“Infine fu l’orgoglio…”
Questa storia è la terza parte di un ciclo di fanfiction dedicate a Bulma e Vegeta, ambientate nel periodo antecedente all’arrivo dei cyborg.
Consiglio pertanto di leggere prima “E fu il principio…”,
“E poi passione…(nc17)”. Nda
Il carrello traboccante di cibarie avanzava
faticosamente verso l’uscita del supermercato.
La cassiera che registrò il conto avrebbe potuto
pensare che fosse destinato a sfamare un intero plotone di soldati o ad
allestire una festa con numerosi commensali, se a condurlo non ci fosse stata
la stessa ragazza che puntualmente, a giorni alterni, raccattava tutto quanto
ci fosse di commestibile dagli scaffali.
Giovane, energica, attraente, scavava a lungo nella
borsetta, quasi non avesse avuto fondo, prima di riuscire ad esibire con
l’immancabile piglio seccato di chi ha mille altre faccende da sbrigare la
propria carta di credito.
Bulma Breif sapeva bene cosa significasse avere
sotto lo stesso tetto un uomo che non era come tutti gli altri.
Da un anno che dava alloggio al principe dei saiyan,
aveva imparato a fare la spesa e a cucinare come si confà ad una diligente
casalinga, malgrado l’insignificante particolare che la persona per la quale si
prodigava non le aveva mai rivolto un grazie.
Aprì il bagagliaio della propria auto e scaricò
pasta, biscotti, salumi, carni e quanto altro servisse a saziare la voracità
del suo insolito ospite.
Quando chiuse vigorosamente il cofano, l’uomo che
sonnecchiava nell’auto parcheggiata a tergo della sua si destò di soprassalto.
Stropicciati gli occhi e allargata la bocca in un
languido sbadiglio, si sistemò meglio sul sedile pronto a riaddormentarsi, ma
l’auto davanti, in retromarcia, lo urtò mandando definitivamente all’aria la
gustosa dormitina.
“E’ questo il modo di parcheggiare?!” scese Bulma
dall’auto “mi ha stretta senza lasciarmi possibilità di manovra!”.
“Non ha visto che ero in macchina? Avrebbe potuto
bussare e mi sarei spostato!” uscì pure l’altro.
Una reciproca occhiata e Bulma e Iamcha si
riconobbero all’istante.
“Sono felice di rivederti…” gli sorrise lei dopo
alcuni istanti.
“Lo sono anch’io”.
Era trascorso quasi un anno da quando si erano
lasciati, per sempre.
Erano state queste le intenzioni di Bulma quando
aveva scoperto l’ennesima leggerezza del fidanzato, non meno imperdonabile di
tutte le altre, ma giunta nel momento fatidico in cui le sue attenzioni erano
tutte calamitate da un’altra parte.
Pure Iamcha aveva percepito l’incomprensibile
fascino che Vegeta aveva preso ad esercitare su di lei, un cancro inguaribile
che a poco a poco le stava logorando l’organismo senza che lui potesse fare
niente.
L’aveva derisa perché era troppo incapace di credere
che qualcuno fosse disposto ad amare il malvagio principe dei saiyan, troppo
ferito per accettare che quello che provava Bulma fosse amore e non soltanto
una sbandata a cui si era aggrappata per fargli dispetto.
“Non… non ti trovo… molto bene…” commentò Bulma
osservando la barba incolta e la camicia a cui mancavano due bottoni.
Lui si raspò la nuca.
“Hai ragione” sorrise “lavoro qui da tre settimane,
al supermercato, addetto all’imballaggio…” fece con enfasi beffarda “ho finito
un paio d’ore fa il turno di notte”.
“E Pual è a casa?”.
“Ehm…” abbassò gli occhi “diciamo che siamo stati
sloggiati una settimana fa dal proprietario, ci stiamo arrangiando qui…” diede
dei piccoli colpi sul tettuccio dell’auto “in attesa di trovare qualcosa di
disponibile ed economico”
“In macchina?!” sgranò gli occhi “Perché?! Che cosa
è successo?”
Ma Iamcha pensò fosse meglio non raccontarle di come
era andata a finire con la figlia del suo padrone di casa.
Proprio in quel mentre giunse Pual, che,
servizievole come sempre nei suoi riguardi, si era preoccupato di non fargli
mancare come spuntino un sostanzioso tramezzino:
“E’ davvero bello rivederti!” fece rivolto alla
ragazza.
Era stato l’unico a non accorgersi che il litigio di
quasi un anno prima non era stato come tutti gli altri.
Continuava ad essere persuaso che prima o poi Bulma
e Iamcha si sarebbero rivisti e sarebbero ritornati insieme come ai vecchi
tempi.
“Davvero non vi capisco!” li rimproverò la ragazza
“arrangiarsi in un’auto… non potevate andare dal vecchio eremita? Avreste avuto
vitto ed alloggio gratis!”
“Ci abbiamo pensato, ma non volevo perdere il lavoro
che ho da poco trovato, con i turni di notte riesco a guadagnare bene, e di
giorno ho il tempo per allenarmi. L’eremita è troppo lontano”.
Bulma restò assorta per una manciata d’istanti, poi
propose:
“Potreste venire a stare a casa mia in attesa di
trovare l’appartamento che state cercando…”
“Che bello! E’ un’idea fantastica!” esclamò Pual
scorgendo la prospettiva tanto sperata di farli ricongiungere.
Ma Iamcha non fu affatto contagiato dalla sua
allegria.
Bulma capì quale fosse l’origine di quell’ombra
caduta sul suo volto sfregiato e pertanto disse:
“Vegeta è ancora a casa mia” lo sguardo era fermo e
serio “ma un posto per voi due c’è ugualmente. Casa mia la conoscete, quanto a
lui… sapete bene come è fatto, se non riceve fastidio, sa stare tranquillo…”
Pual osservava l’amico con trepida attesa:
“Ti prego, accetta…”.
Iamcha meditò a lungo.
Acconsentire significava fare un tuffo indietro nel
tempo o forse scoprire una realtà nuova, del tutto inimmaginabile, che non gli
sarebbe piaciuta per niente.
Solo Pual sapeva quanto Bulma gli fosse mancata,
malgrado quello che era successo.
Non era riuscito a dimenticarla come avrebbe voluto
e se alla fine accondiscese fu solo perché sperò che pure lei avesse provato lo
stesso.
* * *
I pettorali si agitavano ansanti, un rivolo di sudore
li percorse con flemma, si trattenne nel solco di una cicatrice, ed infine
scivolò sul pavimento sul quale stremato si era lasciato cadere.
Così Vegeta restò a guardare il soffitto del trainer
gravitazionale.
L’atmosfera rarefatta era tornata normale.
Il volto era contratto in una maschera di
sofferenza, con gli occhi iniettati di sangue e le labbra riarse.
Tossì convulsamente, poi si mise su di un fianco e
cercò di rimettersi in piedi.
Il quotidiano allenamento era iniziato alle prime
luci dell’alba, al meriggio era ridotto già uno straccio.
Ma era stata una battaglia a dir poco entusiasmante.
Kakaroth ed il giovane venuto dal futuro, pur avendo
combattuto valorosamente, giacevano ora in una pozza di sangue.
Lui, il fiero principe dei saiyan, li aveva fronteggiati
con ardimentosa abilità, e sebbene ancora alla ricerca di quella potenzialità
che faceva brillare di oro i capelli e deflagrare una potenza mai vista, li
aveva annientati ugualmente.
Quando aprì lo sportello del trainer, un raggio di
sole gli ferì lo sguardo.
Per quell’oggi poteva bastare.
Se avesse continuato ad insistere, i suoi muscoli
avrebbero corso il rischio di esplodere tanto erano tumidi e gonfi.
Domani avrebbe ripreso le sue battaglie fisiche e
mentali.
Intanto, mentre avanzava alla volta della casa,
Bulma, Iamcha e Pual uscivano dall’auto appena parcheggiata nel giardino.
Il giovane terrestre lo vide arrivare da lontano.
Il suo incedere lento e superbo lasciava trasparire
una fierezza che abbagliava.
Iamcha pensò di certo fosse ormai prossimo a
raggiungere lo stato di super-saiyan.
Non era possibile avere un’aura tanto potente e non
aver ottenuto alcuna trasfigurazione.
Bulma, nel tragitto, gli aveva raccontato che il
saiyan aveva continuato ad allenarsi duramente, ma che ancora anelava ad
eguagliare lo stesso livello di Goku e del misterioso ragazzo venuto nel
presente.
A tal punto, se non era riuscito a trasformarsi era
solo perché il suo cuore era scellerato ed empio, pensò Iamcha.
Vegeta lo aveva riconosciuto ancor prima di
approssimarsi.
Non vedeva più lui né la sua bizzarra ombra da molti
mesi: non si aspettava il loro ritorno.
Per questo, la tempia madida di sudore ebbe un
impercettibile movimento.
Non che la cosa gli importasse, ma la donna
terrestre, una mattina, inviperita più del suo solito, aveva gridato ai quattro
venti di aver chiuso una volta per tutte con quell’impenitente dongiovanni.
Queste erano state le sue testuali parole.
“Non preoccuparti, tesoro…” le aveva parlato quella
specie di oca che aveva per madre “tanto adesso c’è Vegeta, è molto più affascinante…”.
Lui le aveva rivolto un’occhiata assassina ed era
tornato ad allenarsi.
“Hai finito prima del solito?” gli chiese Bulma
vedendolo arrivare “perché non ci aiuti a portare la spesa dentro?”.
Per un istante solo posò lo sguardo su di lei, con
lo stesso interesse che avrebbe avuto per una mosca che gli aveva ronzato
nell’orecchio.
Diede loro le spalle e se ne entrò in casa:
“Tre quarti della roba che ho comprato è per sfamare la voragine che hai al posto dello stomaco! Potresti almeno qualche volta renderti utile!” gli gridò contro.
“Lascia perdere…” mormorò Iamcha che già si era
caricato le braccia “ci penso io”.
Lo rividero in cucina, intento a tracannare
un’intera bottiglia d’acqua.
Iamcha posò le buste della spesa sul tavolo, Bulma
lo raggiunse trascinandosene un’altra dietro, anche Pual cercò di rendersi
utile portando il sacchetto più leggero delle verdure.
Vegeta invece restò a guardarli.
Prese respiro asciugandosi la bocca con il dorso
della mano.
Bulma aveva già messo le mani sui fianchi:
“Spero tu non abbia intenzione di pranzare ridotto
in queste condizioni…” storse il naso “hai bisogno quanto meno di una doccia!”.
Lui le tese uno sguardo carezzevole ed insultante:
“Chissà perché mi piace fare l’esatto opposto di
quello che tu mi dici…” addentò una mela caduta sul tavolo e andò a poggiare la
schiena contro il muro.
Iamcha ebbe allora l’impressione che tra loro due
non fosse cambiato un bel niente.
Così li aveva lasciati, così li ritrovava a quasi un
anno di distanza.
“Iamcha e Pual resteranno qui fino a quando non
avranno trovato un appartamento in cui sistemarsi. Ci siamo incontrati per caso
proprio al supermercato…” gli disse a titolo informativo mentre collocava la
spesa in frigo.
Lo sentirono sogghignare:
“Non mi pare che tu ti sia allenato abbastanza in
questi mesi” fece rivolto al terrestre “il tuo infimo potenziale non si è mosso
di una virgola”
Iamcha digrignò torvo.
Odiava sentirsi inferiore, odiava quel volto
insolente.
“Neanche tu sei riuscito a diventare un supersaiyan”
osò sbattergli in faccia.
Vegeta tornò ad irrigidire la schiena, gli occhi
scintillavano come brace:
“Il momento è più vicino di quanto tu creda” strinse
i pugni “e quando questo accadrà… potrete incominciare a tremare tutti!”
“Ehi, ragazzi…” la briosa voce di Bulma fu come lo
zucchero messo al posto del sale “preferite
a pranzo pollo con patate o salsiccia e melanzane…?”
* * *
Pual si affrettò a chiudere la finestra prima che le
gocce di pioggia degradassero a tempesta.
Il giardino esalava già gli odori della terra umida.
Gettò una sbirciata dietro i vetri: la sera ovattava
i profili della casa ed i rumori dell’isolato circostante.
Poi chiuse le tende e si voltò a fissare l’amico,
sdraiato sul letto con le scarpe ancora ai piedi ed un cuscino sistemato dietro
alla schiena.
“Sono contento che siamo ritornati qui” gli disse.
“Non resteremo per molto” fece grave il ragazzo
“siamo soltanto ospiti, non dimenticarlo”
“Anche Vegeta lo era, eppure è qui da più di un
anno…” osservò con arguzia l’altro.
“Ma per noi è diverso, o almeno lo è per me. Io e
Bulma non stiamo più insieme, non possiamo restare qui, questa non è più casa
nostra. E poi c’è Vegeta… preferisco dormire sotto i ponti piuttosto che
saperlo sotto il mio stesso tetto!”.
Pual non riusciva a capacitarsi di come Bulma avesse
accettato la presenza del saiyan per tutto questo tempo.
Iamcha non gli aveva mai raccontato cosa davvero lui
e Bulma si dissero, quando quest’ultima gli aveva sentenziato la fine della
loro storia.
L’emozione che ella aveva palesato nel parlare di
Vegeta lo aveva lacerato più di mille percosse subite nei combattimenti.
Era una cosa così inaudita che non aveva osato farne
più parola neanche con la propria coscienza.
Semplicemente aveva bandito quell’immagine come
fosse la più blasfema avesse mai visto.
Avrebbe dovuto odiare quella ragazza, ma alla fine
si era convinto che non era per colpa di Vegeta che la loro storia si era
spezzata in modo definitivo.
L’aveva persa perché non era stato capace di
tenersela stretta, perché, per la sua superficialità, lei aveva sentito il
bisogno di aggrapparsi ad una fantasia impossibile.
Questo aveva pensato Iamcha in quei lunghi mesi
prima di rivederla.
“Perché non provi a riavvicinarti? Non può essere
che lei ti abbia veramente dimenticato…” si sentì dire ad un tratto.
Allora si scosse, movendosi a disagio sul letto.
“Non lo so… è soltanto che…”.
Un tocco alla porta:
“Vi disturbo?” fece capolino una frangetta azzurra.
“Sono venuta a darvi la buona notte” si chiuse la
porta alle spalle.
In dosso un pigiama di taglio maschile.
Si andò a sedere sul ciglio del letto:
“Sembra una rimpatriata dei vecchi tempi… non vi
pare?”
“Ehm… io vado in cucina a bere, mi è venuta una gran
sete…” pigolò il piccolo trasformista, togliendo con acutezza il disturbo.
Restarono soli.
Iamcha sembrava fosse più imbarazzato di lei:
“Allora, tra quando inizia il tuo turno?”
Il ragazzo sbirciò l’orologio sul polso:
“Tra un’ora…”
“Ma raccontami…” fece loquace come al solito “che
cosa hai fatto tutto questo tempo, hai per caso rivisto gli altri?”.
Gli raccontò allora di aver incontrato solo una
volta Olong, alcuni mesi prima, per una commissione che era venuto a fare in
città per conto dell’eremita:
“Ma tu guarda… non sapeva fare un salto a trovarmi?”
“Il problema è che da quando qui c’è Vegeta,
preferiscono tenersi alla debita distanza”.
Bulma sembrò non risentirsene:
“Dunque devo dedurre che abbia saputo che tra noi
due è finita già da un pezzo…”
“Nessuna meraviglia, saperci litigati non è una
novità per nessuno, piuttosto dicono che ritorneremo insieme come è sempre
successo…” disse, ma se sperava di sortire in lei un effetto rimase molto
deluso.
“Chissà Goku come se la passa…” guardò in direzione
della finestra, come non ci fossero state le catene montuose a separarli.
“Io sono invece curioso di sapere come te la passi
tu…”
“Ehm… dici a me?” ritornò alla realtà della stanza
“perché… non mi trovi forse in forma?”
Lui sorrise.
Bulma non aveva perso i vezzi di una volta.
“Intendevo dire se stai bene” la fissò serio come
mai era stato “in questi mesi, sono stato in pensiero per te…”
“E perché mai, scusa?” agitò le lunghe ciglia.
O Iamcha non era stato ancora chiaro o lei fingeva
di non capire.
“Perdere la testa per il principe dei saiyan non è
cosa che capita a tutti…”.
Bulma restò in silenzio.
Questa volta abbassò gli occhi.
Non gli avrebbe permesso di scavarvi dentro.
Iamcha avrebbe voluto essere discreto, ma il dubbio
lo logorava più di ogni certezza:
“E’ successo… qualcosa… tra… voi due…?” inquisì con
timore.
“Ma che dici!” scattò lei “Vegeta pensa solo ai suoi
allenamenti, lo hai forse dimenticato? Così ha fatto quando è arrivato qui e
così fa tuttora, per lui sono come un fantasma!”.
Allora il giovane trasse intimamente un respiro di
sollievo.
Forse c’era ancora qualche speranza per lui, se
Bulma era riuscita a sbarazzarsi di quella malsana infatuazione.
Averla di nuovo accanto gli procurava adesso un
ritrovato benessere fisico e mentale.
Iamcha aveva capito quanto quella donna fosse
importante soltanto quando l’aveva persa definitivamente.
Lei aveva di nuovo chinato lo sguardo.
Non si avvide che lui la stava fissando, quasi
volesse suggellare nella memoria il profilo grazioso del suo volto e poi
toccarlo per scoprire che non era soltanto un sogno.
Bulma si sentì delicatamente afferrare il mento ed
il volto dell’uomo appressarsi alle sue labbra:
“Ma che cosa stai facendo?” balzò dal letto come
fossero spuntati aculei invisibili tra le lenzuola.
Iamcha restò spiazzato per una manciata d’istanti,
poi si riprese:
“Scusami… ehm…” si grattò la nuca “non volevo,
davvero non so cosa mi abbia preso…”.
“Il fatto ti abbia invitato a restare qui non vuol
dir niente” non voleva essere dura, ma la frase sortì il medesimo effetto.
“Hai ragione, ho sbagliato… come sempre” affettò una
risata che non la persuase per niente.
“Mi dispiace, ma io non ho cambiato opinione su noi
due” parlò in tutta franchezza, appigliandosi al lato più gentile potesse avere
in quel momento “se la cosa può esserti di conforto, per me resterai un grande amico,
ma niente altro che questo”
“E’ meglio così… allora… ” non sapeva davvero cosa
altro dire.
Un groppo era salito ad occludergli la gola.
Infine lei si congedò dopo avergli augurato buon
lavoro.
Iamcha sprofondò sul letto comprimendosi la faccia
con un cuscino.
* * *
Bulma restò immobile sostenuta ad una parete del
corridoio.
Non pensava Iamcha potesse avere ancora
dell’interesse per lei.
Forse era stato un errore quello di proporgli di
venire a stare a casa sua, ma aveva agito soltanto per amicizia, non nutriva
per lui altra tenerezza che questa.
Per dirla tutta, non aveva neanche sofferto molto
l’epilogo della loro storia.
La rabbia per la sua ennesima infedeltà era durata
il tempo di una sfuriata, prima di dissolversi come fumo dissipato dal vento.
Iamcha non era riuscito ancora a capire che ella non
aveva affatto dimenticato Vegeta, né aveva soppesato la vera portata dei suoi
sentimenti, che non erano come zefiri incostanti, ma ardevano come le fiamme
inestinguibili dell’inferno.
Non aveva la più pallida idea di quanto lei avesse
sofferto per quel saiyan e per la sua freddezza, di come fosse riuscita a
scorgere proprio in questa la sua profondità, fatta di rabbia, orgoglio,
solitudine e di un’infinita desolazione.
Di lui amava tutto questo.
Ma forse nessuno l’avrebbe mai capito, nessuno
sarebbe mai riuscito a fare altrettanto.
Sospirò scotendo piano la testa.
Si mosse poi in direzione dell’ultima stanza e,
sebbene fosse quella occupata da Vegeta, non ci fu esitazione nelle sue gambe.
Il saiyan si stava sfilando la maglia quando lei
entrò chiudendosi la porta alle spalle.
“Che cosa vuoi?” non la guardò neanche, piuttosto
pensò a rigirare l’indumento.
Lei in risposta avanzò slacciando la casacca del
pigiama.
Vegeta lo vide cadere a terra sulla moquette.
Poi alzò lo sguardo per soffermarlo sui suoi seni
discinti.
“Cosa c’è? Hai voglia?” sogghignò “pensi forse che
io sia il tuo trastullo?”
“Anche se così fosse, alla fine non sembra
dispiacerti…” fu ad un palmo dal suo volto.
Lo baciò sul collo facendolo rabbrividire.
La sua voce era già roca quando le disse:
“Prima o poi finirai per farti ammazzare, nessuno si
avvicina così incautamente al principe dei saiyan”.
“Nessuno, hai ragione… tranne che me” gli saltò al
collo cingendogli i fianchi con le sue gambe.
Lui la resse come fosse stata un fuscello.
Succhiò una sua esile spalla prima di gettarla sul
letto, un rogo dove gli piaceva arderla viva come si era abituato a fare ormai
da due lunghi mesi.
Tanto era trascorso dalla loro prima volta.
Dopo, era stata lei per prima a volerlo di nuovo.
Lo aveva cercato di sera, quando aveva già concluso
i suoi allenamenti.
Dopo il gelo iniziale, Vegeta aveva finito per
accoglierla tra le sue lenzuola con un ghigno di compiacimento.
Che male ci sarebbe stato nel praticare del sesso?
Non era forse anche questo un modo di far esultare
il corpo e lo spirito?
E poi lei gli piaceva… quando teneva chiusa la bocca
e non lo assillava.
Gli piaceva sentirla palpitare contro e procurarle
quel godimento che faceva urlare.
Si sistemò tra le sue gambe stringendole i polsi
contro il cuscino.
“Mi stai facendo male…” sibilò Bulma sentendosi
frantumare le braccia.
Allora lui lasciò la presa.
Più volte doveva ricordare che era solo una debole
femmina quella che giaceva sotto di lui.
Così lei fu libera di far scivolare le mani sulla
linea felina della sua schiena, che sinuosa aveva incominciato a flettersi
contro di lei.
Lo desiderava da impazzire.
Solo in quei momenti il principe dei saiyan gli
apparteneva.
Altro non le rimaneva.
E per questo, quello che poteva, veniva a
prenderselo comunque.
Vegeta emise un gemito strozzato, poco dopo che ella
gli ebbe gridato nell’orecchio il proprio appagamento, poi si accasciò su di
lei e vi restò qualche minuto.
Bulma gli passò una mano tra i capelli.
Che avrebbe dato per tenerlo così una notte intera,
se solo lui non avesse detto quello che ripeteva ogni volta.
Allorché ebbe recuperato il proprio autocontrollo,
si spostò da lei e le rivolse la schiena:
“Prenditi la tua roba e vattene via”.
Come una prostituta la trattava alla fine.
Già sentiva incombere sulle spalle un suo
sopracciglio infuriato.
“Spero che tu muoia durante il sonno!” ed indossato
il pigiama all’incontrario, di fretta e in furia, la sentì lasciare la stanza.
* * *
Iamcha era assorto a scorrere gli annunci sulla
pagina degli affitti.
Seduto intorno al tavolo del soggiorno,
l’inseparabile amico lo osservava con occhio critico.
“Siamo qui soltanto da una settimana, perché hai
tanta fretta di scappare?”
“Non sto scappando, ma dobbiamo darci da fare, non
capisci?”
“D’accordo… ma Bulma non ci caccerà di certo se
aspettiamo di trovare l’occasione giusta”.
Ma a lui non andava più di aspettare.
Non perché l’ospitalità non fosse stata la stessa
del passato.
Quanto a cortesia la famiglia Breif aveva molto da
insegnare, se aveva scelto di dare un alloggio finanche al principe dei saiyan.
Solo che lui non si sentiva più a casa come una
volta, soprattutto da quando Bulma gli aveva fatto capire di non avere più
speranze.
Non capiva però quale fosse il problema, considerato
che l’ultima sua marachella fatta da fidanzato gli era stata perdonata già da
un pezzo, altrimenti Bulma non lo avrebbe neanche guardato in faccia quando gli
aveva urtato l’auto e scoperto chi fosse il conducente.
Ora, era inconcepibile che stesse perdendo ancora il
suo tempo dietro a Vegeta.
Cosa poi trovasse in quell’individuo era per lui un
imperscrutabile mistero.
Vegeta era preso soltanto dai suoi allenamenti e
dalla smania di assoluto, intorno a lui altro non esisteva che un abitacolo
fatto di lamiere di ferro.
Con i suoi occhi vigili aveva appurato come non la
degnasse di alcun interesse.
Era solo una gelida macchina da combattimento e
niente altro.
Bulma non poteva sperarci un bel niente eppure,
malgrado ne fosse pienamente cosciente, lo aveva respinto lo stesso.
Pual gli aveva suggerito di provare a
riconquistarla, ma era certo non servisse a nulla sfoderare il fascino che
usava con tutte le altre.
Troppo volitivo era stato il suo piglio quando gli
aveva detto che ormai niente altro era se non un amico… importante, ma pur
sempre un amico.
“Ehilà…” si avvicinò Bulma appena uscita dal suo
studio “trovato niente?”
“I prezzi sono molto cari, ma forse siamo vicini, un
paio di occasioni sono trattabili” chiosò Iamcha alzando finalmente la testa
dal giornale.
“Non preoccupatevi, fate con comodo” gli poggiò una
mano sulla spalla “qui non siete certo di disturbo”.
Chiese loro se gli andava qualcosa da bere ed
optarono entrambi per un frullato al cioccolato.
Bulma allora si diresse in cucina a prepararlo.
Iamcha tornò a scartabellare gli annunci quando
sulla soglia della stanza comparve il principe dei saiyan.
La divisa da combattimento gli aderiva come una
seconda pelle, il sudore gli imperlava l’ampia fronte.
Lo vide guardarsi intorno:
“Dov’è Bulma?” il tono fu spiccio ed autoritario
come sempre.
Era la prima volta che lo sentiva chiamarla per
nome.
Lei era sempre stata soltanto “donna”.
Provò un indefinibile fastidio, che non riuscì a
nascondere:
“Perché? Che cosa vuoi da lei?”
Pual sussultò a quella domanda.
Osservò con timore il saiyan che intanto si era
fatto più vicino:
“E a te cosa importa?” lo guardò tagliente.
La camera gravitazionale necessitava dell’intervento
della scienziata.
Perso il controllo del proprio organismo, alcuni
fusibili del computer principale erano saltati facendo scendere il livello
gravitazionale tutto d’un colpo.
La camera doveva essere potenziata perché era la
seconda volta che questo accadeva nel giro di pochi giorni.
“Ehm… è andata in cucina…” si affrettò a dire
l’animaletto per riparare all’audacia del compagno.
Bulma intanto sistemò i bicchieri su di un vassoio,
guarnendoli con due ombrellini di carta colorata e cialde ripiene di panna
montata.
Quasi colmi fino all’orlo, procedette con cautela in
direzione del soggiorno.
Era sul punto di varcare la porta quando qualcun
altro, irreparabilmente, sbucò di fretta e le fu addosso.
Iamcha e Pual accorsero al rumore del vetro
infranto.
L’acciaio del vassoio produsse sull’impiantito un
pesante rumore metallico.
La scena che si prospettò ai loro occhi era degna di
un memoriale: Vegeta aveva i pantaloni cosparsi di frullato al cioccolato.
“Dannazione, donna… sei una inetta buona a nulla!”
l’apostrofò vedendo come era stato ridotto.
“Fino a prova contraria, sei tu che mi sei venuto
contro!” sbottò pure lei innanzi al disastro che effondeva un odore invitante
di zucchero e vaniglia.
“Che pasticcio…” commentò Pual rimasto inerte.
Alla fine Bulma scoppiò a ridere:
“Ricoperto di cioccolato sei…” cercò di trovare la
parola più giusta “veramente molto dolce…”.
Vegeta mostrò le zanne, poi con risolutezza si sfilò
i pantaloni.
“Non vorrai spogliarti qui davanti” intervenne
Iamcha “non le conosci le buone maniere, non vedi che c’è una donna?”
“Resta qui” pensò invece a dire Bulma “vado a
prenderti qualcosa di pulito…”
“Io cerco qualcosa per lavare…” pensò di rendersi
utile Pual.
Vegeta e Iamcha restarono soli.
I pantaloni furono gettati a terra: due gambe
massicce e scalpellate erano ricoperti da un boxer nero molto aderente.
Iamcha lo sentì sogghignare:
“Cosa c’è? Ti scandalizzi solo perché mi spoglio
davanti a lei?”.
Il terrestre lo vide leccarsi le dita sporche di
cioccolato:
“Penso solo che non dovresti prenderti troppa
confidenza”.
Questa volta Vegeta rise di gusto:
“Ed io credo che tu sia soltanto un ingenuo…”
“Che cosa vorresti dire?” si irrigidì l’altro.
“Non pensi che di confidenza me ne prenda già
abbastanza quando lei si infila nel mio letto?”.
Iamcha sbarrò gli occhi, uno spasmo gli fece
contorcere le viscere.
“Stai mentendo…” spiccicò annichilito.
Vegeta osservò la sua reazione ed allora volle
divertirsi:
“Perché…. non te lo ha detto?” gli porse uno sguardo
maligno “non c’è un angolo del suo
corpo che non abbia visto e saggiato, ci ho fatto i miei sporchi comodi non
una… ma molte volte, credo ormai di aver perso il conto di quante volte mi sia
infilato tra le sue gambe…”.
Mentre lui parlava, Iamcha sentiva inabissarsi.
“E’ una donna insopportabile” seguitò il saiyan col
piglio esaltato “ma quando gode è uno spettacolo, è un vero peccato che tu non
te ne sia approfittato quando potevi…”.
Fu quella la conferma di tutto.
Bulma gli aveva mentito.
E lui si era fidato come un imbecille.
Strinse i pugni e le unghie si conficcarono nella
carne.
Davanti a lui c’era il principe dei saiyan: non gli
restò che girare i tacchi e andare a sfogare altrove la collera.
* * *
Sulla schermata del computer scorrevano
incomprensibili elenchi di cifre.
Le agili dita della scienziata ticchettavano
rapidamente sulla tastiera, poi si fermarono e si mossero a riempire un
bicchiere d’acqua.
Centellinò osservando il lavoro fino a quel momento
svolto.
La frangetta cadeva sulla fronte insolitamente
pallida quel giorno.
Allungando le braccia in un languido sbadiglio,
meditò se fosse il caso di prendersi un po’ di riposo.
Una passeggiata le avrebbe fatto bene, magari
avrebbe potuto scortare Pual e Iamcha alla ricerca di un appartamento vivibile.
In realtà non aveva visto più quest’ultimo dal
giorno prima.
Tra il turno di notte e gli allenamenti di giorno,
conduceva una vita davvero stressante, pensò lei trangugiando l’ultimo sorso.
Un tonfo sulla soglia e Bulma scorse proprio ai
piedi di quest’ultimo un bagaglio:
“Noi ce ne andiamo…” l’espressione fu fredda ed
incolore.
“Avete trovato casa?”
“No, ma ce ne andiamo lo stesso”.
Bulma allora l’osservò meglio.
Vide che l’ombra che gli oscurava il volto era stata
gettata per celarvi dietro qualcosa di più grave.
“Che cosa è successo?”
“Mi hai mentito” le disse senza mezzi termini.
Non se ne sarebbe andato senza averglielo
rinfacciato.
“Ma di cosa parli?”
“Non hai avuto il coraggio di dirmi che andavi a
letto con Vegeta!” le scudisciò quelle parole diritto in faccia.
Lei si sentì spezzare in due:
“Come… lo hai saputo?”
“Me lo hai detto lui, per farsi beffa di me!” la collera
era ritornata a fargli fremere il corpo.
Bulma lo trovò più distrutto di quando gli aveva
intimato di andarsene l’ultima volta, ma non gli avrebbe permesso di giudicarla
in modo riprovevole.
“Io e te non stavamo più insieme, non devo dar conto
a nessuno di quello che ho fatto”
“Ciò non toglie che mi hai mentito!”.
Lei scosse il capo con amarezza e alla fine non le
restò che ammorbidire lo sguardo:
“Mi dispiace, ma era una cosa così intima e
personale e poi… siamo stati insieme per tanto tempo, non volevo… ferirti”
“Ci ha pensato quel bastardo ad umiliarmi!”.
Gliene avrebbe cantate altre quattro se non l’avesse
vista sbiancare all’improvviso e correre a rigurgitare tutto quello che teneva
nello stomaco nel cestino della carta.
Iamcha si mosse per aiutarla ma lei con un braccio
gli fece cenno di non avvicinarsi.
Un rivolo di saliva le scese ai lati della bocca,
sputò e alla fine si asciugò con un fazzoletto.
Restò lì a terra, poggiando la testa al muro:
“Adesso sai anche questo…” mormorò piano con gli occhi
chiusi.
Iamcha era sconvolto:
“Da quanto… tempo?”
“Me ne sono accorta solo da qualche giorno” il test
di gravidanza aveva preso quella tinta che cambia la vita in un secondo.
“E lui lo sa?”
Bulma non parlò, ma poteva immaginare che nella
risposta non ci fosse nulla di buono.
Vegeta non aveva mosso un muscolo del viso, non
un’arteria aveva pulsato più in fretta quando lei gli aveva dato la notizia il
pomeriggio precedente, dopo aver riparato il guasto per cui lui era andata a
cercarla con tanta fretta.
Il saiyan non aveva trovato nulla di cui stupirsi,
si aspettava che prima o poi sarebbe successo.
Non era possibile rotolarsi insieme nello stesso
letto per tante sere e credere di non aver piantato nulla dentro di lei.
Anch’ella ne era consapevole allorquando, in uno dei
primi incontri, già avvolti negli intrighi dell’ebbrezza, era riuscita a fargli
presente che non si stavano servendo di alcuna precauzione.
“E se nascesse un figlio…” aveva sussurrato
languidamente, inarcandosi contro di lui.
Il saiyan era risalito a suggerle una mammella:
“Non saprei che farmene”
“E se io ti dicessi che mi piacerebbe averlo…”
singhiozzò quando lui usò i denti.
“Sono affari tuoi, a me non interessa”.
Per lungo tempo Iamcha non riuscì a dire niente.
Lei portava in grembo un figlio di Vegeta.
Pensò soltanto che quel fardello sarebbe stato
troppo grande per chiunque.
Non sapeva ora se provare pietà o risentimento.
Si accorse che sui polsi sottili di lei erano
impressi i segni di una stretta troppo energica: un cordone violaceo, con
nervature sanguinolenti.
Altre lividure, più o meno recenti, deturpavano il
candore delle sue braccia:
“E’ soltanto un animale, non vedi come ti ha
ridotta?” fece gravemente.
Ma lei sorrise:
“Non è come sembra, suppongo anche a Chichi sia
capitato lo stesso”.
Lui non ci trovò niente di divertente:
“Ti rendi conto in cosa ti sei cacciata?” il tono fu
quello di un rimprovero “pensavi sarebbe stato solo un divertimento? Non hai
pensato alle conseguenze?”
“Non provare a parlarmi così! Tu non sai un bel niente!”
Iamcha allora smise di infierire.
Davvero non sapeva nulla e altro non gli interessava
più sapere.
Eppure riuscì lo stesso a chiederle:
“Come la metterai adesso?”.
Bulma lo guardò negli occhi, uno strano sorriso le
aveva increspato un lato della bocca:
“Credi che mi stia piangendo addosso? Che d’ora in
poi sarò una donna afflitta?”
Lui non voleva capire dove volesse arrivare:
“Ti dico che non sono mai stata così felice come
adesso…” brillò una luce nell’azzurro dei suoi occhi.
L’uomo l’osservò come stesse delirando.
Cosa poteva esserci di felice in tutto questo?
Nel mettere al mondo un figlio che aveva per padre
una carogna?
“Questo bambino è l’unica cosa che Vegeta avrebbe
potuto darmi, è l’unica cosa che ci legherà indissolubilmente, ho sperato con tutta
me stessa che nascesse… io sono orgogliosa di portare dentro di me suo figlio!”
poi si alzò e gli prese il volto tra le mani, quasi volesse trasmettergli
quello che sentiva dentro “perché ti sembra così assurdo? Io lo amo perché sono
andata oltre quello che voi vedete, nella sua rabbia ho visto soltanto una
tristezza infinita…”.
Iamcha le diede le spalle.
Nei suoi occhi tanta frustrazione.
Vegeta era riuscito laddove lui aveva miseramente
fallito… farla innamorare veramente.
Avanzò con flemma verso la porta ed afferrò il
bagaglio.
Lottò contro sé stesso, ma alla fine tornò
ugualmente a voltarsi:
“Se hai bisogno di me, non esitare a chiamarmi…” le
disse e poi andò via.
FINE