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Autore: xNewYorker__    13/10/2011    2 recensioni
Jennifer's Body, semi-otherverse.
Tredici anni con Jennifer e Needy attraverso le peripezie facenti da "contorno" a questa strana amicizia, a partire da come tutto è iniziato, ogni anno da un punto di vista diverso, le due si alternano per raccontare passo dopo passo gli eventi che hanno caratterizzato le loro vite dalla tenera età. Per chiudere in bellezza, Chip ci narrerà a proposito del tredicesimo anno, incluso il fatidico ingresso al liceo. Il tutto con un pizzico d'ironia e sarcasmo, e forse una leggera aggiunta di melodramma alla Needy. Possibile qualche inserimento di personaggi da film "molto a caso"!
Genere: Comico, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Incompiuta
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((Needy says…))
 

Ero davvero troppo abituata a giocare in giardino con le mie bambole. Beh, avevo due anni e mezzo, non potevo fare altro, anche se volevo imparare a leggere più di ogni altra cosa, per poter arrivare all’asilo come una bimba con una marcia in più.
Quel pomeriggio ero davvero eccitata, era il giorno del mio terzo compleanno, così saltellavo qua e là tra l’erba, rigogliosa e verde, quasi come se fosse felice insieme a me.
-Needy! Vieni dentro, c’è una sorpresa!-
La voce di mia madre mi risvegliò, così tornai in casa, ora più euforica per la sorpresa, senza smettere di saltellare. Spinsi la porta, così tanto più alta di me e così pesante, ed entrai. Andai in salotto, dove il divano sul quale spesso dormivo era occupato da due persone: una donna e una bimba di pressappoco la mia età, così simili, ma con sguardi del tutto opposti. Entrambe passarono dal fissare mia madre a fissare me. La donna sembrò intenerita dal mio faccino spaesato e dai miei occhietti verdi che attenti scrutavano il suo volto e quello della figlia, la quale però mi fissava in modo definibile con qualsiasi termine, eccetto tenero.
Sembrava che mi odiasse già a pelle, mentre io, piccola e cauta, avanzavo verso il divano e osservavo mia madre, che in silenzio m’intimava di sorridere alle nostre gradite ospiti. Lo feci, forse un po’ troppo tirata, ma la donna sembrò soddisfatta, e mi sorrise con calore, porgendomi la mano. –Ciao, piccola!- Esclamò, fin troppo entusiasta, talmente che non la compresi. Cosa c’era di così fantastico nel vedermi? –Ciaaao- Risposi, poggiando la mia manina sulla sua. –Tu devi essere Anita!- Disse, dopo qualche altro secondo a fissarmi in silenzio. –Dovrei- Ero consapevole di sembrare antipatica, ma che poteva importarmene? Aveva interrotto la mia solitaria festa di compleanno! (Sì, provavo immenso gaudio nel saltellare come una gazzella, da sola, per il mio compleanno) Non volevo che qualcuno passasse, all’infuori di mia madre, quel giorno con me. La strana donna rise, e io inclinai il capo a destra, ancora immensamente confusa. –Mamma, qual è la sorpresa?- Chiesi, quindi, osservandola. –Giusto! Allora, loro sono le nostre nuove vicine di casa. Potrai fare amicizia con la figlia di Danny!- Danny, ecco come si chiamava la donna. Non ero felice della notizia, ma improvvisai una smorfietta, che ancora una volta, a Danny sembrò adorabile. Danny, poi, che razza di nome era per una donna? Chissà qual era il suo vero nome!
Se ve lo state chiedendo: sì, questo era l’unico problema che mi ponevo sul momento. Che c’è? Ero una bambina, oh!
Dicevo… -Okay…- Dal mio tono non traspariva neppure un po’ d’entusiasmo, e a dire il vero neanche l’altra bimbetta (che continuava imperterrita a squadrarmi da capo a piedi) sembrava poi così felice di potermi conoscere. –Forza, fai ciao!- Disse Danny alla figlia. Lei sollevò la manina destra, la mosse lentamente da un lato all’altro, sbuffò.
-Ciao…- Io sussurrai la medesima parola, senza però muovermi più di quanto avessi già fatto. La madre le toccò una spalla, e lei scese a terra con un saltello e mi venne incontro, restando a distanza di una ventina di centimetri, come una rigorosa damina dell’Ottocento. Tese il braccino verso di me. L’imitai, e le strinsi la mano.
-…Piacere di conoscerti, seh. – Fece una pausa, e l’attesi senza fiatare: era evidente che volesse aggiungere qualcosa, forse il suo nome. Di sicuro io non glielo avrei mai chiesto.
-Mi chiamo Jennifer Check- si voltò verso la madre, che mosse una mano, come a dire “continua”.
-ma tu, se ci tieni, puoi chiamarmi Jen- Caspita, come parlava bene per avere la mia età! L’invidiai da subito. E il lessico non era l’unica cosa che potevo invidiarle.
Era poco più alta di me, snella, sembrava più grande di almeno un anno (e forse lo era), in più era davvero carina.
Lunghi capelli neri le contornavano il visino, dalla pelle chiara come porcellana, nel quale erano incastonati un paio di furbi occhietti tra l’azzurro e l’indaco, austeri ma luminosi. Un accostamento insolito, raro, ma davvero affascinante. Era una bambina, lo era sicuramente, ma non lo sembrava affatto.
Sollevò gli angoli della bocca, schiudendo le labbra in un sorriso e mostrando appena una fila di dentini praticamente perfetti.
E io, in maglioncino, jeans e calzini, una Barbie nella mancina e un dente mancante, per la prima volta seppi cosa voleva dire vergognarsi del proprio aspetto. Eppure dicevano che ero bionda, vispa e carina, dolce, simpatica, curiosa, intelligente.
Ma mi sentivo stupida, per davvero.
Una…così non avrebbe mai potuto essere mia amica!
Ma non doveva capire quanto l’invidiassi. L’avrei trattata come una uguale a me. Sorrisi anch’io.
-Anita Lesnicky, ma Needy è meglio- Dissi, poi l’invitai ad andare in camera. Mi seguì all’istante, mentre le nostre madri erano entusiaste. E io continuavo a sentirmi un’idiota, ma fingevo di essere al mio agio con lei.
Non immaginavo di poterle essere simpatica. Ma era così, ed ero felice. Non sarei andata all’asilo da sola, almeno.
E iniziai a pensare di chiedere a Jennifer d’insegnarmi a mettere gonnelline e a parlare con una voce da idiota.
Ovvio, avrei detto “persona meno intellettivamente dotata”, idiota sarebbe stato offensivo! 

   
 
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