Per un paio di Jimmy Choo
Campagna nei pressi di Hungerford, notte inoltrata
<< Svetlana? Svetlana?! >>
<< Avevi per caso un’idea migliore? >> chiese Annabeth con sarcasmo, sedendosi alla guida del furgone che
lei e Caleb avevano appena “requisito”.
<< Migliore di fingersi una spia russa, senza nemmeno saper parlare russo? Certo che avrei avuto un’idea migliore! >>
<< E dimmi, sarebbe stata grandiosa come quella che ci ha trascinati in questa situazione? >>
Caleb la fulminò con lo sguardo. Avrebbe dovuto
lasciarla dov’era: il mondo era pieno di assistenti editoriali capaci, la
morte di Annabeth Gallagher non sarebbe stata una
grande perdita.
<< Forse tu non avresti dovuto ficcare il naso negli affari altrui
>> la accusò.
Annabeth
cercò di reprimere la rabbia, mise in moto il veicolo e sfrecciò
lungo la strada extraurbana, cercando di allontanarsi il più possibile
da quel magazzino abbandonato.
<< Stai cercando di scaricare
la colpa su di me? >> gli chiese infine, premendo con violenza il piede sull’acceleratore.
Caleb Sheridan aprì
la bocca per rispondere a tono, ma non riuscì a terminare la frase.
L’airbag gli esplose letteralmente in faccia: un enorme fuoristrada privo
di targa li aveva tamponati, spedendo il furgone oltre il guardrail.
Londra, una settimana
prima
Nonostante
fossero scoccate da poco le sette e trenta del mattino, la stazione della
metropolitana di Seven Sisters era già
intasata da un cospicuo numero di pendolari. Notando la folla, Annabeth Gallagher soffocò un’imprecazione
piuttosto colorita, poi si lanciò a capofitto lungo le scale che
portavano al tunnel. Barcollò sgraziatamente sui propri tacchi, cercando
di superare i pedoni più lenti, trattenendosi dal colpirli furiosamente
con la propria ventiquattrore, riuscendo infine a gettarsi nella carrozza poco
prima che le porte si chiudessero alle sue spalle.
Era in ritardo di ben dodici minuti sulla propria tabella di marcia, tabella
opportunamente programmata al fine di farla arrivare ovunque con un anticipo di
almeno un quarto d’ora rispetto al proprio capo. A causa di un
contrattempo avrebbe rischiato di incontrarlo nella hall del Morgenstern Building, palazzo che ospitava gli uffici della
casa editrice Keyworth&Sons, o peggio: il
cervello di Annabeth si rifiutava perfino di concepire
un’ipotesi in cui lei arrivava in ritardo.
Sospirò lasciandosi andare contro il finestrino, cercando di respirare
nonostante la ressa all’interno del vagone.
Lavorare a stretto contatto con Caleb Sheridan era considerato un vero onore nel mondo dell’editoria,
ma lei avrebbe preferito sia
l’onore che uno stipendio
decente. E, a dirla tutta, le sarebbe piaciuto anche potersi permettere quel
meraviglioso paio di Jimmy Choo che aveva visto la
settimana prima in un negozio in centro.
Oh, e ovviamente non avrebbe disdegnato un capo meno psicopatico.
Non che fosse esattamente pazzo,
questo no. Era solo… completamente privo di
emozioni umane, una glaciale macchina da guerra disposta a tutto pur di
aumentare il proprio prestigio e il fatturato della Keyworth&Sons.
Una volta, mentre percorrevano insieme un corridoio pieno di specchi, ad Annabeth era sembrato di non scorgere il riflesso di Caleb accanto al suo: le erano venuti i brividi.
Abbandonò gli inquietanti pensieri legati al suo superiore e, non appena le porte si riaprirono, si lanciò nuovamente nella fiumana di pendolari che affollavano Oxford Circus. Frugò nelle tasche alla ricerca del BlackBerry e, sempre camminando speditamente verso la Central Line, controllò le mail ricevute: fortunatamente ancora nulla. Probabilmente si stava fasciando la testa ancor prima di romperla.
Annabeth attraversò l’atrio del Morgenstern Building con relativa calma, dopotutto erano
solo le otto e venticinque. Fece scorrere il badge lungo il dispositivo
d’identificazione ed entrò nel primo ascensore libero, aspettando
tranquillamente che si riempisse.
Aveva appena cominciato a distendere i nervi, quando un uomo in un completo
scuro fece il suo ingresso nella cabina e, non appena scorse la presenza di Annabeth, le rivolse uno sguardo carico di disappunto.
Era Caleb Sheridan, e i
suoi occhi innaturalmente chiari –come se fosse morto da giorni,
pensò Annabeth con astio- sembravano
rimproverarla per il ritardo.
Il percorso fino al decimo piano le parve interminabile: Sheridan
le aveva voltato le spalle, infatti ora poteva solo intravedere la sua chioma
corvina attraverso la piccola folla ammassata nell’ascensore. Ebbe
inoltre tutto il tempo per programmare almeno una ventina di piani di fuga
differenti, e ben più della metà sembravano comprendere sia una
morte molto cruenta per il proprio capo, che la necessità di documenti
falsi per continuare a condurre una vita normale da qualche parte nei pressi
dell’Ecuador.
Arrivati al nono piano, nell’ascensore erano rimasti solamente Annabeth e Sheridan.
<< Sei in ritardo >> le fece notare l’uomo, senza nemmeno
voltarsi a guardarla. Lei roteò gli occhi, contenta che Caleb non potesse vederla.
<< Sono in anticipo di cinque minuti >> si schermì.
<< No >> replicò lui con veemenza. << Io sono in anticipo di cinque minuti. Tu
dovresti già essere in ufficio a contattare quella piccola casa editrice
di Bimingham per l’acquisizione >>.
Annabeth avrebbe voluto rispondere che no, non
avrebbe contribuito all’acquisizione di quella piccola casa editrice a
conduzione familiare, devastata dai debiti, solo per permettere che lui la
smembrasse e mettesse in cantiere la distribuzione in massa di un nuovo best
seller americano, ma non appena le porte scorrevoli si aprirono, Sheridan scomparve dalla sua vista.
Si avviò verso il proprio ufficio scuotendo la testa, a volte si
chiedeva come aveva fatto in quei mesi a non perdere la sanità mentale.
“Abbandonate ogni speranza o voi che entrate alla Keyworth&Sons”
pensò, poi accese il computer e si preparò a compiere i misfatti
quotidiani.
Mise tutto in stand-by poco prima di pranzo, non senza aver ricevuto una decina
di chiamate da parte di Caleb che le chiedeva,
nell’ordine, del tipico Matcha giapponese
–evidentemente il caffè era troppo mainstream
per lui, mentre il l’Earl Gray
non abbastanza introvabile-, di presenziale in sua vece al compleanno della
madre, di licenziare quattro dei loro migliori curatori editoriali. E non erano
nemmeno le tredici!
Decise di rispondere all’ultima telefonata interna, poi si sarebbe
concessa trenta minuti di calma totale per rifocillarsi e recuperare le
energie.
<< Pronto? >>
<< Annabeth? Sono Rebecca >> la voce della receptionist la raggiunse della cornetta.
<< Sì, dimmi pure >>
<<
E’ arrivato un pacco per il signor Sheridan,
evidentemente il servizio postale deve averlo consegnato al piano sbagliato
>>.
Perfetto, si disse Annabeth, il mio pranzo
dovrà aspettare ancora.
<< Non c’è nessun problema, Rebecca >> la rassicurò. << Arrivo subito e lo prendo io. Sheridan non si accorgerà nemmeno del ritardo >>
Il pacco era
leggero ma piuttosto voluminoso, sigillato ermeticamente e con fin troppa cura
perché potesse contenere un normale manoscritto. In un primo momento Annabeth pensò di lasciarlo semplicemente sulla
scrivania di Sheridan, dal momento che il
destinatario era espressamente lui,
ma lo scatolone recava anche un adesivo con la vistosa scritta
“urgente”.
Dopotutto, in qualità di assistente, aprire i pacchi rientrava tra le
sue mansioni, ragionò. Si armò quindi di taglierino ed
aggredì lo scatolone.
La prima cosa che notò, fu un pungente odore ferruginoso che riusciva a
penetrare i numerosi strati di carta plastificata. Leggermente perplessa
cominciò a scavare tra i fiocchi di polistirolo, fino a quando la sua
mano non toccò una superficie morbida, fredda e umida.
Si allontanò di scatto dalla scrivania, osservando ora le dita che
parevano sporche di… sangue?
Annabeth impallidì, ma si avventò
nuovamente sulla scatola, la afferrò con entrambe le mani e ne
svuotò il contenuto sul pavimento dell’ufficio.
Quando lo vide, trattenne un urlo: sulla moquette blu scuro, tra pezzi di carta
e polistirolo, giaceva ora quello che sembrava un cuore umano ancora ricoperto
di sangue.
Istintivamente Annabeth afferrò il cestino della
carta e vomitò la colazione: quel giorno arrivare a sera si stava
rivelando più arduo del previsto.
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Ho avuto dei piccoli problemi con il mio account, ma sono riuscita a risolvere
tutto <3
Sostanzialmente non ho nulla da dire, quindi taccio.
Mela