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Autore: Denki Garl    04/10/2011    5 recensioni
«A che stai pensando?» domandò curioso il cantante. «Uh, nulla...»
«Non mentirmi, stai sorridendo come un ebete! Cos'è che ti rende felice?»
«Ma nulla!»
«Allora sono io.» decise Masahito, però sì, era proprio lui.
Nulla si ispira a fatti realmente accaduti.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chi di voi mi segue/stalkerizza su fb (nessuno, nda) sa che avrei voluto aspettare il sedici per pubblicare, ma lo faccio ora perché sulla pagina ufficiale degli LM.C maya dice che l'anniversario è esattamente oggi. Il motivo dunque è questo, il quinto anniversario degli LM.C.
In realtà, poco conta la data esatta, no? Il pensiero c'è, sempre.  
Ora, potrei perdermi in ringraziamenti per loro, elogi e roba varia, ma vi risparmierò. In fondo sono sicura che loro sentano il mio amore, anche se non sanno della mia esistenza. E così come il mio, sentono l'amore di tutti i loro fan, chiaro. Ciononostante non potevo non far qualcosa per ringraziarli, quindi eccomi con questa fic.
Buona lettura, care.













Avanti Shinji, pensa, pensa... !

Come fosse un mantra, Aiji ripeteva mentalmente questa frase, a tratti le sue corde vocali vibravano leggermente e nemmeno se ne accorgeva, preso com'era a riflettere. Sarà stata la millesima volta, come minimo, che riviveva nella sua testa i momenti trascorsi la sera prima, un disperato tentativo di ricordare dove aveva messo le chiavi dell'auto. Eppure era sicuro di averle lasciate nel piattino all'ingresso, come sempre.
Erano le sette del mattino, sette e dieci ormai. A quest'ora serebbe dovuto essere nella sua auto, con la radio accesa sulla solita stazione, la borsa sul sedile del passeggero, la mente proiettata all'intervista e al photoshot che li attendeva quel mattino.
Non poteva far tardi, era assolutamente fuori discussione arrivare anche solo un millesimo di secondo dopo all'ora prestabilita; il motivo era il più ovvio che si potesse trovare: un bambino troppo cresciuto in altezza per avere quattro anni, biondo e ghiotto di dolciumi.

«Io mi rifiuto di venire alle otto.»
«Tu ci vieni.»
«No.»
«Sì.»
«Altrimenti?»
«Maya... !»
«Aiji...»
«Tu ci vieni.»
«No.»

... e via dicendo.
Aveva tanto insistito e faticato per assicurarsi che Masahito si presentasse puntuale, che non poteva permettersi di dargli ragione. Le otto del mattino non era troppo presto. Era un orario ragionevole al quale iniziare a lavorare.
Decise che aveva perso troppo tempo a cercare quelle stupide chiavi, per quella mattina avrebbe preso la metropolitana, sebbene fosse una delle cose che più odiava al mondo. Tutta quella gente accalcata, a volte capitava che lo scambiassero per una ragazza e che la mano rugosa di un vecchio pervertito finisse sul suo sedere, che disgusto. Non voleva nemmeno pensarci.
Si chiese come fosse possibile che a Maya invece piacesse.
«Ogni mattina punto una persona diversa e inizio a immaginare la sua vita. Un giorno è la nonnina, il giorno dopo il bimbo dalla magliettina a righe e senza incisivi. Passi il tempo e tieni allenato il cervello.»
Era risaputo, difatti, che gli esercizi di matematica venivano ormai sostituiti da questo genere di attività.
Coi nervi a fior di pelle uscì di casa, velocemente diede due giri di chiave alla porta, e si avviò giù per le scale - naturalmente l'ascensore era inutilizzabile a causa dei lavori di manutenzione iniziati proprio il giorno prima.
Nel preciso istante in cui schiacciò il bottone che apriva il portone di ingresso, gli venne in mente che aveva dimenticato l'ombrello. Possibile che gliene stesse capitando una dopo l'altra?
Si ritrovò sul marciapiedi e non fece molto caso alla strada e alle poche persone che, in una direzione o nell'altra, si affrettavano a testa leggermente abbassata.
Pregò che non piovesse quel giorno, o almeno non a dirotto, e almeno in questo caso qualcosa rigò per il verso giusto. L'espressione corrucciata rivolta al cielo coperto di un intenso strato di nubi grigiastre, uno sbuffo stanco, facilmente equivocabile come sospiro di sollievo, portò gli occhi davanti a sé, la fine.
Le frecce della sua macchina lampeggiavano, la vettura parcheggiata proprio di fronte a lui - eppure era sicuro di averla lasciata nel parcheggio del condominio, come sempre.
Poi notò il dettaglio. Un insignificante metro e ottantatrè di cantante, tranquillamente seduto al posto di guida, che si limava le unghie succhiando il suo solito lecca-lecca, probabilmente alla mela verde e limone, il gusto preferito al momento.
Masahito abbassò il finestrino e si sporse leggermente, gli occhiali da sole gli coprivano, come di regola, tre quarti di faccia. Con un movimento della lingua spostò il chupa-chups che finì a rigonfiargli la guancia sinistra, poi, sorridendo con quella sua aria da bambinone, esclamò un «Era ora!» che per sua fortuna lasciò Shinji talmente esterrefatto che non riuscì nemmeno a pensare di prenderlo a pugni. Prima o poi l'avrebbe fatto senza nemmeno realizzarlo.
«Pensavo uscissi di casa alle sette, sono venti minuti che ti aspetto! No, bugìa... diciannove.» si corresse. «Be', sono comunque tant-»
«Sai com'è, non trovavo le chiavi... !» lo interruppe seccato, fingendo che non fosse l'altro la causa dello smarrimento. «Ce le avevo io, infatti.», Masahito sorrise sornione ancora una volta.
Shinji rimase lì in piedi a fissarlo, totalmente incredulo, finché Maya non lo incitò a salire in macchina.
«Tu non guidi la mia macchina.» rifiutò deciso. «Sì, invece. Vedi che sono al posto di guida?» indicò il volante di fronte a lui, incomprensibilmente euforico. «No, no, no. Non hai capito. Tu-non-guidi-la-mia-macchina. Scordatelo!» ribadì il concetto, ma fu del tutto inutile.
«Aiji-san, facciamo tardi sul set. Le otto sono vicine, sai. Arrivano presto.»
«Aaah, ho capito!» sorrise Shinji, arrendendosi. Fece il girò dell'auto e salì, sotto lo sguardo soddisfatto del band-mate. «Me la stai facendo pagare per oggi.» finì, allacciandosi la cintura. Maya mise in moto e partì.
«Mi hai preso per un bambino di quattro anni?!» s'indignò. «Eh, sai com'è... Difficile fare il contrario!»
«Porta rispetto per il Re.» ordinò autoritario. «E comunque è tra un po' che pagherai.» aggiunse facendogli gelare il sangue nelle vene. Cos'è che aveva in mente?
«Ti ho mai detto che mi terrorizzi, a volte?» non osò nemmeno voltarsi a guardarlo, teneva gli occhi fissi sulla strada davanti a loro. Masahito scoppiò a ridere di gusto, prima di rispondere serio «Con una frequenza di... per quattro meno cinque, diviso sette alla meno cinquantaquattro... tre virgola sette, quasi otto, volte al giorno.»
«Ma-»
«Una colazione galante da Starbucks ci attende!»

Un tavolino bianco in acciaio freddo, tondo, minuscolo, due bicchieri in plastica semi-opaca e il sorriso estasiato di Masahito; una particolare concezione del termine galante. Lanciò una breve occhiata all'orologio da polso, rischiavano di far tardi a prendersela con calma a quella maniera.
«Maya, mi spieghi cosa diavolo hai in mente?» sbottò poco dopo, quella situazione non lo aiutava certamente a calmare i nervi che, solo qualche minuto prima, avevano già dato segno di cedimento. «Uh, nulla. Mi andava di far colazione con il mio sempai...»
Portò gli occhi sull'altro, le sue parole erano sincere. Eppure era sicuro che fosse un'altra la motivazione che l'aveva spinto a rubargli le chiavi della macchina e a trascinarlo in quel luogo, altrimenti avrebbe potuto semplicemente proporgli di prendersi un caffé, la sera prima, quand'erano a casa sua. C'è da dire che spesso gli sfuggiva di mente di aver a che fare con Masahito Yamazaki. Bah, vallo a capire..., pensò sospirando.
«Non sei felice, Aiji?» domandò d'un tratto Maya, lo sguardo rivolto fuori dalla vetrina alla sua destra. Shinji lo fissò un attimo, interdetto; non capiva dove volesse arrivare. «Che intendi?»
«Ora dico. Non sei felice?» posò le sue iridi ambrate su di lui, le vide brillare. Maya era felice.
Verrebbe spontaneo accusare la sottoscritta di raccontare ovvietà, ma anziché affermare che Maya era sempre felice, sarebbe meglio dire che era perlopiù allegro. Essendo un essere umano gli era concesso di avere i suoi momenti no, concorderete. Nervosismi, malumori, e via dicendo. Ma per la maggior parte del tempo esibiva un'espressione innocente, definibile in tal modo solo grazie al suo sguardo: sembrava sbarrasse gli occhi quanto più gli era possibile, come se credesse che tenendo le palpebre più sollevate del normale avesse la possibilità di farsi sfuggire meno dettagli. Perché quando Maya diventava calmo e silenzioso, significava che stava osservando il mondo. Cosa di preciso, nessuno lo sa, nemmeno Aiji. Ma studiava ogni più piccola e impercettibile sfumatura, curioso, arguto e insaziabile. Come un bambino che vede per la prima volta un luogo, anche se spesso i luoghi erano visti e stravisti.
«Mi hai tenuto sveglio fino alle tre del mattino, sono troppo stanco per essere felice.» sembrò rimproverarlo Shinji. «Potevi andare a letto, nessuno te lo impediva!» ribatté quasi indignato il biondo, trattenendosi a stento dallo sghignazzare. Trovava così divertente che Aiji si lamentasse di lui, erano esilaranti la sua faccia seria e la sua bocca forzatamente serrata. Si obbligava a non dire niente, ma mentalmente lo malediva, senza mai smettere di volergli un bene dell'anima. Maya lo vedeva, lo sentiva.
«Già così, non so come, sei riuscito a rubarmi le chiavi della macchina da praticamente sotto il naso, figurati se andavo a dormire sapendoti in giro per casa mia senza una balia!»
La potente risata di Masahito risuonò in tutto il locale, facendo temere a Shinji che qualcuno li riconoscesse, ma per fortuna nessuno sembrò badare al chiasso proveniente dal loro tavolo. D'improvviso il cantante si fece serio, e riportò lo sguardo fuori dalla finestra, continuando a tenere stretto fra le lunghe dita affusolate il suo bicchiere dal contenuto marroncino e un po' denso.
«Cos'è che ti rende felice?»
«Cosa ti fa credere che lo sia?» domandò Maya voltando nuovamente la testa, eppure i suoi occhi non caddero su quelli di Shinji, come se avesse riguardo per qualcosa, ma si posarono sulla sua bevanda. «Non lo sei?»
«Fin troppo.»
«E qual è il problema, allora?»
«Ma difatti non c'è problema.»
Shinji lo fissò per qualche istante, nella vana speranza che l'altro gli rivolgesse l'attenzione. Dopo qualche silenzioso secondo, che per questo parve interminabile, si arrese all'idea che Masahito non lo avrebbe guardato, e distolse lo sguardo a sua volta, spostandolo sulla strada, come se sui cartelloni pubblicitari ci fossero scritti i pensieri che attraversavano la mente del biondo in quel momento.
«Adesso ti sei fatto serio d'un colpo, ecco.»
«Ti dà fastidio? Non sei tu quello che prega che mi cada la lingua perché non sopporta le mie inutili chiacchiere?»
Se l'era presa, non c'era dubbio. Il problema non era tanto questo, quanto la motivazione così ben celata da sembrare inesistente. Aiji sospirò, ora doveva soppesare bene le parole, ancor meglio del solito. Ma ho lasciato intendere che quella non fu la sua giornata.
«A volte lo desidero ardentemente, sì. Ma non per questo non mi piace sentirti parlare, Maaya.» evidenziò bene quella a prolungata, sapeva quanto Masahito fosse pignolo al riguardo. «La m minuscola e il suono della prima a lungo!», quante volte l'aveva ripetuto...
Il biondo sbuffò arricciando le labbra, ma non commentò. Portò il bicchiere alle labbra e bevve un sorso del suo frappuccino.
«Cos'è, ora te la sei presa?» chiese vedendo che ancora Maya si ostinava a portar avanti quell'inutile quanto improvviso sciopero della parola. «Può essere, che ti importa...» alzò quasi impercettibilmente la spalla sinistra, girando gli occhi e piegando di un nulla la testa nella medesima direzione.
«Su, Maaya! Non fare il permaloso, dai!»
«Io sono permaloso, prima di tutto. E comunque non ho niente da dire, sai.», puntò il naso all'insù con fare altezzoso, risultando fin troppo buffo per essere credibile. Shinji ridacchiò, addolcito da quel gesto.
Osservandone il volto struccato, gli anni di Masahito si notavano. Non tutti, ma si notavano. Non che questo facesse di lui un brutto uomo, anzi. Semplicemente non si era mai soffermato ad osservare abbastanza quei lineamenti in ogni caso delicati.
Sentì qualcosa, dentro. Nacque dal cuore, gli deformò le labbra in un sorriso. Un po' come quando ci si addolcisce nel vedere un cucciolo, ma molto più forte. Provò l'impulso di abbracciarlo, ma chiaramente si trattenne. «Sei proprio unico ed inimitabile!» arrise, e Maya ne sembrò stupito. Sussultò leggermente e scosse giusto di un poco la testa, alzando finalmente lo sguardo sul chitarrista, come per cacciare dei pensieri che improvvisamente erano diventati superflui ed ingombranti, come se avesse bisogno di spazio nella mente per analizzare meglio ciò che gli era stato detto. «Be', avevi dei dubbi?!» scherzò, seppur mantenendo quella stessa aria seccata di poco prima. «Neanche mezzo.» pronunciò serio, seppur con una nota d'ironia nella voce, il sempai, ed entrambi risero.
«In ogni caso,» aggiunse Maya «tanti auguri a noi.», abbassò il capo senza levar all'atro gli occhi di dosso e sollevò il bicchiere solennemente, come fosse un brindisi. Shinji rise di nuovo, «Lunga vita agli LM.C!», brindò a sua volta. Sorseggiando il suo caffé gli venne da sorridere nuovamente, e per l'ennesima volta in quei cinque anni rischiò di combinare un danno a causa di Maya. Allora era questo il motivo per il quale, quella mattina, Masahito era tanto sorridente e particolarmente raggiante. Sembrava un innamorato, a volte, quando parlava di ciò che gli LM.C significavano per lui. Certo, con questo non si intende dire che per Aiji fossero meno importanti, ma Maya... Era semplicemente Maaya, sentirlo parlare dava un nonsoché di fantastico e magico a tutto, forse quell'impressione di Shinji era dovuta a questo.

«Vada per la band, dunque.» proclamò Masahito quel lontano giorno di cinque anni fa. Non sembrava convinto, semplicemente perché non lo era. Non del tutto, almeno.
«Non mi sembri sicuro della tua scelta. Se hai bisogno di altro tempo per pensarci, fai pure. Io aspetto, sai.» tentò di rassicurarlo Shinji, non voleva certo forzarlo. Si rendeva conto di quanto la sua proposta fosse azzardata, di quanto potesse sembrare rischioso per Maayatan scegliere di formare una band con lui e lui soltanto. E Masahito, per quanto fosse orgoglioso e fiero, restava parzialmente insicuro ed indifeso. «No, ti ho detto che voglio farlo.» ribatté con una punta di offesa nella voce, come se fosse stato ferito nel sopracitato orgoglio da quelle parole del sempai.
Shinji penetrò con lo sguardo le sue iridi ambrate per qualche secondo, come in cerca della verità nascosta nell'animo del futuro cantante. Vi trovò paura, quella stessa paura che aveva scambiato -o a tratti diveniva- incertezza, e determinazione. Sorrise sollevato, «Bene!», tese la mano. «Un punto a noi. Eravamo a meno uno, ora siamo a zero. Ma da zero si parte sempre!»
Non è giusto dire che nacquero gli LM.C, affatto. Nacque il loro duo, la loro amicizia che, ora come ora, era talmente forte da esser talvolta scambiata per qualcosa di più. Erano talmente uniti che a tratti Maya dimenticava chi Shinji fosse realmente, aveva la sensazione che fosse il fratello maggiore con cui era cresciuto. E, a conti fatti, così era.
Quel giorno, il giorno in cui gli fu proposto di formare una band, fu lo stesso in cui si aprì la porta che dava sul sentiero luminoso verso il suo futuro. Quella porta che inconsciamente o consapevolmente stava cercando da un po'. Forse l'aveva trovata ma aveva paura di aprirla. Forse l'aveva già aperta ma non osava incamminarsi da solo. Restava lì, nel rassicurante calore del nido materno, al fianco di quel Miyavi che gli dava tante attenzioni facendogli quasi del tutto scordare che voleva di più dalla sua vita.
Era un re, Masahito. E come tale sentiva il bisogno di raccogliere i suoi sudditi e di accudirli amorevolmente, rassicurarli in tempo di guerra e dar loro la forza di andare avanti. Ma aveva anche bisogno di un consigliere fidato, e ne aveva trovato uno così paziente da accettare, addirittura, di essere definito principessa. Così paziente da sopportare tutti i suoi giochetti infantili.
Immagino dunque che sarebbe più corretto definire Masahito un principino, più che un re.

«A che stai pensando?» domandò curioso il cantante. «Uh, nulla...»
«Non mentirmi, stai sorridendo come un ebete! Cos'è che ti rende felice?»
«Ma nulla!» abbassò lo sguardo imbarazzato, ed un sorriso gli fuggì dalle labbra. «Allora sono io.» decise Masahito, innocentemente.
Però sì, era proprio lui.

























DE's:


Sì, non ha pretese. Sì, non ha un vero inizio e non ha una vera fine (ma credo che vi possiate pur abituare a questo genere di shot, per quel che mi riguarda), ma io la trovo una fic meravigliosa. Sì, 'fanculo l'umiltà. Amo questa fic con tutta me stessa, e lo sforzo che ci ho messo per scriverla è valso la pena in tutto e per tutto. Spero quindi che anche voi l'abbiate apprezzata altrettanto, e se così non fosse non importa. Piace a me, e questo mi basta. (Mi rendo conto di quanto possa far storcere il naso questo mio discorso, ma fa niente; ho detto semplicemente quel che penso.)
Tornando a ciò che ho scritto nella fic, non credo ci sia bisogno di dare spiegazioni, mi pare abbastanza chiara. Forse l'unica cosa che potrebbe non essere compresa è quella metafora sul re e i suoi sudditi. Cioé, ovviamente maya è il re e noi fan siamo i sudditi, spero almeno questo si capisca. Il "tempo di guerra" è l'adolescenza (perché immagino che siano seguiti perlopiù da adolescenti), e gli LM.C con la loro musica ci aiutano ad andare avanti, dandocene la forza, facendoci tornare il sorriso e mostrandoci quanto il mondo possa essere un meraviglioso giro sulle montagne russe, coi suoi alti e bassi. Almeno, per me gli LM.C sono questo. E molto altro.
Ultima cosa, credo. Se volete vederci un accenno di maya/Miyavi o Miyavi/maya chessia, fate pure. Io non ce lo vedo, però. (Per una volta, Dio grazie! nda)
Ora, come al solito, incito a farmi sapere che ne pensate. Che vi sia piaciuta o meno.
E vi ringrazio per il tempo dedicatomi.
A presto, forse.

Bad Spider.
   
 
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