Loaded Dice
Cronaca di un
Sogno di fine Inverno
Hayaku ichiban taisetsu na hito no tokoro
e
Konomama kimi wo hontou
ni ushinau sono mae ni
[Devo andare in
fretta dove si trova la persona per me più importante
prima che, in
questo modo, io ti perda veramente]
(Maaya Sakamoto, Soonic Boom)
Axel.
Si
svegliò all’improvviso, senza motivo apparente. Le coperte erano in disordine e
si sentiva a disagio: aveva caldo oppure freddo, non riusciva a capirlo.
Confusa
frastornata infastidita, Eloise gettò le gambe fuori
dal letto, posando i piedi nudi sul
tessuto morbido del tappeto. Un passo dopo l’altro, muovendosi alla luce della
luna che filtrava dall’esterno, raggiunse le spesse tende, le tirò con veemenza,
spalancò gli scuri e rimase a guardare oltre il vetro il chiaro paesaggio
irreale della notte marzolina di Aldenor.
Le
sue stanze affacciavano sul cortile meridionale della residenza, ma per quanto
affinasse lo sguardo, per quanto scrutasse l’orizzonte, per quanto
insistentemente cercasse il profilo di una città sconosciuta, non vedeva altro
che giardini, campi, altipiani, fiumi e monti e monti e monti.
Sapeva
che non era una distesa infinita: aveva visto pianure e Nationes,
fiumi e Strade Regie, attraversando quelle terre più di una volta per
raggiungere il mare di Altieres. Eppure in quel
momento le sembrava che tutto ciò appartenesse a un altro mondo, diverso e parallelo, che quelle montagne
fossero invalicabili, che non solo lo spazio ma anche il tempo la separassero
da lui.
Axel.
Il
bianco dell’inverno stava lasciando posto ai colori della primavera; lo si
capiva dalle rocce che iniziavano a fare capolino da sotto la neve o dagli
alberi che iniziavano a liberare i rami dai loro freddi cappotti. Erano passate
settimane dall’ultima nevicata – non una di quelle frequenti spolverate di
zucchero, ma una di quelle abbondanti cascate di fiocchi di lana grandi e
ovattati –, i cumuli sopra le mura si erano abbassati e la luce della luna
mostrava sui laghi le ampie lastre di ghiaccio ormai tanto sottili da sembrare
trasparenti.
Mancavano
tre giorni alla prima Domenica di Quaresima e quelle erano le ultime sere di
vero inverno: Pasqua avrebbe visto una timida primavera spargere le sue tinte
tenui.
Axel.
Eloise
accarezzò sul vetro freddo la sua immagine riflessa – l’immagine di lui nella
mente.
Dove sei adesso?
Kogoeru arashi no yoru mo
Mada minu kimi e tsudzuku
Oshiete umi wataru kaze
Inori wa toki wo
koeru
[Anche nelle freddi notti di tempesta, la tua
figura non muta. Vi prego ditemi, venti oltre l’oceano, se la mia preghiera
attraverserà il tempo]
(Lena Park, Inori – You Raise Me Up)
Un
grande specchio sulla parete di destra la ritraeva di profilo, nella veste da
notte candida, immersa nel paesaggio oltre la finestra. Quando una grande
nuvola, scivolando pigramente nel cielo, oscurò la luna per un lungo istante,
il riflesso di luce che lo specchio restituiva venne a mancare. Fu in quel
momento che per istinto si voltò.
Nell’ombra
scura della stanza, immersa in un buio poco più chiaro della notte fonda, Eloise vi vide riflessa una donna minuta, vestita di nero,
una maschera le nascondeva del tutto il viso, i lunghi boccoli scuri erano
coperti da un velo sottile1.
La stava guardando.
Un’ampia
gonna a balze di seta e pizzo nero sbocciava a corolla dalla vita sottile. I
capelli erano scuri sotto il velo ricamato che indossava; ai margini della
mezza maschera, la pelle era chiara2.
La stava guardando e sorrideva di
scherno.
La
paura assalì Eloise in un’unica ondata di terrore. Il
cuore picchiò una volta più forte contro le costole, prima di iniziare a martellare
freneticamente. Aprì la bocca per gridare, ma si rese conto di non avere voce:
le restava bloccata sotto la gola, solida, soffocandola, senza voler uscire in
un urlo di panico.
La
nuvola nel cielo passò oltre indifferente e la luce della luna tornò nella
stanza. Lo specchio ora le restituiva l’immagine di una ragazzina spaventata e
ansante nella sua camicia da notte bianca, le mani al cuore come per calmarlo,
i capelli spettinati, il viso scoperto.
Un
violento senso di nausea la pervase non appena tornò il chiarore notturno, si
appoggiò con una spalla alla finestra costringendosi a respirare a fondo per calmarsi.
Chiuse gli occhi, provando a mettere ordine alle idee. Doveva essere stata
un’illusione ottica causata da un gioco di ombre, e l’autosuggestione aveva
fatto il resto. Se anche avesse ceduto al bisogno che ancora sentiva di urlare
aiuto ci sarebbe stato ben poco da fare, se non tranquillizzarla come una
bambina piccola dopo un incubo.
La
nausea non se ne voleva andare e l’offerta delle coperte di un sonno
ristoratore sembrava ora straordinariamente attraente. Fece un passo verso il
letto, e sentì qualcosa scivolarle in mezzo al seno per cadere ai suoi piedi
con un tonfo pesante. Abbassò lo sguardo e si portò una mano alla bocca.
Sul
legno scuro del pavimento giaceva la sua croce di diamanti e ossidiana.
La croce che le aveva regalato Axel.
Con
un gesto irrequieto, Eloise si chinò per raccoglierla
e tornò alla finestra per esaminarla alla luce lunare. Una delle maglie della
collana aveva ceduto e sembrava impossibile
ripararla a mano.
In
genere la notte la posava sul tavolino a fianco del letto, ma capitava di
frequente che se ne scordasse e si addormentasse con la croce addosso. Doveva
averle dato uno strattone di troppo nel sonno agitato delle ore precedenti. Se
la sera prima si fosse ricordata di toglierla – si disse –, ora sarebbe ancora
integra. Sconforto e dispiacere si sommarono al malessere che già provava,
facendole venir voglia di piangere. Stringendo la croce al cuore tornò a letto,
decidendo di lasciare tutto a domattina: era stanca, e aveva bisogno di riposo.
Con la luce del sole avrebbe ridimensionato ogni cosa, e la paura, la nausea,
il dispiacere l’avrebbero finalmente abbandonata.
Hashire ima jiyuu ni naru
boku no ishiki
Todoke genshoku no hane ni notte maiagare
[Lascia la mia coscienza libera di correre /
lasciami decollare su ali vibranti di colori primari e arrivare a te]
(Maaya Sakamoto, Sonic Boom)
Minuti
o ore dopo non aveva ancora ripreso sonno. Gli occhi le bruciavano desiderando
solo nascondersi dietro le palpebre, mentre un senso di disagio col suo stesso
corpo le impediva di trovare comodità in qualsiasi posizione. La stanchezza non
le consentiva di essere lucida e ogni occhiata alla croce sul tavolo accanto al
letto era motivo di pensieri nefasti.
Axel.
La
sua mente tornava continuamente a lui, spesso senza coerenza, come se il suo
ricordo fosse l’unica cura, come se pensandolo abbastanza intensamente lui
potesse davvero entrare nella sua stanza e darle conforto, attendendo accanto a
lei la fine di quella notte terribile.
Axel.
Ricordi
si mischiavano a sogni e desideri, rincorrendosi davanti ai suoi occhi insonni,
senza mai regalarle un oblio dove abbandonarsi in quelle scene, perdendo per un
poco il contatto con la realtà.
Il
ricordo della prima volta che l’aveva
baciata, il sogno di un luogo lontano
solo per loro, il desiderio di
seguirlo fino al confine con le truppe. Il ricordo
di quando si era ferita pescando per la prima volta, il sogno di contare le stelle per lui, il desiderio di raggiungerlo nella Vecchia Capitale. Il ricordo delle notti in cui fingevano la
malattia pur di condividere la febbre che era la smania di stringersi, il sogno di vederlo tornare all’improvviso
dallo Studium solo per lei, il desiderio di stringerlo, semplicemente.
Axel.
Ma
non c’era sole che non sarebbe tornato un’altra volta, e dei lenti raggi
iniziavano a spargersi dalle valli a est, entrando di sbieco nella sua stanza,
passando per il vetro ancora libero da cui aveva guardato la notte invernale.
Eloise si
alzò di nuovo, con calma, e tornò alla finestra mentre il sole sorgeva. Lontana
da quel letto inospitale, dalle ore di veglia involontaria e dalla croce di
diamanti e ossidiana, posò la fronte sul vetro, cercando ristoro nel freddo
della superficie.
Un
raggio di sole andò sfacciatamente a colpire lo specchio che poche ore prima la
notte aveva oscurato. Di nuovo Eloise colse il
riflesso con la coda dell’occhio, e l’istinto di voltarsi fu più veloce
dell’inquietudine che la sorprese ancora, come un’inattesa onda di risacca.
Ma
vide soltanto se stessa, i capelli sulle spalle erano miniati d’oro dalla luce
del sole, lo sguardo stanco per la notte insonne le dava un’aria incantata, le
fattezze che la veste lasciava intuire erano morbide, e qualcosa in nella sua
postura la mostrava inconsapevolmente più adulta di quel che non fosse.
Aveva quindici anni e la malizia di
tutte le donne che l’avevano preceduta sulla terra.
Stremata
dall’insonnia, pensò che avrebbe solo voluto Axel
vicino, pensò confusamente che avrebbe anche potuto rinunciare alla loro
decisione di aspettare, se questo
avesse potuto significare sentirlo nel proprio cuore come se le vivesse
accanto.
Axel, quante
volte siamo stati sul punto di…
In
un angolo mazzi di rose rosse e margherite bianche spargevano petali su un
tavolo nella luce fredda dell’alba3.
Cosa ci legherebbe adesso?
La
passione che scorreva nelle loro vene era potente come i venti del nord tra i
quali erano cresciuti, ed era un miracolo che entrambi non fossero già venuti
meno alla loro promessa4. Nudi a letto, e con intenzioni innocenti?
Era come mentire al diavolo: era come sfidare il cielo e mettere l’anima nelle
mani di Lucifero5.
Le
tornò in mente la croce che le aveva regalato caduta sul pavimento scuro, e la
tristezza la assalì di nuovo. Poi, prima che lo potesse fermare, riemerse
nitido anche il ricordo della donna in nero riflessa nello specchio. Il suo
ghigno.
Con chi sei ora?
Il
suo senso di malessere si accentuò all’improvviso, e qualcosa di simile
all’abbandono la fece accasciare, scossa da un tremito violento. Si abbracciò
il ventre rannicchiandosi su se stessa, cercando istintivamente sicurezza e
protezione. Voleva gridare, gridare tutta la sua solitudine.
Pensò
che se Axel avesse chiesto di sposarla, ora lei
sarebbe stata con lui.
Cosa stai facendo in questo momento?
Il
grido che le sfuggì sembrò giungere da un luogo lontanissimo, dove soltanto lui
avrebbe potuto raggiungerla6.
Ma
lui non era lì.
And all I do is miss
you and the way we used to be
(Dire Straits, Romeo and Juliet)
***
L’indice
della mano destra calò dolce sul tasto bianco, due volte e poi una, ancora due
volte e ancora una.
Re-re re. Re-re re.
Il
mignolo corse al tasto nero più vicino, l’anulare scese su quello bianco
accanto, di nuovo l’indice sostò un istante di più sulla lacca bianca, il
pollice accarezzò un altro dei tasti scuri. Subito la mano si spostò
sull’ottava più bassa: indice, pollice, indice, medio, anulare, mignolo,
pollice.
Fa diesis, mi, re, do diesis, si, la
diesis, si, do diesis, re, mi, la.
Due
battute di pausa, ma sul quarto tempo la musica non riprese.
Sopra il
pianoforte, rose rosse si disfacevano delicatamente da un vaso di cristallo
che catturava il bagliore di una candela7. La
mano giaceva dimenticata in grembo mentre Eloise
fissava la doppia porta della sua stanza senza vederla. Oltre il legno di abete
c’erano il letto, lo specchio, la croce e gli incubi ad occhi aperti che il
sole del giorno trascorso aveva temporaneamente confinato nelle ombre. Temeva
una notte come la precedente, temeva di non saperla sopportare.
Accarezzò
l’idea di passare la notte al pianoforte. Non lo sapeva suonare: aveva
cominciato a prendere lezioni per sfizio da qualche settimana, da quando le
biblioteche avevano finito di fornirle letture interessanti e gli studi erano
giunti a un punto tale che solo lo Studium poteva
aggiungere altro alla sua istruzione. Così aveva chiesto e ottenuto il permesso
di imparare a suonare uno strumento. Non era eccezionalmente dotata,
soprattutto faticava a trovare il ritmo giusto nelle prime esecuzioni – un po’
come nel ballo -, ma lo trovava comunque un modo piacevole per far scorrere il
tempo fino a giugno, quando Axel sarebbe tornato.
Chissà cosa avrebbe detto Axel…
Nelle
lettere gli aveva taciuto la novità. Non intendeva né fargli una sorpresa, né
meravigliarlo con improvvise doti musicali: semplicemente nutriva il desiderio
di mostrare ad Axel i frutti del pezzetto di vita che
aveva trascorso senza di lui, con quello stesso tenero e infantile orgoglio che
portava i bambini a comportarsi bene in attesa del ritorno dei genitori. Non
era rimasta con le mani in grembo, ma le aveva usate per imparare a suonare.
Suonare. E’ anche
troppo compassionevole definirlo suonare8.
In
un impeto di rabbia contro se stessa e le sue paure notturne, Eloise si alzò con un gesto brusco dal seggiolino del
pianoforte. Il tempo di muovere un passo e sentì un rumore di stoffa lacerata:
abbassando lo sguardo vide che un lembo della veste bianca era rimasto
impigliato sotto la gamba del pesante sgabello in ebano. Doveva essere successo
mentre si accomodava allo strumento nella posizione corretta. Con un moto di
divertimento, pensò che di quel passo avrebbe sfasciato tutto ciò che possedeva
prima del ritorno dell’estate.
Prima del ritorno di Axel.
Axel.
Quando
il pensiero di lui era diventato così fisso nella sua mente da superare
l’innocenza per sfociare nell’ossessione? Quando il bisogno di averlo per sé si
era trasformato in qualcosa di oscuro e disperato dopo anni trascorsi a
imparare ad amarlo senza neppure conoscere i termini per definire ciò che
provava?9
Eloise
chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. La sua mente iniziava a cedere, i
pensieri non erano più coerenti, si disse. Liberò la veste dal seggiolino,
decisa a coricarsi. Sperava – desiderava – che almeno per quella notte Morfeo
si degnasse di visitarla, restituendole i suoi pensieri.
Soba ni itemo kizukenakute
ima ni natte wakatta koto
Moshikashitara ano koro yori boku
wa kimi no chikaku ni iru
[Non mi sono mai accorta che sei sempre stato
al mio fianco, ma ora capisco / forse ti sono più vicina io ora della me di
allora]
(Maaya Sakamoto, Sonic Boom)
Vide
il sole sorgere anche quel giorno. Dalla stessa, alta finestra di svariate ore prima, la luce del sole entrò in un unico fiotto che accarezzava la stanza dal
pavimento al soffitto. Eloise aveva aperto gli scuri
anche quella notte, un modo qualsiasi di passare il tempo; oltre i vetri il
marmo della balconata della sua stanza aveva riflettuto indifferente i raggi
della luna. Dentro, il camino era spento e la tazza di tè restava intonsa e
fredda sul tavolino accanto al letto.
Abbandonata
sul letto, sfinita – ancora –
dall’insonnia, le membra stanche, la mente confusa, lo stomaco contratto, gli
occhi in fiamme, riusciva solo a pensare che sarebbe volentieri annegata in un
mare di pergamene vergate dalla calligrafia di Axel.
Con chi sei ora?
Cosa stai facendo in questo momento?
Anche le tue notti sono state orribili
come le mie?
I
suoi pensieri disordinati da quella involontaria veglia non le permettevano di
concentrarsi su altro: eppure non era troppo desiderarlo accanto, perchè lui le apparteneva, sempre.
Ma
lui non era lì.
Kimi ga warau sekai ga suki de
Soba ni itai soredake
Wasurekaketa itami wo mune ni
[Amo il mondo
del tuo sorriso / voglio essere al tuo fianco, solo questo / ho dimenticato
quanto può soffrire il cuore]
(Yui Makino, Yume no Tsubasa)
***
Febbricitanti,
le mani intrecciavano i suoi lunghi capelli scuri. Da due giorni aveva la
nausea, tutti i muscoli erano in tensione e parlava in maniera accelerata: nei
suoi protetti quindici anni non era mai stata privata del sonno per tanto
tempo, e mai avrebbe pensato fosse tanto necessario alla mente quanto al corpo.
Le
estremità delle sue ciocche si erano fatte tanto fini da scivolare tra le sue
dita nervose, così prese un nastro dal tavolino di fronte a lei e lo annodò
stretto in fondo alla treccia. Non era solita raccogliersi i capelli per
dormire, voleva semplicemente qualcosa da fare. Sprofondata nella poltrona del
salottino, guardava il letto nell’altra stanza come il peggiore dei nemici.
Eppure era stato così accogliente le notti in cui lasciava socchiusa la porta
della stanza in attesa dell’arrivo di Axel, che mai si era fatto attendere.
Rassegnata,
conscia che l’incubo reale in cui era imprigionata potesse solo continuare - addolcito solo dal continuo e disperato pensiero di Axel -,
raggiunse il letto e si coricò senza riuscire ad abbandonare la speranza di un
clemente oblio notturno.
My baby boku no heya ni kyou
mo yoru ga kita to iu koto
wa
baby
kimi ni mo kitto onaji iro
de chigau yoru ga kitandarou
[Mio tesoro, il fatto che la notte sia
arrivata nella mia stanza anche oggi,
tesoro, significa che una diversa sera dello stesso colore
ha raggiunto anche te]
(Suga
Shikao, Sofa)
«Lady Eloise».
Eloise si
svegliò di soprassalto, una musica conosciuta nelle orecchie. Il suono delle
campane a festa riempiva l’aria del cortile arrivando a lei attutito da muri e
vetri. Qualcuno doveva essere passato più volte a provare a svegliarla: la
stanza era vuota ma le tende erano spalancate su uno splendido sole di fine
inverno, sul tavolo c’era il vassoio coperto della colazione e sulla sedia i
vestiti da indossare. Mentre lo sguardo vagava per il resto della stanza, si tolse
automaticamente i capelli dal collo che nel sonno le si erano attorcigliati
attorno alla gola nella morsa morbida della sua treccia.
Il
primo pensiero coerente che mise insieme fu che, stando ai rintocchi delle
campane, doveva essere mezzogiorno della Prima Domenica di Quaresima. Questo significava
che si era persa la funzione mattutina e che, di conseguenza, sua madre avrebbe
preteso la sua testa su un vassoio d’argento entro il tramonto.
Il
secondo pensiero fu la consapevolezza di aver dormito. Per la prima volta dopo tre giorni.
Inspirò
a fondo, sentendosi rinvigorita e di buon umore. Il suo corpo sembrava essersi
ripreso, la sua mente sembrava nuovamente lucida. Una volta fuori, alla luce
del sole, probabilmente avrebbe riso delle sue stesse paure notturne. Avrebbe
potuto pesare agli strani eventi di quelle notti come allo strano incubo di un
sogno10.
Quell’ondata
di gioia però le impedì di accorgersi subito di qualcosa simile a un cattivo
presagio annidato in fondo al cuore. Era convinta di essere sprofondata in un
sonno senza sogni, eppure aveva la sensazione irritante di aver invece sognato
qualcosa che non riusciva a ricordare: per quanto tendesse la mano l’immagine
era un soffio d’aria più in là.
Scese
dal letto stiracchiandosi, e coi piedi nudi cercò le pantofole senza trovarle.
Abbassò lo sguardo e si rese conto che non erano da quel lato del letto, e
nemmeno dall’altro o in giro per la stanza. Strano. Ma era come cercare di
ricordare il suo sogno: le sarebbe tornato in mente all’improvviso, così come
le pantofole sarebbero sbucate quando avrebbe smesso di cercarle.
Curiosando
sul vassoio della colazione, notò distrattamente dei piccoli fiori di
raperonzolo in un vasetto di vetro. Dovevano venire dalle serre, lì
l’altitudine era eccessiva per quei fiori.
Nel
tempo di un istante le sembrò di poter afferrare un bandolo del suo sogno,
mentre il presagio di cattive notizie si accentuò. Durò un attimo, il battito
di ciglia con cui la sua mente registrò la presenza dei fiorellini, poi se ne
dimenticò del tutto.
Time goes by
Toki ga sugite
mo kitto kawaranu mono ga aru no
Todokanai kara mitsuketai
kara
Yume no tsubasa wo sagashi ni
yuku
Soba ni ite ne zutto...
[Time goes by / ma anche se il tempo passa ci sono cose che non
cambiano mai. / Perché non riesco a raggiungerle, perché voglio trovarle /
cerco le ali dei sogni. / Stai al mio fianco per sempre]
(Yui Makino, Yume no Tsubasa)
***
Una
settimana dopo un pettegolezzo sempre più insistente prese a girare per il
palazzo. Zittito bruscamente all’inizio tra le cucine e le lavanderie, diventò
in breve tempo una frase calcolata lasciata cadere casualmente da ospiti e
visitatori tra un convenevole e l’altro.
L’erede
al trono era stato visto più volte in compagnia di una donna bruna e molto
bella. Il principe che in passato aveva avuto occhi solo per lei era diventato
l’amante della cortigiana più famosa di tutti i tempi11.
Quando
lo venne a sapere, Eloise non volle dare peso alla
cosa. Sembrava una malignità gratuita come altre che erano circolate nei
corridoi – con quella insistenza? con
quella ufficialità? con quella fretta? Arriverà una lettera, si disse, una
lettera che le avrebbe spiegato tutto, che avrebbe svelato quelle cattiverie
per quello che erano.
Ma
Axel taceva.
Non
una lettera arrivò ad Aldemar. Non una smentita, non
una conferma.
Non
un pensiero per lei.
Nulla.
Eloise si
costrinse ad ignorare la faccenda e l’inquietudine che la invadeva: affrontarla
significava soffrire, accettarla o rifiutarla significava ammettere che un baratro poteva aprirsi perfino
tra loro, confermarla o smentirla significava permettere alla lontananza
di dividerli.
Mi hai dimenticata così in fretta?
Si
erano visti solo qualche mese prima, e tutto era stato come nei loro incontri
da quando i nastri delle loro vite avevano smesso di intrecciarsi negli stessi
luoghi: intenso passionale nostalgico.
Mi hai mai ricordata?
Soba ni irenai sono kawari ni
Gin
iro no ame ga futte kitara
Watashi da to omotte namida
wo fuite
[Non posso stare vicino a te, quindi / se
cade una pioggia d’argento / tu pensi che sia io e asciughi le tue lacrime]
Anata ni furu ame
ni naru
Amurita
[Diventerò la pioggia che cade su di te / Amrita]
(Yui Makino, Amrita)
Aveva
avvolto la sua croce di diamanti e ossidiana in un panno di velluto nero,
intenzionata a farla riparare il prima possibile. Tuttavia ogni volta che la
prendeva in mano, il ricordo delle sensazioni di quella notte spaventosa la
assaliva, costringendola a riporla di nuovo in fondo ai cassettini della
toletta.
La
sera del Giovedì Santo, Eloise si ritirò nelle sue
stanze subito dopo la grande funzione In Coena Domini, celebrata nella cappella palatina. Sola,
seduta sul letto ancora vestita del bianco e del violaceo richiesti dal suo
status e dalla circostanza, l’assenza e il silenzio di Axel
l’assalirono ora con particolare violenza, lasciandola preda dello sconforto.
Si lasciò cadere all’indietro sulle coperte ricamate.
Per
la prima volta da quando tutta quella faccenda era iniziata, le lacrime le
salirono agli occhi, e non provò nemmeno a opporvi resistenza.
Mi hai davvero lasciata sola?
«No»,
singhiozzò lei incoerente. «Mi manchi. Mi manchi in un modo che non sono mai
riuscita a dirti».12
Si
premette una nocca sulle labbra, tentando di calmarsi abbastanza da alzarsi e
prendere ancora una volta la croce nascosta nel buio di un piccolo cassetto
dall’altra parte della stanza. Tornò sul letto col gioiello in mano,
asciugandosi le lacrime coi palmi delle mani.
Sarebbe
stata l’ultima volta in cui avrebbe pianto: si fidava di Axel,
doveva solo saper aspettare la prossima agognata volta in cui finalmente
l’avrebbe incontrato. In cui tutte le sue paure e le sue ansie sarebbero state
fugate, in cui lui le avrebbe detto quanto lo studio l’aveva impegnato
impedendogli di scriverle e quanto l’aveva pensata e quanto le era stato
devoto, in cui quel monile non
l’avrebbe più turbata e la croce che le aveva regalato avrebbe riposato di
nuovo sul suo seno.
Axel.
Eppure avrebbe pianto ancora, tanto da
rinchiudere in fondo al cuore la ragazzina che era stata e buttare la chiave.
Lui l’avrebbe evitata per tutta l’estate
e non sarebbe nemmeno venuto ad accoglierla al suo arrivo nella Vecchia
Capitale. Lei l’avrebbe evitato per i cinque anni successivi, cercando di
conservare i pezzi del suo cuore che le erano rimasti tra le dita.
Ma
Eloise non poteva ancora saperlo.
Non
sapeva che i pettegolezzi avrebbero trovato conferma sulla sua pelle. Non
sapeva che non avrebbe mai potuto conoscere tutta la verità. Non sapeva che
avrebbe dovuto aspettare anni prima di indossare quei diamanti e
quell’ossidiana di nuovo.
Juliet, the dice
were loaded from the start
And I bet, and
you exploded in my heart
(Dire Straits, Romeo and Juliet)
Note
1 V. de Winter, Black Friars – L’Ordine della Chiave, capitolo 15, pag. 206-7
2 ibidem,
capitolo 16, pag. 209
3 ibidem,
capitolo 16, pag. 215
4 ibidem,
capitolo 4, pag. 45
5 W. Shakespeare, Othello, Scena IV, Atto I – traduzione libera dall’inglese dei versi 5-8
6 V. de Winter, Black Friars – L’Ordine della Chiave, capitolo 16, pag. 217
7 ibidem,
capitolo 19, pag. 249
8 ibidem,
capitolo 19, pag. 253
9 ibidem,
capitolo 19, pag. 251
10 W. Shakespeare, A
Midsummer Night’s Dream, Scena IV, Atto I – traduzione libera dall’inglese dei versi 67-68
11 V. de Winter, Black Friars – L’Ordine della Chiave, capitolo 23, pag. 297
12 ibidem,
capitolo 22, pag. 282
Contest
Questa fic
partecipa al Contest Regnum Insomniae,
indetto dai blog Sfogliando e Reading at Tiffany’s, alle amministratrici dei quali va tutto il mio
ringraziamento per la voglia e la pazienza di curare un concorso di fanfiction. Raccomando a tutti di andare assolutamente a
leggere le chicche che pubblicano su Black Friars.
Il
titolo
Il titolo riprende la canzone dei Dire Straits Romeo and Juliet, in particolare il verso che chiude la storia.
Il sottotitolo riprende e modifica il
titolo dell’anime (Cronache di un Sogno
Primaverile, un OAV di xxxHolic) di cui una delle
canzoni è l’opening.
Black Friars – L’Ordine della Chiave
di Virginia de Winter. Oltre alle frasi palesemente riprese e indicate nelle note, sono sparse varie allusioni più o meno esplicite a elementi narrati nel libro.
Musica
La scelta di così tante canzoni
giapponesi dipende unicamente dai miei gusti musicali. Inoltre la maggior parte
fanno riferimento a Tsubasa Reservoir
Chronicle, quindi riprendono alcuni elementi (come la
lontananza, il sogno, tenerezza e amore) che trovo azzeccati per la storia.
I versi inseriti all’inizio e alla fine
sono quelli che introducono e chiudono, soprattutto nel loro significato. Quelli
durante la narrazione sono piuttosto un sottofondo, a volte per contrasto. Ho
cambiato la formattazione, spero si noti.
“Sonic Boom”, Maaya Sakamoto (opening di Tsubasa RC – Cronache
di un tuono primaverile, OAV collegato a quello ripreso nel sottotitolo)
“Romeo & Juliet”,
Dire Straits (ispirata alla tragedia shakespeariana
come due dei passaggi della fic)
“Inori – You Raise Me Up”, Lena Park (cover dell’originale You raise me up di
Josh Groban, opening dell’anime
Romeo x Juliet)
“Yume no Tsubasa
”, Yui Makino
(insert song dell’anime Tsubasa RC)
“Sofa”, Suga Shikao (opening dell’OAV di xxxHolic
– Cronache di un sogno primaverile,
da cui il sottotitolo)
“Amrita”, Yui Makino (ending
di un film ispirato a Tsubasa RC)
All’inizio della seconda parte, Eloise suona questo arrangiamento della Marcia di Radetzky. Basandomi sullo spartito ho provato a ricostruire
i movimenti delle dita frugando tra i miei lontani ricordi di pianoforte.
Quando ho guardato il video per la seconda volta mi sono resa conto che la
pianista inizia col medio, non con l’indice: evidentemente né io né Eloise siamo particolarmente dotate per il piano.
Altro brando candidato era Danubio Blu,
ma quando l’ho riascoltato intenzionata a riscrivere il brano della fic mi sono resa conto che non era ciò che volevo suonasse
distrattamente.
Betaggio
La prima e l’ultima parte della storia
(ovvero il nucleo originale) sono state betate da mia
sorella – che ringrazio molto. Ha corretto unicamente la battitura, la
grammatica e un paio di cose riguardanti la sintassi.
BHA!
BUBBOLE!
Continuo
con questo Calibri, ma cambiare tutto il testo in Verdana
alla fine mi sembra di cambiare i connotati a qualcuno con Photoshop…
Anyway…
LE
GRANDI DOMANDE!!!
Era
Belladore la donna in nero riflessa? Ha in qualche
modo stregato Eloise tramite lo specchio? C’è una
connessione tra quanto vive Axel e quanto vive Eloise? Se c’è, serve a Belladore
per assumere le sembianze della ragazza, per mostrarsi come lei ad Axel, o solo per costruirgli una visione lunga due notti
nella mente?
Pensate
ciò che preferite! Se mi premeva dirvelo l’avrei raccontato nella storia! *sguardo diabolico*
Il
motivo principale, originale, scatenante per cui scrivo questa fic è che alla fine degli eventi narrati in BF-OC la frase “Aveva
quindici anni e la malizia di tutte le donne che l’avevano preceduta sulla
terra.” si rivela riferita a Belladore o a un’illusione
o all’immagine che la mente di Axel – viziata da
svariati sogni vampireschi – ha di lei.
E
siccome è una frase che mi ha emozionato, una di quelle che dopo un intero
libro (la Spada) narrato dal punto di vista di Eloise,
finalmente te la mostra come può essere agli occhi di qualcun altro, ho voluto
attribuirgliela davvero.
Inoltre,
io detesto Belladore. Non perché è la cattiva, non perché
fa quello che vuole, non perché va in giro a sterminar fanciulle picchiando loro
in testa uno specchio (più o meno), non perché si comporta da grandissima BIIIIIP… No… La detesto perché io
adoravo Alise. Mi piaceva un sacco, per svariati
motivi.
E
invece no. Alise non era Alise.
Quindi odio Belladore perché ha preso in giro anche
me, ha giocato anche coi miei di sentimenti, accidenti! Quindi questa benedetta
frase NON poteva riferirsi solo a lei, dannazione!
Passando ad altro, ora come ora resta qualcosa che non mi convince in questa fic… come se fosse oltre un vetro opaco… mmm…
Da
un lato penso “Sì, una fic così è un’incredibile figata!” dall’altra mi dico “Non succede praticamente un
cacchio, se qualcuno arriva a fine storia è un masochista!”. E dire che con le
aggiunte mi pare migliorata! Come ha fatto mia sorella a resistere fino alla
fine della prima versione?
A
proposito, mi permetto di fare la “Top three” dei
commenti di mia sorella.
Altri
dettagli in merito al sofferto Making Of di questa FanFiction QUI. (Clikkerete in milioni immagino…
-.-”)
TOP THREE – i commenti
della sister diabolica scritti a margine del foglio.
3^
posto:
“Le virgole sono tue amiche!!!” (riguardo i miei
aggettivi senza punteggiatura)
2^posto:
Axel. […] Axel. […] Axel. Triplo Axel!!! (è una figura
del pattinaggio su ghiaccio – ma lo saprete tutti)
1^
posto:
(Rullo
di tamburi…)
Ma Axel taceva.
| Non una lettera arrivò ad Aldemar. Non una
smentita, non una conferma. | Non un pensiero per lei. | Nulla. Stronzo! (almeno
si è immedesimata!)
Basta, non ho altro da blaterare, in questa
sede.
Però mentre rileggevo la fic per inserire le
canzoni e controllare non ci fossero frasi-aiuto come “controlla questa parte sul libro!!!” mi sono quasi emozionata
*cuoricino*. Magari tra qualche giorno, quando la mia testa si sarà staccata
dalla storia e avrà smesso di montarla e smontarla, la apprezzerò di più!
*smile*
Ps: Come sempre la
mia guerra coi link per l’HTML… E sembra che questa volta (FINALMENTE!) abbia vinto io!!! ;)
A breve on line anche la copertina!