Kyo
Sono
tornato nel vecchio pub per salutare il proprietario, che è rimasta forse
l’unica faccia amica che mi è rimasta in questo vecchio giro.
Mi
siedo al bancone e ordino da bere; con un sorriso , quasi un ghigno sulle sue
labbra deformate da una grande cicatrice, mi serve una vodka con ghiaccio.
Ringrazio e mi alzo per andarmi a cercare una poltrona libera in qualche angolo
del locale sorseggiando il mio drink.
Non
appena mi sistemo il mio sguardo vaga tra la gente finché non si posa su un
ragazzo, seduto poco lontano da me, che guarda con sguardo vitreo davanti a sé.
I suoi occhi, neri, sono specchio di un oscurità dalla quale non può uscire.
Conosco
bene quell’espressione…perché l’avevo anche io fino a qualche mese fa.
Ero
sempre seduto in un angolo del pub che fissavo il vuoto e scorrevo i volti
degli sconosciuti che entravano nel mio campo visivo con passività.
Ero
sempre fatto. Per niente incline alle chiacchere, aspettavo da solo l’arrivo
dello spettacolo delle una con qualche puttana o ragazzino sperduto a caccia di
soldi in più.
In
cambio di quelli, potevi fargli tutto quello che è sessualmente permissibile.
E
anche quella sera, la sera in cui lo vidi per la prima volta, aspettavo solo un
corpo che mi sfamasse. Abbagliato dai suoi lineamenti e dalla vitalità dei suoi
occhi, così paurosamente lontani dal buio in cui erano rinchiusi i miei, lo
fissai per tutta la sera.
Di
sicuro era un novellino, un ragazzino squattrinato che non voleva pesare sulle
spese dei genitori. Quando sfilò davanti a me allungai una mano per
trattenerlo, ma con un semplice gesto, quasi casuale se non l’avessi visto
voltare lo sguardo su di me, si scansò e andò a sedersi altrove.
Rimasi
sconcertato per il resto della nottata. Fissavo il sorriso pudico che rivolgeva
ad un altro uomo, che aveva di sicuro più di me, mentre gli stava seduto sulle
ginocchia e sorseggiava champagne da un calice stretto.
Da
quando in qua hanno il diritto di scegliersi l’acquirente? Lo pensai con
malignità.
La
sera dopo ero andato al pub con il preciso intento di chiederne l’identità, ma
non mi seppero dire niente se non uno pseudonimo che ricorreva nei locali che
frequentava e diverse età dichiarate. Uruha . alla fin fine sapevo solo questo
di lui. Che il suo pseudonimo era quello. Per la paura di non saperlo
riconoscere bene o di perdermi in qualche buio recesso della mia mente, quella
sera non mi feci.
E
neanche quella successiva
Nell’impazienza
di riuscire a scorgerlo tra le sagome illuminate dalle luci colorate sinistre
di quel remoto spazio cubico, nell’intenzione di dargli una lezione.
Sarebbe
stato mio, lo avrei pagato bene, se erano tanti soldi quelli che voleva glieli
avrei dati. In famiglia i soldi non mi mancano davvero, e anche se durante il
giorno porto il mio corpo in giro con quel muso unto di mio padre per farmi
conoscere dai suoi collaboratori, nessuno sa cosa faccio della mia vita. A
nessuno è mai importato qualcosa.
E poi
anche a me non è mai importato molto di fare buone impressioni, ma i soldi sul
mio conto ce li versa il mio vecchio, allora è bene assecondarlo.
Ma
l’astinenza è cara da pagare. Avrei bruciato vive tutte le forme di vita che mi
si paravano davanti. Nessuna era lui, e io lo volevo. Bevevo in compenso, tanto
da farmi dimenticare i dolori di una mente disturbata che anelava ad altre
assuefazioni.
Quando
,a due settimane di distanza dalla sua apparsa al pub, stavo per tornare a
farmi, incenerendo la mia bramosia di qualsiasi altro piacere, i suoi occhi
tornarono a fissare i miei.
La
loro luce era vivida, un arcobaleno di forze racchiuse in due occhi che
sembravano troppo piccoli per ciò che racchiudevano. Le labbra carnose un
sigillo ad un volto pulito, che era bizzarro ritrovare in quel buco di posto.
Mi
alzai, ogni singola cellula di me, si sentiva attratta da lui.
Non
era perversione la mia.
Era
istinto.
I suoi
occhi colorati di emozioni che io non avevo mai visto, puri della cinica realtà
che aveva contrastato tutta la mia esistenza, la voglia di vivere che non mi
apparteneva.
Lui
trasudava tutto ciò che io non avevo mai avuto.
Tutto
ciò che era in me urlava : lui è la cosa giusta.
Non
alzai un dito per trattenerlo stavolta : con passo lento e un sorrisetto
compiaciuto si fece strada verso di me.
“allora, come ti chiami? “ chiese sempre
sorridendo, e i suoi occhi vestiti di trucco leggero si accesero.
Quando
finalmente esco dal locale, le strade buie mi fanno provare un senso di
irrequietezza. La paura che ci sia sempre qualcosa di spaventoso dietro
l’angolo.
Per la
prima volta in tanti anni avevo finalmente qualcuno da proteggere, qualcuno che
mi potrà insegnare a vivere.
Sono
andato via da casa dei miei. Le mie entrate mi permettevano già un piccolo
appartamento, e dato che le presenze a lavoro con mio padre mi portavano via
solo poco tempo, mi ero messo a cercare un altro impiego. Alla fine, mi
assunsero per un subdolo part time in un Burger King, che però mi avrebbe
aiutato bene a pagare le bollette.
Con me
c’era sempre lui.
Kou ,
il mio piccolo miracolo, aveva trovato lavoro in un agenzia pubblicitaria.
Non
era per niente stupido, aveva studiato molto, la sua diplomazia lo avrebbe
portato in alto.
Venne
via dal buco di appartamento in cui viveva, solo dopo un mese che ci
frequentavamo. La sua vita notturna , finì.
Il suo
corpo, teatro di atroci violenze da parte delle persone che più amava, tra cui
suo padre, non avrebbe più dovuto essere esposto ed usato da vecchi ubriachi o
pazzi fatti, come lo ero io.
Uscire
dall’ambiente lo aveva costretto a cambiare di nuovo nome, ma la sua vera
identità bastava che a custodirla, per lui, ci fossi io.
Anche
se le nostre vite erano nettamente contrapposte, eravamo riusciti ad unirle. Un
po’ di quella luce che riveste i suoi occhi ,sta incominciando a rischiarare
anche i miei iridi.
Non è
più il luccichio artificiale della droga che avevo in corpo.
È la
luce spontanea di una vita che aveva ripreso a scorrere.
Lui
era tutto ciò di cui avevo bisogno. Il mio corpo, benché con tantissime
difficoltà, stava riuscendo a sopportare l’astinenza.
All’inizio
la situazione era ben più critica. La sola forza di volontà non cambia una
persona e fui costretto a cercare di disintossicarmi in un centro. Il che portò
ai miei genitori la notizia. Mio padre mese a tacere i medici con i soldi, e la
sua reputazione ne sarebbe rimasta ben altro che lustra.
Ma
davvero, ora mi sento di vivere questa vita.
Quando
rientro a casa trovo la luce della cucina accesa. Kou è in vestaglia seduto al
tavolo che legge concentrato alcuni fogli, sicuramente di lavoro.
Mi
avvicino piano per circondare le mie braccia alle sue spalle.
“ hai
fatto tardi “ lo sento sussurrare, prima di posare una delle sue mani su un mio
braccio e stringere delicatamente.
“ Ho
salutato alcuni amici “ rispondo evasivo.
“ sei
stato dal vecchio? “ chiede con una punta di sofferenza nella voce.
Niente
da fare non gli si può nascondere nulla.
“ si
ero là solo per vedere se era ancora vivo…” rispondo sarcastico.
Si
volta a guardarmi, nei sui occhi c’è un ombra di cui non capisco la
provenienza.
“ ti
ha riconosciuto nessuno? Lo sai che quella strada è pericolosa per te…”
risponde con tono grave.
Da
quando sono uscito dal giro, ovviamente qualcuno chiede di me. Gli spacciatori
hanno la coda di paglia e non vogliono che io faccia nomi.
“ non
preoccuparti, Kou, nessuno mi ha visto “ rispondo sincero prima di sfiorargli
le labbra con le dita.
Socchiude
gli occhi e avvicina il suo volto al mio.
Ogni
volta baciarlo è come la prima. Il suo profumo delicato ,adatto a quella pelle
fragile e piena di cicatrici, mi porta in un mondo dove anche la luce profuma
di lui. Dove posso gustare la sua essenza ovunque.
Spesso
mi sono chiesto se l’oscurità nei miei occhi non avrebbe spento la sua vita.
Ero terrorizzato e non volevo più vederlo. Ma ogni volta che lo baciavo, finivo
inevitabilmente con il desiderarlo con tutto me stesso.
Lui
era più potente della droga.
Accarezzavo
ogni centimetro della sua pelle, ne gustavo il sapore dolce sulla punta della
lingua. Ogni sospiro era una carezza che mi solleticava il viso. Ogni gemito la
risposta a ogni mio movimento si di lui.
Non
c’era altro da desiderare se non quello.
E
ancora, a volte, rido del destino, che ha fatto calpestare al mio piccolo
paradiso, il sudicio suolo di un pub immerso nell’oscurità di un quartiere dove
la morte è più presente della vita.