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Autore: SoloDolo    22/11/2011    2 recensioni
Una storia breve di un solo capitolo ispirata ad un progetto scolastico: tutto è nato quando la prof ci chiese di svolgere un tema iniziante per "Se una notte d’inverno un viaggiatore...". Gustatevela.
Genere: Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Se una notte d’inverno un viaggiatore si ritrovasse in una grotta con solo un petalo di loto ed una bottiglia di rhum, come si dovrebbe comportare?-
Eravamo tutti riuniti –come di consueto- nella grande sala da pranzo della villa di mio nonno.
Spaziando lo sguardo da sinistra a destra potevo pitturare un’allegra cornice del mio albero genealogico: i primi due posti alla mia sinistra erano occupati da mia madre, Bryna, e mio padre, Albert. Non molto distante da loro, e con l’espressione non meno persa, i miei zii, il fratello di mio padre e sua moglie: nella seggiola seguente sedeva la mia cuginetta di soli tre anni, Dora.
Mio nonno capeggiava dall’altra parte del tavolo, talmente ritto sulla schiena da incontrare i miei occhi sullo stesso identico piano spaziale sebbene fosse decisamente più basso di me. Aveva tutti i peli ritti per l’emozione, sebbene di peli ne avesse ormai ben pochi.
Alla sua sinistra, alla mia destra, erano ormeggiati da ormai quattro generazioni i tre fratelli scapoli di mia madre: i due gemelli, Dalton e Remi, e il terzo, Lumiere. Probabilmente non avevano mai lasciato quella stanza dalla loro nascita. Sarebbe uno spettacolo pietoso descrivere come ogni anno, ogniqualvolta il nonno ci esponeva l’indovinello alla cena familiare, loro mantenevano quell’espressione assopita e meravigliata che faceva risaltare orrendamente tutte le pieghe della faccia di Remi, e quindi anche quella di Dalton. Il che non vuol dire che Lumiere fosse esente da questa orribile deformazione, solo in quantità minore.
Gli occhi vividi del nonno non avevano neanche tempo per battere le ciglia, tant’era l’attesa per il primo avventato che, inconsciamente, avrebbe risposto al suo indovinello. Infatti, già macchinava il sofisticato apparato di demolizioni logiche che avrebbe effettuato ai danni del malcapitato.
I miei si rifiutavano solennemente di rispondere. Molto educatamente, casomai gli fosse stata rivolta un’incitazione, avrebbero risposto di non aver ancora afferrato una qualsivoglia soluzione logica, anche se, a dire il vero, nessuno dei due aveva ancora sfiorato l’idea di poterci pensare su per un attimo. Una famiglia molto altezzosa, malgrado l’umiltà dovuta alle radici contadine del babbo.
Mi voltai verso i miei zii: probabilmente neanche loro avrebbero dato la risposta. Dopotutto, mio zio non aveva finito le medie per andare a lavorare nei campi, e non era ferrato nello sforzare il cervello, e mia zia era troppo occupata a badare a sua figlia.
I miei altri tre zii non si sognavano di conoscere la risposta alla domanda. La loro presenza in quella stanza era puramente simbolica. Spesso però si incalzavano l’un l’altro, a volte si facevano pure sfuggire frasi quali “Mah, forse…”, oppure “Forse questo…  Però…” per poi però ricadere nel più totale mutismo, riconoscendosi in parte all’altezza per la mezza risposta data. Probabilmente, tuttavia, la loro era la partecipazione più attiva all’evento.
Per quanto riguarda me, tacqui. Un po’ perché non avevo assolutamente voglia di pensarci su troppo, un po’ perché portavo una certa ammirazione latente per mio nonno e, sinceramente, la mia vittoria sarebbe stata per lui una deprimente sconfitta.
Mio nonno, evidentemente compiaciuto dal silenzio desiderato, abbozzò un sorriso e spaziò lentamente le pupille, per poi sogghignare con la faccia rivolta verso il piatto. Riassumendo dignità, alzò la testa e dischiuse le labbra.
Interruppe l’attesa Lumiere.
-Questo da dove lo hai tirato fuori, babbo?-
Mi portai le mani ai capelli. Non era certamente quello il momento di fingere di essere stato un pensatore attivo per quei pochi minuti colmi di tempo.
Il nonno fu interdetto. Si guardò intorno, con uno sguardo a metà tra l’infastidito e il bravo genitore. Poi fissò Lumiere dritto negli occhi.
-E’ tratta da un libro cinese, in francese traducibile con “Il vento che soffia”. Me l’ha regalato un mio vecchio amico, che incontrai a Shangai quando voi non eravate ancora né nella pancia della mia povera moglie né nella mente del mio santissimo Dio.- Tradotta, quella risposta significava qualcosa come “Non è il momento per le domande”.
La sacralità dell’attimo era stata infranta: il nonno chinò nuovamente la testa grattandosi le calvizie, io incrociai le braccia e vi sprofondai con la testa. Poi sbirciai dalle pieghe degli avambracci per concedermi un attimo di pausa riflessiva: l’intonaco verde della parete era tappezzato da molti souvenir multiculturali, molto dei quali cinesi. Chissà perché, mi illusi di poter trovare la risposta del fatidico indovinello in qualche pergamena sbiadita. Ero convinto che i proverbi cinesi fossero trascritti dappertutto; avrei invece scoperto più tardi che non era affatto così.
Il pendolo batteva paziente i secondi. Mia cugina pianse per qualche istante; mia zia la prese in braccio e la portò fuori dalla stanza. Nonno approfittò della distrazione per risollevare il capo, che notai essersi riacceso di un bagliore purpureo finora nascosto con meticolosità.
-Allora, non lo sa nessuno?-
Pochi sguardi complici tra di noi ci fecero intendere che nessuno aveva la più pallida idea di cosa avrebbe potuto fare quel maledetto viaggiatore.
Nonno alzò le mani per esprimere un gesto: chiuse le dita fino a completare il pugno, poi lo strinse con vigore tanto che uscirono le vene.
Successe proprio in quel momento: il nonno sbiadì d’un colpo, poi gli caddero le braccia sul tavolo e la testa nel minestrone. Non mi ricordo molto di quegli attimi, in cui però successe il finimondo: mia madre si mise ad urlare, i miei zii chiamarono immediatamente il numero d’emergenza; mi ricordo bene la faccia di mia zia che, tornando con la figlia tra le braccia, impallidì di fronte alla scena che le si manifestava davanti.
Ma la cosa più importante è che io, in tutto quel tumulto, non feci altro che starmene lì, al mio posto, con le braccia rannicchiate e gli occhi fissi nel vuoto.
E l’unica domanda che balenava nella mia testa fu: - Se una notte d’inverno un viaggiatore si ritrovasse in una grotta con solo un petalo di loto ed una bottiglia di rhum, come si dovrebbe comportare?-.
La vita di mio nonno era passata tutta di lì: un tumore lo colpì durante una cena familiare, davanti agli occhi di tutti i parenti. E dove finisce la storia di mio nonno, inizia la mia: sono Dominic Aubert, ed è da quella fatidica sera che l’unico scopo della mia vita non è altro che trovare la soluzione di quello sciagurato indovinello.
  
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