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Autore: Gea_Kristh    12/11/2011    8 recensioni
In un ipotetico cinque-anni-circa-dopo-Hades, con tutti i Cavalieri risorti (perché altrimenti non sarebbe divertente), Helene, Cavaliere d'Argento della Croce del Sud, racconta delle sue tragicomiche (dis)avventure al Grande Tempio... Povera cara, non è colpa sua se la sfiga non ha occhi che per lei!
Dal primo capitolo:
Aphrodite scoppia a ridere, ed io mi sento andare a fuoco le guance. Cerco di lanciargli un’occhiataccia, ma so già che sarà del tutto inutile.
– Detto tra noi, tesoro, il Cavaliere dell’Ariete è proprio un bel bocconcino, sai? Non mi dispiacerebbe mica dargli una bella strapazz… –
– STOP! –
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Mu, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*-*-*-*

L'altro giorno ho fatto un sogno strano. No, davvero, un sogno totalmente pazzoide. Voi direte, e a noi che cavolo ce ne frega? Nulla, vi rispondo io. Era tanto per dire... E per introdurre questa nuova storiella.
"La Tragicomica", come intuirete dal titolo, è una storia ben poco seria. Avevo voglia di scrivere qualcosa di totalmente diverso dal solito; una storia poco impegnata, insomma.
Me la sono immaginata la mattina dopo che ho sognato quella roba di cui vi dicevo, la mia protagonista. Lei è... tutto quello che, di solito, NON sarebbe un mio personaggio. Avete presente Rajani, di Bleeding Sunset? Ecco, l'opposto. Più o meno.
Helene è una ragazza divertente, spigliata, e la adoro proprio perché va presa a cuor leggero. Mi sono talmente divertita, a scrivere di lei!
"La Tragicomica" è, appunto, la storia delle (dis)avventure di Helene, narrate dal suo punto di vista. E' ambientata in un ipotetico cinque-anni-dopo-Hades (con tutti i Gold Saints risorti, ovviamente), più o meno.
Che dire...! Considero questo un lavoro secondario, se vogliamo; un'opera (toh, che parolone!)  meno importante di Bleeding Sunset, ma a cui mi sono affezionata ugualmente.

Spero tanto che apprezzerete questa mia storiellina, tenendo sempre presente che non è da prendere troppo seriamente.


Buona lettura!
Gea Kristh

Disclaimer: Saint Seiya e i suoi personaggi appartengono a Masami Kurumada; Helene e Edet, invece, sono assolutamente miei.

La Tragicomica

Capitolo 1 - Di Cavalieri, Adoni e Marmocchi

La miseriaccia! Mica mi ricordavo tutte ‘ste scale…! Certo però che fregatura, eh. Una non può andarsene per qualche mese che già perde l’allenamento. Non vale, ecco.

Sbuffo spazientita, risistemando meglio il bimbo che, tranquillo, mi dorme contro la spalla – mica scemo, lui!

Bah, tanto non serve a nulla lamentarsi. Riprendo a salire, e vedo delinearsi davanti a me il profilo della Prima Casa. Mi sento vagamente nervosa, lo ammetto. Sono passati cinque mesi da quando sono partita, e da altrettanti non lo vedo. Gli sarò mancata un pochino? Un pochinino-ino-ino? No, eh? Non pretendo mica tanto, dai…

Oh Atena, come sono patetica. Forza Helene! Ora tu andrai lì, in quella dannatissima Casa, entrerai e lo saluterai. Sì. Ecco. E magari, visto che ci sei, gli chiederai anche come sta. In nessun modo o maniera TU, ragazza, tacerai, capito? Eh? Capito?

Ma che me lo dico a fare? Tanto lo so che, non appena lo vedrò, non riuscirò a spiccicare parola. Ma mica è colpa mia se i miei neuroni vanno a farsi un giro ogni volta che lui è nei paraggi, insomma!

Sproloquiando tra me e me, quasi non mi rendo conto di essere arrivata all’ingresso della Prima Casa. Oh miseriaccia…

– Helene, bentornata! –

Ed eccolo, signori e signore, il mio personalissimo diavolo tentatore! Lui mi viene incontro tranquillo – Bellissimo… – sorridendo conciliante – Oddio… Perché deve avere quelle labbra carnose? Santissima Atena, salvami tu! – ed io mi sento arrossire fino alla punta delle orecchie – in questi momenti ringrazio di cuore Atena per la maschera che indosso.

E ora che gli dico? Dannazione ragazza, sveglia! Metti in moto il cervello, su.

Deglutisco rumorosamente e apro la bocca, cercando le parole… che, tanto per cambiare, non arrivano. Mamma mia, penserà che sono una cerebrolesa.

– Come è andato il viaggio? – Mi chiede, sempre sorridendo. Tanto ormai ci è abituato; se spiccico due parole, in sua presenza, è grasso che cola.

Io riesco, finalmente, a biascicare un “bene” sommesso, e lui annuisce, dicendomi che se ne ho bisogno posso passare la sua Casa. Ed io, da brava e coraggiosa sacerdotessa guerriero di Atena, me la do a gambe levate.

Ebbene sì, questa sono io: Helene Kerstin Dunhe a rapporto, signori e signore! Prode Cavaliere d’Argento della beneamata Dea Atena, nondimeno.

Comunque lo ribadisco, non è colpa mia. Se lui non fosse così assolutamente e completamente stupendo, io non mi trasformerei in una scolaretta alla sua prima cotta ogni volta che lo intravedo.

Speravo davvero che i cinque mesi passati in Eritrea, alla ricerca del marmocchio che ora porto tra le braccia, potessero farmelo scordare, ma, ahimè, queste cose accadono solo nelle fanfiction.

Sto divagando di nuovo, non è vero?

Sbuffo ancora, manco fossi una locomotiva. Sono neanche a metà strada tra la Casa dell’Ariete e quella del Toro, e già mi sono altamente rotta i maroni di queste scale. Ma un ascensore no, eh?

Intanto il piccolo frugolo tra le mie braccia sbadiglia e apre gli occhietti neri. Edet è davvero un amore, non c’è che dire. Gli sorrido, mentre aumento il passo – altrimenti ci facciamo notte, su ‘ste scale.

Ora, perdonatemi, ma fatemi accelerare un po’ i tempi, volete? Sono passata per la Seconda Casa, dove quel tesoro di Aldebaran mi ha quasi lussato una spalla dandomi una pacca – Accidenti a lui e alle sue manie da gigante buono! – poi sono filata su per la Terza, dove quel dio sceso in terra di Kanon ha fatto, tanto per cambiare, ballare la tarantella ai miei ormoni. No, dico, l’avete mai visto? Quello tenterebbe pure una santa, all’animaccia sua. Ecco, quindi vedete che non è assolutamente mia la colpa se mi si secca la gola anche solo a pensarci. Oh.

E non dite che sono volubile! È diverso… Mu è l’uomo della mia vita – anche se lui non lo sa – ma gli occhi per guardare quel ben di dio di Kanon ce li ho anche io!

– Helene, – mi saluta, e a me viene da sorridere. Ecco, vedete? Kanon è quanto di più figo madre natura abbia concesso alle donne, ma lui mica mi rincoglionisce! No, questo onore è riservato solo ad un uomo... Me tapina!

– Kanon, – gli rispondo, gentile. Ce le ho anche io delle buone maniere, cosa credete?

– E questo cosetto chi è? – Il Cavaliere di Gemini fa un’espressione a metà tra il disgusto e la curiosità, e a me viene da ridere.

– Questo qui è il motivo per cui non mi sono fatta viva ultimamente. Edet, dì ciao a Kanon, – mi rivolgo al bimbo, che ubbidiente saluta l’adone davanti a me con la manina paffuta.

Kanon mi guarda come se mi fosse spuntata una seconda testa. – Ah, – è il suo commento loquace, al ché io rido apertamente.

Gli chiedo se posso passare e lui annuisce, salutandomi.

Prima di entrare nella Quarta prendo un profondo respiro, preparandomi psicologicamente a sopportare le moine di quel montato di Deathmask. No, davvero, è la persona più schifosamente egocentrica che io conosca – dopo il mio maestro, per lo meno… Sarà per questo che vanno così d’accordo?

Lui, non appena mi vede, mi viene incontro con quella sua faccia da schiaffi. Sta per dirne una delle sue, me lo sento. E infatti… – Helene, non sai quanto mi sei mancata, tesoro… Il mio cuore piange, in tua assenza. –

Io alzo le sopracciglia e, anche se lui non può vedere la mia espressione, credo che il mio silenzio sia piuttosto chiaro. Visto che lui non sembra afferrare, però, rendo espliciti i miei pensieri. – Guarda che non ci vengo a letto con te. –

Il suo sorriso improvvisamente lascia il posto ad una smorfia. – Prima o poi sarai tu a pregarmi, – afferma serio. E ci crede pure! Però bisogna ammettere che, nonostante i rifiuti, lui persiste, eh. Non so, mi sentirei quasi onorata, se non fosse così incredibilmente bastardo.

Lui si volta per tornare nei suoi appartamenti privati, ed io mi incammino verso la Casa del Leone.

Indovina indovinello, chi ci trovo nella Quinta? Ma Aiolia e Marin, ovviamente! Così li ho lasciati mesi fa e così li ritrovo, oggi. Ma dico, a chi vogliono darla a bere? Si vede lontano un miglio che se la fanno insieme, quei due. Tsk.

Alla Sesta, naturalmente, Shaka è in meditazione. Sua Immensità il Cavaliere di Virgo mi concede di passare telepaticamente, ed io proseguo.

Devo ammettere che un po’ mi mancavano, tutti quanti. Sì, anche quel coglione di Deathmask – ma non diteglielo, per favore, altrimenti chi lo sente!

Alla Settima Casa c’è quel tesoro di Dohko, che cerca in tutti i modi di farsi raccontare della mia missione in Eritrea. Arginato il giovane vecchietto – sì, sembra un ossimoro, ma quello potrebbe essere il nonno del nonno di mio nonno! – continuo a salire. Ecco, ora comincio ad essere seriamente stufa di queste scale.

Nelle successive Case trovo un Milo in versione sexy-intellettualoide, con tanto di occhiali da lettura, che, spaparanzato sul divano con una birra in mano, legge tutto contento un libro non meglio identificato – Che bello che è, peccato che non sia il mio tipo! – ; poi un aitante Aiolos, tutto intento a far pesi, e uno Shura che, tanto per cambiare, mi ignora di sana pianta; infine, all’Undicesima, trovo Camus, elegante ed algido come solo lui sa essere, che mi saluta distrattamente mentre suona qualcosa al pianoforte.

Lo ammetto, arrivata a questo punto non ce la faccio quasi più. Per fortuna sono quasi giunta a destinazione.

Entro nella Dodicesima con un sorriso, nonostante sia sudata da far schifo e non  desideri altro che un bacile d’acqua. Eccola, la Casa nella quale sono cresciuta, quella del mio amato maestro.

Aphrodite, appena mi sente arrivare, mi corre incontro e mi abbraccia. Io ridacchio, però ricambio, stando attenta a non spiaccicare il frugolo che ancora tengo in braccio.

– Cara, ma quanto sei stata via! Cominciavo ad essere in pensiero per te, – mette su un finto broncio, e a me viene ancora più da ridere, perché mi era mancata in quei mesi la sua teatralità.

– Maestro, non avevate di che preoccuparvi, io sono stata benissimo. –

Lo vedo passare il suo sguardo ceruleo dalla mia testa ai miei piedi, e mi sentirei a disagio se non lo conoscessi così bene. Però, insomma, è da quando avevo quattro anni che lui si prende cura di me!

– Non sei cambiata di una virgola, tesoro, – mi dice. Poco dopo però solleva l’indice e lo picchietta sulla mia maschera. – A parte questa, – aggiunge infine.

Io annuisco. – Vi piace? Me l’ha decorata un artista nel villaggio di Edet, come dono. –

Durante la mia permanenza in quel villaggio ho cercato di aiutare il più possibile gli abitanti, per ringraziarli della loro ospitalità, e sono rimasta piacevolmente stupita quando, un giorno, l’artista locale è venuto da me e mi ha chiesto di poter dipingere sulla mia maschera la sua gratitudine. Ero un po’ scettica, lo ammetto, ma l’ho lasciato fare, e lui ha creato gli arabeschi rossi e oro che ora la decorano.

Aphrodite annuisce, mentre con la mano solleva il visino di Edet. Il bimbo lo riguarda con diffidenza, ma non si lamenta.

– Che bel bimbo. È quindi questo il famoso Edet di cui tanto si parla? –

Io annuisco. – Devo condurlo alla Tredicesima, perché Atena possa decidere cosa farne. –

Oddio, detto così pare brutto. Più che altro bisognerà decidere a chi affidarlo per il tempo a venire.

Il mio maestro fa un gesto con la mano, come a dire “e allora vai!”, ed io mi dirigo a passi svelti all’uscita della Dodicesima. Solo quando sono fuori mi rendo conto di aver totalmente dimenticato di chiedere un bicchiere d’acqua, mannaggia a me!

Nella Tredicesima vengo accolta dal Grande Sacerdote. Atena è seduta su di uno scranno di pietra, e mi sorride gentilmente. Mi viene spontaneo ricambiare, anche se so che lei non può vederlo. Mi inchino al loro cospetto, come è etichetta, prima di iniziare a parlare.

– Mia signora, questo è il bimbo che mi avevate incaricata di cercare. Il suo nome è Edet, e viene da un piccolo villaggio nel sud dell’Eritrea. In questi mesi gli ho insegnato ciò che ho potuto della lingua greca, e lui ha acconsentito a seguirmi qui. Purtroppo non gli è rimasto nessuno nella sua patria. –

– Sei stata brava, Helene. –

Mi sento onorata alle parole della mia Dea. Yay! Evviva me!

– Potete lasciarlo qui, Cavaliere della Croce del Sud, – mi dice il Grande Sacerdote, ed io poggio il bimbo a terra. Lui mi guarda con quei suoi occhioni neri, e a me quasi sale il magone; mi ci sono affezionata un po’ troppo, mi sa.

– Edet, non preoccuparti, queste persone non ti faranno male. Loro ti vogliono aiutare, come me, capito? – Quando il bimbo annuisce, io continuo. – Fai il bravo e sii ubbidiente, mi raccomando. –

Alzo il capo per congedarmi dalla Tredicesima, e Atena mi rivolge un sorriso dolcissimo, carico di comprensione.

– Potete andare, – mi dice il Sacerdote, ed io mi volto, senza guardare indietro perché so che ci starei ancora più male, a lasciarlo qui solo.

È così che mi trova il mio maestro quando entro nella Dodicesima Casa: tutta piagnucolosa perché quel fagottino scuro già mi manca. Me lo vedo, tutto spaesato e confuso, a chiedersi perché mai la sua sorellona Helene l’abbia abbandonato lì. Che cattivona senza cuore che sono…

Okay, forse sto esagerando. Ma mi dareste ragione se anche voi aveste visto la sua espressione!

– Gradisci del tè, cara? – Mi domanda, sempre premuroso, Aphrodite, ed io annuisco di rimando.

Lui mi fa accomodare nel suo delizioso salottino, e mi porge un fazzoletto ricamato.

– Grazie, – mormoro, tirando su col naso, e mi sfilo la maschera, tanto siamo solo noi due.

Ebbene sì, il mio maestro mi ha vista in volto. Ebbene no, non è una tragedia.

Ricordo che successe… cinque anni fa, circa. Durante un allenamento mi colpì così forte che la mia maschera andò in frantumi. Poverino… Era mortificato. Io, dal canto mio, ero così scioccata che neanche riuscivo a spiccicare parola.

Grazie al cielo eravamo soli, oppure sì che sarebbe stato un dramma! Lui si era voltato di scatto, ma sapevo che mi aveva vista. Feci la cosa più logica: andai nella mia camera a prendere un’altra maschera – perché qualsiasi sacerdotessa degna di questo nome ne ha almeno un paio di ricambio – e tornai da lui. Poverino, non credo di averlo mai visto tanto triste quanto quel giorno. Cominciò a sproloquiare a proposito del fatto che era pronto a pagare il prezzo della sua follia, che non avrebbe mai voluto crearmi questo problema, e tante altre cose che ora non ricordo, ma che trovai estremamente melodrammatiche allora.

Io non dissi nulla, mi limitai a sbuffare e lo presi per un braccio, trascinandolo fuori dalla Dodicesima. Chissà cosa si aspettava, il mio caro maestro! Di certo non che facessi irruzione nella Tredicesima Casa, sotto lo sguardo curioso di Lady Saori.

Ricordo che presi un profondo respiro, prima di domandarle cosa significasse per lei l’amore. Ad onor del vero, credevo che mi avrebbero buttata fuori a suon di calci nel culo. Ed invece…

La reincarnazione di Atena ci pensò su, mentre mi fissava curiosa. Infine mi rispose che l’amore è quel sentimento che lega le anime di due persone indissolubilmente; che è la luce negli occhi di due amanti che si incontrano, o l’affetto nell’abbraccio di un padre, o ancora la devozione di un discepolo.

Sì, ci rimasi. Fu in quel momento, probabilmente, che cominciai sul serio a vedere Lady Saori come la Dea Atena.

Io mi voltai verso il mio maestro, allargando le braccia come per dire “lo vedi?”. In fondo, io Aphrodite lo amavo, e lo amo ancora. Non come si ama un uomo, certo; ma sicuramente come si ama un fratello maggiore, o addirittura un padre.

La stessa Atena, in seguito, mi disse che, davvero, avrebbe voluto abolire quella regola, ma che non poteva; essa era troppo radicata in tutti noi, nelle nostre abitudini, nelle nostre convinzioni. E allora lasciava correre se, come era capitato a me, per uno sciocco incidente un maestro vedeva il viso della sua allieva. In fondo, disse, può capitare, combattendo assiduamente, e se già le due persone sono legate da un profondo affetto, chi era lei per sindacare? Avrei voluto risponderle che lei era Atena e che aveva tutti i diritti di sindacare quanto le pareva, ma tacqui, e accettai il suo benestare.

Vedo il mio maestro mettermi una tazza di tè sotto il naso, e mi riscuoto dai miei pensieri. Gli sorrido, grata, lasciando che il profumo della bevanda mi inebri i sensi. Aphrodite utilizza solo il migliore tè alle rose in circolazione, corretto con appena una goccia di veleno – come mi ha confessato tempo fa, spiegandomi il perché mi sentissi sempre male, quando lo prendevo da piccola; ormai sono così assuefatta a quella dannata essenza che credo non schiatterei nemmeno se me ne facesse bere una tinozza.

– Allora, cara, com’è andata la scalata delle Case? – Mi chiede, ed io posso ben notare la nota maliziosa nei suoi occhioni cerulei. Mannaggia a lui e a quando ha scoperto della mia infatuazione!

Io mi schiarisco la gola, e cerco di assumere un’aria noncurante. – Tutto bene, – rispondo laconica.

– E, dimmi, come stava il caro Mu, giù alla Prima? Sai, non lo vedi quasi mai da queste parti, e da quando quel moccioso è partito… –

– Kiki è partito? – Gli domando, sinceramente curiosa. Quello scricciolo è una vera peste, ma lo adoro.

Aphrodite annuisce, poi poggia la tazza sul tavolinetto di vetro e mi osserva, in attesa.

So cosa vuole, mannaggia a lui, ma non gli darò la soddisfazione di dirgli che non è cambiato nulla; che il cuore mi batte ancora forte anche solo a pensare a lui, a quei suoi magnifici occhi verdi… A quella pelle alabastrina… Quelle labbra… Così sensuali…

Mi copro il viso con entrambe le mani, perché so di essere arrossita fino alla punta dei capelli. Maledizione! È tutta colpa del mio maestro! Io provo a non pensare a lui, ma noooooo…! Apriamo la stagione di presa-per-il-culo-di-Helene!

Aphrodite scoppia a ridere, ed io mi sento andare a fuoco le guance. Cerco di lanciargli un’occhiataccia, ma so già che sarà del tutto inutile.

– Detto tra noi, tesoro, il Cavaliere dell’Ariete è proprio un bel bocconcino, sai? Non mi dispiacerebbe mica dargli una bella strapazz… –

– STOP! – Lo interrompo, con gli occhi sgranati, prima che possa finire la frase. Mu è solo mio, capitooo?! Certo, lui di questo non è che ne sia propriamente al corrente, ma abbiate fede…

Aphrodite mette su quel broncio adorabile, dilatando gli occhioni e guardandomi come fosse un povero cucciolo bisognoso d’affetto, ed io sbuffando devo ammettere che, se al mio uomo piacessero anche i maschietti, non avrei la minima speranza.

– Comunque, – lui prende di nuovo la tazza di porcellana tra le mani, portandosela alle labbra, – non preoccuparti, ho già in mente un piano perfetto. –

Oddio.

   
 
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