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Autore: detoxIretox    30/10/2011    10 recensioni
Sottospecie di crossover tra Adolescence, Soundless Voice, Proof of Life, Orphan e Spice (?) è complicata, ma alla fine il risultato è buono. Se per risultato intendete una discesa assicurata all'inferno.
...
Il ragazzo si voltò lentamente, in testa un turbine indefinito di domande, pensieri, paure. Camminò fino ad arrivare di fronte al un albero coperto dalla neve. Poi, stringendo i denti così forte da farsi male, colpì con la testa il tronco duro e freddo.
E pianse.
...
AVVISO! Se l'incesto infastidisce, sconsiglio di leggere MOLTO vivamente.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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"What does my voice sound like now?”

 
Len rientrò tardi quella sera.
Dopo una giornata terribile - un quattro in inglese da smaltire, il sadismo che ormai era un tratto distintivo di tutti i professori, i massacranti allenamenti di basket che lo facevano rincasare a orari indecenti come, quella sera, le undici - non si aspettava altre sorprese, positive o negative che fossero. La sua più grande ambizione al momento era quella di buttarsi sul letto e lasciarsi gli eventi disastrosi del giorno appena trascorso alle spalle, sprofondando nel mondo morbido e rassicurante dei sogni. Sussultò appena quando vide la porta della sua camera leggermente socchiusa; quando usciva, di mattina, la lasciava sempre serrata, dunque qualcuno doveva essere entrato prima di lui.
E quel qualcuno non poteva che essere Rin.
La gola gli si seccò, gli occhi sgranati dalla paura; l’ultima cosa che desiderava era trovare la sua gemella in camera sua. Niente lo avrebbe reso più felice, ma al contempo era terrorizzato dal pensiero di dover rimanere solo in una stanza con lei, perché ogni volta che i due stavano troppo vicini, il cuore gli scoppiava nel petto, e un brivido freddo gli correva lungo la schiena. Dapprima aveva cercato di convincersi che fosse colpa degli ormoni. Poi aveva cominciato a odiare chiunque toccasse Rin, o anche solo la sfiorasse involontariamente. Aveva liquidato il fatto con la semplice spiegazione di avere un complesso della sorella.
Si accorse di quanto quelle fossero tutte ridicole bugie quando capì che non provava la stessa cosa mentre stava accanto a qualunque altra ragazza. Nulla di nulla.
Era così, anche se detestava doverlo ammettere: aveva seriamente perso la testa per la sua gemella.
Da quando i loro genitori erano morti in un incidente, che i gemelli avevano tredici anni, si erano sempre arrangiati da soli. I loro zii gli avevano proposto di andare a vivere con loro, nell’Hokkaido, ma i ragazzi avevano rifiutato, nonostante quegli unici parenti continuassero a mantenerli da lontano. Nel frattempo, Len aveva cresciuto la sorella, in un certo senso, siccome era sempre stato il più maturo tra i due. Si era sempre preso maggiori responsabilità per fare in modo che la sua principessa potesse vivere un’adolescenza normale, che Len, invece, non aveva potuto avere. Ma la cosa non gli dispiaceva; vedere il sorriso sereno di Rin gli dava conferma di aver fatto la scelta giusta, in fondo, e l’importante era che lei fosse felice; il resto non contava.
Per far sì che la sorella fosse felice, però, Len doveva ogni giorno affrontare un altro sacrificio: quello di starle sempre vicino e nasconderle, contemporaneamente, il profondo amore che provava per lei, e che aveva iniziato a logorarlo da tempo.
Ogni volta che un rossore gli coloriva le guance, quando i loro volti erano vicini, doveva voltarsi e celarglielo; le volte in cui la sua pelle pareva andare a fuoco e la brama impellente di toccare la sorella lo aggrediva, quando dormivano nello stesso letto, si mordeva la lingua tanto forte da farla sanguinare pur di farsi passare quei pensieri malati, che insultavano la memoria dei loro genitori. Si era convinto infatti che amare la propria gemella fosse un sentimento irrispettoso nei confronti di sua madre e suo padre, sebbene quello fosse, tutto sommato, il problema minore.
Len era certo che Rin non ricambiasse i suoi sentimenti, come pure era certo che se avesse perso il controllo di se stesso lei si sarebbe spaventata. Il ragazzo aveva il puro terrore che Rin potesse odiarlo o rifiutare, in futuro, i suoi abbracci e le sue carezze, che ora accettava di buon grado. Solo e unicamente perché si trattava di amore fraterno, nulla di più. Finché Len poteva desiderarla ardentemente di nascosto, finché lei fosse rimasta inconsapevole della guerra interiore che stava distruggendo suo fratello, allora sarebbe stato felice sul serio. Non si sarebbe mai perdonato se avesse fatto del male a Rin.
La sua Rin.
Era per tutti quei motivi che quella sera esitò parecchio prima di entrare in camera sua. Ultimamente era diventato sempre più difficile controllare i suoi impulsi, e la cosa era alimentata dall’atteggiamento che Rin aveva nei suoi confronti. Lei non si rendeva conto di nulla, proprio come Len voleva, ma così stando le cose si comportava col gemello come se fossero ancora bambini; spesso lasciava la porta del bagno aperta mentre si faceva la doccia, oppure si svestiva davanti a lui, provocandogli pensieri che lo disgustavano da solo. Per calmarsi era costretto a uscire e farsi una passeggiata, lasciando che l’aria fredda d’inverno lavasse via ogni traccia di bruciore che avvertiva sulla pelle.
Dovendole tenere nascosti quei sentimenti, Len doveva comportarsi come aveva sempre fatto. Così dopo secondi che parvero secoli, prese un respiro profondo ed entrò in camera.
Come aveva previsto Rin era lì, girata verso il muro. Teneva in mano una lettera e sembrava stesse ripetendosi qualcosa tra sé e sé, come qualcuno che vuole fare un discorso e se lo prepara prima mentalmente.
Eppure la prima cosa che notò Len non fu ciò che lei stava facendo, ma ciò che stava indossando.
Sebbene fuori nevicasse già, Rin portava una canottiera leggera che faceva vedere praticamente tutto e che le lasciava scoperte le spalle bianche, e un paio di jeans neri lunghi. Len deglutì a fatica, invaso dalla voglia di accarezzare quella pelle nuda, e si costrinse a distogliere lo sguardo, avvicinandosi al letto e appoggiando lo zaino sul materasso. Si schiarì la voce per informare Rin della sua presenza, e per rimediare alla bocca secca che la vista della sorella gli aveva provocato.
«Len, eccoti finalmente! Temevo che non saresti tornato più!».
La sua voce innocente e invasa dal sollievo lo fece sentire un mostro per averla fatta preoccupare.
A fatica si tolse la giacca, posandola sullo zaino. «Perdonami, principessa.»
Lei arrossì. Quant’era bella mentre le guance le si tingevano di un delicato color porpora...
«Devo... devo parlarti.»
Il ragazzo spostò lo sguardo nuovamente su di lei, e il respiro gli si mozzò in gola. Gli dava le spalle proprio come prima, ma ora era più vicina. Continuava insistentemente a guardare la busta di poco fa e rigirarsi nervosamente la lettera tra le mani, sembrava stesse cercando il coraggio di parlargli. Probabilmente di lì a poco si sarebbe girata, gli avrebbe piantato quegli occhi color del cielo in viso e gli avrebbe detto qualcosa di importante.
Ma tutto questo non successe, perché la ragazza venne violentemente spinta contro il muro, e il foglio di carta le cadde dalle mani, che ora erano tenute ferme dalle dita febbricitanti di suo fratello.
«Len? Che ti prende?»
Se lo chiedeva anche lui. D’improvviso era come se ogni resistenza dentro di lui fosse stata abbattuta, come se un filo si fosse spezzato e non era riuscito più a controllarsi. Senza nemmeno rendersene conto aveva afferrato i polsi di Rin e l’aveva spinta contro la parete, la schiena schiacciata contro il proprio petto, mentre si tendeva per farla combaciare perfettamente col suo corpo.
È proprio questo il problema.
Una voce gridava dentro la sua testa.
Il vostro aspetto è identico, siete duo gocce d’acqua, siete gemelli. È sbagliato quello che stai facendo, fermati subito o non potrai più tornare indietro!
A Len però non importava. Improvvisamente non gli importava più di nulla. Che lei fosse la sua gemella, la sua principessa. Non ricordava nemmeno le sue paure, tutte le ragioni che gli avevano impedito di lasciarsi andare con Rin fino a quel momento. Non ricordava nulla. E la voce della sua coscienza si perse nei meandri della sua anima distrutta dall’amore e dalla passione che stava provando in quel momento, così, stretto al corpo caldo della gemella.
Con una mano catturò in una morsa di ferro entrambi i polsi di Rin, imprigionandoli in alto, contro il muro, e impedendole ogni movimento. La sua bocca si posò sulla spalla sinistra di lei, baciandola e toccandola delicatamente con la lingua. Rin gemette - non di fastidio, si accorse Len con sollievo, ma di piacere. Le sue dita percorsero la linea del corpo della sorella fino ad arrivare ai fianchi, poi le sfilò piano la canottiera, e finalmente la pelle della schiena fu tutta sua disposizione. Len avvicinò le labbra al suo collo profumato, e cominciò a baciarla e mordicchiarla, andando più giù, sempre più giù, mentre gli ansimi di Rin non facevano che fargli perdere la testa e eccitarlo ancora maggiormente.
Però, una volta arrivato alla vita sottile circondata dai pantaloni, un lampo di comprensione gli attraversò la mente, e si rese veramente conto di ciò che stava facendo.
In un attimo si separò da lei, lasciandola ferma contro il muro, le mani ora libere premute contro la parete.
Cosa ho fatto?
Si prese la testa fra le mani, stringendosi le ciocche bionde che gli ricadevano sulla fronte. Aveva gli occhi spalancati, non capiva più nulla. Sul serio aveva perso il controllo in quel modo? Davvero aveva letteralmente aggredito sua sorella?
Len indietreggiò di qualche passo, andando a sbattere contro la testiera ai piedi del letto, e si lasciò scivolare a sedere sul pavimento freddo, la schiena appoggiata a quell’unico appiglio. Non osava alzare lo sguardo, non voleva azzardarsi a incrociare gli occhi spaventati e inorriditi di Rin; non avrebbe potuto sopportarlo. Aveva giurato, quando i suoi genitori erano morti, che avrebbe protetto la sua gemella da qualunque pericolo.
Non poteva credere che lui stesso si fosse trasformato in un pericolo.
Basta, doveva uscire da lì. Doveva dimenticare ciò che aveva fatto, ciò che gli stringeva il cuore in una morsa atroce. Fece per alzarsi, ma qualcosa lo frenò sul posto. Le gambe fasciate dai jeans neri di Rin gli si stavano avvicinando, e lui alzò il volto, a suo rischio e pericolo.
Si sarebbe aspettato di tutto; che lei scoppiasse a piangere, che gli urlasse contro che lo odiava, non avrebbe potuto biasimarla. Invece non avrebbe mai potuto prevedere che Rin gli sarebbe andato incontro con un’espressione tra il deluso e l’interrogativo.
«Perché ti sei fermato?»
Da quando la sua voce si era fatta così roca e sensuale? Forse era l’atmosfera, o le orecchie ovattate di Len che giocavano brutti scherzi; ma il ragazzo non riuscì a dire nulla, né a muovere un muscolo, mentre sua sorella gli si sedeva sopra, le ginocchia aperte sulle gambe di lui.
Rin si sporse e insinuò le mani sotto la camicia del suo gemello, accarezzando ampiamente la sua schiena e graffiandola appena, mentre con la lingua giocherellava col suo lobo.
Len nel frattempo si inebriava del calore e del profumo di lei. La sua pelle bruciava, e la mente scoppiava dal fuoco che sembrava volerla avvolgere e carbonizzare. Il cuore batteva così forte che sembrava volergli sfondare la cassa toracica; era certo che Rin, vicina com’era, potesse sentirlo benissimo. Fu forse per quello che la sentì lasciarsi andare a un rantolo basso.
«Sei sicura di volerlo fare?»
Mentre affondava le labbra nella sua spalla, mentre le mani si infilavano tra i capelli sottili con passione, gli sfuggì quella domanda quasi a fatica. La gemella lo guardò dritto negli occhi - i suoi stessi occhi, poi lo baciò con desiderio, quasi prepotentemente, intrecciando la propria lingua con quella di lui.
«Sì.»
Bastò quello. Len la prese in braccio tenendola per le cosce, senza mai smettere di baciarla. Rin strinse le braccia, legando le dita dietro la sua nuca e tendendo il petto per annullare la distanza tra i loro corpi. Il ragazzo la stese delicatamente sul letto, mentre Rin gli toglieva la camicia e gli accarezzava il petto.
Entrambi si lasciarono andare, senza pensare a nient’altro che non fossero loro. Non si erano mai sentiti così liberi di fare ciò che volevano; le costrizioni sotto le quali avevano dovuto vivere fino ad allora li avevano tenuti lontani l’uno dall’altra per così tanto tempo che quel momento fu, probabilmente, il più felice della loro vita.
E Len si convinse che sarebbero stati insieme per sempre, dimenticandosi del fatto di essere gemelli, comportandosi come volevano e non lasciandosi toccare dalla cattiveria e i pregiudizi di chi li avrebbe definiti “schifosi”, “incestuosi”, “orrendi”.
Si convinse che avrebbero passato ogni secondo della loro vita insieme.
Non poteva certo immaginare che un solo foglio di carta avrebbe potuto distruggere tutto.
 

***
 

Len si accorse che era già mattina solo dal debole spiraglio di luce che filtrava da una tenda socchiusa alla finestra. Aprì prima un occhio, poi l’altro, lentamente, sbattendo le palpebre per cercare di mandare via l’intorpidimento. Quando riuscì nel suo intento, mise a fuoco ciò che gli stava intorno. La prima cosa che vide fu il corpo di Rin di fianco a lui, coperto dalle lenzuola morbide che la facevano sembrare un’apparizione.
Sorrise. In un attimo tutti i ricordi della notte appena passata gli tornarono in mente, e non poté trattenersi dal tendere una mano verso il fianco della gemella, che gli dava le spalle mentre dormiva, e accarezzarlo lievemente, seguendone il profilo snello.
Rin, io ti amo.
Avrebbe voluto tanto dirglielo ad alta voce. Mai si era sentito tanto sicuro di qualcosa in vita sua, mai. Quella era l’unica certezza che al momento possedesse, una certezza che lo faceva sentire felice come non lo era da tempo.
Facendo il più piano possibile, per evitarle un brusco risveglio, Len si alzò dal letto e si vestì. Diede un’occhiata all’orologio. Erano le sette e trentacinque; le lezioni sarebbero iniziate di lì a mezz’ora.
Per oggi niente scuola, principessa.
Si diresse in cucina e preparò due cioccolate calde. Già pregustava il volto illuminato di Rin nel vedersi portare la colazione a letto.
Quando le bevande furono pronte, Len le mise su un vassoio e, affidandosi a tutto l’equilibrio di cui disponeva, tornò in camera da letto. La luce soffusa che proveniva dalla finestra rendeva l’atmosfera più soffice e morbida che mai, e Rin che dormiva tranquillamente tra le lenzuola candide faceva sembrare quell’immagine un sogno.
Non è un sogno. È la realtà.
Len fece un passo avanti, ma qualcosa sotto il suo piede scricchiolò leggermente, così abbassò lo sguardo per controllare cosa avesse pestato. Si accorse che aveva appena messo il piede sopra a quella lettera che il giorno prima Rin teneva tra le mani, e d’improvviso la curiosità prese il sopravvento. Se voleva parlargli di quella, doveva essere una questione importante, e dopotutto lui era suo fratello, doveva sapere.
Diede un’occhiata per assicurarsi che Rin fosse ancora nel mondo dei sogni, poi, appoggiato il vassoio e presa la sua tazza, raccolse la lettera e la aprì.
Il mittente era l’ospedale di Tokyo. Len si sorprese. Quando mai erano stati a Tokyo? Cercò di fare uno sforzo per ricordare, poi si diede dello stupido per non averci pensato prima. Era vero, erano andati in quell’ospedale per alcuni controlli obbligatori circa cinque mesi prima di allora. Ma negli esami erano risultati sani come dei pesci entrambi. Cosa c’era da dire di così grave da spedire una lettera?
Len iniziò a leggere, ma in un primo momento non riuscì, o forse non volle credere a quello che vi era scritto a mano. Dovette rileggere dall’inizio un po’ di volte, sperando con tutto il cuore di sbagliarsi ogni volta, ma ogni volta le parole su quel foglio gli dicevano la stessa identica cosa.
...nel suo corpo è stato riscontrato un tumore già troppo sviluppato per riuscire a curarlo. La conferma è arrivata tardi, e ora non si può più fare nulla...
La lettera continuava con altri termini medici che Len non volle sforzarsi nemmeno a leggere. Non si era ancora del tutto reso conto di ciò che c’era scritto veramente.
Rin... ha un tumore incurabile?
Le dita attorno alla tazza cedettero, e questa cadde a terra; nel contatto col pavimento si ruppe in due pezzi e la cioccolata schizzò ovunque, con un rumore assordante.
A quel fracasso Rin si svegliò di soprassalto, guardandosi intorno interrogativa; infine il suo sguardo si posò su Len e sulla lettera che aveva in mano, e i suoi occhi si fecero colpevoli.
«Si può sapere cos’è questa?»
La ragazza si spaventò; la voce di Len non era mai stata così minacciosa. Senza avere il coraggio di guardarlo in faccia, cominciò a vestirsi, sentendosi a disagio per lo sguardo del gemello piantato sulla sua schiena.
«Dimmelo, Rin.»
Un tono di comando, attraversato da un leggero tremolio. Rin non cedette all’ordine, si alzò dal materasso e fece per uscire dalla stanza, senza ancora averlo guardato negli occhi, ma la mano pronta di Len la prese forte per un braccio, la strattonò e la fece colpire contro il muro con veemenza.
«PARLAMI!»
A quel punto non ce la fece più; Rin alzò lo sguardo, e incrociò quello del gemello, colmo di rabbia cieca e dolore indescrivibile. Non aveva mai visto una disperazione simile nelle sue iridi limpide. Sembravano divorate da un fuoco inestinguibile.
Non riuscì a reggere quello sguardo più a lungo, e la sua voce si riempì di un pianto soffocato.
«Mi fai male...»
Len mollò la presa sul suo braccio, tornando in sé. Spalancò gli occhi e strinse forte la lettera che aveva ancora in mano.
«Parlami, Rin...»
Ora, più che un ordine, era una supplica. Rin non poté sopportare tutta quella sofferenza e, una volta liberata dalla mano di Len, prese il cappotto dall’attaccapanni e se lo mise sulle spalle, lasciando la stanza senza voltarsi indietro.
«Usciamo.» disse solo.
Len non poté fare altro che ubbidire, imitando il gesto della gemella senza mai toglierle gli occhi di dosso, e pregò così intensamente da sentirsi male che quello fosse solo un terribile incubo.
Gli tornarono in mente le parole che aveva pensato poco fa, con uno stato d’animo completamente diverso.
Non è un sogno. È la realtà.
Mentre il cuore gli si distruggeva nel petto, uscì.
 
Camminarono sotto la neve che cadeva lenta e silenziosa; i fiocchi morbidi accarezzavano tutto ciò su cui si posavano, per poi sciogliersi e scomparire.
Len non aveva mai assistito a una scena tanto straziante.
Come la neve, anche la mia Rin si sta lentamente sciogliendo...
Mentre gli stivali affondavano nei cumuli di neve fresca, e le tracce del loro passaggio interrompevano quel bianco monotono, Len non aveva mai smesso di guardare sua sorella. Era bellissima anche in quel momento. Non poteva fare a meno di essere bellissima, qualunque fosse il suo stato d’animo. E Len la amava da morire. Perché, si chiese, gliela stavano portando via? Era forse quella la punizione che meritava per essersi innamorato perdutamente di lei, la sua gemella? Se così fosse stato sarebbe stato pronto a rinnegare tutto; il suo amore insano, la sua passione, la sua brama. Avrebbe rifiutato di stare insieme a lei e sarebbe resistito a tutto, se però le fosse stato concesso di vivere.
D’improvviso Rin si fermò, e Len fece lo stesso, dietro di lei.
«Len, io sto morendo.»
Le parole vennero fuori così, dure, sebbene pronunciate dalla sua voce armoniosa.
«Sto morendo...»
Len lo aveva già capito benissimo. E allora perché sentì le sue gambe cedere, e il cuore fermarsi per qualche secondo, impedendogli di inalare aria? Non lo sapeva, non se lo spiegava. Forse il fatto che Rin avesse dato quella tremenda conferma a ciò che aveva già letto lo destabilizzò in un modo che non avrebbe mai potuto immaginare, rendendolo vulnerabile come non mai.
Sta morendo. Sta morendo.
Qual era il vero significato di quelle parole? Dei semplici ammassi di lettere, che avrebbero potuto voler dire qualunque cosa. Eppure potevano sconvolgere un’intera vita, potevano infrangere mille sogni, speranze, progetti. Due parole che avevano un potere impossibile da controllare.
Il ragazzo si voltò lentamente, in testa un turbine indefinito di domande, pensieri, paure. Camminò fino ad arrivare di fronte al un albero coperto dalla neve. Poi, stringendo i denti così forte da farsi male, colpì con la testa il tronco duro e freddo.
E pianse.
Di rabbia. Di terrore. Di frustrazione. Di impotenza. Di dolore. Di disperazione.
Pianse.
Rin non fece nulla per frenare quel tremendo gesto di dolore. Vedere il gemello in quelle condizioni le aveva scavato un solco tanto profondo dentro, da superare perfino la paura per il destino che le era stato riservato. Non osò nemmeno avvicinarsi a lui per cercare di consolarlo. Rimase immobile, in mezzo al bianco accecante del panorama che li circondava, mentre ogni suo singolo singhiozzo era una nuova pugnalata al cuore.
Alla fine Rin sentì il suo respiro tornare leggermente regolare, e si decise a guardarlo. Ora era seduto sulla neve morbida, con la schiena appoggiata al tronco dell’albero, e la testa abbandonata su di esso. Gli occhi avevano perso ogni scintilla, erano vacui e sembravano vagare in un punto indefinito di tutto il candore intorno a loro.
«Da quanto tempo lo sai?»
Anche la sua voce era atona, priva di qualunque intonazione, sebbene arrochita per il pianto.
«Tre mesi» rispose Rin in un sussurro, che Len sentì benissimo, e che anzi echeggiò nella sua mente amplificando il dolore. Aggrottò le sopracciglia e chiuse le palpebre per evitare nuove lacrime.
Tre mesi... Da tre mesi un male contro il quale nessuno può niente ti sta portando via da me... Da tre mesi una forza oscura ci sta separando... Da tre mesi sto perdendo la mia principessa, e io non sapevo nulla...
Un’improvvisa e quasi insensata rabbia invase il suo corpo.
«Perché non me l’hai detto prima?»
«Perché temevo che avresti reagito così.»
Len si lasciò andare a un sorriso amaro, del tutto fuori luogo rispetto a quello che provava davvero.
«E come altro avrei dovuto reagire, secondo te?»
Per la seconda volta in due giorni, ciò che Rin fece lo spiazzò completamente. Dapprima, dopo quelle parole dure, era rimasta in silenzio; poi si era avvicinata, e gli si era inginocchiato accanto. Infine la sua voce, la voce che Len amava più di se stesso, interruppe la quiete che portava la neve con delle parole che non si sarebbe aspettato mai.
«Credi che per me sia stato facile accettarlo? Credi che sia stato semplice rassegnarmi al fatto che sono destinata ad appassire? Io ho paura, Len. Sono terrorizzata a morte. Ho paura che andandomene mi dimenticherò di te e del tuo sorriso, ho paura di lasciarti solo... Io non voglio morire, non voglio...»
Ora aveva cominciato a singhiozzare, ma tutto quello che Len riusciva a fare era continuare a fissarla. Sentiva le membra completamente immobilizzate; era per il freddo della neve che cadeva implacabile, senza rendersi conto del dramma che si stava consumando, o semplicemente per la vista di tutto quel dolore? Len aveva passato tutta la sua vita a fare l’impossibile per rendere Rin felice, eppure non era bastato. Perché il destino si prendeva così tanto gioco di loro?
«Voglio continuare a vivere, a stare insieme a te. Voglio cantare con te come facevamo una volta, da piccoli, quando i nostri genitori erano ancora vivi. Non ho avuto il coraggio di dirtelo prima perché non volevo che il mio ultimo ricordo di te fosse quello in cui mi dici che mi odi...»
A quelle parole Len crollò di nuovo, ogni resistenza si abbatté senza che lui potesse farci nulla, e i muscoli si mossero prima che il cervello potesse ordinare loro qualunque cosa. Allungò le braccia per catturare il corpo scosso dai tremiti di Rin, e se la strinse al petto, premendo le proprie labbra sui capelli della sorella. Delle nuove lacrime gli bruciarono la pelle fredda delle guance, mentre scendevano silenziose, e lui dovette metterci tutto se stesso per cercare di nasconderle a Rin, che si aggrappava stretta al suo corpo.
«Odiarti? Odiarti...? Io non potrei mai odiarti, Rin, io...»
La frase gli morì sulle labbra, a causa di un altro groppo che gli chiuse la gola e gli impedì di continuare. Controllando il suo stesso tremito, con una mano accarezzò la schiena della gemella per trasmetterle una sicurezza che anche lui stentava ad avere, mentre con l’altra andava a sfiorare con delicatezza il suo viso bagnato. Appoggiò il mento sopra al capo di lei, permettendole così di affondare il volto umido nel collo di Len, che nel frattempo la cullava dolcemente.
Non riuscì a trattenersi; dovette chiederle ciò che più gli premeva, al momento.
«Quanto tempo ci rimane?»
Rin esitò appena. «Io... non ho voluto saperlo...»
Len atteggiò leggermente le labbra in un sorriso stanco. I dottori dovevano averglielo detto, ma lei non voleva che il gemello ne venisse a conoscenza. Probabilmente era meglio così. Preferiva restare all’oscuro del momento nel quale la loro favola sarebbe giunta al termine, e la principessa sarebbe stata condannata a morte, senza che il suo cavaliere potesse fare nulla. Solo stare a guardare.
I gemelli rimasero in silenzio, abbracciati l’uno all’altra come se ne andasse della loro stessa vita. Nessuno dei due dava segno di voler lasciare l’altro; sapevano che il tempo a disposizione era davvero poco, e tutto ciò che più desideravano era percepire il calore dei loro corpi, inebriarsi del profumo l’uno dell’altra, finché potevano. Len riusciva anche a sentire i battiti lenti e deboli del cuore della sorella, che sembravano scandire il tempo che rimaneva loro per restare insieme.
Questo cuore smetterà presto di battere...
Strinse forte la stoffa dei vestiti di lei, in una presa possessiva. Non l’avrebbe mai lasciata andare, la sua Rin.
Dopo un po’, la voce soffice della ragazza interruppe i suoi pensieri. Aveva cominciato a cantare, prima in un tono che non era più alto di un sussurro, e che man mano andava aumentando. Len riconobbe la melodia: era una canzone d’amore che cantavano da piccoli, con i loro genitori che suonavano al pianoforte. Quei ricordi sembravano talmente lontani, che Len si chiese se non fossero di una persona completamente diversa.
«Non sono mai stata veramente sola perché ho sempre avuto te
Riesco a percepire le tue mani calde che mi abbracciano
Non riesco più a provare nulla, eppure ti sento
Attraverso le tue dita e attraverso il tuo cuore...»
«Ti amo» completò per lei Len.
«Sì, ti amo.»
Rin affondò ancora di più il volto sul petto caldo e ampio del fratello.
«Len... che suono ha la mia voce?»
Avrebbe potuto rispondere in mille modi diversi. Che era splendida, quando iniziava a parlare degli argomenti che la appassionavano; che era incredibilmente melodiosa e intonata, quando cantava, tanto da fargli venire la pelle d’oca; che era dolcissima, quando invocava il suo nome; che gli faceva perdere la testa quando gli sussurrava “ti amo”; che era così spensierata quando rideva felice...
Avrebbe potuto dire un sacco di cose. Eppure tacque, e in quel silenzio Rin riuscì a capire tutto ciò che Len voleva comunicarle. Le sensazioni del fratello la raggiunsero, si insinuarono sotto la sua pelle e la inebriarono fino a colmarla. Annaspò alla ricerca di ossigeno, per riempirsene i polmoni; il vento freddo le invase il cervello, rendendolo finalmente lucido.
Ora sì che riusciva a sentirlo, come una parte di se stessa. Ed era certa che anche Len riuscisse a percepire il fatto che ora erano davvero connessi, come non lo erano stati mai. Ora condividevano una sola anima. Ora entrambi sarebbero stati come una persona sola, e sarebbero stati solo ed esclusivamente l’uno dell’altra, raggiungendosi a vicenda non appena fossero stati separati.
Il senso di vuoto che Len avrebbe provato non appena non gli fosse rimasto nulla, neanche l’anima, lo avrebbe condotto dalla sua unica metà.
L’unica persona alla quale sarebbe mai appartenuto davvero.

 
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NdA Voi non avete idea di quanto sia stato difficile per me scriverla. Per prima cosa, non mi ero mai cimentata in questi tipi di racconti prima d’ora. Nel senso, a raiting arancione (sto parlando della prima parte). E non sono efferata nemmeno in quelli troppo romantici - il mio livello di romanticismo equivale a zero ^^”. Spero di aver fatto un buon lavoro, ho spremuto tutta la genialità (?) di cui dispongo (!?) ed è uscito questo, di meglio non posso fare... (certo che se questo è il meglio sono proprio senza speranza -.-")
Inizialmente, il piano originale era quello di scrivere una shot interamente tragica, ovviamente Kagaminecestosa (niente, ormai ho perso la testa per questa coppia...). Ho pensato alle tre storie più tragiche dei gemelli: Story of Evil, Paper Plane e Prisoner, Soundless Voice e Proof of Life. La prima l’ho scartata, ci sono già un sacco di versioni, e poi era impossibile inserire il tema Len/Rin, siccome entrambi erano innamorati di due Vocaloid diversi. La seconda mi ispirava abbastanza, ma non ci sarebbe stata occasione di, come dire?, ehm, fargli consumare il loro amore. E avevo voglia di scrivere qualcosa di porcellino, per una volta.
Quindi mi è rimasta la terza. È in effetti quella che mi ha fatto piangere più di tutte. Mi sono chiesta a lungo se fare morire Rin in diretta o no; forse però sarebbe venuta troppo drammatica, e già così è sufficiente.
Per finire questa ndA che tra poco diventa più lunga della shot, volevo ringraziare la mia carissima amica Karin per la consulenza al primo pezzo. Vedi che dall’esperienza personale si possono trarre dei benefici... anche se non mi hai detto se sia esperienza personale o no... tranquilla non voglio saperlo ù_ù
Ah, e mi scuso anche se il personaggio di Len è venuto mezzo maniaco. Il suo lato alla “Spice!” deve avermi posseduto durante la lavorazione del racconto ù_ù
In breve, se vi è piaciuto (cosa di cui dubito), lasciate un commentino :3 grazie a chiunque sia arrivato fin qui! :D

  
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