Love sucks
Quel giorno, a Mystic Falls, non c’era nulla che non sembrasse perfetto.
Il sole illuminava il vasto giardino e il labirinto di Villa Veritas, accendendone i colori. I rossi papaveri spiccavano sul verde chiaro dell’erba; le viole avevano sfumature incredibili.
Un Damon Salvatore di dieci anni scorazzava allegramente intorno ad un grande frassino, all’ombra del quale, una bellissima donna bruna, proteggeva la sua candida carnagione lattea dai forti raggi.
Odette Salvatore osservava, divertita e intenerita al tempo stesso, il figlioletto, che continuava ad esibirsi in agili capriole, urlando:
- Mamma, guardami! Guarda che so fare!
D’un tratto, il piccolo rallentò la sua corsa, fino a fermarsi del tutto, e cominciò a contemplare un nontiscordardimé che sbucava solo, in mezzo all’erba.
I limpidi occhi celesti – almeno quattro volte più chiari del fiore, sembravano, però, quasi persi nel vuoto.
- A cosa pensi, tesoro mio?
Alla donna non era mai sfuggito niente, quando si trattava dei suoi due figli, nemmeno un cambiamento d’espressione sui loro volti.
In quel momento, osservava il maggiore incuriosita, con un lieve e sereno sorriso sul volto, che le accendeva maggiormente lo sguardo – dello stesso identico e abbacinante colore di quello di Damon.
Il ragazzino si voltò verso la madre e le sorrise, timido. Si avvicinò al tronco del frassino e si sedette a qualche centimetro di distanza dall’ampia gonna di broccato dell’abito della madre.
- Su, dimmi pure -, lo incoraggiò lei, coprendogli le manine con le sue.
Damon si morse il labbro inferiore.
- Voglio sapere cosa devo fare per conquistare la donna che amo -, disse tutto d’un fiato.
Poi arrossì violentemente e spostò lo sguardo sulle mani della madre e le sue.
Odette sorrise teneramente e fece una breve risata, ma senza neanche l’ombra di scherno.
- Beh, io non so che tipo sia la donna in questione, ma a tutte noi, senza alcuna eccezione, piacciono gli ometti ben vestiti, puliti e pettinati -, disse, lanciando un’occhiata ammonitrice agli scarponcini infangati, alla camicia un po’ sudicia ai bordi e ai disordinati capelli corvini del figlio, da cui sbucavano, di tanto in tanto, sottili fili d’erba.
Damon annuì, serio, come uno scolaro di fronte al proprio insegnante che gli stava impartendo un’importante lezione.
- E poi vogliamo un uomo che sia romantico e che ci riempia di doni.
Damon parve perplesso.
- Che tipo di doni?
- Doni semplici, fatti con sentimento. Come quello -, disse, indicando il nontiscordardimé. – Qualunque dono, anche il più umile, diventa bellissimo se fatto con il cuore.
Damon si fermò a riflettere un attimo. Poi torno in sé, si alzò da terra e colse il piccolo fiore.
Donò ancora un sorriso di ringraziamento alla madre, prima di correre in direzione della Villa.
Corse a perdifiato per i corridoi, facendosi rimproverare dai domestici per ben tre volte, finché non raggiunse le sue stanze.
Si lavò, si pettinò, indossò la sua camicia più bella e si lasciò persino lucidare le scarpe.
Poi, recuperò il fiore e scese al piano di sotto, alla ricerca di Kathy.
- Padre! Padre, avete visto Kathy?
- La Signorina Pierce -, lo corresse Giuseppe Salvatore, con sguardo severo, - sta studiando, in salone, insieme a tuo fratello Stefan. E tu non devi per nessuna ragione disturbarli. Sono stato chiaro, Damon?
Ma il bambino non lo ascoltò e riprese la sua corsa, ignorando le minacce del padre, alle sue spalle.
Quando fu davanti alla stanza, silenziosamente, socchiuse l’alta porta di mogano e sbirciò all’interno.
Katherine sedeva sul divano in velluto bordeaux, vicinissima al fratello, che reggeva un grosso libro sulle gambe e leggeva versi di Shakespeare.
Lui era, come sempre, impeccabile, coi suoi vestiti costantemente puliti e i capelli mai in disordine.
Lei indossava un vestito bianco, ricamato sul corpetto, e i riccioli bruni, perfettamente acconciati, le ricadevano sulle spalle fino a sfiorarle la sottilissima vita.
Quando Stefan terminò il sonetto, Katherine lo guardò, aprendosi in un ammaliante sorriso. Poi, avvicinò il viso a quello di lui, e gli posò un dolce bacio sulla guancia.
Damon sentì una fitta strana al petto, mai provata prima, guardando quella scena. E si ritrovò a socchiudere gli occhi con odio, guardando quel fratello piccolo che era sempre stato preferito a lui da tutti.
Strinse il fiore in un pugno.
Poi lo lasciò cadere a terra e corse via, ripetendosi in testa sempre le stesse parole, come un’infinita e dolorosa cantilena:
- L’amore fa schifo.
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L'angolino dell'autrice.
NB: Il nome "Odette" non è il reale nome della madre di Damon e Stefan. Ne "I diari di Stefan" veniamo a conoscenza solo delle sue origini francesi, non del nome. Ho quindi utilizzato uno dei miei nomi francesi preferiti. :)
Ringrazio, come sempre, chi ha recensito la mia precedente OS (I hurt myself by hurting you):
chi l'ha inserita tra le preferite e i lettori silenziosi ;)