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Autore: Dragana    24/10/2011    11 recensioni
-E a te hanno mai dedicato una canzone, Siobhan?-
Una donna che fa il fabbro e un ragazzino buono a niente che suona la ghironda, disperatamente innamorato di lei. E la storia della sua canzone.
Genere: Comico, Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Siobhan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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UNA PICCOLA BUGIA


E in un giorno di pioggia ti rivedrò ancora
e potrò consolare i tuoi occhi bagnati.
In un giorno di pioggia saremo vicini
balleremo leggeri sull’aria di un reel.
(“In un giorno di pioggia”, Modena City Ramblers)

Era una serata tranquilla, una delle prime, da qualche tempo a questa parte. Liam sembrava meno infastidito dalla presenza di Maggie tra lui e Siobhan; le lasciava chiacchierare tranquillamente, limitandosi ad ascoltarle in modo distratto mentre facevano discorsi da donne, la sua attenzione assorbita quasi completamente dal pezzo di legno scuro che stava diventando un corvo sotto le sue dita.
-E a te hanno mai dedicato una canzone, Siobhan?-
Lei ci pensò su.
-Direi di no, Meg. Una volta mi hanno scambiata per la Morrigàn, ma una canzone non me l’hanno dedicata mai.-
Liam sorrise sotto i baffi, per poi accigliarsi quando notò che la nuova arrivata fissava la sua compagna in modo severo, aggrottando le sopracciglia rosse.
-Stai mentendo, Siobhan-, la sentì dire.
Lei scoppiò in una di quelle sue risate roboanti, da uomo, e le arruffò i ricci.
-Bambina, devi imparare una cosa: c’è un’enorme differenza tra una menzogna e una piccola, innocente bugia, specialmente quando si ha un compagno un po’troppo possessivo, hai capito?-, disse ammiccando verso di lui.
-Chi è che ti ha dedicato una canzone, Siobhan?- le chiese Liam, seccato.


Trias, a differenza dei suoi fratelli, sembrava fatto con materiale di scarto.
Loro erano alti e forti come querce, lui era basso e sembrava composto da rametti di betulla tenuti insieme con lo spago. Loro non si ammalavano mai, lui rischiava di lasciarci le penne più o meno ogni inverno. Loro bevevano boccali di birra in quantità, lui si ubriacava solo respirandone l’odore. Lui una volta si era scontrato con una pecora e aveva vinto. La pecora.
-Trias, tu non sei buono a niente-, gli diceva suo padre, rassegnato. Non con cattiveria, eh. Suo padre non era un uomo cattivo. Solo che proprio non sapeva cosa fargli fare, dato che perfino i lavori da femmina venivano fatti molto meglio dalle sue figlie femmine che da lui.
Poi però, a forza di essere spedito fuori dai piedi, Trias aveva conosciuto padre Fergal, uno dei monaci del monastero vicino al villaggio, che per carità cristiana aveva preso in simpatia quel ragazzino buono a niente. E grazie a lui Trias aveva scoperto di essere capace a cantare. E a suonare la ghironda. E a ricordarsi a memoria i sermoni dei monaci. E a inventare storie solo guardando le figure del breviario di padre Fergal, o rielaborando le storie dei pagani che lui gli raccontava. E anche a contare e a fare le operazioni, che a Trias sembrava la cosa più noiosa, ma suo padre sembrò pensarla diversamente e la ritenne invece abbastanza utile, mostrandosi per una volta piuttosto soddisfatto.
Così Trias aveva trovato il suo posto nel villaggio, proprio come l’aveva trovato Siobhan quando suo padre era morto.
Siobhan era la figlia del fabbro. L’unica figlia del fabbro, per la precisione. Era più alta perfino del più alto dei fratelli di Trias, aveva i capelli neri come le piume dei corvi, la pelle chiarissima senza nemmeno un’efelide e gli occhi di un blu disarmante, che diventavano viola quando il cielo era nuvoloso. Trias li aveva guardati tantissimo, gli occhi della figlia del fabbro. E i capelli. E la pelle. Soprattutto la pelle del petto, a voler essere precisi.
Era stato quando suo padre gli aveva detto di andare dal fabbro per farsi sistemare le cesoie, che ormai era ora di tosare le pecore: -Puoi farlo, figliolo, devi solo andare lì, darle a quella donna e fartele restituire… ah, potessi farlo tu, il fabbro, e invece guarda, ci toccano un fabbro femmina e un maschio musicista…-
Trias era andato lì e ci aveva lasciato gli occhi.
Lei aveva un grembiule di cuoio. E le gambe quasi nude. E delle braccia bellissime, e i muscoli delle spalle e della schiena che guizzavano mentre picchiava col martello sull’incudine. E le gocce di sudore le scorrevano sul collo, sulla schiena, e anche tra i seni… Signore, fammi goccia, pensò.
Lei fischiettava, mentre lavorava. Non che si sentisse cosa, tra i colpi di martello e il rumore dell’acciaio che si temprava, ma metteva le labbra come se volesse baciare l’aria. Signore, fammi aria. Anzi, no, meglio rimanere goccia, decise appena notò in che razza di posti si infilavano, quelle gocce fortunate.

Dopo quella volta, Trias cercava di trovare ogni scusa per andare dal fabbro. Il problema era che di scuse non se ne trovavano molte, anche fingendo in continuazione di aver perso, guarda caso, proprio gli oggetti di ferro; inoltre suo padre cominciava ad arrabbiarsi sul serio per la sua presunta distrazione.
Adorava le braccia e le mani di Siobhan. Sognava ogni notte quelle mani che lo accarezzavano, lo accarezzavano proprio dappertutto. Continuò a sognarlo anche dopo che lei, un giorno, gli allungò una scherzosa pacca sulle spalle che lo stramazzò per terra. Aveva le mani da fabbro, ruvide e foderate di dolore, ma lui le sognava lo stesso.
Cercava di andarle il più vicino possibile ogni volta che poteva. In genere ci riusciva quando lei aveva finito il lavoro e lui doveva darle qualcosa in cambio per pagamento, di solito della roba di lana, e con la scusa di fargliela vedere bene le si metteva di fianco, annusando il suo odore. Adorava il suo odore dopo che aveva lavorato alla forgia, era un odore che non avevano né i suoi fratelli né le sue sorelle, e lui avrebbe voluto baciare tutto il suo corpo, proprio tutto tutto, comprese quelle parti che non vedeva mai, anzi, soprattutto quelle.
Andava con i suoi fratelli alla taverna solo perché ci andava anche lei, nonostante non riuscisse mai ad arrivare in fondo ad un solo boccale di birra, mentre Siobhan batteva gli altri uomini nelle gare di bevute senza nemmeno ubriacarsi troppo. Almeno però alla gente della taverna piaceva sentirlo cantare, e così lui la vedeva scolare un boccale dietro l’altro e poi mettersi a ballare con gli altri uomini, felice solo di poter sentire quelle sue risate a pieni polmoni.
Un giorno padre Fergal, con l’intento di metterlo in guardia dagli inganni delle donne (come se ce ne fossero state, di donne che volevano ingannarlo), gli raccontò la storia pagana del dio alato che si era preso una sposa mortale con l’unica raccomandazione di non essere mai guardato in volto; ma la sposa, essendo femmina e quindi curiosa (e Trias si chiese se solo le femmine erano curiose, dato che lui avrebbe fatto la stessa cosa), disobbedì all’ordine e guardò lo sposo, e ne conseguirono una serie di disgrazie che lui considerò un po’ troppo eccessive per una cosa del genere. Comunque, il racconto ebbe l’unico effetto di fargli immaginare Siobhan, al buio, che lo aspettava, mentre lui scendeva in volo da lei per amarla tutta la notte. È vero che padre Fergal aveva usato più volte il termine “leggiadra” nella descrizione della sposa, ma a Trias non veniva in mente nulla di più leggiadro del movimento del braccio di Siobhan che colpiva l’incudine a martellate, con tutto quel volo di scintille intorno.
Peccato che Siobhan proprio non lo considerasse. Non è che non lo vedesse come potenziale amante, non lo vedeva proprio. Lo trattava con gentilezza quando andava alla fucina, gli rispondeva con educazione se lui le rivolgeva la parola, ma non gli aveva mai rivolto un vero sguardo, né un vero sorriso, e qualunque suo approccio cadeva nel vuoto. Trias pensava che fosse normale non avere speranze, lui era un buono a niente e lei era così splendida, ma finché rimaneva libera non riusciva a impedirsi di continuare a sperare. Neanche voleva, ad essere sinceri.
E il tempo passava e Siobhan non si sposava mai, intrappolando Trias nel suo eterno sogno. Dicevano che le piacessero le donne, ma lui sapeva che non era vero, o almeno, che le piacevano di sicuro anche gli uomini. Trias non era buono a niente tranne che a cantare e ad ascoltare, poi si ricordava tutto e metteva tutto insieme e, a forza di ascoltare, i nomi degli amanti di Siobhan li aveva saputi. Tutte le volte sposavano un’altra, alla fine, una donna normale, con i capelli rossi o biondi e più bassa di loro. Lei non se la prendeva mai, anzi, sembrava ogni volta sollevata. Alla taverna di Molly Weasley, che aveva tirato su un marito, sei figli maschi e una figlia femmina, l’aveva sentita più volte affermare che l’idea del matrimonio le sembrava una gabbia, che non aveva bisogno di un uomo ed era perfettamente in grado di provvedere da sola a se stessa e a sua madre, e quindi andava benissimo così, grazie tante. Sembrava che tutto fosse una gabbia, per le spalle troppo grandi di Siobhan. Trias non capiva perché quegli idioti se la facessero scappare. Lui sarebbe andato all’inferno per una notte con quella donna, e si chiedeva perché il Demonio a lui non si palesasse mai, mentre nelle storie che raccontavano i monaci sembrava comparire ad ogni crocicchio d’Irlanda pur di tentare chicchessia; magari lui non era buono a niente nemmeno per Satana.
Una volta Siobhan era rimasta incinta; lui l’aveva saputo solo dopo, sentendo bisbigliare Molly Weasley e Maude Flanders, la prostituta del villaggio. Non aveva capito chi fosse stato, aveva solo capito che aveva avuto un aborto spontaneo ed era per quello che la fucina era rimasta chiusa qualche giorno. Lei aveva continuato a comportarsi come sempre, solo che ogni tanto guardava dentro la sua birra con uno sguardo cupo negli occhi un po’blu e un po’violetti, la mascella serrata, e lui avrebbe voluto consolarla, ma non sapeva né se volesse essere consolata, né cosa mai avrebbe potuto dirle.
Allora le compose una canzone.
Naturalmente, Trias non avrebbe mai avuto il coraggio di cantargliela davvero; però lo sentirono comporla le sue sorelle e i suoi fratelli, e una sera fu proprio suo fratello Finnian, ubriaco fradicio, in taverna, a uscirsene con: –Il mio fratellino alle donne dedica canzoni, invece di provare a sbattersele!-
Trias non capì mai quale fosse stato il discorso che l’aveva portato a dire una cosa del genere, fatto sta che tutti scoppiarono a ridere, fissandolo. E fissando anche Siobhan, che se ne stava tranquilla a finire il suo boccale. Si rese conto che doveva essere arrossito fino alle orecchie, e arrossì ancora di più.
Allora Siobhan finì la sua birra e, con le sue mani da fabbro foderate di dolore, allungò uno scappellotto a Finnian che gli fece sbattere la testa sul tavolo. Poi guardò Trias con quei suoi occhi blu e viola e gli disse: -Mi piacerebbe proprio sentirla, quella canzone.-
Fu lì che Trias si rese conto che Siobhan aveva capito tutto. Non è che non sapeva che esistesse: lo sapeva ma non lo incoraggiava. Non le importava niente di lui e, siccome era gentile, non gli dava false speranze. Si sentì morire.
Però magari la canzone le sarebbe piaciuta. La voleva ascoltare. Quindi lui gliel’avrebbe cantata, così lei avrebbe capito davvero, gliel’avrebbe cantata con tutto il suo amore e la sua devozione, come se invece di un misero suonatore buono a niente fosse il più ricco, il più amato arpista d’Irlanda.
Prese la sua ghironda con mani tremanti, nel silenzio della taverna. Lei lo fissava con un mezzo sorriso, in attesa. Trias, il buono a niente, si schiarì la voce.
E cantò.
Cantò di una donna bianca e bella e alta come una dea, e di un uomo con le ali che andava da lei, la notte, per amarla. Cantò di una donna che aveva gli occhi cangianti come il cielo, e braccia forti con cui stringere il proprio amato, e mani grandi per accarezzarlo. Cantò di una donna circondata da uno sciame di farfalle che erano anche lucciole ma anche scintille incandescenti, di una donna che baciava l’aria e il vento e la pioggia e anche la bocca del suo amato, mentre fischiettava. Cantò di una donna che ballava, e la terra e il cielo e gli alberi ballavano con lei, e ballava al ritmo martellante del cuore del suo amato. Cantò di una donna vestita solo di gocce, mille gocce di pioggia, o di acqua fresca, o di sudore, o lacrime, e il suo amato la svestiva con la punta delle dita, una goccia alla volta. Cantò la storia di un amore che andava oltre l’essere uomini e il diavolo e la curiosità e gli inganni e il Tempo e l’Irlanda e la Morte e persino Dio, un Amore che era solo quella donna e il suo amato, abbracciati.
Quando finì di cantare si sarebbe potuta sentire cadere una piuma, nel silenzio perfetto che c’era in taverna. Suo fratello Finnian spostava lo sguardo alternativamente da lui a Siobhan, stupefatto. Molly Weasley si era bloccata all’inizio della canzone ed era ancora così, ferma con uno strofinaccio e un boccale mezzo asciugato in mano. Maude Flanders aveva le guance bagnate di lacrime. Gli uomini del villaggio fissavano le loro birre in silenzio.
E Siobhan aveva i muscoli delle spalle contratti, e le grandi mani strette a pugno, e gli occhi così viola e anche lucidi, e Trias non riuscì in nessun modo ad affrontare quel momento.
Si alzò di scatto e corse fuori dalla taverna.

La mattina dopo, suo fratello Finnian gli disse borbottando che aveva perso la chiave del recinto delle pecore, per aprirlo aveva dovuto rompere il lucchetto e quindi qualcuno doveva andare da Siobhan a farsi fare una serratura nuova. Finnian era in gamba e non aveva mai perso nulla in vita sua; Trias gli rivolse uno sguardo di gratitudine, prese il lucchetto rotto e, nonostante piovesse e lui si sentisse salire la febbre, corse fino alla fucina come se non ci fosse un domani.
Arrivò appena in tempo, prima che Siobhan, già seduta su un carretto e con un mantello a coprirle i capelli neri come le piume dei corvi, facesse partire il cavallo. Riprese fiato. Aveva sudato ed era freddo e si era bagnato la testa, di sicuro si sarebbe ammalato. Ma non importava.
Lei gli sorrise, mentre lui le balbettava di chiavi e lucchetti. Disse che stava andando a comprare il carbone, sarebbe tornata in giornata, poi avrebbe fatto il lavoro. Alzò una mano, Trias le lanciò il lucchetto e lei lo prese al volo, infilandolo in una bisaccia che teneva al fianco. Signore, fammi bisaccia, pensò Trias. Anzi no, fammi goccia, quella goccia di pioggia che le è caduta proprio lì adesso che le si è aperto il mantello.
Lei gli sorrise ancora, mentre lo salutò. Gli sorrise davvero. Lo guardò davvero con gli occhi viola cupo di quando pioveva. Poi spronò il cavallo e Trias la guardò andare via, e il caldo che sentiva poteva anche essere la febbre che saliva, ma forse però no.

Trias proprio non aveva tempra.
Rischiò per l’ennesima volta di rimetterci la pelle, e quando si riprese gli dissero che Siobhan era scomparsa. Non era mai tornata da quella mattina in cui era andata a comprare carbone; avevano ritrovato il suo carretto capovolto, il cavallo morto, ma di lei nessuna traccia.
Negli anni seguenti Trias cantò tante volte la sua canzone, la cantò in taverna e alla madre di Siobhan, la cantò a padre Fergal e a Maude Flanders, la cantò a suo fratello Finnian e alle sue sorelle e agli uomini che lei aveva avuto tra le braccia almeno una volta e anche al nuovo fabbro del villaggio. E ogni volta qualcuno piangeva, ma lui piangeva più spesso di tutti, senza farsi vedere però, altrimenti sarebbe sembrato ancora più buono a niente.
Poi una notte successe una specie di miracolo. Solo che Trias se ne accorse solo la mattina, quando si svegliò e appoggiato sui suoi vestiti trovò il lucchetto che gli aveva dato Finnian, riparato, e la sua chiave, nuova e lucida. Il lucchetto che lei aveva messo nella sua bisaccia in un giorno di pioggia.
Corse alla fucina, ma c’era solo il nuovo fabbro. Corse alla taverna, ma c’erano solo Molly e Ginny, sua figlia, che facevano le pulizie. Allora corse a casa della madre di Siobhan, e lei piangeva, piangeva su un ferro di cavallo, su una bisaccia ricolma di oro e su un enorme mazzo di erica viola. Trias pensò che avrebbe voluto cercarla, inseguirla in ogni angolo del mondo, riportarla al villaggio e cantarle canzoni nuove ogni giorno, lei che era il suo unico amore e lo sarebbe stata per sempre. Ma poi si costrinse a ricordare a se stesso che alcuni uccelli non sono fatti per essere ingabbiati. Le loro piume sono troppo luminose. E quando volano via, la parte di te che sapeva quanto fosse ingiusto tenerli rinchiusi, gioisce, anche se il luogo in cui vivi è lugubre e vuoto senza di loro.
E Trias sentì un gran caldo, e stavolta non era febbre. Forse.


-È stato uno del mio villaggio, quello che suonava la ghironda. Lui me ne aveva dedicata una proprio bella.-
-Oh. Era il tuo amante?- indagò Liam.
Siobhan sbuffò.
-Ma figurati. Gli piacevo, tutto qui.-
-E come faceva questa canzone, sentiamo?-
-Andiamo, Liam, è passato così tanto tempo, poi ero umana; non me lo ricordo, come faceva!-
Liam guardò Maggie, sospettoso. Quando vide che non diceva niente si tranquillizzò, tornando al suo corvo di legno.
Siobhan le fece l’occhiolino, e Maggie sorrise. Aveva imparato la lezione.













Note che saranno lunghissime: Questa storia nasce per il contest “Fiumi di parole” indetto da Vivien L e Artemide88 sul forum di EFP. Mi è stata sorteggiata un immagine e una citazione e da quelle dovevo trarre la storia; l’immagine, che non so come fare ad inserire, è il dettaglio dei volti della scultura "Amore e Psiche" del Canova; la citazione è:  “devo costringermi a ricordare a me stesso che alcuni uccelli non sono fatti per essere ingabbiati. Le loro piume sono troppo luminose. E quando volano via, la parte di te che sapeva quanto fosse ingiusto tenerli rinchiusi, gioisce, anche se il luogo in cui vivi è lugubre e vuoto senza di loro”, tratta da “Le ali della libertà” (uno dei miei film preferiti).
Tutte le informazioni sull’aspetto fisico di Siobhan sono prese dalla guida, così come la sua professione, il fatto che suo padre sia morto e che lei viva con la madre, e i suoi discorsi circa il non volere un marito. Sempre la guida dice che venne trasformata in modo violento da un vampiro (Un Turco. In Irlanda. Nel XVI secolo. That’s Meyer, guys!) che in seguito lei avrebbe ucciso, liberandosi; di conseguenza ho immaginato la sua scomparsa e in seguito il suo ritorno di nascosto al villaggio, principalmente per provvedere alla madre.
Sono canon anche l’attaccamento di Liam nei confronti di Siobhan e la sua difficoltà iniziale nell’accettare Maggie, e naturalmente il potere di Maggie di scoprire le menzogne. Il resto è farina del mio sacco!
La ghironda era uno strumento simile a una chitarrina, usato in genere dai poveri (al contrario della classica arpa celtica che era roba da bardi ricchi). Volevo usare un violino, di quelli che si suonano appoggiati al fianco, ma ho scoperto che i primi violini sono più recenti di questa storia, che è ambientata intorno al 1510 (data canon della trasformazione di Siobhan).
La storia che padre Fergal racconta a Trias è quella di Amore e Psiche; i monaci, nelle opere degli autori antichi (quelle che tramandavano e non cassavano direttamente) ci trovavano davvero improbabili interpretazioni filosofiche o moraliste.
Molly Wesley, la figlia Ginny e Maude Flanders sono citazioni, naturalmente!

Adesso mi rivolgo a voi che siete arrivati fin qui. Se ci siete vuol dire che la storia l’avete letta, e vi sarà piaciuta o no o così così, com’è normale che sia. Bene, lasciate che mi sputtani miseramente: io questa storia l’ho adorata.
Probabile che in realtà non sia niente di che, le mamme difficilmente sono obiettive quando parlano delle loro creature, ma questa storia mi ha stupita: sono arrivata alla fine sapendo che Trias doveva essere sfigato fino in fondo, eppure quando poi è successo davvero ci sono rimasta male perché volevo un finale diverso, volevo farlo felice. Gli ho voluto (gli voglio) proprio bene, a questo ragazzo.
Quindi, un enorme grazie a chi ha reso possibile questa storia: le giudici del contest in primis, e poi chi mi ha convinta a non ritirarmi quando non avevo ispirazione, ad aspettare ancora, che l’ispirazione magari sarebbe venuta. È venuta in volo a fare l’amore con me ed è nata questa storia, e io la adoro. Guardatemi con un sopracciglio alzato e ridacchiate, me lo merito, ma la adoro comunque.
Grazie in anticipo a tutti quelli che passeranno di qui; Trias la sua canzone la canta anche per voi!



   
 
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