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Autore: sonyx1992    22/09/2011    1 recensioni
----IV classificata a concorso "Amore? No, grazie" indetto da SNeptune84.----
"Sono stanco. Ma non lo do a vedere.
Come ogni giorno afferro la mia valigetta con una mano, mentre con l'altra giro la chiave nella serratura. Le mani di un robot. Ridotte a compiere, ogni giorno, gli stessi gesti.
Lo stesso percorso. La stessa strada.
374 passi.
Li ho contati una volta."
"Quando arrivo a 300 la mia velocità diminuisce automaticamente e il mio cervello sembra voglia scordarsi i numeri che seguono.
Finge, lo conosco bene.
Come conosco bene, ormai, il battito del mio cuore che accelera, impercettibile ad altri, una reazione che riesco a riconoscere solo io.
Gli altri non hanno l'udito abbastanza sviluppato.
Anche se, a volte, mi piace pensare che non riescono a sentire la mia paura perché sono troppo concentrati a tenere sotto controllo la loro."
"370…371…372…373…374.
Sono arrivato. Purtroppo."
Un professore che vive la sua vita monotona con stanchezza. Finchè qualcosa non cambia. Un particolare che lo porta alla pazzia, al cambiamento e alla libertà. Buona lettura!!! :)
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Ma i cavalli ridono?"
 
Sono stanco. Ma non lo do a vedere.
Come ogni giorno afferro la mia valigetta con una mano, mentre con l'altra giro la chiave nella serratura. Le mani di un robot. Ridotte a compiere, ogni giorno, gli stessi gesti.
Lo stesso percorso. La stessa strada.
374 passi.
Li ho contati una volta.
10…20…30…
La strada è sempre la stessa, non è mai cambiata da quando la percorro: lì, a destra, c'è il panettiere, con quel buon profumo che esce sempre dal suo negozio mentre ci passo davanti e che mi invita, tutte le volte, ad entrare. Ma rifiuto.
40…50…60…
Laggiù, oltre la strada, sulla sinistra, c'è il giornalaio. Preferisco evitare di passarci davanti perché una volta c'ho litigato per un resto sbagliato. Quindi, accelero il passo, evitando di guardare dalla sua parte.
80…100…120…
Fermo per un istante il conto dei miei passi e mi avvicino al negozio che preferisco in assoluto, il numero 5 partendo da casa mia, incastrato tra un negozio di vestiti d'alta moda e da degli uffici.
Mi avvicino alla vetrina e mi ci specchio dentro.
Ho un aspetto orribile, come sempre.
Tuttavia, ecco che accade una magia: in quel vetro sono sempre io, ma ora mi trovo in una stupenda spiaggia delle Hawaii. Bellissimo, mi sembra addirittura di riuscire a sentire i granelli di sabbia e di annusare il profumo del mare.
Il sogno si interrompe bruscamente, quando qualcuno mi sbatte contro, portandosi via il profumo di sale e i granelli di sabbia.
"Ehi, stia più attento!", non si scusa, ma accusa me di un suo errore.
Poco importa, ci sono abituato.
Infine, dopo aver inveito contro di me, si allontana, continuando il suo cammino.
Saluto il mio riflesso nella vetrina dell'agenzia di viaggi e riprendo il conto dei miei passi.
130…140…150…
Quando arrivo a 300 la mia velocità diminuisce automaticamente e il mio cervello sembra voglia scordarsi i numeri che seguono.
Finge, lo conosco bene.
Come conosco bene, ormai, il battito del mio cuore che accelera, impercettibile ad altri, una reazione che riesco a riconoscere solo io.
Gli altri non hanno l'udito abbastanza sviluppato.
Anche se, a volte, mi piace pensare che non riescono a sentire la mia paura perché sono troppo concentrati a tenere sotto controllo la loro.
Li saluto, augurandogli in silenzio buona fortuna e continuando poi il mio cammino lungo i corridoi.
Incontro il bidello che mi saluta con un cenno e che con gli occhi sembra augurarmi a sua volta una buona sorte.
370…371…372…373…374.
Sono arrivato. Purtroppo.
Appoggio una mano sulla maniglia, mentre l'altra sembra stringersi terrorizzata alla manopola della valigetta.
Dall'altra parte, sento già giungere le urla diaboliche e spaventose di ciò che mi aspetta.
Quando entro la ferocia delle bestie urlanti sembra placarsi per un istante.
Ma solo per un istante.
Non faccio in tempo neanche a dire loro "Buongiorno!", che tornano a dimenarsi come belve infernali.
Li ignoro come loro ignorano me e mi siedo al mio posto, dietro la mia debole linea di difesa e mi lascio sprofondare nella scomoda e cigolante sedia di legno, mentre nascondo le gambe sotto la cattedra. La mia valigetta resta abbandonata accanto alla mia postazione, inerme anche lei al suo triste destino.
Provo a richiamare alla calma gli esseri infernali ma loro restano sordi alla mia voce che prima si indebolisce e poi tace.
Mi arrendo facilmente, ormai stanco, ed incrocio le mani davanti al petto, mentre resto seduto nella mia scomoda sedia a fissare il vuoto e a chiedermi che senso abbia tutto ciò nella mia vita.
Ed ecco, i miei occhi sconvolti vengono attirati da qualcosa, un piccolo esserino nero: una mosca si posa sul registro di classe, indifferente al caos intorno a lei ed inizia a pulirsi.
Resto incantato a guardarla, invidiando un poco quella sua capacità d'indifferenza.
Prima solleva le due zampette dietro, per poi pulirsi le due piccole ali trasparenti con cura e ad una velocità strabiliante.
Bellissima.
La sua pulizia viene, però, interrotta da un aereoplanino di carta.
Un attentato!
Il piccolo insetto riappoggia a terra tutte le zampe e si alza in volo fuggendo.
All'improvviso mi accade qualcosa. Impazzisco. O, forse, mi sveglio soltanto, come se quell'aereoplanino di carta mi avesse colpito in testa, gridandomi: "Svegliati!"
Mi alzo in piedi, spingendo via la sedia scomoda e cigolante e picchio le mani sulla cattedra.
"Porca Puttana, la volete smettere?!"
I demoni mi guardano con gli occhi e la bocca spalancati.
Sento il cuore impazzire ed inizio a sudare.
Cosa ho fatto?!
Guardo i miei studenti sconvolto e ciò che leggo sulle loro facce non mi piace affatto: si sono ripresi dallo shock della mia reazione ed ora nei loro occhi posso leggere chiaramente una luce di malignità.
Perché non sono stato zitto, inerme a quello che mi circonda, indifferente come quella mosca?
Ho rovinato tutto con il mio gesto, che di certo verrà ritorto contro di me dai piccoli demoni.
Sudo freddo e le mani iniziano a tremare.
Le stacco dalla cattedra con forza e muovo passi veloci e lunghi verso la porta.
La spalanco e la chiudo dietro di me, per non far uscire quei piccoli demoni pronti ad ammazzarmi senza pietà.
Devo fuggire, devo andarmene prima che sia tardi.
Cammino lungo i corridoi, cercando l'uscita più vicina e appena sono fuori tiro un sospiro di sollievo.
Inizio a scendere le scale che mi condurranno ad una via di fuga ma, ecco, l'adrenalina e le forze sembrano abbandonarmi nel momento peggiore.
Ad ogni gradino che scendo mi sento sempre più debole, finché non crollo, distrutto, su uno di essi.
Affondo la testa nelle ginocchia deboli e chiudo gli occhi, riprendendo fiato.
Con la mano tremante estraggo un pacchetto di sigarette dalla tasca e me ne accendo una, cercando un po’ di calma nel fumo grigio che soffio davanti a me.
Il tremito continuo della mia mano mi fa intuire che è tutto inutile.
Ad un tratto, il mio cervello sembra riattivarsi ed inizia a pensare ad una soluzione.
"Torna indietro." Mi sussurra, ma subito gli spiego che non è possibile dopo il mio improvviso gesto.
"E se fuggissi?" gli propongo a bassa voce. Lui resta incerto, senza rispondermi.
"Professore! Stavo cercando giusto lei!"
Alzo gli occhi stanchi su una figura sfocata che si erge davanti a me.
"Il bidello", penso riconoscendolo.
Lo guardo, in attesa di sapere perché cerchi proprio me, mentre il mio cervello continua a pensare ad una risposta alla mia domanda.
"E' da un po’ che penso a questa cosa…" inizia a confessarmi il bidello, ancora ignaro della tragedia che si é appena svolta nella mia vita, "…lei che è un professore, sa dirmi se i cavalli ridono?"
Sbatto le palpebre, cercando di capire se non sia solo un bizzarro sogno provocato dalla stanchezza.
Oppure un'allucinazione. Una potente allucinazione provocata dallo shock degli ultimi minuti e dalla sigaretta. Chissà cosa ci mettono in quelle sigarette!
Dopo aver notato il suo volto serio ed interessato veramente ad una mia risposta, inizio a ridere.
Che cosa strana. Che cosa buffa.
Credevo di aver dimenticato come si ridesse!
I singhiozzi mi obbligano ad affondare di nuovo la testa nelle ginocchia, mentre la mia mano ancora tremante tenta di reggere la sigaretta ormai consumata.
Rialzo lo sguardo e noto che il bidello mi sta fissando confuso, inarcando un sopracciglio.
Vorrei spiegargli il motivo della mia ilarità, ma le risate me lo impediscono.
Rido ancora per un po’, sfogando tutto quello che ho dentro, ribaltando, per la prima volta, la monotonia delle mie giornate.
Torno dentro l'edificio, entro in segreteria e mi licenzio.
Mi licenzio. Forse, sono veramente impazzito.
Rientro in classe, questa volta senza titubare, senza paura o battito del cuore impazzito.
Afferro la mia valigetta e fisso i piccoli demoni che restano immobili a studiarmi.
"Sapete se i cavalli ridono?", domando loro, che restano ammutoliti alla mia domanda.
Ricomincio a ridere di nuovo ed esco dalla classe, la valigetta che dondola al mio fianco.
Esco dalla stessa uscita di prima, quella più vicina e, questa volta, scendo le scale saltellando.
Il bidello non c'è più.
Mi blocco sull'ultimo gradino e pongo di nuovo la stessa domanda al mio cervello, giusto per sicurezza, per non commettere inutili rischi.
"E se fuggissi?"
La sua risposta mi arriva puntuale, urlata con forza e gioia: "Ma i cavalli ridono?"
Così mi dice, provocando in me un'altra serie di risate gioiose.
Fuggo, corro via dalla scuola e dalla monotonia della mia vita mentre rispondo: "Non lo so. Ma anche se fosse, non sarebbe, questo,  solo un motivo in più per ridere anche noi?"
 
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Ciao a tutti!!
L'ispirazione a questa storia mi è venuta mentre ero sul pullman che si dirigeva verso la scuola. Prima ho visto un uomo che camminava con una valigetta in mano e si guardava in giro, fissando le vetrine dei negozi e mi ha dato l'impressione che facesse quella strada tutti i giorni.
Poi, sul pullman delle ragazze parlavano tra loro di cose senza senso, tra cui quella che ha dato il titolo a questa storia. "Ma i cavalli ridono?" ha chiesto una delle due ragazze. Ebbene, me lo sono chiesta anch'io. E qualche meccanismo strano nella mia testa ha messo insieme quella domanda e quell'uomo e mi ha fatto immaginare cosa sarebbe successo se qualcuno glielo avesse chiesto.
Alla fine, lo fa ridere, perché non sa la risposta, ma immaginarsi un cavallo che ride gli fa capire che lui non ride più a causa della monotonia delle sue giornate. E se addirittura un cavallo può ridere, può ridere anche un professore disperato e sull'orlo di una crisi di nervi.
Con affetto.

=Sony=

   
 
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