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Autore: Selene Silver    20/11/2011    5 recensioni
Quando Grant arrivò, più o meno all'alba, per sincerarsi delle condizioni del suo protetto, li trovò che dormivano tutti e tre nello stesso letto, stretti come cuccioli.
Jimmy teneva le braccia avvolte al collo di Robert, che aveva il mento affondato fra i suoi capelli ed un braccio a stringerlo in modo che il petto del moro fosse per metà sopra il suo. L'altro braccio Plant l'aveva attorno alle spalle di Bonham, che dormiva per metà penzoloni fuori dal letto, e l'altra metà allungata sugli altri due.
Peter faticò a trattenere una risata. «Quanto siete checche, ragazzi» mormorò, e forse il ghigno che solcò le labbra di Page fu la reazione ad un sogno piacevole, non alle sue parole. Ma con quel bastardo non si poteva mai sapere, ed era pure meglio non fidarsi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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It had it coming


«E poi sarebbe così bello, insomma, se riuscissimo a creare una musica del genere… e insieme…»
«Robert, penso che tu abbia bevuto un po' troppo.» Un sorriso gentile, senza biasimi.
Lui si allungò sul suo letto come un gatto, facendogli una smorfia pigra. «Non sono ubriaco.»
«È meglio se dormiamo, adesso, però. Okay?» La voce sottile dell'altro era diversa da tutte quelle che avesse mai sentito, e forse fu per questo che le obbedì senza alcuna riserva. Si abbracciò ad uno dei cuscini e lo guardò di sottecchi mentre s'infilava sotto la coperta, ancora vestito, come lui.
L'alcool gli appesantiva le palpebre e le ossa, gli rallentava il cervello. Non avrebbe saputo dire, quindi, se le mani che gli accarezzarono il viso ed il petto  fossero reali o meno; ma dalle labbra gli uscì un piccolo sospiro, come quello di un bambino soddisfatto. «Jimmy…»
Il ricordo finiva così, e nel momento in cui le cose più oscure si sollevavano dalla culla nera del suo subconscio, lui si svegliava con le mani che tremavano per il bisogno di perdersi in quegli occhi verdi, che a prima vista sembravano tanto scuri da inghiottire il cielo. Allora si alzava e s'infilava nel letto accanto al suo, nonostante le proteste di John. Sussurrava:«Per favore. Non lo sopporto.»
«Non sono incubi, Bobby.»
«Fanno paura lo stesso» mormorava, affondandogli il viso nella spalla.

31 Dicembre 1968, Los Angeles.
«Mi dispiace, ragazzi, ma siete troppo giovani.»
«Ma…!» tentò di protestare Robert, scandalizzato; Peter, con un sorrisetto quasi sadico, lo interruppe.
«In America non si può bene fino ai ventidue anni, Plant, abituatici. Ora sciò, e non combinate casini. O devo mandare Cole con voi?» Per essere un tono minaccioso lo era, ma il fatto che Richard fosse già sparito nel bar, fra le accoglienti braccia di una donna, con Jonesy al seguito, toglieva parecchio pathos alla frase.
«Cazzo, G! Potremmo imbucarci, no? Fingerci ventunenni! Ci manca solo un anno, e dopo tutto questo casino ce la meritiamo, un po' di bisboccia.»
«Spiacente, John: no. Ora filate in albergo, e vedete di non disturbare il povero Page. Se peggiora, mandategli a dire che può telefonarmi a conto dell'albergo. Adesso sparite.» Detto questo, il manager scomparve all'interno del locale.
Robert e Bonzo rimasero fuori a ghiacciarsi il culo nell'aria gelida, mugolando su che fantastico Capodanno sarebbe stato. Poi il biondo, d'improvviso, alzò un pugno verso il cielo e strillò: «Bonzs!»
Il batterista si voltò verso di lui. «Eh?» La sua aria tremendamente scocciata gli faceva venir voglia di sghignazzare.
«Andiamo a trovare Jimmy!»
L'altro roteò gli occhi.  «Robert, potresti smettere, solo per un attimo, eh, di pensare con l'uccello? So che lui ti piace e tutto, ma…»
«Non lo sto dicendo per quello!» Il tono del biondo era indignato e le sue guance arrossate; l'espressione incredula di John non fu molto lusinghiera. «Sto dicendo che, insomma, lui è malato, no? Ed il suo servizio in camera si sentirà così solo…»
Bonzo sgranò gli occhi. «Sei un genio, Plant!»
«Grazie, lo so!» Gli mollò un pugno sulla spalla, poi s'incamminarono insieme, mentre i fiocchi di neve cominciavano a turbinare nell'aria. «E comunque, John, lui mi piace solo dal punto di vista… uhm… spirituale. Il mio uccello non c'entra niente.»
Il batterista lo guardò di sottecchi. Lui la sapeva più lunga. Cristo, non si è mai fatto problemi con una ragazza, e non è che Page abbia tutta questa mascolinità da parte. Perché devo fare il Cupido di queste due teste di cazzo? Il fatto che non volesse di nuovo essere svegliato nel cuore della notte dalle mani bollenti di Robert che pretendeva di stringersi a lui, ficcandogli le ginocchia nello stomaco e soffocandolo coi suoi capelli, era un movente più che valido per quello che in molti avrebbero considerato un crimine: spingere un uomo nelle braccia di un altro uomo. Ma tanto quei due, visti da lontano, si potevano tranquillamente scambiare per donne, e poi John aveva sempre pensato che l'amore fosse una cosa da prendersi così com'è, senza specularci sopra.
Infatti, quando aveva capito che l'ammirazione del suo amico stava rapidamente diventando una cotta, e poi qualcosa di ancor più profondo, non ne era rimasto poi così sorpreso. Si era sempre chiesto, in effetti, perché Robert si ostinasse a cimentarsi con le ragazze, anche se spesso gli aveva confessato di sentirsi più attratto da… altre cose, per citare le sue parole imbarazzate. Ma forse era arrapato e basta, pensò scuotendo la testa. «E tutti i sogni che stai facendo?»
Gli occhi azzurri dell'amico, che in quella luce si scurivano, gli scoccarono uno sguardo ferito, come se non avesse mai creduto che lui potesse essere così subdolo da parlarne. John sospirò. «Senti, Perce… mi hai raccontato com'è finita a Pangbourne e, be', non c'è niente di male. Puoi innamorarti di chi vuoi.» Abbassò il mento sul petto con un piccolo sorriso, forse incredulo di dover essere proprio lui a dire certe cose
«Non sono innamorato di lui» ribatté Robert, con i capelli che gli cascavano sul profilo e la voce sottile. Bonzo sospirò.
Erano arrivati all'albergo. «Be', via questi musi lunghi!» esclamò allora il biondo, tornando il suo grande amicone hippie sempre sorridente. «Andiamo a farci una bevuta alla faccia di quel malatucolo di Page!»

C'era una tormenta. Anche nel sogno. Era troppo stordito per dire se fosse un sogno. Fa così freddo che non può essere solo un sogno. 
Stava suonando con gli Yardbirds nel bel mezzo di una tormenta. Keith era legato all'asta del microfono con una cintura e Jim gli stava accanto per sostenerlo, suonando i bonghi al posto suo. Chris stava suonando senza maglietta, e dal manico del basso pendevano ghiaccioli a forma di fulmine. Jimmy stava seduto per terra, sul palco, e li guardava. Il vento della tempesta era fortissimo e gli spingeva via i capelli dalla faccia - troppo lunghi per appartenere effettivamente all'epoca di cui stava sognando. Ma non era tanto lucido da formulare un pensiero simile, che gli scivolò nella mente con la rapidità di una scarica elettrica.
Chi sta suonando la chitarra al posto mio, allora? Una repentina fitta di paura gli scese giù per il collo e la spina dorsale, dolorosa come un crampo nel cuore della notte. Voltò la testa lentamente, cercando. Sapeva già chi era. Lo sapeva e basta. Le accuse gli sarebbero piombate addosso anche quand'era così debole da non riuscire neanche a rannicchiarsi per proteggersi dai colpi del vento?
Colpi. Duri. Forti. Non sembrano fatti d'aria. Più che altro di nocche che cozzano contro una superficie di legno. Ebbe solo il tempo di scorgere un lampo di capelli scuri ed un paio di occhi chiari, meno chiari del ghiaccio ma dalla medesima freddezza - e tristezza, e abbandono? - che si svegliò con un sussulto, rannicchiato in un nido scombinato di coperte sudate, mentre delle voci confabulavano fuori dalla sua porta.
Stordito, poggiò il piede per terra e la sentì ondeggiare come il ponte di una nave. Soffocò un conato di nausea e si alzò, barcollante, tirandosi dietro uno delle innumerevoli trapunte che lo coprivano. Aprì la porta appoggiandosi allo stipite, come se stesse per cadere a faccia in giù per terra; un volto circondato di ricci biondi gli si fece vicino e due braccia lo sostennero, mentre lui sentiva una fitta strana dalle parti del plesso solare. Come gioia; ma non era possibile, riusciva a malapena a trovare un pizzico di rabbia per essere stato svegliato. Anche se forse era un bene che avessero interrotto il suo sogno.
«Jimmy? Jimmy, tutto a posto?» Una mano fredda gli salì sulla nuca, accarezzandola sotto i capelli, mentre un altro braccio lo avvolgeva per tenerlo dritto. «P… Pagey?»
Finalmente riuscì a riprendere il controllo delle proprie ossa e a raddrizzarsi con un profondo respiro. Aveva già riconosciuto, seppur vagamente, Robert; quella voce era inconfondibile, la soddisfazione per averla trovata ancora viva. L'altro era Bonham, che lo guardava con le sopracciglia aggrottate e gli occhi leggermente allarmati. «Che diavolo ci fate voi, qui?» gli uscì fuori un mezzo ringhio, che gli fece dolere la gola gonfia. Nel suo tono c'era una rabbia tanto sottile da far ridere.
«Ehm… possiamo entrare?»
Si tirò indietro barcollando e tornò a sedersi di peso sul suo letto, mentre i due si guardavano attorno con aria imbarazzata. Avevano i volti arrossati ed una spolverata di neve sulle spalle dei cappotti. «Fatemi capire…» biascicò; capire era un bello sforzo, quando non sarebbe neanche riuscito ad allacciarsi le scarpe. «Siete troppo giovani per il bar, vero?»
«Ehm…» Robert si grattava la testa e passava il peso da un piede all'altro, John sogghignava.
«Peter non ha voluto mettersi nei guai facendovi imbucare?»
«Quello stronzo» annuì John.
Lui rise, anche se in modo tanto sottile da risultare inaudibile. Il biondo si morse le labbra. Avrebbe voluto dirgli di rimettersi a letto e lasciarli perdere, ma sapeva che ciò l'avrebbe costretto ad andarsene, e non voleva. Jimmy indossava un paio di boxer, che gli scoprivano le gambe pallide e tutte pelle e ossa, e, pur non riuscendola  a vedere bene a causa della coperta che aveva attorno alle spalle, una camicia abbottonata solo per metà, che lasciava vedere il suo petto pallido e brillante del sudore freddo che aveva sentito sulle mani quando l'aveva sorretto. Era stato probabilmente uno dei momenti più eccitanti della sua vita. Si passò la lingua sulle labbra e poi le strinse per trattenersi dal sospirare d'esasperazione. Smettila, cretino di un arrapato, smettila
«Dunque, se vi ordino qualcosa al servizio in camera e poi mi rimetto a dormire, il problema dovrebbe essere risolto.» Parlava con la sua solita proprietà di linguaggio, la scelta di parole spumosa e quasi altisonante, alle loro orecchie di ragazzini della Black Country; ma le parole uscivano lentamente, con fatica.
Senza aspettare un loro consenso, Jimmy chiamò la reception ed ordinò due bottiglie di Jack Daniel's ed un tè. Bonzo fece un gran sorriso. «Grazie mille, Jimmy. Sei un grande.» Page fece un'altra delle sue risatine, che John aveva sempre considerato virili quanto un tutù - metafora che lo portava ad immaginare il suo chitarrista vestito da ballerina, il che lo faceva sempre sganasciare dalle risate, spesso senza che altri ne capissero il motivo. Un'altra cosa molto divertente, al momento, era vedere il modo quasi malato in cui Robert spostava gli occhi da Jimmy al letto, come se si chiedesse quanti secondi netti ci avrebbe impiegato a buttarci sopra il moro e poi a raggiungerlo di slancio. Si morse le labbra con forza per trattenersi dal ridere come un matto.
Aspettarono quindi che arrivasse una cameriera, e Plant chiese, tutto preoccupato - come un'infermierina, pensò John, e l'immagine del suo migliore amico vestito in succinto camice bianco non tardò a balenargli nella mente, costringendolo a soffocare l'ennesimo attacco di ridarella - se Jimmy si sentisse bene.
«Oh, starò meglio dopo aver dormito un po'» ribatté Page, con un mezzo sorriso che faceva il paio con le sue maniere squisite. Bonzo sbuffò, pensando che probabilmente, sotto tutti quei capelli neri, si agitava una frase del tipo "Ho una temperatura che supera la scala del termometro, come cazzo dovrei sentirmi?". O forse era così abituato ad essere uno splendente damerino da non faticare più a mantenere la linea.
Finalmente bussarono alla sua porta, ed il loro ospite si alzò barcollando per andare ad aprire. «Signor Page, sta bene?» domandò la cameriera.
Il moro annuì rapidamente. «Entri pure» fece un paio di colpetti di tosse secca e si strinse di più nella coperta. «Se i miei amici qui» indicò vagamente i due dietro di sé «chiamano di nuovo, serviteli pure senza problemi. Grazie mille.»
Dopo aver congedato la donna, che pure aveva uno sguardo dubbioso, andò a rannicchiarsi sul letto bevendo la sua tazza di tè, mente John e Robert si sedevano sul tappeto ed iniziavano a scaldarsi passandosi una bottiglia di Jack, discorrendo del più e del meno. Di tanto in tanto lui rideva o aggiungeva qualcosa, aggregandosi alla conversazione con quel suo modo che Jonesy aveva battezzato vezzosamente "à la Page". Poi finì per addormentarsi, rabbrividendo, stretto nelle coperte, mentre i due amiconi continuavano a parlare e chiamavano svariate volte la recepito, così che Jimmy cadde in un sonno vegliato dall'odore del whisky e dal profumo dello shampoo di Robert, che sembrava impregnare tutti i posti in cui passava. Il brusio dei due penetrò nei suoi sogni come una radio a bassa frequenza.

Due mani calde scostarono le coperte, e degli spifferi freddi toccarono la sua pelle sudata. Jimmy rabbrividì, deglutì e aprì di scatto gli occhi, lasciandosi sfuggire un piccolo gemito di sorpresa che gli raschiò le pareti della gola gonfia. A quelle mani seguì un corpo altrettanto bollente, che s'infilò timidamente sotto sotto le lenzuola. «Robert…?» 
Dei capelli piovvero sul suo cuscino sudato e sulle sue mani, s'intrecciarono ai suoi riccioli. «Scusami. Bonzs si è addormentato per terra, ma lì fa troppo freddo.» Lui non lo era per niente, invece, ed il suo calore placò subito i brividi che gli spifferi causati dal movimento delle coperte gli avevano provocato. 
Jimmy allungò una mano e gliela posò sul petto, sentendo il cuore di lui battere tanto forte da ricordare una mitraglia. Gli sembrava che il cervello gli si fosse dilatato e avesse iniziato a premere contro le ossa del suo cranio, rendendo ogni pensiero labile, senza necessita di esistere. Deglutì e forzò le parole a uscire. «Non dovresti essere qui.»
Sotto la sua mano, Robert s'immobilizzò. I battiti del suo cuore divennero, se possibile, ancor più frenetici. Una lama di luce gli illuminava gli occhi, facendoli sembrare d'argento. «Devo andare via?»
Jimmy sospirò. Era inutile tentare di ragionare, ed aveva il sospetto che non ci sarebbe riuscito nemmeno a mente fredda. Aveva aspettato che fosse lui a fare il primo passo perché non voleva forzarlo, essendo così giovane e timido, e perché avrebbe potuto finir male per la band che prometteva così bene. Ma in fondo aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, perché Robert aveva gli occhi di una persona che sta cercando le proprie risposte, e lui sapeva di potergliele dare. Allacciò le braccia al suo collo e si strinse a lui. «Sei così caldo» sussurrò.
Percy tremava fra le sue braccia, e gli si avvicinò cautamente, quasi provasse timore a toccarlo. Jimmy si lasciò sfuggire un risolino, percependo quanto fosse eccitato. Le mani del biondo gli strinsero per un attimo i fianchi, quasi a tentare un approccio più aggressivo; poi, però, lo avvolse interamente fra le proprie braccia e sospirò. «Ti ho sognato per settimane» mormorò. «Sembravi così distante. Avevi tutti i tuoi segreti, le tue consapevolezze, ed io ero solo un ragazzino che si stava… innamorando… della persona sbagliata.»
«Perché sarei sbagliato?» domandò Jimmy. Faticava a seguire il corso dei suoi pensieri, stordito com'era, ma capiva a livello percettivo; i cambiamenti della sua voce, il modo in cui lo toccava, l'odore del whisky, lieve e dolce, che emanava. Rabbrividì, non sapeva se per la febbre o per tutti quegli stimoli che aveva tanto desiderato.
«Perché… sono sempre stato attratto sia dagli uomini che dalle donne, lo ammetto, e non era un problema… non era mai stato niente di serio in entrambi i casi, era solo il mio corpo a desiderare certe cose. Ma tu… tu sei arrivato ed io ho sentito qualcosa fremere, qualcosa crollare, come se la tua sola presenza abbattesse muri e ridisegnasse nuovi mondi. Ecco, vedi?» rise piano. «Prima d'incontrarti, non mi sarei mai concesso di parlare in questo modo. Sarebbe stato troppo complicato, anche se le parole erano già dentro di me; ma poi sei arrivato tu, con gli stimoli che mi dai ed i sentimenti che mi fai provare. Mi stai spingendo oltre dei limiti, e sento di dovermi avvicinare a te…» le sue mani si mossero, una gli arrivò all'osso sacro e l'altra alla nuca; Jimmy s'inarcò come un gatto, lasciandosi sfuggire un altro doloroso sospiro. «…ancora e ancora…»
Robert s'immobilizzò; Page riaprì gli occhi per guardarlo, ma la stanza era troppo buia: il fascio di luce che prima illuminava gli occhi del biondo ora era sul cuscino, illuminando ciocche intrecciate dei loro capelli.
Quando riprese a parlare, il tono del cantante era controllato fino a sembrare piatto. «Ma ho paura che tu sia troppo stordito per capirmi, ho paura che dimenticherai, e che io non riuscirò a ripeterti queste cose a mente fredda; ho paura di perderti, perdere tutto, anche questa felicità che provo a starti vicino, a sentir anche solo parlare di te. Ho paura che tu non mi voglia, ed è per questo che ti sto dicendo tutto ciò in questo momento. Perché sono uno stupido codardo.»
Jimmy sospirò ed appoggiò la fronte contro la sua spalla. «Tu mi sottovaluti» mormorò. «Pur in questo stato, capisco tutto ciò che dici, e non ne dimenticherò niente. È troppo importante.» Lo strinse. Robert tremava di nuovo, più forte di lui. «Sei così giovane ed inesperto da farmi una tenerezza che non ho mai provato per nessuno. Eppure allo stesso tempo mi sconvolgi; la tua voce è qualcosa di unico, che mi avviluppa e mi porta giù, vicino al cuore delle cose, al cuore di desideri che non credevo avrei mai provato. Ed era solo un rozzo, zotico ragazzo di campagna» ridacchiò, quasi a prendere in giro se stesso. «a scatenarmi tutto questo. Ma era naturale come respirare, lasciarmi trascinare, volerti più vicino… Però dovevo essere responsabile per la band, e la frustrazione per non poter fare ciò che volevo è stata…» rimase un attimo in silenzio, senza neanche sforzarsi di trovare le parole, lasciando che lui le intuisse. «Ma ora tu sei qui» riprese, di nuovo con la sua voce posata che si faceva strada nella sua gola dolorante. «E senza che io abbia fatto nulla che fosse contro la morale per avvicinarti. E voglio che rimani. Qui, con me.» Voglio che tu rimanga per tutto il tempo che serve per diventare felice, voglio che quel tempo continui. 
Sognò che il mondo sbiadisse, sognò di ritrovarsi con lui fra le stelle di un universo sconosciuto, in cui la sua febbre era condizione naturale; quella leggerezza estrema e quei brividi che li scuotevano - nient'altro che azioni e reazioni, niente e nessuno di cui preoccuparsi, le sue mani fra i morbidi ricci biondi, labbra sottili sulle sue in un bacio, un respiro che faceva quasi male, spezzando l'aria nei polmoni, dita che si muovevano sulla sua schiena e gambe intrecciate strette fra le sue. Ma la realtà era qualcosa di crudele ed ineluttabile, e dovette staccarsi dalla sua bocca, affondandogli il viso nella spalla per tossire.
Robert, col respiro affannoso e la sensazione di aver appena scoperto una quarta, quinta e millesima dimensione, gli accarezzò la schiena, le spalle scosse da fremiti ed i capelli. «Forse non è il momento» sussurrò, con un ghigno, quando infine Jimmy tornò ad appoggiare la testa accanto alla sua, gli occhi strizzati ed il respiro che faticava a riempirgli di nuovo i polmoni. Il moro gli scoccò uno sguardo metà divertito e metà dispiaciuto. 
«E poi non credo che John approverebbe» concluse, quando riebbe fiato a sufficienza.
Percy rise. «Approverebbe, ma si seccherebbe perché non gli abbiamo trovato una ragazza.»
Jimmy inarcò un sopracciglio, ma non chiese ulteriori spiegazioni. Posò la testa nell'incavo fra il suo collo e la sua spalla e sospirò. Selle d'oro e d'argento splendevano nel cielo nero delle sue palpebre. Le labbra del biondo gli posarono un bacio fra i capelli; poi, ascoltando i rispettivi respiri, si addormentarono.

La terza sveglia della notte giunse quando le coperte vennero sollevate con la gentilezza che avrebbe usato un orso, e la sensazione che proprio una di quelle bestie si stesse infilando nel letto. «Fatti un po' più in là, perdio» grugnì Bonzo.
«J-John?» balbettò Percy, spostando la testa da quella di Jimmy e voltando il collo. Batté un paio di volte le palpebre per capire che diavolo stesse succedendo, ma era troppo buio per capirci una mazza.
«Proprio io, Plant. Non lamentarti, ho sopportato di dormire con te per settimane, tu potrai farlo almeno una volta» ringhiò.«Che succede?» si udì allora la voce di Page, sottile come quella di un bambino. Le braccia di Robert corsero alle sue spalle in un atteggiamento protettivo.
«Succede che per terra mi si sta gelando il culo e rompendo la schiena, e che, dal momento che voi checche non state scopando, mi sento in diritto di dormire qui. Fatemi un po' di posto, cazzo.»
«Non sei gentile, John» ribatté Jimmy, assecondando tuttavia il movimento di Robert per lasciare spazio a Bonham.
«Sarete gentili voi a lasciarmi star qui, allora» grugnì il batterista, voltando loro le spalle e posando la schiena contro quella del biondo. Che gli tirò una gomitata: «Non essere spocchioso! Ci stiamo tutti, no?»
«Mmmh» ribatté John. Poi, già mezzo addormentato, aggiunse: «Comunque, sono felice per te, Perce.» Sono felice per il mio stomaco, che non si ritroverà più schiacciato dalle tue ginocchia nel cuore della notte. «E anche per te, Jimmy.»
Il moro sbuffò, ma Robert replicò con una risatina - probabilmente intuendo il suo pensiero - e gli diede un'altra gomitata, che stavolta sembrava più una carezza, prima di tornare a stringersi contro Page.

Quando Grant arrivò, più o meno all'alba, per sincerarsi delle condizioni del suo protetto, li trovò che dormivano tutti e tre nello stesso letto, stretti come cuccioli.
Jimmy teneva le braccia avvolte al collo di Robert, che aveva il mento affondato fra i suoi capelli ed un braccio a stringerlo in modo che il petto del moro fosse per metà sopra il suo. L'altro braccio Plant l'aveva attorno alle spalle di Bonham, che dormiva per metà penzoloni fuori dal letto, e l'altra metà allungata sugli altri due.
Peter faticò a trattenere una risata. «Quanto siete checche, ragazzi» mormorò, e forse il ghigno che solcò le labbra di Page fu la reazione ad un sogno piacevole, non alle sue parole. Ma con quel bastardo non si poteva mai sapere, ed era pure meglio non fidarsi.
Poco dopo che il manager se ne fu andato, anche Bonzo si svegliò, rischiò di tirare un pugno a Robert stiracchiandosi e poi ricordò dove fosse. Mordendosi le labbra per trattenere grasse risate alla faccia di quei due si alzò, raccattò le scarpe e fece per uscire. Prima, però, si voltò a guardarli, e gli sfuggì un sorriso intenerito. Sembrava quasi che stessero tentando di fondersi l'uno dell'altro, e non aveva mai visto un'espressione così protettiva - persino mentre dorme! È cotto come un tacchino del Ringraziamento! - sul volto di Percy. Poi gli venne in mente il suo amicone vestito da brava donna di casa, e dovette scappare fuori per non svegliarli a suon di risate. Non vedeva l'ora di raccontare tutto a Jonesy, che prima si sarebbe sforzato di dimostrarsi disinteressato e poi avrebbe finito per rotolare per terra insieme a lui tenendosi la pancia. Alla faccia del bravo bassista equilibrato.
Più tardi, Jimmy si sarebbe svegliato sentendosi meglio, e sorridendo di pura gioia fra un paio di braccia che aveva tanto desiderato. Però, avrebbe pensato, prima anche solo di permettere di ridere dalla felicità, doveva togliersi di dosso quel sudore freddo che l'influenza gli aveva lasciato. Si sarebbe sciolto dolcemente dalla presa di Robert, posandogli un bacio sulla fronte; per risposta, il biondo avrebbe emesso un verso scontento non sentendo più la sua vicinanza.
Non sarebbero passati che pochi minuti prima che Percy si svegliasse, disturbato dall'assenza del moro. Avrebbe udito il suono dell'acqua corrente; ed essendo solo un ventenne allupato, non sarebbe riuscito a trattenersi dall'attuare l'idea libidinosa che gli sarebbe passata per la mente. Avrebbe sogghignato, alzandosi e spogliandosi, per poi andare in bagno. Avrebbe aperto la porta del box doccia, facendo sussultare Jimmy. Si sarebbero fermati a guardarsi, timidi per un attimo, per poi lasciarsi andare, ed il biondo si sarebbe morso le labbra guardando il petto pallido dell'altro ricoperto di goccioline che non avrebbe dato di meglio che asciugare con le labbra e la lingua, i suoi capelli fradici; ed il moro avrebbe studiato il suo corpo con altrettanta attenzione, leccandosi le labbra. Infine avrebbe allungato una mano, invitandolo ad entrare.
E Percy l'avrebbe afferrata, per poi spingerlo contro il muro della doccia e schiacciarsi contro di lui, in mezzo ai vapori dell'acqua calda che lentamente avrebbero riempito il bagno, appannando qualunque superficie riflettente, come occhi che si chiudono per lasciare un po' di pace a quei due amanti che finalmente si sarebbero incontrati, dopo aver penato tanto.
Perciò anche noi chiudiamo gli occhi, e allontaniamo lentamente le nostre mani ed i nostri pensieri da questa nuova storia in procinto d'iniziare, che qualcuno potrebbe raccontare molto meglio di me.



I credits per il titolo vanno all'intero album di Jeff Beck You had it coming, dal momento che non avevo scazza di trovare un titolo appropriato e che stavo ascoltando quel pezzo di figone. Leggetelo come volete.


Prima ancora di salutarvi, cari fellas, vorrei farvi presente che sto scrivendo questa cosa dai dolci tempi della mia estate, e più precisamente da agosto, come alcuni possono confermarvi. Quindi, se non vi è piaciuta, potrei mangiarvi la testa. Anche se me la mangerei io stessa per i punti che non mi piacciono. trolol.
Be', ora posso salutarvi. Sono stata a lungo via, viaggiando per lande remote alla ricerca di nuove ispirazioni... sto cazzo, ho iniziato un nuovo anno scolastico in una classe di troie. Ma è stata un'ispirazione anche quella... suppongo. Dalla mia ultima fic, sembrava che Robert e Jimmy si fossero nascosti da qualche parte della mia coscienza, terrorizzati forse dall'idea di cosa avrei potuto far loro. Siamo riusciti a tirarli fuori a forza di meditazione, chiacchierate su Messenger e biscotti lasciati fuori dalla loro tana. Adesso sono di nuovo allo scoperto, e non sanno che ho imparato svariate cosette leggendo delle fiction Nc_17 sui Monkees... adesso so molto meglio in che modi due uomini possono amarsi *evil, more than evil laugh. Robert e Jimmy alzano la testolina dai loro biscotti e la guardano a occhi sgranati. Ma no, ma no amorini miei, non è successo niente... non ancora*
Si nota che sono abbastanza sclerata? Sono emozionata per la mia ricomparsa nel fandom, perché nonostante tutto amo questa fic e perché fra poche ore la mia amata Mitch, che ha aspettato pazientemente per 'sta cosa da lungo tempo, arriverà e passeremo la giornata insieme orhdjvoufhkdvkufhjcvfukhcvjxn *fangirla*
Quindi, questo episodio è ambientato nel '68, come ho scritto. I nostri prodi cavalieri erano arrivati a Los Angeles in una tempesta di neve, dopo averne combinate di tutti i colori per arrivare alla città degli angeli, e dopo un quasi incidente stradale evitato solo dal coraggio del prode "Superman procura mignotte" (copyright a Dazed xD) Richard Cole.
Purtroppo quel fragilino del piccolo Page si ammalò, e Robert e Bonzo vennero cacciati fuori dal bar perché non avevano ancora l'età per bere. Quindi suppongo che abbiano passato la notte con Jimmy. Quindi suppongo che abbiano dormito nello stesso letto. Quindi suppongo che Robert e Jimmy abbiano scaricato la tensione accumulata da Pangbourne. E poi la cara Flickr mi aveva accennato di una sua fiction rossa ambientata in una doccia e... boh, non so. Questo sclero dura da anni, quindi vi saluto a ritmo di Jeff Beck ed Imogen Heap, e alla prossima! <3
  
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