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Autore: Exodus    06/10/2011    1 recensioni
Uno sguardo dietro le quinte in dieci atti, uno per ciascun Espada, più una Overture ed un Intervallo a sorpresa; una raccolta di racconti su passato, presente e futuro dei nostri dieci piccoli Hollow preferiti. Popcorn esauriti, Yammy li ha fatti fuori tutti.
Capitolo "Overture" secondo classificato nel contest "La semplificazione - II edizione" indetto da Only Me.
Capitolo "Quinta" primo classificato e vincitore del premio Originalità nel contest "Le Fleurs du Mal" indetto da Pagliaccio di Dio.

Capitolo "Septima" secondo classificato nei contest "Riflettori sui cattivi" indetto da AkaneMikael e "Gratta e Vinci... forse" indetto da Yuri_giovane_contadina
Genere: Commedia, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Espada, Gin Ichimaru, Sosuke Aizen, Tousen Kaname, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Octava

Voi che avete in sorte
 un ingegno perspicace,
 una mente alta e sagace,
 non abbiate invidia al forte,
 né all'illustre né al potente:
 basta a voi l'eccelsa mente.
                                                    
                                               (Giancarlo Passeroni)





Sorge il disco della luna sulle spiagge senza mare,
ove il sole mai non splende, niente albe né tramonti;
dalle tane gli animali se ne escono a giocare…
Forse voglion fare a gara, con canzoni e con racconti?


Attento, tu che leggi: qui non sei al sicuro!
Se un’occhiata al Mondo Vuoto hai deciso di lanciare,
sappi che nessuno sceglie di sua sponte qui arrivare,
non il  savio, il farabutto, tantomeno il cuore puro…
sappi che nel Mondo Vuoto vige la legge del più forte,
e le bestie in cerchio siedon sotto gli occhi della Morte…


«Orsù!» disse la Morte “La noia mi tormenta…
Parlate, raccontate, che la vostra voce senta!
La vita qui a Las Noches è un eterno dipartire,
perciò ora il vostro Re voi farete divertire!»


Seguì lungo silenzio; chi mai poteva osare?
Tra tutti solo il Lupo si metteva a sbadigliare…
«Temo che il mio racconto, grande e potente Sire,
sarà conciso e breve, poiché poco ho da dire…
Sono un lupo solitario, mio cruccio e mio dolore,
né amante né compagno che mi scuota dal torpore!
Che viaggi o che stia fermo, divorare è mia natura,
non ho posto in alcun branco, io che a tutti fo’ paura;
sai che invidia per il cervo, per il porco e per il bue…
io mi sento così solo… ah, se almeno fossi due!»


Al che udì la Pantera, che ne guidava sei,
il Toro a più riprese con tristezza sospirare;
già la cosa gli faceva vorticar gli zebedei,
ma saggio si costrinse pel momento a pazientare.


E la Rondine stridette «Ma che lagna, ma che pizza!
così pigro sei, scommetto, che nemmeno ti si rizza!
Come vuoi occupare l’ore, nelle terre tormentate?
Ma coperta di sudore, tra sveltine e ripassate…
Non esiste al Mondo Vuoto spettro, spirito od ossesso
con cui non abbia goduto dei piaceri dell’amplesso.
Se desidera il mio Re ascolterà la mia esperienza,
e potrei poi dimostrargli più d’un tipo d’obbedienza…»


«Rondine sei, ma a me pari… Cagna»
Sbraitò la Mantide inviperita,
«Ma chiudi la fogna e falla finita,
ché donna qui di parlar non è degna.
Il cerchio è posto per maschi rancori,
sfogati tra sangue ed atroci dolori!
Qui narrerò una feroce battaglia,
e quanti ne uccisi con falce che taglia!»


«Sei tu Mantide e t'illudi - o piccolo animale -
che non spetti ad una donna segnarti il dì fatale?
Se fossi nei tuoi panni, abbasserei la cresta…»
rispose il Capricorno, che volea tenergli testa.
«Mi dici cos’è meglio, che sedere in compagnia?
Sorridi al tuo vicino, lo prendi in simpatia…
Poiché nel Mondo Vuoto gli amici sono tutto:
con la giusta compagnia, puoi andare dappertutto!»



Interessante, pensò la Pantera,
più d’una femmina odia i villani…
v’è di sicuro almen una che, fiera,
un dì con la Mantide verrà alle mani.
Il mio naso non sbaglia, c’è odore di zuffa…
…ma che ***** ha questo Toro, che sbuffa?


Ruggì allora quella fiera e mostrò i denti al suo vicino,
non più Toro ma Vitello, or piangea come un bambino!
«Adesso, amico mio, mi hai spaccato un po’ i… palloni.
O ci dici che cos’hai, o per te sono ceffoni.»


«Ah, compagno, me malnato! Se sapessi la scarogna!
Fin da quando sono nato, son coperto di vergogna...
Proprio a me, così prestante, che tragedia, che sconforto…
proprio a me la cruda sorte riservò cotanto torto!
Dimmi, su: chi più di me, se non parla orgoglio vano,
tranne forse a parte te, chi più ardito, chi più sano?
Ciò mi rode ancor di più, ché di sei sono il più bello;
non mi va davvero giù… di avere un Verme per fratello!»


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E di nuovo fu silenzio, per un attimo e un momento:
poi un irresistibil onda corse per l’assembramento.
Sprofondata nel suo trono scoppiò a ridere la Morte,
e ben presto gran risate riecheggiaron per la corte…
«Hai ragione, Vitellino, a sentirti sì umiliato!
Fossi io nei panni tuoi sarei ancora più abbacchiato…
Fino a che sul trono d’ossa siedo io, che son la Morte,
non c’è spazio al Mondo Vuoto per colui che non è forte!
Sei davvero imparentato con quel piccolo codardo,
buono solo a strisciar via per nascondersi al mio sguardo?»


Tra le risa il triste Toro ficcò il muso tra le zampe;
così rosso ormai sembrava, che pareva aver le vampe!
Soffocando il largo ghigno, un artiglio sulla spalla,
sussurrogli la Pantera: «Era meglio dir ‘na balla…
Ti capisco, amico mio, la famiglia è importante,
ma se fossi al posto tuo, schiaccerei seduta stante
un mollusco di tal fatta, senza ardore né coraggio…
esser deboli è già brutto, ma costui è uno Scarafaggio!»


Come unghia su lavagna, e nasale come imbuto,
gridò allora una vocina, quando ognuno ebbe taciuto…


«Non è bello parlar male, quando uno è qui presente…
non è bello non stimare chi non è forte e potente!
Il rispetto che vi porto è, mio Sire, grande assai:
sono certo accoglierete chi ha passato tanti guai…
E’ corretto, non lo nego, circondarsi del possente;
se non ha la forza bruta, ogni esercito è perdente.
Ma signore, qui nel cerchio, quanti forti già ci sono…
e son certo, lo vedete, che il cervello è raro dono!
E’ mia colpa, fratellone, se son nato senza artigli?
In un mondo con le zanne, con aculei e con barbigli,
preferisco volar basso, e strisciare sottoterra…
ci son modi più sottili per combattere una guerra!
Difendetemi, mio Re, e con me la Conoscenza:
ci son mille e mille usi per l’esperto della Scienza!»


Così disse il Vermicello, senza scorger l’imprevisto,
perché alfine tra le corna la Pantera l’avea visto:
solo all’ultimo momento, prima d’essere schiacciato,
trillò acuto il derelitto nel balzar svelto di lato,
e sul capo del parente s’abbatté la fiera rabbia,
spinto da una dolce zampa ad inzuccarsi nella sabbia.


Non si arrese la Pantera, ed inseguì il magro bottino,
insidiato nella fuga da chi gli era più vicino:
lo Scorpione ad infilzarlo, e la Rondine a ghermirlo,
poi la Mantide a tagliarlo, l’Anaconda ad inghiottirlo;
e se il Lupo, sonnacchioso, via lo scaccia con la coda,
per un pelo il sommo Re con un’ascia non l’inchioda,
finchè all’ultimo momento, ansimante e ormai sfinito,
mise in salvo il suo cervello lì da dove era partito,
infilato che si fu in un buco nel terreno,
ingiuriato dal fratello con parole di veleno.


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E si rise ancora un poco dei recenti avvenimenti,
e a nessuno al tempo parve poter essere altrimenti;
rise tanto chi a suo agio si trovava in quell’inferno
quanto chi, con più mestizia, lo credeva un luogo eterno.


Tra le risa, solo il Grillo serio serio rimaneva,
e la Volpe sotto i baffi in silenzio sorrideva,
ed il Grillo se ne stava appollaiato sul suo orecchio,
sorreggendo tra le zampe un antico e picciol Specchio.


«Sottovoce dimmi, Grillo, osservando un po’ il riflesso,
la tua sincera opinione su quel ch’è accaduto adesso.
In particolar mi preme che tu osservi un po’ quel Verme,
che tutti hanno preso a calci poiché all’occhio sembra inerme;
Io ti dico il mio parere, è caval su cui puntare,
ché sospetto essere in lui molto più di quel che appare.»


«Vedo poco che mi piaccia, fiera furba e indisponente:
e nemmeno tu mi piaci, tu che hai lingua di Serpente.
Ciò che vedo nello Specchio è il futuro ch’ei ci dona;
e se il Re d’un regno vuoto appare qui senza corona,
è l’immagine del Lupo in qualche modo raddoppiata;
ecco vedo il Capricorno in un Agnello trasformata…
solo la truce Pantera resterà uguale a sé stessa,
e più intenso si fa l’odio che provavo già per essa.»


«Quanto al Verme che tu dici, a me provoca disgusto…»
“O compare, il tuo difetto: troppe idee su ciò ch’è giusto!
Non scordare, Grillo mio» ribatté piano la Volpe
«che siam qui per giudicare le premesse per un golpe!
Quello che lo Specchio mostra invero diverrà realtà,
e con tutte queste belve, un gran bel circo si farà;
mostreranno i loro numeri a quel pubblico lassù,
nel seguire il domatore a dar l’assalto al cielo blu.
Ed io vidi nello Specchio – e pare l’opera d'un mago! -
che quel Verme bistrattato, nel riflesso… sembra un Drago!»


------------------------------


Sorge il disco della Luna sulla candida fortezza,
dove il sole mai non splende, ma ora azzurro brilla il cielo;
son creazioni l’uno e l’altra dell’ingegno e d’acutezza,
costruite con la scienza, da colui che per un pelo
non svaniva nella polvere, nel nulla come tanti,
ma che sotto un nuovo Dio poté fare il passo avanti.


Nello spazio di un momento fu domata l’energia,
e ciò ch’era caos e zanne nominato biologia,
e colui che senza forza era appena un antipasto
condivise presto il desco con l’Adjuchas ed il Vasto;
poi si fece un’armatura di calcina e pietra sekki,
luogo ove dissezionare i colleghi troppo vecchi,
dove carne erano i muri e le finestre occhi attenti,
tanto per la sua delizia quanto per gli altrui tormenti.


Rise allora deliziato quel Dio angelo caduto,
 e gli disse poter fare ciò che a lui fosse piaciuto;
fu perché lo divertiva la mancanza di morale…?
Forse anche in lui vedeva dopotutto un animale…?
Certo verme, tigre e lupo hanno simile andatura
per chi ha forza ed intelletto e volontà in egual misura;  
tuttavia lo divertì, stando a quanto lì si dice,
lasciar che il novello Drago diventasse una Fenice,
ché in gran conto egli teneva il bruciar dell’intelletto,
e sperava di sfruttarne il potenziale a grande effetto.


Disse: «Fuoco contro fuoco devo opporre per trionfare
su quell’Idra ch’è nei cieli, e riscrivere la storia!»
E la celere risposta non fu certo una Cassandra:
«Sire, certo nuova fiamma può un incendio soffocare…
se sacrifico ragione, intelligenza e poi memoria,
tempo un mese Vi farò… una bianca Salamandra!»
«Va’! Che poco mi interessa, se ha il cervello di un bambino.
Per sfidare quella fiamma, ben dev’essere un cretino...»


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Passa il tempo al Mondo Vuoto, come in ogni dimensione;
molte belve son cadute nell’assalto al gran bastione,
ma sereni e compiaciuti sono il Dio ed i suoi alleati,
ché dell’Idra quattro volti sono già decapitati;
nella stanza dei bottoni ecco si apre il nero ponte,
per portare i tre più forti ad assaltare l’orizzonte.


Sulle mura s’è già spento ogni rumore di battaglia,
ma nell’antro sottoterra, in quel buio cupo buco
si misura il non-più-Verme con un ripugnante Bruco,
e si gioca tra due menti un’ultimissima schermaglia,
e sicuro è lo scienziato che gli arriderà la sorte,
poiché ora è una Fenice, che non teme più la morte.


Le sue carte gioca il Bruco, ma non riesce a fargli un graffio;
eppur viscido sorride, perché non ha mai scordato
che a coloro che, potenti, l’hanno sottovalutato,
anche lui, seppur strisciando, ha ben scritto l’epitaffio…


Non si avvede la Fenice, dai suoi resti risorgendo,
che quel Bruco è gran maestro di veleni e di tossine,
e che il corpo che ha lasciato ne contiene a dozzine;
tutto tronfio già si esalta, certo ormai di star vincendo…
Ma il momento del trionfo dura giorni, e settimane,
poi la lama lo raggiunge, congelando il fiero ghigno:
in silenzio egli si spegne, sulle sabbie ormai lontane,
la sua mente una prigione, e non più grandioso regno!


Scruta attento il corpo il Bruco, scuote il capo assai deluso,
mormorando un’orazione per il Verme sventurato:
«Stupidissima Fenice, potrai pure aver volato…
io davvero non ci tengo che il mio bozzolo sia schiuso!
A che pro poi farmi bello, diventare una  Falena?
Ciò che nasce presto muore… perché darsi tanta pena?
Preferire l’alto cielo, che il tuo occhio fa sfocato...
hai davvero un bel coraggio a definirti uno scienziato.
Chi si piega sopravvive! Ciò ch’è rigido si spezza!
...ma tu forse invero odiavi la tua innata debolezza.
Nella morte l'hai compreso, il fatale tuo difetto?
Invidiar colui ch’è forte… voler essere perfetto!»



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NdA: Dedicato a mia nonna, che ci ha preceduti nella Soul Society. Mi manchi... ma sono sicuro che ti abbia fatta felice la mia laurea, da lassù. Ti voglio bene.

NdA2: ....eh, già. Mi sono laureato, finalmente; triennale a Padova, ed ora nella malinconica Venezia. Vedremo mai la fine? Per il momento, dopo sei mesi, un altro capitolo... Finirà prima la specialistica o questa fic? Stay tuned!
  
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