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Autore: Aimondev    25/10/2011    1 recensioni
In guerra, la verità è la prima vittima.(Eschilo)
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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;">Ai corpi dei compagni morti in battaglia furono concessi opportuni ed improvvisati onori funebri, avvolti tra le fiamme di una pira.

Nessuno di loro era un caro amico, ma nonostante ciò l’atmosfera era pesante, il silenzio regnava e, anche se non lo davano troppo a vedere, gli uomini erano pervasi da un terribile senso di avvilimento sovrano che stringeva loro il cuore e dava groppi alla gola. Quelli che adesso apparivano come cumuli di cenere nello scoppiettante braciere erano stati loro compagni di viaggio, di battaglia, li avevano affiancati fino a pochi minuti prima condividendo sudore e sangue.

I cadaveri dei centauri furono lasciati ai vermi.

 

Una lunga colonna di esordienti camminava lenta verso il fitto di quella foresta che fino ad allora aveva riservato loro solo insidie e difficoltà.

 Il suolo si faceva man mano sempre più viscoso ed i loro passi sempre più appiccicosi. Gli arbusti che li attorniavano assumevano conformazioni astruse ed ospitavano gli animali più miserabili.  Una grossa serpe aggrovigliata ad un albero sibilava minacciosa verso la schiera di stranieri ed   inverecondi avvoltoi, mangiatori di carogne, appollaiati su alcuni rami di un albero attendevano che qualcuna delle loro prede cadesse vittima delle tante insidie boschive. Orride scolopendre viscide zampettavano scomparendo nel buio di alcune spaccature nelle corteccie.

Kratos camminava alla testa della colonna, accompagnato da Chrestos che non lo aveva mai lasciato solo da quando era stato liberato da quelle catene che ancora si trascinava dietro; aveva trovato uno scoiattolo ferito durante il tragitto, e lo stava curando con dedizione, come un genitore solerte ed amorevole.    

 

“Come mai hai sterminato tutti quei ragazzi?” chiese incuriosito Kratos, che non poteva credere che un simile bonaccione potesse essere in grado di concepire una tale malignità e macchiarsi di ingiurie così gravi.

“Volevano uccidere Telio” rispose secco l’interlocutore 

“un tuo amico? E perché mai avrebbero dovuto farlo?” chiese Eumenos che li aveva raggiunti inserendosi nella discussione

“Per mangiarlo.. ma io gliel’ho impedito” spiegò fiero il gigante

“Cannibali!?” chiese spaventato il figlio di Agathangelos

“no…Telio è un cervo” concluse con un soave sorriso in contrasto con la rudezza del suo volto ispido

Eumenos restò sbalordito dall’affermazione e lanciò uno sguardo preoccupato al comandante che non ricambiò la maligna complicità che c'era dietro.  “Sei un grande guerriero…è questo quello che conta, porterai molta gloria al nome di Sparta”

Chrestos grugnì accennando un sorriso. mentre accarezzava il nuovo animaletto.

 “Ehi mammina Che ne diresti di allattare anche me da quel tuo grosso seno?!”  sghignazzò la voce fuori campo di Astenos che irritò l’imponente guerriero, tanto che, nella foga di volerlo colpire si voltò di scatto con un braccio teso compensando con la lungheza della catena,ancora attaccata al polso, la distanza sufficiente per colpirlo in piena faccia. La sferzata tuttavia non trovò il suo bersaglio e squarciò sfrigolante l’aria.

“Calma Chrestos, stai calmo” lo arrestarono le autorevoli parole del comandante, quello che aveva riconosciuto come guida ed esempio da seguire: come un bambino cerca un riferimento nelle parole di un adulto che conquista la sua fiducia.

 

D’improvviso una freccia colpì alla spalla uno dei guerrieri che non fece in tempo a levare un grido che cadde al suolo esanime  “Cosa succede?!” gridarono di botto spaesati alcuni altri mentre Kratos aveva già sguainato le sue lame esaminando la zona velocemente  

“Frecce avvelenate!” avvertì Eumenos,  “in guardia”   e, proferite queste parole un altro ragazzo alle sue spalle stramazzò squasciando su quel fango putrido con una freccia puntata sul collo.

 

Astenos che si accorse della provenienza di quei dardi si buttò tra gli alberi alla ricerca degli aggressori ed intanto un altro guerriero cadde a corpo morto;  Schivò due frecce che gli balenarono ad una distanza infinitesima, doveva stare molto attento, sapeva che un solo colpo poteva essere letale, e quel tiratore era veramente bravo, più abile di Eumenos.

Riuscì ad intravedere un' imponente ombra che iniziò ad avvicinarglisi velocemente. style="">  Quando i flebili raggi che raggiungevano il sottobosco illuminarono il figuro, si accorse che era il signore di quei centauri fuggito nella foresta poco prima: quello che loro chiamavano Nesso.

Era bordato da un’armatura di placche straordinaria; pareva che le leghe metalliche che la costituisse fosse l'argento e l'oro massiccio, con due solide spalline che lo facevano sembrare più enorme di quanto non fosse già stato,  ricoperto di lastre di ferro su tutto l’equino corpo e avvolto da un elmo lucente che lo mostrava più temibile.  Niente a che vedere insomma con la cotta di maglia che indossava nella precedente battaglia: chi poteva avergli donato una simile corazza? Si chiese.

Ma non era il momento di farsi domande, e, mantenendo la mente fredda, lo ghermì con la sua frusta afferrandogli una delle zampe, nel momento in cui il centauro era già in carica. Continuando il suo attacco, Astenos, prosegui la sua corsa tantando di aggirarlo accostarglisi ai fianchi, ma la bestia lo anticipò, e in modo repentino incoccò tre di quelle letali frecce sul suo arco e le saettò contemporaneamente sull’aggressore.

Astenos si buttò su un lato evitando i letali dardi, poi in una sequenza di immediati attimi, con tutta la forza che trovò in corpo tirò la sferza verso di sé con un deciso strattone riuscendo ad atterrare la belva per le zampe anteriori.  Astenos si rialzò in piedi e si avvicinò minaccioso verso la bestia con l’intento di tracciargli un lato sorriso sulla gola con la spada di Eumenos (che aveva preso in prestito durante una sua distrazione). Il nemico che aveva di fronte aveva un'aria molto diversa sai suoi cugini, era del tutto sicuro di sé, pareva che la situazione sfavorevole in cui si trovava non lo turbasse minimamente.

 

Il guerriero della Laconia si arrestò di colpo, la vista si offuscava mentre la sua mente lentamente vacillava, pian piano perse l’uso della mano sinistra: si rese conto atterrito di avere un grosso graffio sul palmo della mano. E mentre il sangue lento usciva si rese conto nell'arco di un istante che uno di quei dardi avvelenati lo aveva sfiorato durante il tiro precedente lasciandogli quella piccola benché fatale ferita. Cadde sulle ginocchia.  

“sei così prevedibile…” si beffò Nesso della sua situazione deridendolo  “…sono questi i temuti guerrieri di cui dovrei tanto preoccuparmi?... Dionisio, non credi di avermi sottovalutato un po’ troppo?!...”

si liberò lentamente dalla frusta che gli bloccava una gamba

 “tutti insieme forse potreste anche riuscire a mettermi in difficoltà…Ma da soli valete meno di zero”  estrasse una scimitarra dal fodero dietro la schiena,   Astenos anche in quella situazione ghignò mettendo a raccolta tutte le forze che gli erano rimaste per rispondere all’arroganza di quel mostro

 

“noi…non valiamo nulla!?....  E tu? Discendente  bastardo di una stirpe in declino di saccheggiatori miserabili buoni a niente…quanto puoi valere tu, che hai abbandonato i tuoi fratelli quando sono stati sterminati pietosamente da me e dai miei compagni?...  Tu che ti presenti solo adesso avvolto dalle tenebre come un pauroso codardo, usando un arco e delle frecce per attaccarci….mai conobbi strumento più vile”

 

il centauro, colpito da quelle parole di fuoco si avvicinò lentamente e, accostandosi a lui sussurrò: 

“non eguagliare la feccia dei centauri ad un prescelto di un dio”  poi gli puntò la spada sul collo  

“la tua testa servirà da monito per il tuo signore”.   Mentre preparava il fendente per decapitarlo, alcune lance volarono nella sua direzione; non fece in tempo a reagire che gli si infransero sulla corazza in una tempesta di schegge  facendolo impennare sulle due gambe posteriori.

 Dalla selva uscirono gli altri soldati che seguivano la strada spianata dalla grande mole di Chrestos; 

“Che volete fare voi alti?....Non sapete neppure a cosa state andando incontro!” gridò Nesso gettandosi in carica contro il primo della fila il quale a sua volta, certo della sua possanza, cercò follemente lo scontro frontale.  L’impatto fu disastroso per quest’ultimo il quale non riuscì a colpirlo con la sua ascia e venne schiacciato dalla foga travolgente del mostro, che non pareva dare accenni di esitazione fronteggiando la superiorità numerica schiacciante con il suo impeto selvaggio.

 

In un certo istante un inevitabile giavellotto eluse la sua corazza trapassando la carne poco sotto l’ascella.

Nesso accusò il colpo, rigettando parecchio sangue; e intanto Eumenos stava incorrendo verso il nemico dando prova dell’encomiabile precisione del lancio da poco effettuato con diversi giavellotti in spalla.

Per un'altra via emerse Kratos correndo di gran foga.  Il centauro estrasse la lancia dalla sua sanguinante ferita grugnendo come un cinghiale, poi incombette su quest’ultimo puntandogli contro la picca:  nell’impatto la picca si inculcò al suolo e Kratos la spezzò a metà con un calcio, ma non poté sottrarsi ad una sciabolata che gli solcò il petto inumidendo la spada del suo sangue. 

Ma il giovane genio del combattimento reagì d’impeto e collise sulla scorza metallica con le sue lame senza però riuscire neppure a scalfirla.   Nesso che stava per contrattaccare con un secondo fendente si arrestò quando avvertì una lancinante fitta alla zampa posteriore:  la temibile ascia di Chrestos l’aveva battuta con tanto veemente fervore da far decollare il paratibia e denudare l’arto che ora era vulnerabile.

Resosi conto dello svantaggio, l’alfiere dei divini si liberò della morsa di Kratos con una scalciata e, trovata una via di fuga,  si ritirò per la seconda volta travolgendo tutti quelli che erano stati tanto sconsiderati da paralisi davanti.    

 

L’atmosfera si era attiepidata, erano passati pochi minuti da quando Astenos era stato colpito ma ancora non aveva ceduto al tristo destino della morte cui era incappato.

“ sei stato colpito!” evidenziò conciso Eumenos, che lo aveva raggiunto, attenuando la tipica spocchiosità della sua voce, la quale si era fatta impercettibilmente più malinconica, tanto da ignorare il fastidioso furto della preziosa spada appartenuta al genitore, che lentamente raccolse da terra per riporla nel suo fodero.

“Grazie di avermelo fatto notare…..”  rispose ansimante ed affaticato Astenos ancora abbastanza lucido per fare sarcasmo;

“Dei….Sono avvelenate…non servirà solo estrarla dal….” Non riuscì a proferire altro verbo che il compagno riagguantò la lama prediletta dal suo fodero, e sotto gli sguardi sconcertati degli astanti con un ultimo barlume di lucidità si accoltellò violentemente la ferita facendo schizzare guizzi copiosi di sangue più scuro della norma che gocciolavano al suolo sublimando in vapore incandescente;  poi perse i sensi.

 

Si accamparono in uno spiazzo, scacciando le tenebre poc’anzi calate con la luminescenza di uno scoppiettante braciere che rivelò diversi stormi di pipistrelli che svolazzavano stridenti.

La stanchezza della battaglia precedente, della lunga marcia e di quella scaramuccia si erano fatte sentire per molti di loro: si buttarono quindi a terra senza indugio, cercando una consolazione in quelle poche ore notturne; alcuni di loro erano stati feriti, superando arditamente il dolore per tutto quel tempo, ed ora si trovavano in fila davanti ad alcuni debuttanti chirurghi che utilizzavano il ferro ed il fuoco per coagulare le lacerazioni e prevenire l’imputridimento.  

Astenos era disteso nei pressi del focolare, e la sua mano era stata pulita e bendata.

Eumenos analizzava i cadaveri dei compagni caduti a causa della mortale tossina: erano delineati da una terrificante smorfia di dolore, la loro pelle si era putrefatta ed assunto una pigmentazione grigiastra color carbone con delle spaccature da cui fuoriuscivano ripugnanti larve,  mentre alcune luride mosche vi avevano già depositato le loro nidiate.

 

“Conosco questo veleno…” proferì Eumenos  “provoca la morte delle cellule ed una decomposizione dell’epitelio ininterrotta, ma se viene arrestato il flusso sanguigno, e quindi il contagio, prima che il veleno colpisca i punti vitali è possibile salvarsi…. le conseguenze del suo tocco sono comunque piuttosto gravi: potrebbe restare in coma per giorni, avere forti convulsioni, la febbre alta….”

“non mi interessano i sintomi” interruppe brusco Kratos, rimasto silente da quando aveva visto il compagno caduto: il suo volto era corrucciato, e i suoi occhi palesavano una rabbia infinita che andava a mascherare anche una triste sofferenza…ma lui non era tipo da svelare le sue debolezze emotive, neppure a quelli che sarebbero stati i suoi compagni di battaglia, neppure a sé stesso.

“…quando potrà tornare di nuovo in piedi per impugnare un’arma?”

“…forse mai, chi lo sa?… ma se è davvero un osso duro ha qualche possibilità”

Kratos rimase in silenzio quasi confortato da quell’ultima asserzione; sapeva bene che quel ragazzo era fatto della sua stessa pasta: duro e freddo come l’acciaio, mai avrebbe desistito, neppure se toccato dalle cupe membra di Thanatos.

 “E’ possibile scampare agli effetti del veleno?”

“non saprei…non sono un medico, bisogna sperare di essere colpiti su un punto non vitale e fare come ha fatto il nostro amico qui…devo dire che al dì la della sua demenza, ha avuto un' eccellente idea per salvare la pellaccia”

“Bene”

“come potremmo dormire tranquilli con un mostro simile alle calcagna!?” chiese uno dei soldati ad Eumenos

“è semplice, ragazzo…doppi turni di guardia per tutti!”  rispose secco Kratos introducendosi nella discussione;  il soldato si ritirò sbuffando

“non mi preoccuperei troppo: da quanto ho capito il nostro nemico è ormai uno solo, e così come noi anche lui ha avuto una giornata pesante, ci lascerà stare per il momento”

“non ti adagiare”

 

Kratos, anch’egli, come gli altri, piuttosto esausto si appropinquò più isolato dal resto del gruppo, stringendo le sue lame nei pugni, tenendo la guardia in prevenzione di un’ipotetica ennesima imboscata mentre Chrestos si era seduto nei suoi pressi come un cane da guardia.

  Nessuno riuscì a chiudere occhio: al di là dei luminosi raggi del focolare le cupe e paurose tenebre avvolgevano quel tetro luogo, crepitanti scricchiolii  li tenevano in continua allerta, anche se erano felpati dai monotoni frinii dei repellenti insetti che spargevano i loro ormoni nel canto notturno.

Persino Kratos si era lasciato suggestionare da alcuni sinistri fruscii che parevano avvicinarsi alle loro postazioni, ed alle volte la fantasia faceva brutti scherzi concretizzandosi in inquietanti sussurri.

I giorni sorgevano rappresentando una salvezza per le paure di molti in quanto si diceva che gli spiriti delle creature morte si manifestavano tra le tenebre di quegli alberi, i guardiani notturni stimolavano la loro immaginazione e giuravano di aver veduto i cupi e pallidi volti dei guerrieri caduti; ma come il più delle volte l’unico vero pericolo erano le voci ed i timori che si trasmettevano come un contagio.

 

Il cammino diurno verso quel tempio dimenticato era non meno arduo, e più di una volta le incursioni di Nesso avevano sparso lo sconforto tra loro: erano rapide ed incombenti, impossibili da prevenire, alle volte si limitava ad eliminare un paio di uomini per poi dileguarsi per parecchio tempo. Che intenzioni aveva? Si chiese il comandante. Perché non lo attaccava? Pareva quasi volesse neutralizzare il suo intero schieramento per vedersela da solo con lui; ed intanto il loro numero si era incredibilmente decimato.

Astenos era steso su una spalla dell’enorme Chrestos, che non sembrava affatto soddisfatto della mansione assegnatagli, anche perché tra i due non correva buon sangue, ma gli ordini del comandante erano per lui legge, e non voleva deluderlo.

“…devo proprio portarlo io il pezzo di sterco del mio signore!?” bofonchiò il gigante   

“…ehi fratellino… gentile da parte tua, ma se devo defecare non sarà necessario che tu la raccolga…” rispose un ironica voce misteriosa la cui provenienza non fu reperita dal confuso Chrestos che perplesso si voltò guardandosi attorno.

Da giorni Astenos stava dando segni di una veloce ripresa, cosa che lasciò allibito Eumenos, per l’incredibile capacità di rigenerazione.  

 

 

La notte era calata nuovamente, ma questa volta Kratos non si lasciò ghermire dalla stretta di Morfeo: teso e pensieroso rimase lui stesso da solo di guardia proibendo ad altri di affiancarlo; uno strano presentimento si faceva strada tra i suoi pensieri per giorni, incoraggiato dalla consapevolezza del fatto che avrebbe vendicato il compagno ferito nel corpo ma soprattutto nell’orgoglio e la volontà nel realizzare i suoi piani.

Così il giovane ardito guerriero si distaccò dal gruppo di dormienti, abbandonando la postazione: sapeva che per qualche strana ragione il centauro voleva solo lui, e probabilmente lo voleva vivo. In questo modo andava incontro al volere del suo predatore, che sicuramente non gli aveva staccato gli occhi di dosso dall’inizio del suo viaggio…il mostro non si sarebbe lasciato perdere una così allettante occasione.

 

Kratos rimase immobile nella stessa posizione per lungo tempo, attendeva paziente la mossa del suo nemico che a sua volta si stava ammissibilmente assicurando che non si trattasse di una trappola.

“…io sono qui….” Sussurrò agli alberi  “…che cosa aspetti?”;

 quasi in risposta alla sua domanda avvertì un fruscio di foglie, e poi un incombente galoppare a pochissima distanza,  “finalmente!!!”  sguainò veemente le fatali lame ed un’ immensa mole già gli era addosso: era lui. Il guerriero, accortosi dello spostamento d’aria riuscì ad evitare la dannosa collisione di uno scontro diretto nella quale non avrebbe avuto scampo e repentino si afferrò all’armatura posteriore e quindi trascinato dalla carica.

“RIDICOLO UMANO! CREDEVI AVESSI PAURA DI TE!?” latrò il  barbuto centauro proseguendo con una folgorante corsa la cui accelerazione avrebbe fatto mangiare la polvere ad ogni comune equino.

 “credo che tu abbia avuto paura per tutto questo tempo!” rispose mentre il vento a quella velocità gli falciava la pelle, ma trovò la forza di fronteggiare la resistenza dell’aria e lo infilzò tra due lastre di ferro

che gli ricoprivano il dorso, cercando di fare leva con la sua arma per spogliarlo della spessa armatura.

Ma Nesso non intendeva lasciarglielo fare, e colto da una foga bestiale iniziò a roteare su se stesso incrementando ancora la lestrezza,  e per invitare l’umano a lasciare la presa incominciò a scontrarsi rimbombante contro i tronchi degli alberi circostanti a discapito anche della sua pelle.

Un comune centauro sarebbe stato eliminato facilmente una volta scoperto nel fianco dall’avversario, ma i riflessi e la celerità del mostro surclassavano quelli dei suoi simili.

Allo stesso modo un comune umano non avrebbe retto ai terribili impatti cui lo stava sottoponendo Nesso; sarebbe stato schiacciato dalla sua furia distruttrice: la schiena si sarebbe spezzata, enormi ferite si sarebbero aperte, portandolo alla morte diretta.

In effetti il corpo di Kratos era messo continuamente a dura prova da quelle pericolose manovre: le braccia erano ricoperte di sangue, e presentava numerose lacerazioni sulla schiena, ma parve che la sua struttura ossea non fosse delle più comuni, dotata di un’intrinseca resistenza ai normali attacchi, che erano attutiti anche dai poderosi tessuti muscolari.

Riacquisito l’equilibrio sulla groppa di Nesso, con un urlo di rabbia, l’eroe riuscì a lacerare parte dell’armatura che scivolò lungo il percorso; il centauro consapevole della nuova vulnerabilità celerò ancora per  limitare la precisione del successivo affondo, che non avrebbe più trovato nel suo percorso una spessa scorza ferrea a frenare il danno letale, minacciandone l’incolumità e Kratos si sbilanciò cadendo all’indietro dalla sua schiena, ma anziché stramazzare supino al suolo si afferrò alla sua coda.

<< p class="MsoNormal">“LASCIA LA PRESA!” gridò il mostro continuando a scontarsi irrefrenabile e dirompente contro ogni superficie gli si parasse innanzi. danneggiando più sé stesso che altro.

Il combattente avviluppato a quell’ondeggiante coda, che fungeva da fune,  gli si avvicinò tenuemente, ostacolato dai continui urti col suolo che amalgamavano sangue e sudore col vischioso fango;  ma non desistette e con uno scatto di potenza infilzò la gamba del mostro denudata da Chrestos nella precedente battaglia e fece ruzzolare la creatura per diversi metri che lo trascinò a sé nel suo stramazzare.

Si accorse che il percorso davanti a sé aveva preso una differente pendenza, e l’inclinazione si faceva concava: assieme alla bestia precipitò per quell’erto pendio rotolando rovinosamente e nell’incessante periodico sfracellamento sulla scoscesa i due avversari si colpivano e laceravano ad ogni ripresa.

Infine Si schiantarono nel terreno sottostante: un melmoso pantano viscido e sporco, in uno scoppio di fiotti e zampilli.

Kratos Rimase qualche istante steso a terra quasi intontito, poi si riprese rimettendosi appiedi nonostante i numerosi squarci, e la rottura di qualche costola, le quali avevano ceduto alla forza di impatto contro le querce: tuttavia probabilmente l’avversario doveva stare peggio.

Totalmente imbrattato del lurido humus s’avvicinò a quella che adesso appariva come una montagnola di sterco (e mai avrebbe detto che fosse un centauro se non l’avesse visto collidere) per dargli il colpo di grazia.

Il bestione riemerse fragoroso da quel fango accecato dall’ira, con la sciabola in mano tentò di mutilargli un braccio; pareva ormai che non gli interessasse più prenderlo vivo.

Nonostante i riflessi la lama gli falciò la pelle e rischiò realmente la perdita di un arto, ma Kratos non cedette alla paura o al dolore ma sopraffatto da una furia senza confini strinse forte le sue armi poi girando velocemente  su sé stesso eluse la sua difesa e si portò nelle sue immediate vicinanze, cercando di permeare nelle lame la velocità di rotazione di quella forza centrifuga generata:  come risultato, le lame iniziarono a scaldarsi, la massa si dilatò, iniziando a prendere un acceso colore arancio.

Arrestò d’improvviso la rotazione concentrando tutta la rabbia e la forza in un unico punto per poi scatenarla in un micidiale impatto sull’imponente armatura dorata del suo nemico.

Schegge e tizzoni ardenti schizzarono da essa; il colpo risultò devastante, le spade sembravano una vera e propria trivella per arrivare al cuore.  Il centauro appariva incredulo ed impotente davanti agli effetti di quel potentissimo colpo che  riuscì nell’intento e bucò la spessa corazza trapanando anche la carne al di sotto di essa e facendolo impennare e cadere all’indietro.

L’avversario non si lasciò scappare l’occasione di squarciare la pancia al mostro il quale con rapidità disumana si voltò a bloccare l’affondo con la spada, che però non resse alla sua potenza e si infranse in mille pezzi.

A questo punto Kratos, sicuro della vittoria, e consapevole di un’intrinseca potenza che cresceva giorno dopo giorno in lui, iniziò a far vibrare le lame ricaricandole della loro incandescenza, ma a discapito della sua difesa,  così che inaspettatamente fu atterrato perdendo entrambe le armi. 

Gli zoccoli del mostro gli affondarono ora sul corpo, il peso era insopportabile, mentre a sua volta il guerriero affondava nella fanghiglia che gli ricoprì il volto impedendogli il respiro.

 “Non mi importa se ti volevano vivo!! Avrò la tua testa! Soffrirai come un cane, dopo che ti avrò iniettato il mio veleno!...E non sarai ricordato da nessuno, perché nessuna polis greca ti ha mai reclamato come suo figlio”  prese il suo arco, ed incoccò una delle frecce,  da quella distanza chiunque sarebbe morto sul colpo, persino uno come lui. Quando  nella melma ritrovò una delle lame perdute ancora incandescenti, il fendente partì celato dalla terra stessa, ed imprescindibilmente si infranse sullo zoccolo che lo aveva immobilizzato mutilandolo.

Con un urlo selvaggio, Nesso cadde sprofondando di qualche cubito nel fango.  Il giovane Kratos avvolto di una furia più divina che umana, si lanciò in corpo a corpo impedendogli così i mortali attacchi a distanza che avrebbero potuto eliminarlo; ignorò gli allarmi di dolore provenienti da ogni singola parte del suo corpo e si scontrò di gomito sul mostro negandogli il fiato per qualche istante; poi con un montante rinforzato della lama diretto in pieno volto lo privò dell'elmo, che cadde sprofondando nella melassa, rivelando sotto di esso un volto barbuto e deforme che lo ripugnò.

Ripensando all’orgoglio ferito del compagno caduto, evitò di concedergli la morte con tanta leggerezza. Impresse di nuovo un' immane potenza su quell’arma eseguendo la manovra appresa poco prima e facendola ardere nuovamente. La minidiale traiettoria falciò di netto il braccio sinistro dell'avversario accrescendo le sue sofferenze.

Kratos rimase a guardarlo mentre urlava e grugniva di dolore e fiotti di sangue nero spruzzavano ovunque. Sorrideva ora lo spartano, abbassando la guardia; ma la superbia fu sua nemica poiché il mostro, creduto sconfitto, con un'incredibile lucidità mentale e resistenza al dolore si approfittò della situazione. Con un riflesso repentino usò l'arto che gli era rimasto per sfoderare una freccia avvelenata dalla faretra e colpirlo al ventre all'altezza di un rene. o:p>

Il ragazzo abbassò lo sguardo terrificato più per quello che era stato un imperdonabile stupido errore che per la ferita mortale di per sé. Alzò il capo, guardò Nesso, l'avversario di cui si stava beffando poco prima aveva ora un sorriso insanguinato e terribile che gli solcava il volto “Una freccia può essere usata anche in uno scontro diretto…”  disse sputando sangue.

 

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wow addirittura 3 commenti xD!   Bene. La storia è vecchia ma se seguita posso decidere di continuarla,  purtroppo quel maledetto shadow of sparta l'ultimo spin off mi ha rovinato i piani che avevo in mente per thanatos, il fratello e la madre di kratos; quindi sarei costretto a cambiare lo svolgimento..Ma forse non riguardo la madre, in fondo, quando la si affronta pareva più un flashback di un passato scontro..

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