Francesca’s
POV
Sentivo un caldo insopportabile sotto il
pesante e ampio vestito di mussola verde che portavo. Ed ero in
viaggio. Di
nuovo. La nostra vecchia casa in Francia era già diventata
troppo sospetta: la
gente iniziava a domandarsi perché nessuno la nostra
famiglia non invecchiasse,
perché i segni del tempo sembravano non scalfirci
minimamente.
Così eravamo tornati in Italia, la
patria nella quale eravamo caduti… in un certo senso la
nostra più intima
origine terrena.
Vedevo la campagna toscana sommergere il
panorama notturno, quasi a voler abbracciare la nostra carrozza che
correva
velocemente alla volta della città nella quale avremmo
passato gli anni
successivi.
Guardai i miei fratelli: Elijah e Niklaus.
Nonostante la loro somiglianza fisica,
erano molto diversi caratterialmente e ogni volta che io e Nik,
afflitti da
anni di solitudine, ci presentavamo al mondo come moglie e marito e non
come
fratello e sorella, vedevo nostro fratello storcere il naso. Lui
riteneva i nostri
giochi di Potere qualcosa di estremamente stupido e effimero, di certo
non
degno di essere ricordato.
Il punto è che, per quasi quattromila
anni, l’unica cosa alla quale mi ero interessata veramente
era appunto il
Potere. Non mi importava che per averlo avrei dovuto uccidere qualcuno,
scavalcare persone o usarle: mi importava solo di me stessa.
Ripensandoci, ero terribile. Ma quelli
erano gli anni con meno rimorsi, senza alcun rimpianto e nei quali
potevo
saziare la mia sete in qualsiasi modo possibile.
La
carrozza si fermò.
Qualcuno era sulla nostra stessa strada:
riuscivo a sentirne il pulsare ritmico del cuore, il sangue che
scorreva nelle
vene, il respiro quieto… E altri cavalli.
“E’ un’altra carrozza” osservai
ad
alta voce, rivolgendomi ai miei fratelli. “Sì, e
ora tocca a te… Non ci hanno
ancora visti: ti va di fare il nostro giochetto?”
domandò ammiccante Niklaus.
Io annuii e scesi dalla carrozza. Lui si stese inerme sul terreno
brullo,
mentre io già correvo verso il veicolo ancora in movimento.
“Aiuto! Aiuto!” urlai, fino a quando
qualcuno mi sentì e arrestò la carrozza. Era un
uomo con pancia prominente e il
fiato che puzzava di birra. “Signorina, voi cosa ci fate su
una strada deserta
a quest’ora della notte?” “Oh, io e mio
marito stavamo tornando verso casa,
quando dei briganti lo hanno assalito! Vi prego, aiutateci.
E’ steso lì per
terra” indicai Nik, che fingeva perfettamente di essere
morto. Non riuscivo
neanche a percepire il movimento del petto che si sarebbe dovuto alzare
e
abbassare ritmicamente.
Il signore si avvicinò a mio fratello,
cercando di sentire il battito cardiaco. Di sicuro non si aspettava che
il
morto lo agguantasse e gli perforasse il collo.
Bevemmo tutti e due, uno a sinistra e
uno a destra. Il suo sangue non era dei migliori ma di sicuro era
meglio di
niente. Elijah si rifiutò di scendere: pensava di dare
nell’occhio.
“Signor Lombardi? Cosa succede là
fuori?”
era la voce di un ragazzo dalla spiccata cadenza fiorentina.
Scappammo velocemente dietro agli
alberi, in modo che il garzone che stava scendendo non ci potesse
vedere. Mi
pulii il sangue dalle labbra con il fazzoletto da taschino di mio
fratello e
poi, coperta dall’oscurità che avevo attirato a
me, osservai silenziosamente il
garzone.
Rimasi stupita quando vidi che non era
vestito da umile ragazzo fiorentino, ma con un ampio mantello rosso e
pregiati
stivali di pelle. Aveva i capelli biondo scuro e due magnetici occhi
verdi,
vivi e accesi.
Occhi
vivi…
Ogni
tanto, mi mancava essere
propriamente viva… Soprattutto quando vedevo ragazzi pieni
di spirito proprio
come quello. Immaginai il sapore del suo sangue sulla lingua e questo
quasi
bastò a farmi saltare la copertura. “Damon! Vieni
subito fuori!” dalla carrozza
uscì un altro ragazzo ben vestito…
avrà avuto circa due anni in più di quello
con gli occhi verdi, anche se ciò che mi stupì a
quel punto non fu il mantello,
bensì il suo viso.
Era perfetto, fin troppo per un ragazzo
umano. E i suoi occhi erano di un azzurro così chiaro che
faceva quasi paura:
occhi di ghiaccio, più chiari dei miei. Mi venne voglia di
mettere le mani nei
folti capelli scuri di quel ragazzo e poi di morderlo e prosciugarlo
fino all’ultima
goccia di sangue.
“E’ ora di fare la parte dei buoni
samaritani”, mi sussurrò mentalmente Nicola.
Io annuii e piombammo al di fuori dell’oscurità.
“Bontà divina, cos’è successo
a quest’uomo?”
domandai fingendomi terrorizzata, da brava dama dell’epoca.
“E’ il nostro
cocchiere, il signor Lombardi… qualcosa lo ha
assalito” disse il ragazzo con
gli occhi verdi. “Oh, quindi non sapete come tornare a
casa?” quando pronunciai
quella frase, mi accorsi che occhi di ghiaccio mi stava fissando in
maniera
strana.
Certo, era ovvio che con il mio aspetto
attirassi l’attenzione, anche perché al tempo le
donne non avevano molto tempo
per badare alla loro immagine. Avevo capelli castani mossi come un mare
in
tempesta, occhi azzurri e un fisico che le
“ragazze” di diciott’anni - tutte
ormai maritate e con almeno due figli- non potevano neanche
fantasticare di
possedere.
Ma il modo in cui mi osservava, mi
scrutava l’anima, mi mise quasi in imbarazzo.
“Dove siete diretti?” domandò Niklaus.
“A
Firenze” rispose occhi di ghiaccio continuando a perforarmi
l’anima con lo
sguardo. “Perfetto. Vi potremmo accompagnare noi…
Ci stiamo trasferendo lì
perché nostro padre ci ha lasciato un feudo”
esclamai cercando di non
interessarmi al ragazzo che ancora mi guardava. Ma qualcosa mi spingeva
a
guardare anche lui, come se fossi stata obbligata da qualcosa con
più Potere di
me.
“Permettete di presentarci. Io sono Nicola
Sannino e questa è mia…”
“…sorella” conclusi io, dando ragione
per una volta ad
Elijah. “Il mio nome è Francesca”
strinsi la mano a tutti e due. Quando toccai
la pelle di occhi di ghiaccio, ebbi una scossa.
L’attimo durò un’eternità.
Poi mi riavvicinai a Nik, mentre loro si
presentavano. A parlare fu proprio occhi di ghiaccio. “Il mio
nome è Damon
Salvatore e questo è mio fratello, Stefan Salvatore.
E’ una vera fortuna che ci
siamo incontrati… Il nostro feudo è vicino al
nostro e stavamo tornando verso
Firenze proprio perché ve lo avremmo dovuto mostrare
l’indomani” li guardai
sorpresa. “Così giovani vi occupate degli affari
di famiglia?” “Sì” rispose
Damon. “Nostro padre vuole responsabilizzarci e ormai
è troppo stanco e vecchio
per lavorare” “Che gesto
nobile…” osservai io con una voce mista tra la
falsità
e la compassione.
“Saremmo lieti di riaccompagnarvi in
città, se solo ce lo permetterete”
esclamò Niklaus pieno di un entusiasmo
teatrale.
Damon.
Damon
Salvatore.
Mi
accorsi solo dopo qualche secondo di
averlo fissato per troppo tempo.
Mi voltai con indifferenza e feci
ondeggiare l’ampia gonna verde bosco verso la nostra
carrozza.
“Ora se ci voleste seguire…” ma era
troppo tardi, e me ne sarei accorta solo in
seguito.
Qualcosa, qualcosa nel mio cuore
millenario, nelle mie ali ormai inesistenti, scattò con quel
semplice contatto
visivo.