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Autore: Quintessence    06/11/2011    16 recensioni
Cosa striscia sotto la superficie? Cosa scuote violentemente il Cuore di Usagi, da quando è uscita dalla bolla di Pharaoh90? E cosa ha visto in quel momento, tanto da renderle gli occhi due voragini vuote, il sorriso una linea informe, i boccoli una massa appassita? Perché la ragazza solare, divertente e amabile che tutti conoscono è diventata all'improvviso scostante, grigia, e spenta? E perché evita così strenuamente Mamoru? Una storia che indaga la più profonda oscurità dell'animo umano, la depressione che spinge a chiudersi nel dolore, la paura di se stessi e la lotta strenua contro l'incomunicabilità delle proprie stesse emozioni.
Qual è la cosa che ti fa più paura...?
Genere: Horror, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inner Senshi, Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Terza serie
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Boh pubblico di mattina, dai che non ci sono tutto il giorno, magari vi lascio un link poi... Spero che qualcuno veda questo aggiornamento finale. Ho perso tutti i dati e ho dovuto riscrivere tutto, purtroppo, ma credo che sia venuto ancora meglio. Le parti fondamentali erano messe a mano, quindi per fortuna le ho potute copiare nuovamente. Il capitolo finale è il capitolo dell'uscita, e non voglio dire molto di più perché banalmente non ho molto da dire, che non sia spoiler o parolacce per OpenOffice. Mi dispiace che il capitolo sembra un po' breve, ma dopo tutto il tempo che ho impiegato a farlo, aggiunte di qualsiasi genere mi sembrerebbero superflue. Speriamo solo che almeno questa settimana di attesa ne valga la pena. LoveLove.
 



4/4 ~ FUORI


Per la seconda volta in poche ore, Usagi dovette lottare disperatamente con se stessa per restare cosciente. Gli occhi continuavano a mandarle immagini come in un disturbato televisore degli anni ottanta, e se c'era un'unica ragione per cui non collassava, quella era l'immagine di Hotaru. Impressa nel suo cuore puro, la sosteneva come una stampella malferma. Si costrinse a non guardare la sfera di sangue e colla, e di fissare lo sguardo solo su Mamoru. Solo sul suo Mamo-chan. Deglutì senza riuscirci davvero; tutta la saliva accumulata le tornò sul palato insieme al conato di vomito. Sputò quello che le era rimasto in bocca, senza mollare per un attimo la mano del suo amato, le nocche sbiancate per lo sforzo di trattenerlo a sé. La voce le diceva con insistenza che era tutto frutto della sua immaginazione, che era una creazione del Pharaoh90. Usagi non le credette.
« Adesso... Adesso... Ti porto fuori... Fuori di qui... » -Ignorò deliberatamente quello che Mamoru aveva sputato, e lo sollevò quasi di peso.
« Non vedi, Usako... Non vedi...? È malato... Sono malato... Non voglio morire così... Non voglio soffrire... Ti prego... Ti prego... » -Parlava con fatica immane, e Usagi glielo lesse negli occhi, e nella voce, Usagi che lo aveva visto dirle che non l'amava più, Usagi che aveva sempre intuito ogni sua bugia in fondo al cuore; intuì la verità. Non voleva davvero continuare. Non l'avrebbe seguita. Voleva davvero morire.
Lascialo lì, basta. Non ti angosciare. È solo un inganno della tua mente. Vattene!
« Ucci... dimi... » -Ripeté ancora quella parola, e spalancò la bocca sbarrando gli occhi. Lei scosse la testa, un guscio vuoto. Era così, aveva ragione, il suo corpo era malato; nella sua bocca cominciava a formarsi una strana sostanza nera troppo simile a quello che aveva appena sputato. Se non si fosse sbrigata, qualsiasi cosa quella roba fosse, lo avrebbe squartato dall'interno.
E poi, probabilmente, avrebbe ucciso anche lei.
Uccidilo. Non puoi più tirarti indietro, adesso. Uccidilo o quella cosa ucciderà te.
Usagi si lasciò fare un passo indietro. Automaticamente, senza averlo programmato, senza che il suo cervello o il suo cuore seguissero le sue mosse, si stava guardando intorno in cerca di una qualsiasi arma. La ribellione di tutti i suoi sensi la fece gridare, orrendamente.
« Uccidimiuccidimiuccidimi » -Si chiuse le orecchie con veemenza, premendo le mani così forte da farsi male. Ma la voce entrava dai suoi pori, nella sua testa, in tutte le sue membra- « Uccidimiuccidimiuccidimi »
L'affanno si prese il suo respiro senza farsi remore; la gola prese a bruciarle, e il suo grido nel silenzio fu senza echi. Sbandò a destra e a sinistra priva di equilibrio, scuotendo la testa con forza. Trovò con gli occhi un pezzo di ferro affilato, e fu in quel momento preciso che si accorse che lo avrebbe fatto. In quell'istante si rese conto che avrebbe ucciso quell'uomo, chiunque fosse. Perché ai suoi occhi non era più Mamoru. Non c'era più niente che lo legasse all'uomo che aveva amato, e lei lo avrebbe ucciso. E lo avrebbe fatto per salvare Hotaru, per salvare se stessa, per salvarsi da quel silenzio straziante, rotto solo dall'orribile voce del silenzio che ancora sussurrava cantilenante...
« Uccidimiuccidimiuccidimiuccidimiuccidimi » -Si mosse altalenante, incespicando. La cosa stava cominciando a uscire dalla bocca di Mamoru. Era informe, nera, più simile alla pece che a qualsiasi altra cosa. Gli occhi iniettati di sangue e l'espressione di lui le comunicarono che riusciva a malapena a respirare. Usagi distolse lo sguardo, si vietò di guardare. Cominciò a contare lentamente i passi che la separavano dall'unica arma che avrebbe potuto possedere. Sette...
Non guardare.
Sei... Cinque... Quattro...
NON guardare!
Tre... Due... Uno... Non era più lei, definitivamente. Si rese conto all'improvviso che non era più lei a impartire ordini al suo corpo scombinato, martoriato, slogato. La sensazione delle dita che si chiudevano contro l'acciaio era l'unica cosa che del suo corpo senziente era rimasta. Solo i suoi cinque sensi. Cinque sensi non sarebbero bastati mai, per descrivere l'enormità di quello che si stava formando nel suo cuore, gonfio abbastanza da farle pensare che la stessa sostanza avesse messo radici dentro di lei.
Si voltò nel momento in cui la cosa usciva da Mamoru e il ronzio si faceva insopportabile nelle sue orecchie.
Uccidilo.
« No... » -Le vennero in mente molte parole, mentre la sostanza nera diventava grande come una persona, e cominciava a prendere la forma di qualcosa di sembiante. Erano tutte preghiere. Pregò qualsiasi cosa fosse simile a un Dio, a una forma superiore. Pregò il suo cuore. E sperimentò per la prima volta in lunghi anni il silenzio della sua anima, il vuoto più immenso che potesse provare.
« NO! » -Cercò di rompere quel silenzio che l'agghiacciava, sperò di sentire ancora la voce insistente, pressante, polemicamente pretenziosa, tediosa e precisa, che pareva non avere niente per lei, se non un ordine.
Uccidilo.
Fece crollare su di lui l'arma pesante e rugginosa, tagliandosi le mani. Affondò il paletto con i palmi, mentre tutto intorno a lei urlava di dolore e sollievo, in un religioso silenzio stridulo, mentre le voci si ritraevano nel guscio, mentre un grazie appena accennato, prigioniero del suo sorriso, la attraversava da parte a parte, doloroso molto più di qualsiasi taglio sanguinante.

*

Il dolore non è più solo mentale ma tremendamente fisico; lo prende allo stomaco, e anche se cerca di sollevarsi, Mamoru, ancora non ci riesce. Un formicolio sordo gli ha pervaso le membra, e non riesce a fare a meno di gemere. Afferra il bordo del letto, ma scivola e rovina sul tappeto, le mani strette sulla pancia nel disperato tentativo di fermare quel bruciore. Si chiede se sarà mai più in grado di mangiare. Comprende piano, e con strazio infinito quanto impossibile sia descrivere una sensazione simile. Quanto impossibile sia anche solo pensarla, la ruggine del sangue del tuo amato. Quanto avrebbe agognato protezione per sempre, e quanto non avrebbe potuto mai averne una totale. Perché da se stessi non si scappa.
Respira, Mamoru. Con difficoltà, respira. Ai piedi del letto, chiude gli occhi per riposare ancora un po' prima dell'atto finale.

*

« No... No... » -Continuò a ripetersi lei, nel silenzio completo, le mani segate e le voci cessate, a metà fra un grido e un sussurro. Il corpo di Mamoru che faticosamente cercava di trasportare, trafitto dal suo fortuito stiletto, ostacolava in modo orribilmente pesante i suoi movimenti. Fu costretta più volte a fermarsi, e alla fine a cedere sulle gambe, troppo indebolita dall'acidità di stomaco, dall'odore e dalla vista del corpo inerte di Mamoru, oltre che dal suo peso. Rovinò a terra maldestramente, il corpo piegato su se stessa. Il dolore della caduta si fece sentire come una scossa che si propagò lungo tutto il corpo. Temette di non riuscire più a muoversi, per un secondo.
L'asfalto sotto la faccia la fece sentire sconfitta. Accettò il sapore in bocca con una sensazione molto, troppo simile al sollievo. Aveva fallito. Aveva finalmente fallito, era finita. Non doveva più agognare alla vittoria, non doveva più preoccuparsi di rialzarsi. Non doveva più soffrire oltre. Era lì che sarebbe morta, decise. Lì nella sua città, lì nella sua strada, lì fra le familiari facce. Lì, accanto a Motoki. Lì, accanto a Mamoru. Lì era il suo posto, e lì sarebbe morta. Chiuse gli occhi docilmente. Lì si sarebbe addormentata. Fra le familiari mura. A casa sua. Erano morti tutti, e allora che senso aveva restare viva anche lei? Che senso aveva continuare? Non c'era più niente da salvare.
Inspirò la polvere.
No! Devi restare cosciente! C'è ancora Hotaru! C'è lei, che ti aspetta... Non vorrai mollare?
Sì, voleva mollare, le membra invase da un torpore familiare e il corpo di Mamoru accanto al suo, gli occhi riversi, chiusi, la bocca spalancata innaturalmente, la mascella in briciole. La mano ancora fissata, il braccio destro teso ad intrecciare le dita.
Non sei da sola. Non essere egoista!
Quella voce cominciava a diventare pressante. Troppo. Qualcosa cominciò a muoversi dentro di lei: un animale agonizzante, ululante, una bestia che non aveva mai conosciuto prima, che mai prima di allora aveva sciolto le sue briglie nel suo cuore. Un nome. Hotaru, Hotaru, doveva focalizzarla. Doveva visualizzarla, anche se i suoi occhi avevano perso il fuoco a causa della sporcizia e delle lacrime.
Alzati!
Lentamente, cominciò ad ubbidirsi.
ALZATI!
Un mugugno di sofferenza le sfuggì dalle labbra mentre con un ritmo esasperante poggiava prima i gomiti e poi le ginocchia per terra e riprendeva a respirare normalmente. Di nuovo, non pianse. Il dolore era troppo ghiacciato per potere anche solo pensare di sciogliersi in quel momento. Aveva pensato di provare a gridare e piangere fino allo stremo. Invece, una insana determinazione si era impossessata di lei, impossibile da scacciare. Faceva troppo freddo per sciogliere quel tormento gelato. Era troppo buio per vedere al di là della flebile luce. Ma un pensiero, e quella voce le riscaldavano le vene, aiutando il sangue a circolare.
Si bendò le mani con i movimenti saldi e circoscritti di chi ha ceduto alla pazzia, usando un pezzo della camicia di Mamoru. Lo prese come un rituale, un modo per portare con sé il corpo, anche se non l'avrebbe seppellito.
Ci sono io, con te.
In qualche modo, l'idea di essere con se stessa la fece sentire meno sola. Un piede prima, dopo l'altro, e ancora e probabilmente per l'ultima volta era in piedi. Ancora una volta, si stupì della incredibile forza che era in grado di reggerla. E per la prima volta nella vita, comprese che voleva distruggere. Distruggere Pharaoh90. Distruggerlo per tutto quello che le aveva fatto. Distruggerlo, vederlo soffrire come aveva visto soffrire Mamoru. Il suo scopo primo, la salvezza di un'innocente, diventò improvvisamente secondo. Prima, avrebbe pensato alla vendetta.
Bastarono una decina di passi calibrati per accorgersi che la luce rossa era vicina molto più di quanto in realtà avesse creduto all'inizio. Scoppi a fasi alterne le fecero intuire che lì dentro si stava svolgendo una battaglia. Probabilmente, una in cui era coinvolta Hotaru.
Corri!
La rabbia che aveva contenuto esplose in un grido di battaglia; il cristallo del suo cuore l'assecondò volentieri, avvolgendola di nastri e di luce. Ebbe la fuku, e non fu più Usagi. Sailormoon prese il suo posto in una vampata di luci e colori. Usagi fu relegata in un angolo di anima, a cullare il dolore per la perdita dell'amato. La voce era diventata Usagi, e Usagi era divenuta la voce. Il Silver Crystal aveva, alfine, avuto la meglio sul suo debole corpo. Sollevata, Usagi scivolò nel suo stesso inconscio. Sailormoon sfondò la parete color rubino con un solo taglio di scettro, come un raggio di sole che squarcia le nubi. E come aveva previsto, Hotaru era lì. Probabilmente anche lei relegata nel fondo dell'inconscio di Sailorsaturn, si disse. La guerriera della distruzione la fissò per un momento con aria sbigottita negli occhi spenti, ogni attenzione focalizzata su quello che pareva un cuore pulsante. Il cuore di Pharaoh90.
L'uscita!
Sailormoon avanzò con passo cadenzato e deciso: Sailorsaturn reggeva uno scudo difensivo contro le ondate di energia che arrivavano dal centro della creatura aliena.
« Che cosa ci fai qui? Non ti avevo forse proibito di seguirmi? » -Sailormoon si fermò di colpo. Non rispose. Non aveva risposte. Non sapeva cosa stesse facendo lì. Lo sguardo sul suo viso fece intuire in qualche modo a Sailorsaturn quello che doveva aver veduto- « Non avere paura. Presto tutto sarà concluso. »
« Aspetta. » -Nella sua voce ci fu un tremito che fermò la falce, che fece vibrare per un momento le dita della ragazza dai capelli d'ebano. Che le fece percepire la sua terribile paura- « Anche tu hai visto... hai sentito tutto questo... Non è vero? » -La vide deglutire con la stessa pesantezza. Le ferite, il viso straziato e gli occhi infermi le dicevano che anche lei aveva veduto l'inferno stesso. Non servì guardarla annuire lentamente, non servirono le due lacrime silenziose, perle d'ostrica che subito le scivolarono sulle guance.
« Lo sai, Lui ha sempre voluto solo una cosa, da me... Da noi. Forse, in questo momento, è ciò che desideri anche tu. E comprenderai, con tutte queste voci... che adesso è ciò che cerco anche io. » -Sailormoon si avvicinò pacatamente alla guerriera della distruzione. Questa volta, lei non la respinse- « Silenzio. »
E fu allora che Sailormoon comprese, e non ci fu bisogno di una falce perché arretrasse.
No! Fermala! Ti prego, fermala!
Annuì in direzione di Sailorsaturn, lo sguardo fisso sul nulla. La falce si sollevò.
Devi fermarla, ti supplico! Ginzuishou...
« Silence Glaive... »
Ginzuishou!
« ...Surprise! »
Il cuore di Pharaoh esplose con uno schianto quasi secco, quasi silenzioso. Mentre il colpo andava a segno, Usagi sentì anche il suo cuore andare in pezzi. Frantumarsi in mille scaglie di luce, rompersi con un ultimo, assestato colpo netto. Infrangersi disperatamente, creparsi per avere uno spiraglio d'aria. Schegge iridescenti l'avvolsero proteggendola. E in quel momento avrebbe giurato di vederle prendere la forma di una miriade di farfalle sfolgoranti.
Quando Usagi ebbe riguadagnato il controllo del suo corpo, non esisteva altro che un fagotto addormentato e una città che si stava richiudendo su se stessa in un crollo impulsivo. Serrò i pugni. E così, Hotaru aveva avuto ciò che desiderava. E così, aveva avuto il suo silenzio. E così, almeno una di loro avrebbe avuto il sollievo dell'oblio. L'afferrò a mani basse, senza farsi domande, e fuggì dallo straziante grido silenzioso del Pharaoh. Non avrebbe mai creduto che il silenzio potesse essere così rumoroso mentre correva, il fagotto premuto sul cuore e l'esplosione alle sue spalle che distruggeva tutto quello che di Tokyo era restato. Superò il corpo di Mamoru, il Crown, superò la scuola, mentre la luce dell'esplosione lentamente mangiava ogni pezzo della creatura aliena, del suo inferno personale. Quando la strada terminò, si trovò di nuovo immersa nel buio e nella raccapricciante consapevolezza di aver completamente perso la strada.
« No... » -Da che parte, da che parte?
Freneticamente il suo cervello lavorò nell'adrenalina, per portarla fuori. Corse alla cieca, senza riuscire a trovare un sentiero. Dopo qualche secondo, si rese conto di aver girato in tondo. Lo scoppio si espandeva nella sua direzione, e lei era tornata a guardare la strada principale di Tokyo.
« No... Non può finire così... » -Non schiacciata dalla loro stessa esplosione. Si premette la bambina sul petto, e si accorse che dormiva beata. Forse era così, che Hotaru voleva morire. E forse così voleva morire anche lei. Forse era quello, il suo Destino, quell'istante infinito, in cui l'esplosione si prendeva i corpi e le case e le strade.
Forse era quella, la visione. La profezia. La fine. L'uscita. La morte. Il silenzio.
Ma Usagi non era mai stata una che se ne sta in silenzio. Voleva gridare, parlare, raccontare ancora mille e poi ancora mille storie. Voleva uscire per non essere mai più costretta a non riuscire a urlare. Perché il silenzio, per lei, significava essere da sola.
Ma tu non sei da sola.
I frammenti del suo cuore, le ali sfolgoranti delle sue farfalle la portarono in alto. Premette Hotaru sul suo cuore. E si sentì cadere.

*

È così che si sveglia, Usagi. Proiettando il suo corpo in avanti in una artificiosa posa di fuga, sbarazzandosi delle coperte, dimenandosi disperata. Immediatamente si porta la mano destra sul cuore, Usagi. Non per controllare che ci sia ancora, questo no, come potrebbe non esserci quando lo sente battere a un ritmo così folle e squilibrato? Per cercare di domarlo, piuttosto. Cerca di spostare anche la sinistra, Usagi, per sorreggere il petto. La trova incastrata nella mano di Mamoru, che in quel momento stesso spalanca gli occhi.
Basta un secondo occhi negli occhi a capire che ha vissuto il suo stesso incubo; la paura li corrode, li calpesta. Può sentire ancora l'acido in bocca, Usagi, il fetore nelle narici. Può ancora udire la lagna agghiacciante. E può ancora vedere, negli occhi di Mamoru, lo straziante spettacolo dell'inferno.
Restano così per lunghi minuti, Usagi e Mamoru. Occhi riflessi in specchi rotti, la mano di lui che tiene salda quella di lei, per non lasciarla precipitare nell'abisso; a muoversi per prima, poi, è Usagi. Fa un movimento quasi impercettibile, che chiunque altro riterrebbe insignificante ma che per Mamoru ha tutta la grazia, la dolcezza e la luminosità dell'amata. Stringe le dita sulla mano del suo adorato Mamo-Chan, Usagi. Piano, senza fretta, una alla volta, le piega tutte per chiudere nell'abbraccio amorevole della sua stretta la sua mano. 
È per terra, Mamoru. Solo il busto spunta grottescamente sul materasso, e pensa che debba essere una posizione davvero scomoda, Usagi. Ogni muscolo di Lui grida pietà, in effetti, per quella posizione ostica; ma non si sposta, Mamoru, e non si sposterebbe per tutto l'oro del mondo. Ha il suo trofeo, la mano di Usagi. L'ha presa, conquistata, l'ha raggiunta, l'ha illuminata. E di sicuro non la lascerà andare facilmente.
Nessuno dei due proferisce parola.
Semplicemente adesso non hanno importanza, semplicemente adesso c'è il silenzio.
Non è il silenzio delle aspettative, quello che grava sulle loro spalle. Non è nemmeno il silenzio delle attese. Non è il silenzio dei colpevoli, non è il silenzio della morte, e non è neppure il silenzio di una verifica. Non è un silenzio comune, quello che esiste in quell'istante. È un silenzio che racchiude tutte le parole che non si sono detti in quei giorni, un silenzio che chiede di non dimenticare Hotaru. Un silenzio che chiede di non dimenticare e basta. È un silenzio che parla fin troppo forte, e con parole troppo forti per pensare anche solo per un istante di essere interrotto. E infatti, per lunghi minuti, entrambi temono quasi di vibrare, temono quasi di incrinarlo per errore, perfino il respiro sembra profanare la sacralità di ciò che quel silenzio sta cercando di dire, soffocando.

*

« Mamo-Chan? » -Chiama con un certo timore Usagi, dalla cucina. L'orario è poco importante, anche se è discretamente tardo; entrambi hanno fame.
« Sì, cosa c'è, Usako? » -Il suo tono è tornato luminoso. Il legame è tornato ad esistere, debole connessione fra due corpi. Ha fiducia, Mamoru, perché lo nutrirà con gentilezza. Perché se ne prenderà cura.
« Non riesco ad arrivare al sale e... » -Si blocca, Usagi, e si irrigidisce quando un trillo rompe il silenzio della casa. Credeva di essere uscita, credeva di essere fuori, Usagi, invece il sordo terrore le accappona la pelle quando sente il suono stridulo del campanello. Deve ancora placare il respiro, ancora controllare il battito del suo cuore prima di essere pronta ad affrontare la porta chiusa, Usagi. Arriva alla maniglia quasi contemporaneamente a Mamoru; l'afferra con dita tremanti, Usagi, davanti agli occhi immagini di Naru con gli occhi vuoti, con la bocca impastata di sangue. Quando tira verso di sé, però, non c'è niente di spaventoso o di innaturale nelle quattro ragazze che la fissano da dietro un piccolo pacchetto di quelli che devono essere dolci, ipotizza Usagi.
« Uh, è davvero come sembra? » -Dice Minako, vedendola completamente imbrattata di farina. 
Restano tutte sulle scale, a guardare dentro la casa. È paralizzata, Usagi. Rei ha messo a letto il nonno, e le altre l'hanno seguita sapendo precisamente dove sarebbe andata. Queste sono le tesi confuse, quel pacchetto è una torta al cioccolato, se la vuole è per lei. Le guarda ancora, Usagi, come se potessero dissolversi da un momento all'altro, sostituite dalla polvere, o come se potessero improvvisamente sputare quella pece nera, appiccicosa.
« Che... cosa? » -La cosa più difficile è vedere Minako seria. Quando succede, la sua bocca scivola in un'espressione accigliata, e sembra molto più alta di quanto sia in realtà. Sembra anche esausta. Sembrano tutte davvero esauste. Riesce solo a pensare a quel Dentro, Usagi, e il momento è di silenzio di nuovo. Si chiede se alle altre sembra persa nei ricordi oppure solo un po' stralunata, un po' sbalordita. Rei si prende la parola.
« Non devi parlarcene, se non vuoi... » -Ridacchia, ma il suono è troppo soffice. Le dita corrono a toccare la spalla della ragazza. C'è una sorta di durezza in quella stretta, nel modo in cui la stringe. Poi fa un passo indietro- « Ci dispiace di non essere state abbastanza forti, Usagi-Chan »
« No, non dovete rimproverarvi » -La voce esce ruvida e la stessa Usagi se ne sorprende- « Non siete voi... Sono io. Io sono il problema. Non sono forte abbastanza, e a volte... credo di sapere dov'è Hotaru, altre volte no. Non sono... Abbastanza forte, i ricordi sono troppo spaventosi, e vecchi, e nuovi, e la testa non smette di girarmi e- sono io, Rei-Chan. Non è colpa di nessuna di voi. »
Makoto le afferra la mano.
« No » -Dice solo quello, e poi sorride- « Non è colpa tua. Risolveremo questa cosa insieme. Lo promettiamo, tutte, promettiamo che riusciremo a risolverla. »
La sua voce è ferma e sicura, e si sente cominciare a tremare, Usagi, il suo sguardo cade e fissa la mano di Makoto sulla sua. Minako le prende il braccio, entra in casa e la guarda. La seria fermezza nei suoi occhi l'intimorisce, Usagi.
« Non ce ne staremo fuori a guardare. »
Si allunga in avanti, Usagi, mentre Minako preme la testa contro la sua, tenendosela vicina vicina, stretta. Per non lasciarla andare. È allora che le altre ragazze entrano in casa, e si uniscono a loro. Makoto la abbraccia di lato, e preme le labbra contro la sua guancia. C'è Ami, poi, che se ne sta un po' in disparte, solo una mano sulla spalla di Usagi e il suo sguardo fisso e soffice, e Rei. Le braccia di Rei l'avvolgono quasi completamente. Intorno al petto, da dietro, Mamoru abbraccia la sua schiena e lascia giacere la sua testa contro l'incavo del suo collo.
C'è calore, tepore, e luce. Ci sono le farfalle. Il nodo si scioglie.
Ed è così che finalmente comincia a piangere, Usagi.

   
 
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