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Autore: Dk86    16/05/2006    15 recensioni
"Ci sono dei giorni in cui alzarsi dal letto sembra la cosa più dura, ma si è costretti a farlo. Vuoi per una noiosa riunione di lavoro, vuoi per un ancor più noioso compito in classe, o semplicemente per una noiosissima giornata in cui non si deve fare nulla, ma ci si sentirebbe colpevoli a rimanere a poltrire sotto le coperte.
Essere svegliati e scaraventati a terra dal proprio letto è invece un’esperienza che non è dato provare a molti. Qualcuno potrebbe pensare che sia praticamente impossibile, e invece no. E’ solo molto, molto improbabile.".
Che succederebbe se Hogwarts diventasse una bella mattina un luogo più assurdo del solito?
E se Harry fosse l'unico in grado di risolvere la situazione?
E se non ne avesse per niente voglia?
Genere: Comico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista, Luna Lovegood, Neville Paciock
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia mi è stata ispirata dalla serie di libri “Guida galattica per autostoppisti” di Douglas Adams. La nave spaziale sulla quale viaggiano i protagonisti di quei romanzi, la Cuore D’Oro, è alimentata con un Motore ad Improbabilità, che provoca spesso bizzarre e divertenti mutazioni alla nave stessa e ai suoi occupanti.
Hogwarts è già di per sé un luogo di follie, ma se queste aumentassero in modo esponenziale? Come se la caverebbero studenti e professori? La mia fanfiction vuole rispondere a questa domanda.
La storia è ambientata durante il sesto anno, anche se gli avvenimenti narrati in "Harry Potter e il Principe Mezzosangue" non verranno presi in considerazione.
Buona lettura!




CAPITOLO PRIMO – IL BUONGIORNO SI VEDE DAL LETTO


Ci sono dei giorni in cui alzarsi dal letto sembra la cosa più dura, ma si è costretti a farlo. Vuoi per una noiosa riunione di lavoro, vuoi per un ancor più noioso compito in classe, o semplicemente per una noiosissima giornata in cui non si deve fare nulla, ma ci si sentirebbe colpevoli a rimanere a poltrire sotto le coperte.
Essere svegliati e scaraventati a terra dal proprio letto è invece un’esperienza che non è dato provare a molti. Qualcuno potrebbe pensare che sia praticamente impossibile, e invece no. E’ solo molto, molto improbabile.
Infatti è proprio ciò che successe ad Harry Potter in una mattina che si rivelò – appunto – molto, molto improbabile.
Quel giorno, comunque, cominciò in un modo assolutamente normale. Harry aprì gli occhi.
Dalle tende color porpora filtravano degli invitanti frammenti di sole tardo autunnale, che creavano degli arabeschi multiformi sul soffitto del baldacchino. Harry, ancora al confine fra il sonno e la veglia, seguì il cammino delle gocce di luce per un paio di minuti, poi sbadigliò e biascicò fra sé e sé: “Per fortuna oggi è sabato… Posso dormire ancora un po’…”. Poi richiuse gli occhi e affondò la testa nel cuscino, prima che i dolci tentacoli di sonno si ritirassero dalla sua mente.
“Io, se permette, non sarei affatto d’accordo con questa sua ultima affermazione”.
Harry scattò a sedere. Una voce profonda, giusto un po’ soffocata, era appena risuonata da un punto imprecisato sotto il materasso. “Chi c’è?” chiese Harry, tastando la federa per cercare di capire come qualcuno potesse essere riuscito a nascondersi lì sotto.
“La pregherei di smetterla, se non le dispiace” disse ancora il letto (che dava del lei in quanto era un letto molto educato) “Mi sta causando un fastidiosissimo solletico. Ora, se la cosa non le crea eccessivo disturbo, potrebbe alzarsi?”.
“Ma non è giusto, oggi è sabato!” protestò debolmente Harry, come se non fosse per nulla strano discutere con un mobile.
“Probabilmente le sembrerò brusco” proseguì paziente il letto “ma lei davvero non ha idea di quanto sia duro per me dover sostenere il suo peso tutte le notti, una dopo l’altra. Ormai ho una certa età, e i tarli non mi danno requie…”.
Lo sguardo annebbiato di Harry si era nel frattempo fissato su una delle colonne intarsiate che sostenevano il baldacchino. “Mh” disse, incerto. Poi si sdraiò di nuovo, richiudendo gli occhi come se nulla fosse successo.
Il letto sospirò profondamente, scricchiolando lugubre per accentuare la propria sofferenza: “Vedo che non sono riuscito a convincerla con le parole… Mi perdoni ciò che sto per fare ora, ma è necessario… I miei tarli, lei comprende…”.
All’improvviso le tende del baldacchino si spalancarono, e il materasso si inclinò di scatto, facendo cadere Harry, che era riuscito a ripiombare nel sonno in pochi secondi e nonostante l’esperienza di aver parlato con il proprio letto. Il ragazzo atterrò sul pavimento con uno schiocco viscido, e si svegliò con la sgradevole sensazione di qualcosa di umido e appiccicaticcio che gli impregnava il retro del pigiama. “Mh!” ripetè sorpreso, mentre tastava freneticamente il comodino dietro di lui alla disperata ricerca degli occhiali. Dopo che fu riuscito ad inforcarli, Harry abbassò lo sguardo sul pavimento: la soffice moquette color crema che normalmente ricopriva il pavimento era ancora al suo posto. Il problema è che sembrava completamente cosparsa di un liquido denso e rossastro.
“Possibile che sia…” pensò Harry con un brivido. No, era da escludere. Eppure…
Il ragazzo abbassò lentamente una mano, intingendo l’indice e il medio nella sostanza; portò le dita alle narici e annusò a fondo. Poi se le infilò in bocca. “Come pensavo” biascicò pochi secondi dopo “Sciroppo alla ciliegia”. Harry si leccò diligentemente i polpastrelli, poi aggiunse: “E della miglior qualità…”.
“Ciao, Harry! Finalmente sveglio, eh?”.Qualcosa di alto e un po’ sgraziato proiettò all’improvviso la sua ombra sulla moquette rossa. Harry alzò lo sguardo e si ritrovò a fissare nei piccoli occhietti rotondi un robusto esemplare di fenicottero (per la precisione un Phoenicopterus Ruber, famiglia dei Fenicotteridi, ordine dei Fenicotteriformi, classe degli Uccelli, phylum dei Cordati; Harry, però, non sapeva nulla di tutto questo e probabilmente non gli sarebbe neppure importato. Era già abbastanza bizzarro trovarsi di fronte un fenicottero parlante, credetemi).
“Dean?” chiese Harry, aggrottando le sopracciglia.
Il fenicottero inclinò leggermente la testa: “Come sei riuscito a capirlo?” chiese poi.
“Ho riconosciuto la voce…” spiegò Harry laconico. Il fenicottero lo fissò deluso, per quanto un enorme uccello rosa possa sembrare tale.
“Ehm… non fraintendermi, Dean…” cercò di rincuorarlo Harry “Non dico che non sia strano parlare con un fenicottero, ma prima ho avuto una discussione con il mio letto, e questo mi sembra parecchio più assurdo!”.
“Gradirei che non ci si riferisse a me come se io non fossi presente. Non è per nulla educato” puntualizzò il letto in questione. Gli altri due lo ignorarono.
Harry si sfilò la giacca del pigiama per controllare i danni che lo sciroppo di ciliegia aveva prodotto. Sembrava che qualcuno lo avesse pugnalato ripetutamente alla schiena. Con un sospiro, Harry recuperò la bacchetta magica dal comodino, la puntò contro la macchia più estesa e mormorò: “Gratta e netta”.
Il pigiama prese fuoco.
Harry fissò per un paio di secondi le lingue di fiamma che danzavano allegre sull’indumento, poi decise che era un buon momento per farsi prendere dal panico. Fece cadere la giacca del pigiama in fiamme per terra, gettò via anche la bacchetta, la raccolse, e reggendola con entrambe le mani che tremavano all’impazzata gridò con voce stridula: “Aexstinguo!”.
Come se non aspettassero altro, i brandelli fumanti del pigiama di Harry si trasformarono in un osso di gomma.
Il ragazzo scrutò inebetito il giocattolo per cani, appoggiò con cautela la bacchetta magica sul copriletto come se si trattasse di una pistola carica, alzò gli occhi verso Dean e disse: “Meglio non usare la magia, oggi, vero?”. Il fenicottero convenne con lui.
“Non giocate con il fuoco in mia presenza, sono alquanto infiammabile…” protestò il letto di Harry. Inutile dire che la sua opinione non venne presa in considerazione.
“E dimmi…” continuò Harry, cercando di dimenticare ciò che era appena successo ad uno dei suoi capi di vestiario “Da quanto tempo sei… ecco, insomma… un fenicottero?”.
“Da quando mi sono svegliato” rispose l’enorme uccello “Non è male, sai? Ma c’è una cosa che mi dà davvero fastidio…”. Improvvisamente Dean ripiegò una delle zampe sul petto e restò in equilibrio su una gamba. “Ecco, vedi? E’ un riflesso condizionato, non riesco proprio a farne a meno… Come quando bisogna chiudere gli occhi mentre si starnutisce, hai presente?”.
“E Ron e gli altri dove sono?” chiese Harry.
“Sono scesi nella Sala Grande… Sono piuttosto sconvolti, sai?”.
“Anche loro sono dei fenicotteri?” si informò l’altro, chinandosi sul suo baule per recuperare una divisa pulita.
“No, no!” esclamò il fenicottero, come se Harry avesse appena detto che il cielo è arancione (cosa che, in quel particolare giorno, non era per nulla improbabile) “Ma anche loro non sono del tutto “normali”… Harry, che succede?”.
Harry in effetti si era congelato (metaforicamente, non fisicamente. E’ bene specificarlo, perché anche trasformarsi spontaneamente in una statua di ghiaccio non era un evento da escludere), fissando sbigottito il contenuto del suo baule. O meglio, gli sarebbe piaciuto fissare il normale contenuto del suo baule, ma non poteva, dato che era stato rimpiazzato da un paio di decine di litri d’acqua, nei quali galleggiava placido un cucciolo di alligatore (Alligator Siniensis). Mentre Harry lo guardava, il piccolo rettile si girò verso di lui, spalancò le minuscole fauci munite di microscopiche, inquietanti zanne appuntite ed emise un fischio acuto degno di una pentola a pressione.
Harry lasciò cadere pesantemente il coperchio del baule e si girò verso il fenicottero: “Dean, posso prendere in prestito la tua divisa?”.
L’uccello annuì. “Tanto per me sarebbe piuttosto difficile indossarla” aggiunse. Avrebbe probabilmente fatto spallucce, gesto che però è precluso agli animali dotati di ali per l’evidente mancanza della componente necessaria, ovvero le spalle.
Qualche secondo dopo Harry aveva finito di infilarsi la divisa di Dean, che gli andava leggermente larga, e si avvicinò alla porta della stanza. “Che fai, non vieni?” chiese al fenicottero.
Dean gli si avvicinò, camminando a lunghi passi lenti: “Veramente ho già provato a scendere… Ma è come se le scale non portassero da nessuna parte! Sembra impossibile, eh?”.
Harry scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. Calcolando che l’ultima frase era stata pronunciata da un fenicottero, che la moquette era cosparsa di sciroppo alla ciliegia e che il suo letto aveva deciso autonomamente di svegliarlo, no. Non sembrava impossibile.
Quel giorno, pensò tetro Harry, l’aggettivo “impossibile” sembrava essere stato privato di qualunque significato.
  
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