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Autore: Selene Silver    27/11/2011    2 recensioni
C'era luce dappertutto, sul suo viso e nei suoi occhi; passava sopra la capote rossa dell'auto facendola risplendere di scintillii da ferire gli occhi. Pareva quasi che il tempo stesse scorrendo all'indietro; dall'inverno passasse ad un repentino autunno e lì si fermava, sospeso. Sospensione. Rimase immobile sull'uscio.
L'aria odorava di freddo e sole, nel nevischio che ricopriva il terreno si distinguevano nette le tracce delle ruote dell'auto. Presto la brina si sarebbe sciolta, però, cancellandole.
La portiera della jeep si chiuse e l'uomo che n'era sceso batté i piedi sul terreno indurito, sollevando una nuvoletta bianca. I suoi capelli scintillavano come filoni d'oro; lui, fermo sulla porta, pensò che avrebbe potuto contarli uno per uno anche da lì, per come la luce ci giocava: contarli gli avrebbe dato il tempo di riempirsi di nuovo i polmoni, di staccarsi dallo stipite a cui si era appoggiato. Avrebbe voluto correre verso di lui e lanciarsi fra le sue braccia, ma il sole che gli si rifletteva addosso e si spandeva attraverso i rami spogli degli alberi l'avevano lasciato immobile, incantato.

I credits per il nuovo titolo vanno ai Queen ^^
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Some day, one day


A venire per primo fu il rumore dei pneumatici che scricchiolavano sul vialetto. Si alzò di scatto dal letto dove si era gettato e trattenne il fiato. Poi, quando il rumore si fece più distinto, corse. Fuori dalla stanza, lungo il corridoio, giù per le scale, in uno sbattere frenetico della pianta dura dei suoi piedi contro il legno e la pietra. Infine, di slancio, aprì la porta d'ingresso. Il sole lo accecò.
C'era luce dappertutto, sul suo viso e nei suoi occhi; passava sopra la capote rossa dell'auto facendola risplendere di scintillii da ferire gli occhi. Pareva quasi che il tempo stesse scorrendo all'indietro; dall'inverno passasse ad un repentino autunno e lì si fermava, sospeso. Sospensione. Rimase immobile sull'uscio.
L'aria odorava di freddo e sole, nel nevischio che ricopriva il terreno si distinguevano nette le tracce delle ruote dell'auto. Presto la brina si sarebbe sciolta, però, cancellandole.
La portiera della jeep si chiuse e l'uomo che n'era sceso batté i piedi sul terreno indurito, sollevando una nuvoletta bianca. I suoi capelli scintillavano come filoni d'oro; lui, fermo sulla porta, pensò che avrebbe potuto contarli uno per uno anche da lì, per come la luce ci giocava: contarli gli avrebbe dato il tempo di riempirsi di nuovo i polmoni, di staccarsi dallo stipite a cui si era appoggiato. Avrebbe voluto correre verso di lui e lanciarsi fra le sue braccia, ma il sole che gli si rifletteva addosso e si spandeva attraverso i rami spogli degli alberi l'avevano lasciato immobile, incantato.
L'acqua del lago gorgogliava. Robert si voltò finalmente verso di lui, con un mezzo sorriso che nascondeva un barlume di paura - perché non gli era andato incontro come al solito… - inutile e che comunque venne spazzata via dalla corsa del moro; capelli al vento e piedi nudi che sfioravano a malapena il terreno gelido verso quegli occhi dello stesso colore del cielo, ancor più profondi.
Ci fu una piccola esplosione di suono, stoffa che impatta contro stoffa e corpi che si scontrano di slancio, quando finì fra le braccia del biondo come un tornado, aggrappandosi al suo collo e sbilanciandolo indietro, mentre premeva le labbra sulle sue e gli avvolgeva anche le gambe attorno al bacino, solo in minima parte per non ghiacciarsi i piedi posandoli a terra.
Robert emise un verso di sorpresa che sfumò in un gemito mentre accoglieva il suo slancio e lo stringeva fra le proprie braccia, tenendolo sollevato. 
Durò tanto a lungo che persero la cognizione del tempo; un salice spoglio allungò le sue frode sottili verso di loro, spinto da un vento leggero che si trasformava in un sussurro. Jimmy rabbrividì nel suo semplice maglione nero. Sciolse le gambe dai fianchi dell'altro di malavoglia, e appoggiò le punte dei piedi sulle sue scarpe. Robert lo avvolse nel proprio cappotto, posandogli un bacio sulla testa.
«Perdonami se ti ho chiesto di venire. È così poco il tempo che puoi passare con la tua famiglia… scusa.» Erano scuse ricorrenti, e Jimmy le pronunciava sempre dopo quel primo, infinito abbraccio, con il viso sepolto nel petto del biondo. Sapeva di non poterlo capire, e non avrebbe mai potuto, pur essendo anche lui un padre, ormai. Ma si sentiva ugualmente in dovere di scusarsi.
«Non importa, e lo sai. Non avrei resistito senza di te un solo altro giorno» ribatté Robert, sollevandogli il mento per guardarlo negli occhi. Un altro si sarebbe forse disprezzato ad ammettere la situazione in cui si trovavano, ma dalle parole di Percy, come al solito, trapelavano solo sincerità ed un bisogno dolce, quasi infantile.
«No, non ci sarei riuscito neanch'io» replicò candidamente Pagey, avvolgendogli il collo con un braccio e lasciando che le labbra sottili dell'altro tracciassero un sentiero di calore sul suo collo scoperto. Infine sospirò. «Andiamo dentro? È scomodo.»
«Vorrebbe posare i suoi piedini sulla neve, principessa?» replicò Percy, con lo stesso tono che avrebbe usato con sua figlia.
Jimmy stava per replicare, e pure aspramente - fin da alcuni traumi che aveva subito da bambino, provava una repulsione istintiva per i nomignoli da ragazzina che così spesso gli erano stati affibbiati - ma non fece in tempo, perché Robert l'aveva già preso fra le braccia, sollevandolo senza fatica. Si lasciò sfuggire un gridolino, stringendo la mano sul collo di pelliccia sintetica del cappotto di Plant che, imperturbabile, aveva già cominciato a camminare.
«Sei leggerissimo, Jimmy. Dovresti mangiare, sai? Hai fatto colazione?»
«N… no…» Il movimento del biondo, il proprio fianco che sfregava contro il suo petto: tutte cose che lo distraevano da ciò che stava dicendo. «Ero t-troppo… in ansia, suppongo.»
«E perché?» Si fermò per guardarlo. «Credevi che non sarei venuto?» I suoi occhi erano pieni di una dolcezza immensa e, quando si chinò su di lui per baciarlo, lo strinse nella curva del proprio corpo in un modo che lo fece sentire d'improvviso piccolo e compatto, un agglomerato di sensazioni piumose, che facevano tutt'altro che male. Rilassò ogni muscolo e si perse dentro di lui, stringendogli le spalle fra le mani. Robert si staccò solo per un attimo, per sussurrargli sulle labbra un "Idiota" pieno di tenerezza. Infine, schioccandogli un ultimo bacio sulla punta del naso, il viso ancora vicino al suo, Plant mormorò: «Andiamo a mettere qualcosa nel tuo povero stomaco.»
Finalmente entrarono in casa, e a Jimmy si arrossirono le guance e le orecchie quando si rese conto che erano nella stessa posa di due novelli sposi. Forse l'aveva pensato anche Robert, perché sul viso gli si dipinse il suo solito sorrisetto sbilenco. Comunque, senza commentare alcunché, lo portò fino in cucina per poi lasciarlo seduto sul tavolo. Jimmy fece dondolare le gambe come un bambino. «Non so se ci sia qualcosa di commestibile, in effetti.» 
«E allora cos'hai mangiato, in questi giorni?» domandò il biondo, inginocchiato a frugare nella credenza.
Lui si grattò la testa. «Ho finito il tufo l'altro ieri. Poi credo di non aver mangiato nulla.»
Robert gli lanciò uno sguardo obliquo, poi continuò a rovistare nel mobile dandogli le spalle. «Senti, Jim… perché non torni alla Tower House?» lo suggerì con una voce leggera, quasi avesse paura di scatenare uno scoppio d'ira.
«Ci sono stato appena finito il tour. Loro stanno… bene. Scarlet ha iniziato a  leggere Il Signore degli Anelli
Percy sorrise, intenerito, poi si sforzò di proseguire prendendo un profondo respiro. «Le cose con Charlotte come vanno?» 
Il fatto che Jimmy non l'avesse nominata lo lasciava già intuire, ed il minuto di silenzio che seguì la domanda lasciò trapelare stille d'imbarazzo e la stessa riflessione che stavano seguendo entrambi passò anche sul volto del moro. «Vuoi che torni da lei?» sussurrò, cincischiando con la manica del maglione nero che indossava.
Robert, che finalmente aveva trovato un pacchetto di fette biscottate, s'immobilizzò - o meglio, contrasse le spalle, per poi estrarre il cibo dalla credenza e tenerselo sulle ginocchia piegate. «Se non altro ti farebbe mangiare» replicò, con un tono che voleva sembrare vivace, ma suonava più che altro fragile. 
«Ma noi due non potremmo più vederci così» disse Jimmy, ancora con la voce soffocata.
Percy si mise lentamente in piedi, continuando a dargli le spalle, e posò il sacchetto sul bancone che aveva davanti. Teneva le mani posate sulla superficie di marmo bianco, le dita contratte, ma dalla sua prospettiva il chitarrista poteva vedere solo le sue spalle curve. «Se potessi» mormorò «ti porterei a Jennings Farm con me. Mo… forse si amareggerebbe, ma capirebbe. E per i bambini sarebbe normale, penso. Noi potremmo stare insieme, ed io potrei stare coi miei figli. Ma tu non l'accetteresti, vero?»
Jimmy tacque  per un attimo. «Non sarebbe la stessa cosa» rispose infine, col viso chino.
«Certo non sarei tutto per te,» riprese Robert, e nella sua voce c'era una vaga durezza che costrinse il moro ad avvolgersi intorno al petto le proprie stesse braccia. «ma…» s'interruppe e prese a frugare in un altro pensile, da cui, dopo un po', tirò fuori un barattolo di marmellata, che sollevò in controluce per scrutarne il contenuto violetto. Poi si voltò a guardarlo, con un sospiro. Ogni traccia di asprezza era sparita dal suo viso, e fece un piccolo sorriso che mescolava scuse alla consueta dolcezza. «Un giorno faremo in modo che non sia più così complicato.»
C'era una speranza tanto forte ed infantile nei suoi occhi, e d'altro canto la sua presenza a illuminare la sua cucina gli faceva pensare che tutto fosse possibile. Perciò rinchiuse la propria tendenza al decadentismo in una parte nascosta della propria coscienza e rispose al suo sorriso in modo altrettanto tenue. Poi tese le braccia per farlo avvicinare.
«Ah-ah, Page» lo ammonì Robert, posando le fette biscottate, la marmellata ed un coltello - che aveva pescato da un cassetto - accanto a lui sul tavolo. «Non tentare di distrarmi. La mia priorità, ora, è solo riempirti lo stomaco. Scendi e mettiti sulla panca, su.» Quel tono a Jimmy ricordava molto quello di sua madre per persuaderlo ad andare a tavola mentre stava suonando, quand'era un bambino. Gli obbedì, sfiorandogli la guancia con in bacio mentre gli passava accanto. Robert sorrise iniziando a spalmare la marmellata di more sul pane leggermente stantio. 
Ogni volta che finiva di preparare una fetta gliela passava. Il moro iniziò a mangiare in quel suo modo da uccellino - rosicchiando i bordi per poi dare piccoli morsi indecisi; nel frattempo teneva il viso basso, lo sguardo perso nelle venature del legno. Robert lo osservava e di tanto in tanto gli spingeva il cibo più vicino. Alla fine Jimmy spezzò un toast a metà e gliene porse un pezzo. «Mi fai sentire solo e osservato» mugugnò. «Mangia con me, almeno.»
«Non cercare di rifilarmi la tua pappa, Pagey.» Il moro gli scoccò un'occhiataccia, ma l'altro ridacchiò e accettò il pezzo di pane, iniziando a mangiarlo a grandi bocconi.
Quando ebbero entrambi finito, Robert girò attorno al tavolo per infilarsi sulla panca di Jimmy. Posò le mani sulle sue ginocchia. «Meglio?» chiese, socchiudendo gli occhi.
Il moro sorrise. «In effetti avevo un po' di fame» ammise, quasi fosse una colpa, e Robert chinò la testa di lato, gli occhi intristiti. Jimmy allora allungò la mano e gliela posò all'angolo della bocca, raccogliendo con la punta delle dita un po' di marmellata e delle briciole. Si leccò i polpastrelli, guardandolo mentre lo faceva, e Percy rabbrividì.
Gli prese il polso e si portò quella mano lunga ed affusolata alla bocca, iniziando a leccare a sua volta i polpastrelli ruvidi e le dita magre del chitarrista, gli occhi fissi nei suoi. Sembrava un rituale. La pelle di Jimmy era screpolata ma morbida, aveva un vago odore - e anche il sapore - della crema alla vaniglia che doveva aver usato al mattino. La sua lingua passò nell'interstizio fra le sue dita, poi le prese in bocca, avvolgendole, sentendole quasi scheletriche. Infine prese a baciarle, fino ad arrivare al palmo ricoperto di solchi, al dorso su cui s'intravedevano gli scuri percorsi delle vene sotto la pelle banca e sottile, al polso, che morse piano. Pagey aveva chiuso gli occhi, e lanciò un lieve mormorio di protesta quando si fermò, per poi emettere un suono simile alle fusa di un gatto quando gli posò una mano sulla guancia, tenendola perfettamente nel proprio palmo. «Cosa vuoi fare, piccolo mio?»
Le ciglia di Jimmy tremarono quando sollevò le palpebre e lo guardò. Era raro che si dessero nomi del genere - lui, di suo, li considerava piuttosto stupidi. Ma c'erano state, e tutt'ora c'erano, volte in cui semplicemente l'affermazione di ciò che provavano l'uno per l'altro usciva fuori in parole simili - piccolo, amore. Robert le usava più spesso di lui, ma il più delle volte tratteneva quegl'impeti d'affetto, limitandosi a sfiorarlo dolcemente, a guardarlo negli occhi. Attorno alla sua testa, in quel momento, c'era un chiarore tanto forte da ferirgli gli occhi. Il sole entrava dalle finestre a fiotti, e persino attorno alla testa di Jimmy c'era un alone luminoso, che rendeva ancora più scuri i suoi capelli in certi punti e li rendeva solo castani in altri. «Andiamo fuori?» Sfregò il viso sul suo palmo. «Il tempo è troppo bello per starsene chiusi in casa.»
Percy sorrise. Mentre Jimmy si metteva addosso vestiti più spessi, lo guardò dalla porta della sua stanza. Parlarono di cose di poca importanza mentre uscivano, con delle coperte e dei cuscini sottobraccio. Finirono per sistemarsi sulla sponda del lago, in un punto che avevano occupato spesso in estate, vicino ad un faggio a cui Percy appoggiò la schiena. Si rannicchiarono l'uno contro l'altro: nonostante il sole, l'aria era fredda, e Jimmy infilò le sue mani gelate nel cappotto di Robert e poi dentro il suo pullover. Il biondo gli baciava le tempie mentre discutevano del nuovo album che ben presto avrebbero iniziato a creare - Page aveva già delle idee, Percy aveva buttato giù qualche idea nel suo taccuino. L'acqua del lago sciabordava ed il vento soffiava leggero, facendo stormire le fronde di un pino. Un coniglio passò di corsa poco lontano da loro, per infilarsi in un cespuglio.
Il cielo era di quella luminosità vasta e azzurra che, se si è da soli e si hanno dei brutti pensieri per la testa, fa paura. Jimmy sfilò una mano dal maglione di Plant per intrecciare le dita alle sue. Rimasero così a lungo, il moro seduto fra le gambe del biondo, stretti come bambini. Ad un certo punto smisero di parlare e rimasero semplicemente lì insieme, uniti in un bozzo di calore.
Pagey posò la testa sulla spalla dell'altro e sospirò. La perfezione di quel momento si librava in un punto imprecisato davanti a loro, e sarebbe rimasta lì nel tempo, suggellata dalle loro mani intrecciate. Non serviva nient'altro; non serviva affermare niente né nascondersi. Avevano come iniziato a far parte della natura che li circondava. Uno stormo di uccelli volò sopra la loro testa, i battiti piumosi delle ali a risuonare nella volta del cielo, le loro grida gracchianti. 
Dopo un po' Percy si addormentò, con l'immagine di un ricciolo di Jimmy sollevato dal vento impressa nelle retine. Dormì un sonno breve, udendo persino nei sogni lo sciabordio del lago ed il respiro del suo compagno. Quando si svegliò, il moro non era più fra le sue braccia; ma prima ancora di potersi allarmare, lo vide in piedi davanti a lui sulla sponda del lago, con la punta degli stivali che quasi finivano in acqua. Vedeva il suo profilo concentrato; poi portò una mano alla bocca e soffiò via qualcosa di bianco.
Si alzò e lo raggiunse. Lo abbracciò da dietro, posando il mento sulla sua spalla. «Che cos'era?»
Jimmy si voltò verso di lui con un mezzo sorriso. «Una piuma» rispose. «L'ha lasciata cadere un uccello, proprio sulla nostra coperta, mentre dormivi. Era perfetta, avrei voluto conservarla…»
«E allora perché non l'hai fatto?»
«Era troppo bella. Gli esseri umani non meritano la bellezza, al massimo possono donarla agli altri. E mi è sembrato che tenere per me la perfezione di quell'oggetto sarebbe equivalso a non lasciar filtrare neanche un po' della perfezione di oggi; ma invece io voglio parlarne, sia pure semplicemente con la mia musica. Ci sono attimi di tempo che, semplicemente, bisogna lasciar andare…»
Il biondo non disse niente, ma si limitò a stringerlo un po' più forte. «Perdonami se non sono altrettanto altruista» mormorò poi, soffiandogli le parole nell'orecchio. 
Pagey fece una risatina, quindi premette le labbra sulle sue. «Si riferisce a me, signor Plant?»
«Proprio a lei, signor Page» replicò, tracciando il profilo della sua guancia con la bocca. «Io non ho intenzione di soffiarti via, neanche se sei bello e leggero come lo era quella piuma.»
Jimmy si voltò verso di lui e lo abbracciò affondando la testa nel suo petto. Il lago li aveva rinchiusi in un bozzo di foglie secche, rosse come il sangue; la seta dell'acqua, la durezza della terra ghiacciata. In quel mondo freddo e bellissimo, eppure così corruttibile, loro erano un punto di calore che sembrava non doversi affievolire mai, come un fuoco perpetuo.
«Rientriamo?» chiese infine Jimmy.
Raccolsero le loro cose e ripresero il sentiero verso casa senza dire niente, mano nella mano, mentre il vento sollevava i loro capelli e le falde dei loro giubbotti. Sembravano anche loro piume, tinte di colori insoliti, che, unite, si rifiutavano di volare via.
In fondo, gli esseri umani hanno pur sempre bisogno di bellezza, e loro, che la bellezza sapevano darla, non potevano permettersi di sparire nel vento.



C'è così tanto di Stairway to Heaven in questa fiction che mi sento in dovere di scusarmi se vi ho fatto odiare quella canzone. Ma dubito che Stairway si possa odiare, quindi è una scusa retorica. La scusa per l'ennesimo utilizzo improprio di 'ste benedette piume, invece, non me la toglie nessuno ^^"
Volevo solo scrivere una fluff, lasciando che i brutti pensieri semplicemente si agitassero in lontananza, come le fronde degli alberi fuori dalla vostra finestra (ce ne sono?). Non so se ci sono riuscita, ma in ogni caso è stato più o meno un parto, vista la mia depressione cronica, e credo che mia madre mi stia odiando per tutto il tempo che sono stata al computer.
Infine, mi scuso per tutti i vari ed eventuali errori di battitura - non riesco a concentrarmi abbastanza per trovarli ^^" - per la lunghezza che sicuramente scoraggerà molti (sigh) e grazie a Thief_ per avermi prestato la sua espressione "tendenza al decadentismo" xD ILY, mah pillow <3 E , questa è la roba di cui ti stavo parlando ieri, la scena che mi ricorda tanto Robert e il suo amato gelato (diuvhkjdsfukh) è quella in cui Perce lecca le dita di Jimmy ^^" <3
  
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