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Autore: Miriam85    15/06/2006    10 recensioni
Un tuffo nei pensieri di Shanks il Rosso.
Non è nulla di più di uno studio del personaggio, che ho affrontato per tentare di giocarlo al meglio nella fan fiction che sto creando con la solita ed amatissima collaborazione di Shainareth.
I consigli sono sempre i benvenuti.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi, vecchio in un mese arido,
Mentre un ragazzo mi legge, aspettando la pioggia.



Ora vi narrerò la storia di un pirata. Era un bellissimo uomo, codesto imbattibile corsaro, dalla fulva chioma rossa, occhi brillanti d’intelligenza ed ammaliante sorriso capace di far svenire la maggioranza della popolazione femminile in un sol colpo; un gran bel pezzo di figliolo, per riassumervela in breve.
Ero io. Shanks il Rosso. Il più audace, sagace, mordace, vivace… ed immodesto tra i pirati. Oltre che il più affascinante, come ben avrete intuito. Non v’è uomo, ma soprattutto non v’è donna in questi mari che non conosca la fama del mio nome; e della mia infinita bellezza, ovviamente.
Sono un pirata; ci sono nato, pirata, l’ho avvertito come scritto sulla pelle. Sin da marmocchio, bruciavo di questo desiderio, che scorreva in me come vi scorre il mio stesso sangue; così, un giorno qualunque, m’imbarcai. Trovando infine la mia vita.
Il mare, le sue onde; i tramonti, i mezzogiorni, le albe: tutti riflessi sul giocoso movimento delle cristalline, infinite, immortali acque. Questo vedevo, ogni giorno, e per questo ringraziavo gli dei che mai ho adorato, né mai adorerò. Eppure li ringraziavo. Grazie per questo mare. Grazie per questa nave. Grazie per questa esistenza.
Un uccello, nel suo librarsi nell’azzurro del cielo, mai potrà sentirsi così totalmente libero, quanto lo ero io; in quei momenti di silenzio assoluto, di quiete sospetta, quando l’equipaggio era tutto preso a dormire o ad abbuffarsi… o a fare entrambe le cose contemporaneamente, loro solo sapevano come… era in quegli attimi che sentivo d’aver realizzato qualcosa. Neppure io sapevo cosa, però c’era questa consapevolezza. Non avevo bisogno d’altro.
La mia vita era così: navigavo per i mari; ero un buon pirata; ero felice. Miseria, sembra un epitaffio funebre. Non sarebbe male, come epitaffio.
La rocambolesca vita del pirata non mi ha mai spinto ad alcuna riflessione su me stesso, o sul mio futuro o sul famoso Scopo che ogni uomo dovrebbe avere nella propria breve vita; e, ammettiamolo, ne ero ben lieto: troppi pensieri avrebbero potuto rovinare un cervello straordinariamente fino come il mio. Di questo ero stramaledettamente convinto. Credo che ciò basti a spiegare certe mie azioni a dir poco idiote. O forse no. Che importa? Stavo bene.
Ma poi, sapete, arrivò quel bambino. O meglio, fui io ad andare da lui.
Era un moccioso, un cuccioletto spelacchiato che trovammo in quella deliziosa locanda, dove bere era un sacrosanto piacere. Aveva una grinta eccezionale, il piccolo. Mi osservava, osservava gli altri, e chissà come i suoi occhi brillavano nell’ammirare il lerciume che ricopriva i miei uomini. Beh, certamente non ricopriva me: quando lo sporco mi vedeva, sapete, cadeva in venerazione, rifiutandosi di addossarsi alla mia persona. Cosa sono quelle facce? Sto scherzando. Forse.
Però avreste dovuto vederlo, quel ragazzino; io lo guardai, ed anche a lungo. Ero ipnotizzato. In lui rivedevo un me stesso più giovane, altrettanto ambizioso, altrettanto bisognoso di trovare la propria identità nella gloriosa fuga per i mari. Sapevo, anzi sentivo, che sarebbe divenuto un pirata. E, sotto sotto, nascosto dalla maschera del mio sorriso, mi era doloroso non accettarlo a bordo. Ma cercate di capirmi. Era così giovane…
Non intuii ciò che il mio incontro con quel bambino avrebbe portato ad entrambi. Ci sconvolgemmo la vita a vicenda. In senso positivo, sia chiaro.
Mangiò un frutto del diavolo, a causa della mia disattenzione. Un frutto del diavolo! La peggior maledizione, che annienta per sempre qualsiasi ambizione a prendere il mare: chi ne mangia uno, è condannato a non saper nuotare. Ad affogare miseramente tra i flutti. Eppure, la cosa lo fermò? Lo arrestò? Lo intimidì?
Suppongo conosciate già la risposta. Conoscete già anche il resto della storia?
Per farla breve: fu per salvarlo, che persi questo stupido braccio. Fu nel disperato tentativo di strapparlo alle fauci di un maledetto mostriciattolo marino.
E quanto pianse, quanto urlò, quanto si disperò quell’indifeso ragazzino. Non fu l’unico. Sinceramente, non capii il motivo di tanta agitazione. Né mai lo capirò, temo.
Ora quel ragazzo gira per i mari. Indossa il mio cappello di paglia, quello che premetti sul suo giovane capo, l’unico tangibile simbolo di quella promessa che ci facemmo a vicenda.
E’ il mio erede, credo. Provo per lui l’affetto di un padre. Ora so che, in tutta quella maestosa libertà promessami dal mare, qualcosa mancava. Non riuscivo a coglierlo, eppure vi era un piccolo spazio vuoto. Che quel giovane, chiassoso Rufy ha inconsapevolmente colmato. Viaggia, moccioso. Viaggia e fatti valere.
Ancora oggi, vecchi amici pirati decidono di farmi visita. Di bere decisamente qualcosa di più di un semplice goccetto in mia compagnia, proposta alla quale non so – né voglio – dire di no.
Però non resistono. Prima o poi devono chiedermelo. E’ come se il loro organissimo necessitasse di espellere quel bruciante quesito. E alla fine sparano a zero: “Shanks… perché? Hai perso un braccio.”
E’ divertente osservare le loro facce, mentre, sfoggiando il mio sorriso più folle e carismatico, ribatto: “Non ho perso un braccio.” e qui faccio una pausa, solitamente per bere. Perché voglio che loro riflettano; vorrei che qualcuno capisse, una volta o l’altra. Ma finora ho incontrato solo mammalucchi che mi fissavo a bocca aperta, senza afferrare il nocciolo della questione. Quindi, lieto, asciugandomi distrattamente le labbra, aggiungo: “Ho salvato il sorriso di un bambino.”







Ebbene, che dire? Ho lavorato su questo studio mentre aspettavo di essere interrogata per l'esame di didattica generale. Se state pensando che sono pazza, la risposta è ovviamente sì.
Shanks mi ha sempre affascinato. Eppure ho sempre sentito l'essenza del suo personaggio sfuggirmi, come una pestifera anguilla.
Questo è ciò che ho tratto sinora su di lui. Se avete qualcosa da aggiungere, vi prego di farlo. Io adoro gli spunti nuovi.
Se siete arrivati sino a qui, come sempre vi rngrazio e saluto. Con un bacio.
Miriam
  
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