatrice, di cui sgarbatamente non aveva neppure chiesto il nome, aveva quasi finito il suo lavoro. Seduto su di un piccolo sgabello potè fissarsi allo specchio per qualche secondo. Il completo non gli aveva mai donato particolarmente, ma tant’è... La sua pelle olivastra, la sua carnagione scura era compatibile con i capelli corti folti e nerissimi. Corporatura magra, ma non troppo gracile, alto ma non cosi alto da mettere soggezione. In generale, esteticamente era considerato un candidato attraente per l’ambiente della politica. Perchè anche (o forse soprattuto), l’aspetto portava voti, i voti compiacevano i capoccia del partito che gli davano soldi per la campagna, e vissero tutti felici e contenti. Aveva cominciato con la carriera di semplice giornalista politico. Le sue osservazioni, pungenti e appropriate, non erano mai state date per scontate nell’ambiente giornalistico, e pian piano aveva cominciato a farsi un nome. Gli era pure stata dedicata una pagina sul settimanale Bug, “the TriAngle”, dove puntualmente stoccava il politico di turno, facendo considerazioni precise e loquaci sulle incoerenze della politica di turno. Il nome era discutibile, ma gli articoli più che seguiti. Da allora il suo nome cominciò a non poter essere più ignorato, e si sa, se un nemico è troppo forte meglio farselo alleato. Inoltre, si era reso conto che il solo screditare i corrotti e i palloni gonfiati non gli dava più le soddisfazioni di una volta; quindi perche’ non unire l’ascendente che ormai aveva acquistato sulla gente, con la sua abilità nello scovare punti deboli? Certo, con l’impegno politico, avrebbe avuto meno tempo per indagare, ma a tutto si poteva porre rimedio: la sua rete di informazioni era diventata negli anni una ragnatela solida ed estesa. Aveva arruolato Vongord, un professionista sconosciuto del tutto all’ambiente politico, esperto nel trovare gli scheletri nell’armadio di chiunque, e fargli una bella foto con tanto di flash. Era, certo, un metodo un po’ diretto, pero’ l’importante e’ che funzionasse. E funzionava.
- Signore...
Era appena entrata una ragazza, con la coda di cavallo e un auricolare conficcato nell’orecchio - Signore, mancano 5 minuti
- Arrivo subito. Qui abbiamo finito? - disse rivolgendosi alla truccatrice
- Abbiamo finito - rispose lei sorridendo - solo un secondo, le levo tutta la bardatura.
Armeggiò’ con i soprabito che gli aveva posto sulle spalle, per evitare che si sporcasse il vestito. Davide non l’aveva conosciuta che per cinque minuti, eppure poteva dire con assoluta certezza che quella fosse una donna molto dolce.
- Grazie mille, dolce truccatrice - disse sorridendo
- Mi chiamo Chiara - rispose lei imbarazzata fino alla punta delle orecchie.
- Beh, allora grazie mille truccatrice Chiara - si alzo’, le bacio’ galantemente la mano e uscì senza fretta.

L’atrio della sala grande era stipato di giornalisti. Era quasi tempo di elezioni, e già da un po i candidati dei partiti avevano cominciato la propria campagna di diffamazione. Davide Zinn naturalmente non era nuovo a questo tipo di tattiche, anzi. Possiamo dire che ne fosse il rappresentante più illustre. I flash cominciavano a fargli male agli occhi, dato che si trovava gia da un po di tempo sul palco. Il suo avversario, Ettore Costa, illustre sconosciuto del partito d’opposizione, non si era ancora fatto vedere; questo rientrava nei piani. Anche questa volta Vongord aveva fatto un ottimo lavoro. Era curioso come reagivano di volta in volta i suoi avversari politici. C’era chi, come Ettore costa, non si presentava affatto; altri, spinti dal senso del dovere si trascinavano comunque sul palco, piu morti che vivi, pronti per essere massacrati. Perchè, e questo Davide lo sapeva bene, tutti avevano qualcosa da nascondere. Semplicemente, lui e Vangord erano più bravi degli altri nel scoprirlo. Comunque, aveva vinto anche questa volta, forse non c’era neppure bisogno di diffamarlo. Avrebbe semplicemente cavalcato l’onda del risentimento della gente. Chi prima era indeciso, sarebbe passato dalla sua parte, chi era convinto, sarebbe diventato indeciso.
Si avvicino’ al mediatore, palesemente teso per lo spiacevole imprevisto
- Senta - disse dolcemente - se Ettore Costa non si fa vivo come io penso, entro cinque minuti, direi un paio di parole sulla mia campagna, e buonanotte.
Il mediatore parve accoglierlo come un angelo sceso dal cielo
- S...si, mi pare una buona idea - disse tamponandosi furiosamente la fronte stempiata con un fazzolettino.
Davide torno tronfio al microfono: il pubblico era suo, si trattava solo di incanalare la sua furia nella giusta direzione
- Sono allibito e disgustato quanto voi - cominciò - che il mio avversario sia scappato con la coda tra le gambe
- Allora non sarà scappato poi cosi lontano signor Zinn
Ettore Costa il più sconosciuto politico della fazione avversaria aveva appena fatto dalla porticina sul palco un’apparizione degna di questo nome.
- Ah... - fece Davide allibito e senza parole
- Non sia così lesto nello sbugiardare avversari politici, signor Zinn - disse Costa con una tranquillità plateale degna di Cicerone.
Il mediatore sembrava essere tornato alla vita. Da timido e balbuziente stempiatello, ora sembrava ergersi ben al di sopra della sua reale altezza. Cominciò a parlare. La situazione era tornata in equilibrio.
- A causa del ritardo del signor Costa, mi sembra giusto sottrarre un equivalente di tempo pari al ritardo impiegato, vale a dire...circa un paio di minuti, qualcosa da obiettare?
- No - disse Davide
- Mi sembra giusto - fece eco Costa, sorridendo.
Che bastardo, penso Davide. Perchè diavolo si era presentato? Inoltre non sembrava per nulla intimorito. Lui e quel suo ridicolo farfallino. L’avrebbe distrutto.
Cominciò Davide il dibattito. Il tema verteva sull’incentivo che avrebbe dato il governo uscente alle energie rinnovabili. Fece un discorso lungo e appassionato. Spiegava che fin dall’inizio della sua campagna, si era impegnato a favore dell’energia solare ed eolica in particolare, e che avrebbe fatto di tutto per portare l’Italia tra le prime potenze mondiali nel campo della rinnovabile. Gesticolando, aveva ipnotizzato il pubblico con promesse e belle parole, come ogni politico qualunque che si rispetti.
Il tempo per lui era finito, e la stessa domanda venne rivolta al suo avversario. In piedi, davanti al pubblico, sembrava sentirsi perfettamente a suo agio. Era basso, con la barba folta, i capelli castani e ricci e un ridicolo papillon appuntato al posto della cravatta.
Parla pure, penso maligno Davide. Quelle foto raggiungeranno casualmente un giornale scandalistico.
- Vedete - cominciò - io sono entrato in politica la bellezza di quindici anni fa. Non sono un astro nascente, un genio come il mio avversario a questo dibattito.
Davide senti uno strano formicolio alla punta dei piedi
- Ho salito, lentamente, ogni piccolo gradino scivoloso del difficile terreno della politica. So, e vi posso assicurare che non e’ una vita semplice come molti descrivono.
Il mediatore si mosse imbarazzato sulla poltrona: il discorso procedeva senza che si arrivasse al fulcro della domanda.
- Ed e’ per questo che oggi, a malincuore, devo compiere una scelta difficile. Vedete, oggi mi sono presentato per un motivo preciso. Avrei potuto non farlo, sarei potuto scappare, ma sono qui. Partiamo dall’inizio: il signor Davide Zinn, si può certo considerare un genio dell’oratoria e della sottile arte politica. Ma, certo, questo non basta per vincere ogni singolo dibattito da quando ha messo piede nel campo della politica. Questo mi ha fatto riflettere, e devo essere sincero, ho cominciato a sospettare di lui ben prima che arrivasse il giorno di questo dibattito. Ho provato ad ascoltare alcuni trai i colleghi del mio partito, che avevano avuto un dibattito in diretta, come questo stesso, con il signor Zinn; purtroppo e per sfortuna, nessuno chi per codardia, chi per autentica paura ha voluto dirmi nulla. Ma questo ha rafforzato la mia teoria che sotto ci fosse qualcosa. Così ho cominciato a cercare da me: ho notato, e ho qui la lista precisa... -
Mostro un foglio di carta al pubblico, ancora flash
- Che degli avversari politici che Davide Zinn avrebbe dovuto incontrare, per l’esattezza tredici, ben sei si sono ritirati il giorno stesso, adducendo scuse di scarsa salute. Corruzione? Non credo. Non avrebbe fatto leva su tante persone. Credo piuttosto che i miei colleghi abbiano taciuto per paura. D’altra parte, non avevo prove definitive, e le mie erano solo congetture. Dunque, ho rischiato. Pensavo, e pensavo il giusto, che Davide Zinn raccogliesse informazioni sui propri avversari politici. Informazioni dettagliate e minuziose, che solo un ex giornalista come lui, o chi per lui, avrebbe potuto raccogliere. Io, come dicevo, ho rischiato. La mia carriera politica, sono fiero di dirlo, e’ stata sempre inappuntabile, e per questo forse tanto lenta e difficile. Dunque, un mese prima ho finto un passaggio di denaro, palesemente losco, con un personaggio altrettanto losco. Erano giorni che sapevo di essere seguito. Se si fa attenzione, queste cose si notano, e fu allora che ebbi la mia conferma
Davide si sentì sprofondare. Per un breve secondo desiderò non aver mai scelto quella carriera, e si chiese perchè avesse sempre disprezzato essere un semplice giornalista.
Poi si riprese: non c’era una parola, di quello che Costa stava dicendo, che poteva essere provato. Vongord era stato uno sciocco, si era fatto scoprire, ma di certo una parte di colpa se la meritava anche lui. Era stato troppo avido, troppo smanioso di vincere con uno knock out al primo round, e aveva esagerato. Sapeva, ovviamente che i ricattati se ne sarebbero stati al loro posto. In fondo, non c’era davvero modo di fare il collegamento. Vongord faceva recapitare le buste con le foto a intervalli casuali, persino mesi e mesi prima del dibattito con lui. Delle semplici buste marroni, con all’interno null’altro  che foto che li riprendevano mentre compievano qualcosa di losco o estremamente imbarazzante. Ovviamente, tutti avevano da nascondere qualcosa. La maggior parte era ricattabile con foto che li ritraeva in compagnia di prostitute, altri mentre ci provavano con delle minorenni. Con Costa, però era stato diverso. Come diceva mister papillon, aveva avuto davvero una carriera ineccepibile, e neppure Vongord era riuscito a trovare nulla, nonostante l’avesse tampinato twentifour slash seven. Quindi, come era logico, accolse come un dono dal cielo lo scambio di denaro che aveva fotografato. Però ora doveva calmarsi. Niente panico. Non poteva provare nulla.
- …. ed ecco le foto! - continuava Costa - Queste foto mi sono state recapitare questa mattina, in una busta sigillata. Posso provare - e mostro alcuni foglie e altrettante buste - che nelle mie azioni non c’era nulla di illegale, ed e’ tutto documentato. Porterò queste carte in tribunale, e Dio mi sia testimone, riuscirò a provare la sua colpevolezza. Ora, dato che penso di aver esaurito il tempo sia per la domanda sull’energia, che su tutte le seguenti - sorrise. - Credo che andrò a riposarmi. Il signor Zinn può rispondere ora a tutte le domande che crede.
Il mediatore appariva ora nuovamente sbigottito e insicuro. Rivolse a Davide un paio di altre domande a tema, ma il dibattito era finito nel momento stesso in cui Costa aveva lasciato la stanza,e Davide stesso era palesemente distratto e sbigottito. Metà dei giornalisti si erano già recati in redazione per l’edizione della sera, mentre l’altra metà era attaccata alla cornetta. Il (quasi) dibattito finì verso le sette. Davide passo prima dal camerino per farsi struccare, quindi prese qualcosa di forte al bar dell’albergo.
- Un gin tonic - chiese - me lo faccia doppio
- Il barman lo guardo con un filo di compassione - Serataccia?
- Au contraire. Ma sono distrutto. Davvero.
Si allentò il nodo della cravatta  e si slacciò il colletto della camicia. Quindi, ingurgitò il doppio gin tonic, e si recò nel parcheggio. Tirò fuori le auto e pigiò il meccanismo automatico  della chiave elettronica. Un’auto guizzò con le luci, in mezzo a tante altre. Era una alfa 147 gt, grigio fumo. L’aveva presa due anni prima, quando aveva cominciato la carriera politica. Gliel’aveva, a dire il vero, regalata il suo per così dire mentore. A quanto pare un politico del suo talento non poteva permettersi di andare in giro in una panda gialla.
Eh si, penso appena schiacciò il piede sull’accelleratore, a quanto pare sono davvero passato al lato oscuro.
Nella notte, percorse la città illuminata. Il cielo era scuro e nero, facendo contrasto con la strada e le vetrine illuminate. Erano le otto di sera circa, e la gente cominciava ad uscire a godersi due passi al fresco. Decise di non tornare subito a casa, e fece un giro più largo, passando vicino ai parchi di porta venezia. Parcheggiò li vicino e decise di fare il pezzo restante a piedi. Il dibattito l’aveva lasciato perplesso, ora che ci ripensava meglio. In fondo, non aveva senso. Perchè Costa avrebbe dovuto fare quelle dichiarazioni inopportune? Se poteva provare in qualsiasi momento che lo scambio di denaro era stato legale e che l’aveva fatto apposta per incastrarlo, perchè non aspettare, per esempio, che a un giornale scandalistico, arrivassero casualmente le foto? Per l’effetto sorpresa, e l’influenza sul pubblico? Difficile. In tribunale l’avrebbe distrutto, e si sarebbe ripreso i favori anche con qualche extra. Ma allora perchè? Costa aveva certo dimostrato di non essere uno stupido, ne un politico di bassa levatura.
Si porto’ quei pensieri fin dentro casa. Era stanco da morire, e decise che se ne sarebbe andato subito a letto. Si lavo i denti e non perse neppure tempo a mettersi il pigiama, abitudine che aveva perso da tempo.Si cambiò le mutande e si infilò al buio sotto le coperte. Ma non era solo.
- Hmm, chi e’?
Una voce femminile parlo da sotto le coperte. Davide era per metà e forse più nel mondo dei sogni. Allungò istintivamente la mano per ricoprire paternamente la figura dall’altro capo del letto
- Sono io, disse
No, cosa?
Accadde tutto in pochi secondi, la voce femminile si trasformo in una risata anche troppo virile, che lo inorridì. Di riflesso si gettò indietro, andando a sbattere la testa contro il comodino. Lacrimando dal dolore avanzo’ gattonando e gemendo verso la porta, fino all’interruttore. Lo accese
- Ciao, fratello minore
Ritto sul letto stava Ema, lo sguardo spavaldo e divertito, capelli tagliati corti, la muscolatura potente e gli occhi neri della madre, e anche di Davide. Aveva un paio di pantaloni del pigiama, e una canottiera senza maniche che evidenziava i pettorali palestrati. Ema non sembro’ reggere il suo sguardo per più di qualche secondo. Scoppio a ridere e si gettò nuovamente sul letto, agonizzando dal divertimento.
- Sono io - disse - sono io! Si puo fratello minore? Chi ti aspettavi che fossi? No aspetta - fece lo sguardo allarmato - non dirmelo, non voglio sapere chi frequentate voi politici - Aveva nuovamente lo sguardo divertito e impertinente.
- Non frequentiamo proprio nessuno - borbotto Davide rimettendosi dolorante in piedi. - Comunque che diavolo ci fai qui? Non eri in vacanza?
- Ma io sono in vacanza, fratello minore. Quale vacanza migliore se non recarsi dal mio adorato Davidino per aiutarlo a rimettersi in piedi?
- Rimettersi in piedi? Ti riferisci al dibattito vero? Beh quello non ha in mano nulla, quindi le tue preoccupazioni sono fuori luogo, e ora lasciami dormire.
Ovviamente, lo spavento gli aveva levato il sonno del tutto, ma piuttosto che terselo tra i piedi...
- Fratello minore... - il suo sguardo era colmo di compassione e pieta’. - Non vorrei essere io a dirtelo, ma che abbia o non abbia nulla non gli fa un baffo. Potrai anche distruggerlo in tribunale (sempre che non porti prove a sorpresa), ma e’ l’effetto che ha avuto con la gente... quello conta. Domani non ci sarà prima pagina che non parli del suo bel discorso da saltimbanco. E come pensi la prenderanno i tuoi capoccia? Ti ridimensioneranno, te lo dico io. Se non piaci alla gente non sei nessuno, e che Dio mi fulmini, a me mister farfallino piace.
- Ti piace quell’idiota? - Il cervello di Davide stava cominciando a ingranare di nuovo
- Piace a tutti. Lui ha aspettato il momento giusto per entrare sulla scena col botto - batte’ le mani - te lo dico io. Tu hai un approccio troppo meccanico con la gente, li tratti come una semplice massa di numeri, te lo dico perchè sei sempre stato cosi. Ma lui, con la sua barba e il suo papillon parla alla gente guardandola negli occhi, o per lo meno dandone l’impressione -
Suonava molto come un discorso preparato, ma in fondo aveva ragione da vendere. Era sempre stato troppo teorico e calcolatore, in fondo il suo più grande difetto.
- Passando alle cose serie - la sua espressione si fece improvvisamente cupa - mister farfallino dice che ricatti i politici.
Davide passò sulla difensiva, assumento un’aria disgustata - Ricattarli? Io non ricatto nessuno, mi limito a palesare la verità. Quei topi di fogna dei politici non fanno che andare a prostitute e minorenni, tutto quello che faccio è ricordarglielo la mattina con un bel set di foto.
Ema stette per qualche secondo in silenzio
- Capisco - disse - ma non cambia il fatto che è un ricatto. Come detective, ma soprattutto come tuo fratello maggiore ti invito a non rifarlo più.
Il suo sguardo era mutato all’improvviso, e ora sembrava sinceramente preoccupato e teso
- Non scherzo - continuò - se riescono a provare il collegamento non si torna più indieto fratellino.
Davide fu spiazzato per qualche secondo da quella prova di maturità, quindi si sedette anche lui sul letto.
- Hai ragione; mi sa che ultimamente ho perso un po’ la retta via
- Scherzi? Tu sei sempre stato dalla parte del lato oscuro della forza
- Sarà...
Ema si sdraiò sul letto, evidentemente provato dall’immenso sforzo di maturità che aveva dovuto sopportare. Per quelle cose, non c’era fisico che reggesse.
- Beh, fratello minore adesso vado proprio a dormire. Vederti prenderle cosi e’ stato stancante anche per me
Davide provo l’impulso di cacciarlo dal letto, ma vedendo che ormai si era già piazzato, rinunciò alla rissa.
- D’accordo bastardo, vado a dormire sul divano
- Bravo
- ‘Notte
- ‘Notte
Spense la luce della camera.
- Ah, e fratello - disse dalla penombra
- Si?
- Chiunque tu abbia usato per pescare quelle informazioni...
- Mmm?
- Non azzardarti a contattarlo durante il prossimo mese. Mi sa che mister farfallino ha imparato dal maestro, e ora ci scommetto le palle che ti pedinano.
- Roger
- Ah, e fratello...
- Si?
Ema rimase per qualche secondo in silenzio, nell’ombra della camera.
- Nulla, te lo dico domani.
- Ok, dormi
Chiuse la porta della camera prima che Ema si inventasse qualcos’altro per farlo stare in piedi e si corico’ sul divano. Sognò che si trovava in una stanza bianca, quadrata e perfetta. Fumava una sigaretta, mentre guardava una busta marrone sul pavimento. Si chinò per prenderla, ma non riusiva ad afferrarla. Un desiderio febbrile si impadronì di lui, si chinava per prendere la busta, ma le sue mani non afferravano che aria. Tutto divenne buio, e il contenuto rimase un mistero.
L’indomani mattina, quando si sveglio’, Ema se n’era già andato, lasciando un biglietto con su scritto

Io ho da fare, perchè non siamo tutti politici. Ema

Non lo rivide mai più.
  
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