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Autore: Sophrosouneh    16/11/2011    0 recensioni
“Soltanto la sua fiera presenza statuaria infondeva nel cuore di Thaet una sicurezza innata che la portava a nutrire una flebile speranza di salvezza.
“Grazie.” Bisbigliò a denti stretti abbassando la testa.
“Dovere” rispose Vhes, concedendosi un sorriso rilassato alla vista dell’impaccio della minore.
Così, mentre il sole calava lento dietro le nubi antracite. In quel disperso angolo di infernale paradiso, si rovesciava copiosa una tempesta depuratrice di mali. L’acqua corrente lavava via il sangue dalle anime e la polvere dai ricordi. Ma, allo stesso tempo, custodiva i segreti nei cuori di ogni dimora.”
Le tre Erinni: tre sorelle che non potrebbero essere più differenti. Vhes la forte, Thaet la subdola ed Inarwe la fragile. Ed è proprio quando la minore si trova ad affrontare la realtà che le si para di fronte il più insidioso dei nemici: la paura di affondare sé stessi.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Serata tempestosa- Pont-Saint-Martin 16 marzo1987

 
Varian era lì, a due passi da lei; poteva vedere il suo respiro condensarsi sulla superficie liscia del vetro della finestra del soggiorno di casa sua. Guardava fuori la tempesta abbattersi scrosciante sulle pendici aspre dei monti dalle bianche cime innevate. Gli occhi vacui persi in una dimensione di cui solo lui conosceva l’esistenza, e dalla quale nessuno ormai avrebbe più potuto farlo riemergere. Assaporava l’oscurità del baratro in cui stava per saltare, desiderando inconsciamente la perdita di conoscenza, per il solo desiderio di dimenticare, annegare i suoi dolori in un’acqua in grado di purificare, o tra le lingue di fuoco dei suoi sogni che, crudeli e beffarde, lo torturavano facendo apparire la morte tanto distante. Giocavano con lui e con ciò che rimaneva della sua mente.
Continuava a sentire quella voce che lo aveva spinto ad uccidere la sorella, gli sussurrava all’orecchio pensieri che lui non avrebbe mai neppure osato formulare. Quando udiva quei gelidi sibili, inconsciamente le immagini del volto della sorella gli tornavano alla mente, minando il poco autocontrollo che gli era rimasto.
Odiava quel suo essere incapace di qualsiasi azione; lo avevano insultato, picchiato, deriso e lui si era tenuto tutto dentro covando una rabbia tale che essa, un giorno, si era ribellata al suo controllo, scatenandosi sulla prima persona che gli fosse capitata sotto tiro.
Non era che l’ennesima vittima di una vita ingiusta. Meritava una giusta punizione anche solo per il fatto di aver osato venire alla luce.
 
Inarwe osservava l’uomo perso nella sua solitudine infestata dai fantasmi di un passato che sarebbe stato duro per chiunque. Seduta sulla mensola sopra il caminetto stracolmo di cenere e tizzoni morti del fuoco della sera precedente. In tutta la casa regnava un gelo pungente che faceva scricchiolare le ossa e raggelare il fiato appena fuoriuscito dalle labbra.
Con i suoi profondi occhi di ametista scrutava il profilo stanco del giovane uomo, segnato da troppe rughe per la sua reale età; piaghe segnate da una vita tanto dura quanto inquietante per qualsiasi essere umano.
Lui così debole, incapace di ribellarsi a quello che i mortali chiamavano ‘destino avverso’. Infondo era soltanto una persona alla ricerca di qualcuno che gli dimostrasse un po’ d’amore e d’aiuto; forse era per questo che la Mania aveva sentito tanta affinità con quell’essere.
Guardando quelle fosse sotto gli occhi, quello sguardo perso nel vuoto, quelle ossa sporgenti e quella debolezza insita nel suo essere, vedeva riflessa in lui la propria figura incorporea.
Aveva paura di quell’uomo, un timore tanto intimo e forte da farla sussultare, ogni qual volta coglieva un particolare in più di quel volto tanto bello quanto atroce. E ciò accadeva perché la sua paura era quella di perdersi in quella figura carica di dolore che le somigliava tanto amaramente.
Anche lei, allo steso modo si trascinava succube di un intero mondo di demoni dominatori.
Le sue sorelle, Vhes e Thaet, loro non sapevano quello che si provava ad essere schiacciati tanto dalla vita, tanto da coloro in cui si ripongono le proprie speranze.
Varian era impazzito, risucchiato nel vortice di una logorante schizofrenia, mentre lei ancora si logorava aggrappandosi spasmodicamente alle sue sorelle maggiori per trovare protezione ed aiuto. Ma quanto ancora avrebbe potuto continuare con quell’aborto di vita?
 
Era questa intima corrispondenza che percepiva unire le loro anime che l’aveva spinta a manifestarsi in sogno all’uomo nella sua vera forma. Non lo aveva mai fatto per nessun altro, ma quel riflesso di specchio era troppo importante per lei, per lasciarselo sfuggire dalle mani senza tentare di stabilire un contatto con la sua anima.
Fu così che si lasciò scivolare giù dal caminetto, facendo sì che la lunghissima veste corvina sfiorasse il pavimento di legno della casa spoglia.
In un istante il suo corpo di donna si mutò in quello della nera bestia demoniaca: il cane nero infernale dagli occhi viola. Nonostante il fatto che non fosse più invisibile agli occhi dell’uomo, Varian continuò ad ignorare la sua presenza mentre lei gli si aggirava attorno alle caviglie. Fu solo quando Inarwe appoggiò la testa, coperta di soffice pelo scuro, sulle ginocchia dell’uomo, che la sua mano destra parve animarsi da sola, cominciando a lisciare il pelo della creatura.
“Sei tu.” Non era una domanda, bensì una semplice constatazione che squarciò il silenzio del luogo, interrotto solamente dal ticchettare della pioggia sui vetri appannati dal calore di un corpo umano.
Per tutta risposta dalla gola di Inarwe provenne un guaito sommesso.
“Sei venuta a prendermi?” le chiese, mentre gli occhi immobili continuavano a scrutare il vuoto di fronte a sé.
Un amaro sorriso gli si dipinse sulle labbra.
“No, tu non me lo porterai via!” sibilarono le labbra di Varian con una voce di tre ottave superiore alla norma.
“Hai una vaga idea di quanto tempo io abbia impiegato per formare il carattere di Varian?? Rispondimi!” tuonò la voce femminea, mentre sul volto del giovane si dipingeva un’espressione di sdegno.
 
Era lei.
Per la prima volta da quando Inarwe e le sue sorelle avevano cominciato ad occuparsi della salute mentale di Varian, le capitava di incontrarla. La voce melliflua che sussurrava nell’orecchio dell’uomo, che lo aveva costretto all’uccisione dell’amata sorella, era lì, di fronte ai suoi occhi. In verità Vhes le aveva già accennato all’esistenza di un ‘lato oscuro’ nella personalità di Varian; ma semplicemente aveva preferito dare poco conto a quelle parole, perseverando a seguire le sue tesi. Ma adesso che coglieva quella sfumatura nello sguardo, nella postura, e nell’espressione del volto, capiva finalmente la gravità del problema. Era chiaro come il sole che Varian avesse una personalità alternativa, il problema dunque era come riuscire ad estirpare la metà malvagia, lasciando intatto l’ego dell’uomo.
 
Inarwe si ritrasse un poco, scostandosi dal corpo di Varian.
“Smettila Vittoria, così la spaventi.” La voce dell’uomo si impose di nuovo, come se fosse riuscito a riprendersi il controllo del proprio corpo. Ma tale situazione durò per poco, perché ben presto si impose nuovamente la voce della donna:
“Maledetto ingrato! È questo il modo di rivolgersi a chi ti ha così spesso difeso? Vergognati di te stesso brutto verme! Senza di me non saresti nulla! Nulla!!” urlò Vittoria, con occhi fiammeggianti di rabbia.
In preda alla collera Vittoria tirò un calcio alla sedia dove, fino a poco prima era seduta.
“Allora arrangiati da solo!” tuonò, per poi scomparire nel nulla dal volto di Varian che finì per accasarsi a terra.
Calde lascive cominciarono a solcare le guance dell’uomo.
Intimidita, Inarwe mosse qualche passo verso la figura desolata, nonostante qualcosa nel suo cervello le urlasse disperatamente di andarsene da lì.
Fu Varian che, dopo aver alzato lo sguardo sul nero mastino dell’aldilà le rivolse parole tremanti.
“Ti prego signora, potami con te. Dissipa le tenebre del mio inferno” pronunciò in un sussurro piangendo lacrime amare come il sangue della sorellina brutalmente sgozzata come una bestia al macello.
Il cuore di Inarwe parve perdere un battito udendo quelle parole.
Sentì l’aria smettere di affluirle ai polmoni e tutto il corpo costretto in una gelida morsa, mentre percepiva l’avvento della morte alitarle sul collo.
 
 
“Ce l’aveva promesso!” sibilò Thaet stizzita mentre scrutava l’interno della casupola, dopo aver assunto la sua forma animale.
Era un cobra reale dalle squame cangianti dei colori del malva, dell’indaco e del nero.
Sibilava, nascosta nella caverna sopra l’altura che troneggiava sulla casa della loro vittima.
“Lasciala agire come meglio crede. Ha solo bisogno di un po’ di fiducia da parte nostra” parlò lo spirito del falco pellegrino di fianco a lei.
“Non sei preoccupata per quello che potrebbe combinare, Vhes?”
“Per niente!” rispose il fiero animale spiegando le ali maestose screziate da piume del colore dell’oro.
“Poi entro sta sera la morte calerà la sua veste anche su di lui. Il suo corpo non riuscirà a reggere ancora per molto.” Spiegò pratica per poi continuare:
“La nostra piccola Inarwe deve essere libera di crescere. Compito nostro, di sorelle maggiori, sorreggerla durate il cammino, ma non precluderle la possibilità di scelta! Noi Erinni siamo spiriti liberi per natura, sarebbe un abominio tappare le sue belle ali, non trovi?”
“Sarà…” sbuffò il serpente, per niente convinto delle tesi della sorella maggiore.
La sola idea di poter perdere Inarwe era per lei insopportabile, ma, scrutando nello sguardo fiero di Vhes, riusciva a cogliere un’apprensione anche maggiore della sua. Poi Vhes era la sorella maggiore, non poteva farsi vedere vacillante di fronte ai suoi occhi.
Soltanto la sua fiera presenza statuaria infondeva nel cuore di Thaet una sicurezza innata che la portava a nutrire una flebile speranza di salvezza.
“Grazie.” Bisbigliò a denti stretti abbassando la testa.
“Dovere” rispose il falco, concedendosi un sorriso rilassato alla vista dell’impaccio della minore.
Così, mentre il sole calava lento dietro le nubi antracite, in quel disperso angolo di infernale paradiso, si rovesciava copiosa una tempesta depuratrice di mali. L’acqua corrente lavava via il sangue dalle anime e la polvere dai ricordi. Ma, allo stesso tempo, custodiva i segreti nei cuori di ogni dimora.


  
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