Tiepido calore di un raggio di sole, iridescente
bellezza di una goccia di pioggia. Al tuo interno racchiudi l’arcobaleno
del creato.
Dolce profumo di nettare dei teneri boccioli appena
dischiusi. Un lieve tocco, come un alito caldo al calar del sole.
Atlandia.
La città degli angeli. Sacra città.
Distrutta.
Quella luce, così meravigliosa e vibrante.
L’avrebbe rivista? L’avrebbe mai rivisto?
Una lacrima solitaria scivolò lungo la nivea
guancia dell’angelo addormentato per 12000 anni.
Niente era rimasto per lui. I senz’ali gli
avevano portato via tutto. Gli avevano strappato il cuore e poi distrutto il
loro eden, facendolo sprofondare. Atlandia.
Apollonius.
L’angelo non riuscì più a
sostenere le sue emozioni, ed i suoi ricordi come un fiume in piena lo
travolsero.
Lui ed
Apollonius. La mano di lui nella sua. Loro distesi sui prati di Atlandia, un
bacio casto posato sulle sue labbra. Il sapore di quelle labbra ancora lo tormentava
dopo tutti quegli anni.
Il calore della sua pelle.
Nello stesso momento che quel ricordo lo
toccò anche la sua pelle prese fuoco. Lo desiderava ancora così
tanto anche dopo 12000 anni.
Toma allungò una mano, di fronte a lui
l’immagine di Apollonius. Pura luce, fuoco liquido per placare una
libidine millenaria.
La mano si strinse. Vuota.
Non poteva afferrare un ricordo.
Ma quello che sentiva, quello che il suo corpo
stava provando era qualcosa di fisico, doloroso. Il suo cuore sembrava trafitto
da mille spine, mentre il suo corpo si infiammava. Di fronte a lui di nuovo
l’immagine di Apollonius venuta per tormentarlo.
“Divino Toma, state bene?” chiese una
dolce voce alle sue spalle.
L’angelo chiuse gli occhi per scacciare
l’immagine del suo amante. Lentamente cercando di riprendere il controllo
del suo corpo si girò verso Otoha.
“12000 anni sono passati! Ma niente è
cambiato! Questo amore ancora mi tormenta, la sua luce … è come se
fosse impressa dentro di me ed io non possa sottrarmi a questo sentimento che
ci ha uniti”
“Divino Toma…io…io …se voi
volete….potrei donarvi la mia luce!” sussurrò la donna
angelo, lo sguardo pieno di speranza verso l’unico uomo che amava.
Toma guardò l’angelo di fronte a lui.
Com’era diversa dal suo Apollonius. Un ricordò del suo passato lo
trafisse.
Lui ed
Apollonius vicino all’albero della vita, le loro mani intrecciate per la
prima volta. Le labbra unite intente ognuna a divorare l’altra, le umide
lingue che duellavano lambendo la rivale o il palato dell’altro. Il calore soffocante che
aveva provato quel giorno ora era tornato a ricordargli la passione che
condivideva col suo amato.
Le labbra prima unite, nel suo ricordo si
separarono ed allora Apollonius aveva appoggiato le sue bellissime dita sulle
labbra ancora umide e gonfie del suo amante. Il rossore che aveva imporporato le sue gote
allora tornò su quelle stesse guance fredde ormai da millenni.
“Da
oggi le nostri ali sono unite, le tue nelle mie, le mie nelle tue” disse
l’angelo dai lunghi capelli rossi. Nessuna incertezza in quelle parole,
nessun sussurro ma ad alta voce perché l’intera Atlandia,
l’intero creato avesse saputo della loro unione.
Toma socchiuse gli occhi umidi per l’angoscia
che quel ricordo gli aveva procurato. Voltandosi se ne andò lontano da
quei luoghi dove il loro amore era fiorito e cresciuto.
Otoha osservò l’angelo allontanarsi
senza neanche risponderle. In fondo, non ne aveva bisogno. Aveva capito tutto
guardandolo, quell’espressione comparsa sul viso del suo amato non poteva
che essere data da Apollonius.
Toma lo avrebbe amato per sempre. E lei avrebbe
amato lui per sempre.
Che triste destino stavano condividendo. La triste
agonia di chi ama senza essere ricambiato.
Ma, per Toma era diverso. Lei non aveva niente che
le procurasse la sofferenza del rammarico, mentre Toma aveva il suo amore
perduto.
Tanti anni fa, quando Apollonius si unì a
quella donna senz’ali per un istante aveva provato gioia. Meschina gioia di un cuore avido di amore.
Si era illusa che Toma dimenticasse il suo amante che l’aveva tradito.
Come si era dimostrata stupida.
Se l’era ripetuto spesso 12000 anni fa mentre
osservava l’odio di Toma verso quella donna logorarlo e mentre il suo
amore non corrisposto per Apollonius lo avvizziva sempre più.
Morto.
Morto piuttosto che di qualche d’un altro.
Così aveva gridato allontanandosi con la
spada sguainata, bagliori purpurei su quella lama come gocce di sangue da
versare.
Otoha sorrise. Non era riuscito a finirlo.
Quell’amore glielo aveva impedito.
Si chiedeva se anche lei sarebbe stata in grado di
un simile gesto.
“Il mio amore non ha confine”
sussurrò al vento “la mia prova d’amore sarà ridargli
l’amore che ha perso 12000 anni fa”
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Sulla terra, al quartiere generale della Deava, la
notizia della morte del bambino angelo era trapelata lasciando gli animi di
tutti gli elements confusi. Nessuno osava guardare gli altri negli occhi per
paura di vedere quella colpa che ognuno sentiva nel proprio cuore.
Intanto nel giardino della Deava una persona
solitaria era rannicchiata vicino a un cespuglio di giunchiglie profumate.
Le ombre della sera ormai erano calate da poco, ma
non si poteva dire lo stesso delle ombre che si annidavano nel suo cuore.
Quel bambino angelo morto.
Poteva ancora sentire nella sua testa l’eco
delle grida spaventate di quel bambino e dentro sè poteva provava solo
un grande dolore.
Ma quel dolore non sarebbe dovuto esistere! Era
solo un angelo delle tenebre, uno di quelli che gli avevano portato via Baron.
Baron.
Nemmeno lui era riuscito a salvare.
Il senso di colpa gli schiacciava il petto.
Perché? Per Baron, per il suo amico era giusto sentire quei sentimenti,
ma per quel bambino?
Forse perché era solo un bambino piccolo.
Che ipocrita giustificazione pensò
stringendo i pugni raccogliendo un po’ di terra sporcandosene i vestiti.
Quel bambino angelo aveva un odore così
familiare. Un profumo di una terra lontana di un passato dimenticato.
“Apollo, che ci fai tu qui?” chiese una
voce alle sue spalle.
Il ragazzo si alzò di scatto per trovarsi di
fronte a Sirius.
I due si guardarono a lungo. Ognuno di loro poteva
leggere negli occhi dell’altro il dolore che le loro anime provavano per
la fine di quel bambino angelo.
Ad un tratto Sirius abbassò lo sguardo.
“Io…non penso che sia colpa tua…o mia” sussurrò.
“Non c’è bisogno che me lo
dici!” rispose seccato Apollo e si girò per andarsene quando un
profumo intenso catturò la sua attenzione.
“Che cos’è questo odore
dolciastro?” chiese sniffando l’aria attorno.
Sirius lo guardò stupito. Di che cosa stava
parlando quel ragazzo?
Apollo alzò il volto odorando l’aria.
Possibile che quell’odore venisse dal cielo?
“E’ come una via…una via che
collega la luna alla terra..” cercò di spiegarsi il rosso.
Sirius lo guardò confuso. Non sentiva nessun
odore a parte quello delle sue rose.
Apollo si girò ad osservarlo, anche
l’odore di Sirius aveva qualcosa di speciale. Un odore antico, un profumo
che lo faceva star bene proprio come quello di Silvia.
“Apollo, io non lo sento questo odore!”
Il ragazzo dai capelli rossi si risvegliò
dai suoi pensieri “Non importa” disse soltanto e si
allontanò per andare nuovamente a caccia.
Intanto nella sua stanza Silvia si svegliò
di scatto urlando.
“Tutto bene Silvia?” chiese Reika
avvicinandosi all’amica.
Silvia strinse le braccia attorno al proprio corpo.
Era solo un incubo o meglio un ricordo della sua vita passata.
Apollonius.
Era partito per la sua ultima battaglia.
Non aveva
più fatto ritorno.
Poteva ancora sentire tutta la sua disperazione e
solitudine.
Reika le si avvicino prendendole una mano. Silvia
alzò lo sguardo verso la ragazza. “Sto bene, era solo un
sogno” spiegò tranquillizzando la ragazza.
Reika la fissò per un po’ poi decise
di ritornare a dormire. Silvia si appoggiò nuovamente al letto, il viso
premuto contro il morbido guanciale.
Era un ricordo, giusto? Non poteva significare
niente … niente.
Le palpebre lentamente si chiusero. Il sonno
l’aveva vinta nuovamente.
“APOOLLLOOOOOOOOO!” gridò la
ragazza alzandosi di scatto, le mani tese, gli occhi lucidi di lacrime.
“SILLVIIIIIAAAA” urlò Reika dal
letto accanto.
“SIIIIILVIIIIIIIAAAAAAAAA!!!!!!!” urlò il ragazzo dai capelli color
del tramonto prima di venir colpito e cadere al suolo.
Continua …