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Autore: Phantom_Miria    19/11/2011    5 recensioni
Un topo di laboratorio, un esorcista condannato per eresia, e un guerriero sopravvissuto.
Tre persone, e una guerra.
Tre uomini, e un destino.
Tre ragazzi, e la loro paura dell'ignoto.
Avviso: Storia a TRE capitoli. Spoiler fino alla night 209.
[Johnny+Allen+Kanda][Storia BI-interpretabile, amicizia o pre-Kanda/Allen]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allen Walker, Altro personaggio , Yu Kanda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dovrei davvero imparare a finire quello che ho iniziato, vero?

Il motivo di questo titolo latineggiante dovrebbe risultare chiaro entro la fine della fic. Se non sarà così… non so che farci D: Questa fic è nata proprio in un modo cazzuto, haha, e l’unico da ringraziare è questo titolo astruso, che da solo ha creato un quadro perfetto nella mia mente, pronto impacchettato da buttare giù sul foglio. E poi che palle, volevo davvero farla oneshot. E invece ho voglia di pubblicare qualcosa perché mi sento inerte e quindi pubblico solo questo pezzo.

(ma è normale pensare a un titolo e poi a tutta la fic annessa LOL?)

Disclaimer: [s.m., raro. Vedere anche: ‘grande desiderio irrealizzabile’]

 

 

   Hic Sunt Dracones  

 

Un uomo anziano, cencioso e lercio, è seduto suoi ciottoli dissestati della stradina di periferia, tra i calcinacci di una casa in rovina, con le ginocchia magre e anchilosate stese di fronte a lui e la schiena ingobbita appoggiata al muro. La sua pelle olivastra è rugosa e cadente, e sottili e radi capelli bianchi gli adornano il cranio scuro, chiazzato di macchie pigmentate, come una ragnatela inconsistente soffusa della luminescenza argentata di una luna calante.

Un ammaccato barattolo di latta giace vicino ai suoi piedi, avvolti in malconce e sforacchiate ciabatte di legno, e dentro vi è solo qualche scarno dono in spiccioli di poco valore.

Johnny allunga automaticamente la sua mano verso il portamonete infilato nella tasca della sua giacca, ma una sola occhiata di Kanda è sufficiente a fargliela ritrarre immediatamente, come scottata da un fuoco invisibile.

‘Non perdiamo tempo,’ sembrano intimargli gli occhi di Kanda, affilati e duri come la pietra, e Johnny abbassa il viso arrossato dal freddo e dall’imbarazzo, distogliendo lo sguardo dallo straccione.

Ormai ogni sera il vento sferza le pelli con crescente furia, e Johnny, mentre si stringe la sciarpa intorno al collo, ripensa ai profumi speziati della mensa dell’Ordine, al calore accogliente della sua camera, alle voci a tratti borbottanti e impetuose degli addetti alla sezione scientifica. Pensa al suono dei richiami esasperati di Reever, delle lagne teatrali di Jiji, e della voce burbera di Cache che ripete a tutti di non essere suo cugino.

Le sue dita toccano inconsciamente la cravatta sgualcita che porta fieramente al collo, e quando i suoi occhi cominciano a bruciare, premonitori, dietro le spesse lenti rotonde dei suoi occhiali, Johnny serra le palpebre con eccessiva forza.

La notte è taciturna quanto il suo compagno di viaggio. Ad occhi chiusi, per un terribile, oscuro istante, Johnny si ritrova a sospettare che Kanda se ne sia andato. Che l’abbia dimenticato in mezzo a quella strada sconosciuta e desolata, lasciandolo solo, come un cane abbandonato a cui rimangono soltanto un collare rovinato e le narici ancora piene dell’odore di casa come unico ricordo di giorni in cui la vita era più semplice.

Ma quando, spaventato, riapre gli occhi, Kanda è ancora lì, davanti a lui, che procede rapido, instancabile e inarrestabile, verso qualcosa a cui Johnny non sa dare un nome. Gli piacerebbe chiamarlo ‘Allen’, ma non è sicuro che quello sia ciò che troveranno alla fine del loro imprevisto viaggio.

Per quanto però la mente di Kanda rimanga imperscrutabile come lo è sempre stata, Johnny prova una strana sensazione nei suoi confronti, che va fortificandosi man mano che il tempo in sua compagnia passa. E ora che la stanchezza prende il sopravvento sulle sue membra, e i suoi pensieri divagano incontrollati, spinti da minime percezioni sensoriali, quella sensazione si plasma fin quasi a prendere, nella sua immaginazione, le sembianze di Kanda, allo stesso tempo familiari e sconosciute.

La sensazione si tramuta in una certezza.

Kanda è cambiato.

Ma non è facile da spiegare. Stesso viso stoico e altero, stessi occhi nero pece e impietosi, stessi modi bruschi e aggressivi: per molti versi, Kanda pare la stessa persona di un tempo.

Se non…

per il modo in cui le sue spalle sembrano più grandi, e il suo portamento più eretto; se non per il suo sguardo non più costantemente truce, i muscoli non più tesi come corde di violino in ogni momento, le labbra non più serrate in una linea dura e severa; se non per il modo in cui, ogni tanto, Johnny lo vede inspirare profondamente l’aria nei suoi polmoni, come un uomo che finalmente ha raggiunto la brezza libera e fresca della superficie dopo anni di prigionia in una stanza senza finestre e senza entrata.

Kanda si volta di nuovo, e indica con un cenno del capo una locanda dalle finestre fiocamente illuminate, la cui entrata passa inosservata, costretta tra un immenso portone laccato di nero e una vasta vetrina da cui ammiccano specchi e baluginii dorati di sfarzose cornici intarsiate.

L’insegna della locanda cigola sinistramente sopra di loro, smossa dal vento sulla sua asta di sostegno arrugginita.

“Ci fermiamo qui per oggi,” dice Kanda, e il suo tono non ammette repliche.

Johnny apre la bocca per protestare, ma Kanda lo batte sul tempo. “Stai cadendo a pezzi, stupido. Per oggi basta.”

Quelle parole lo mortificano, colpendolo dritto al cuore, con la precisione di un pugnale ben acuminato. Improvvisamente, si rende conto che tutto il suo allenamento fisico all’Ordine non è nulla, in confronto alle capacità di un esorcista.

Per quanto lui possa sforzarsi, è destinato a rimanere un peso, per coloro che desidera aiutare.

Ma quella non è una novità, quindi Johnny stringe i denti e poi sospira, chiedendosi da quando Kanda sia diventato così premuroso nei confronti dell’umanità – la verità probabilmente, è che Kanda non saprebbe dove andare senza la sua guida, e Johnny, tra uno sporadico attacco dell’Ordine e l’altro, sarebbe già da tempo diventato un sedentario nella landa della morte, se non fosse stato Kanda il suo compagno di viaggio.

La verità, per quanto scomoda, è che sono legati l’uno all’altro, irrimediabilmente, fino a quando non portano a termine il loro obiettivo.

La locanda è malmessa, e dai muri scrostati piove una polvere di vernice bianca dall’aspetto malsano, che fluttua in quell’aria stantia come fino pulviscolo prima di precipitare a terra. Le stanze sono pregne di un odore stagnante indefinibile, e le assi e le testate dei loro due letti presentano così tanti minuscoli fori nella struttura che è un miracolo che non siano ancora crollati su se stessi in un cumulo di legni spezzati.

Con sua sorpresa, in quel luridume generale, le coperte sembrano irrealmente pulite.

Johnny dà la buonanotte a Kanda, ma questi non si degna di ricambiare. Dal letto si levano dei rumori poco rassicuranti quando vi si siede sopra, e il soffitto offre una vista triste, macchiato e crepato sotto un friabile strato di stucco malamente disteso in strisce brevi e discontinue.

Nel momento in cui la sua schiena tocca il materasso, la fatica di quella giornata lo cattura, gli fa dolere i muscoli, lo lascia molle e prosciugato, e insieme alle sue forze, Johnny sente drenare via anche parte di se stesso.

Sono passati giorni, e di Allen non c’è alcuna traccia.

Ormai si sente perennemente in bilico, sull’orlo di uno strapiombo, con la roccia che frana lentamente sotto i suoi piedi, si sbriciola e cade nell’oscurità infinita di un burrone senza fondo.

Più il tempo passa, più a Johnny sembra che quell’intera situazione sia radicalmente irreale, sotto ogni punto di vista.

Eppure si era preparato. Si è allenato duramente, ha pensato ad ogni minimo dettaglio prima di partire, e ha raccolto tutto il coraggio che non sapeva di possedere per farsi forza e andarsene dall’Ordine.

E nonostante tutta la sua buona volontà, Johnny si sente fuori posto.

Ogni sera si chiede se sia quello il suo compito, se stia facendo la cosa giusta. E ogni sera, il silenzio davanti a quelle domande rimbomba tra le pareti di camere sempre differenti.

Là alla Sede, era convinto di sì. Allen è solo, là fuori, pensava, con un nemico alle spalle, uno davanti, e uno dentro di sé. La cosa migliore che lui possa fare è trovarlo e aiutarlo in ogni modo a lui possibile, dargli la sua forza. Qualsiasi cosa.

Ma alla cruda fine dei conti, la vera domanda che sale spontanea alle sue labbra è un’altra.

Cos’è lui?

Uno scienziato, un topo di laboratorio, un cervellone. Ha vissuto e lavorato alla Sede per così tanto tempo che ormai ha dimenticato cosa vuol dire vivere nel mondo esterno.

La trova una verità profondamente ironica, perché di quel mondo esterno lui sa tutto, e al contempo niente. L’Ordine, la scienza, l’Innocente, il Conte, i Noah, gli akuma. Sa cose che la gente comune, al di fuori delle mura della Sede, mai immaginerebbe nei suoi sogni più macabri.

Ma viaggiare? Soffrire, resistere, combattere, sopravvivere. Non più essere salvato, ma salvare.

Non è sicuro di sapere fare tutte quelle cose. Non è questo che gli è stato insegnato.

Più si ripete quelle parole tra sé e sé, più si sente inappropriato; come se gli avessero strappato di mano il suo libro di chimica avanzata e l’avessero sostituito con un’opera letteraria greca. ‘Aiutalo a tradurlo,’ dice una voce pacata nella sua testa, indicando una figura dolorosamente familiare, accucciata nell’angolo di una stanza buia e spoglia, ma lui non può che rispondere ‘non conosco il greco’. Ma nonostante questo tiene in mano quell’opera greca a lui estranea, la legge e la rilegge da cima a fondo, e tenta ripetutamente di tradurla.

Ma la triste realtà è che, semplicemente, non può.

Non desidera tornare all’Ordine. Non vuole correre indietro con le coda tra le gambe e gli occhi gonfi per il pianto, pieno di amarezza e scoramento, perché ciò che desidera di più è, davvero, solo aiutare Allen.

Ma a che scopo, tutto quello, se lui non fosse ciò di cui Allen ha bisogno?

Johnny non lo sa. Gli sembra di non sapere più nulla ormai, come se tutta la preparazione e lo studio acquisiti nella sua vita si fossero repentinamente ridotti a quel singolo momento, resi piccoli dalla loro insignificanza davanti a cose ben più importanti che avrebbe dovuto apprendere, e per cui ormai non c’è più tempo.

Ma mille e mille sorrisi finti di Allen gli affollano la mente, e all’improvviso ricorda da dove gli era arrivata la forza di cominciare tutto ciò.

E il burrone è lì, che ricambia silenziosamente il suo sguardo, e il desidero di Johnny di buttarvisi a capofitto, abbandonando tutto ciò che c’è di amato e familiare dietro di lui, cresce in tal modo che un brivido gli risale fulmineo la spina dorsale, e gli infiamma il cuore di una nuova risoluzione.

Credere nel futuro, è questo che gli scienziati devono saper fare meglio.

Se non riesce a trovare Allen, è perché non si sta impegnando abbastanza, o sta sbagliando qualcosa. Qualunque cosa succeda, l’importante è continuare a muoversi, a cercare, e migliorare se stesso. ‘Non desistere’, gli risuona nelle orecchie l’eco della voce del signor Reever. ‘Trovalo assolutamente’, sussurra quella di Cache.

Non sa di cos’abbia bisogno Allen, ma lui ha intrapreso quel viaggio per scoprirlo. Camminerà giorno e notte con Kanda per trovarlo, e alla fine lo troverà.

Troverà Allen, ancora testardo e sorridente, saldo, indistruttibile…

Il ricordo di un urlo disperato, pelle grigia e innaturale, occhi dorati e cattivi, balena alla sua mente per una frazione di secondo, e subito svanisce, lasciando dentro di lui un’ansia che pizzica i lembi della sua coscienza come il becco di un pettirosso affamato.

Johnny si raggomitola, tenendo le ginocchia strette al petto, su quel letto scricchiolante e quello scomodo materasso.

Troverà Allen, ripete a se stesso con crescente fiducia. Ma deve fare in fretta, perché ha la tetra sensazione che il tempo a sua disposizione si stia accorciando precipitosamente.

 

 

 

 

 

 

Ok, ammetto che non l’ho riletta neanche perché ora devo uscire ma VOLEVO postarla. Sento che manca qualcosa. Ergo, la rileggerò dopo.

Prima, però, forse dovrei fornire qualche spiegazione. Questa storia non tiene molto conto della logica canon.

1) Non ho idea di quale sia il metodo che Johnny userà per rintracciare Allen, ma non è un mio problema. Fate finta che… abbia la bussola di Jack Sparrow.

2) Allen può usare l’Arca, ed è andato dalla vecchia, prima di venir inseguito in stazione da Apocrifo, e tutto il senso di quello che sta facendo l’Allen del manga sfugge alla mia comprensione. In questa storia faccio finta che Allen non possa usare l’Arca, e che possa solo scappare e scappare e scappare, in attesa di non so quale miracolo LOL.

Spero che questa prima parte vi sia piaciuta, ci tengo davvero davvero tanto, come solo si può tenere a una fic introspettiva in cui ci si è impegnati al massimo :)

(il secondo capitolo arriverà molto presto, è già scritto, solo da correggere. Il problema per ora è il terzo.)

   
 
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