Film > The Social Network
Ricorda la storia  |      
Autore: SummerRestlessness    03/12/2011    3 recensioni
Mark ha sempre capito tutto al volo. [...] Ma c’è una prima volta per tutto e stavolta deve cedere alle circostanze, ammettere la sconfitta. Accettare il fatto di non capire in quel momento e accettare anche il pensiero, molto più preoccupante, che ci sarà una cosa al mondo, proprio questa, che probabilmente non capirà mai.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Avevo questa storia in una cartella e non l’ho mai pubblicata, non so perché. L’ho ritrovata oggi, l’ho riletta e stranamente mi è piaciuta abbastanza, quindi l’ho postata. Spero piaccia anche a voi :)

 

 

 

sorry

PLAY

Il tempo porta sempre la verità. Peccato che non la porti sempre in tempo. 
(Choderlos de Laclos)

 

 

Mark ha sempre capito tutto al volo.

Potrebbe non sembrare così, dal modo in cui si relaziona con la gente, da come si comporta con gli amici, con le ragazze e con le altre persone in generale. Qualcuno è addirittura arrivato a definirlo “ritardato”, almeno per quando riguarda la socialità. Il problema in realtà è che la mente di Mark spesso è troppo veloce rispetto a quella delle persone “normali”, troppo concentrata su argomenti “più importanti” di stupide feste o stupide confraternite. Certo, un tempo Mark avrebbe dato tutto pur di entrare al Club Phoenix, ma allora non aveva ancora pensato a Facebook, non aveva ancora trovato un modo per migliorare la propria vita che non includesse il dover portare a spasso una gallina per Harvard per una settimana. Da quando l’idea di FaceMash aveva fatto capolino nella sua mente, poi, questa era stata completamente allagata e invasa da quel pensiero e lui era arrivato ad esserne totalmente assorbito per la maggior parte del tempo in cui era sveglio e persino per buona parte di quello in cui invece avrebbe dovuto dormire. In ogni caso, Mark era sempre un passo più avanti di chiunque e questo secondo lui spiegava perché non fosse mai sulla stessa lunghezza d’onda degli “altri”. Non era vero che non li capiva: li capiva troppo e troppo in fretta ed era quasi sempre istantaneamente annoiato da quello che arrivava a capire, perciò semplicemente smetteva di prestare attenzione.

Con la scuola prima e con Harvard poi non era stato troppo differente. Se l’era sempre cavata in ogni materia in cui avesse voluto cavarsela, ma non aveva mai frequentato le lezioni con interesse o attenzione. Quello che gli insegnanti spiegavano mentre lui avrebbe dovuto prendere appunti ed annuire di tanto in tanto al momento giusto, lo avrebbe imparato da solo e nella metà del tempo nella sua camera a casa o, qualche anno più tardi, nel dormitorio dell’università. E quando si era trasferito a Boston, dopo qualche tentativo di presentarsi in classe per provare a vivere appieno l’esperienza del college (più per accontentare Wardo ed i suoi genitori, a dire il vero), Mark si era trovato a tornare al metodo originale, ovvero evitare le lezioni come la peste e studiare da solo quel tanto che bastava a superare gli esami. E gli era sempre andata bene, anzi più che bene, tanto che ad un certo punto si era trovato a domandarsi quale fosse il limite della sua mente, se ci fosse qualcosa che non sarebbe stato in grado di capire.

Ma, certo, Mark è sempre stato un po’ troppo pieno di sé.

In questo momento infatti, mentre seduto davanti a lui dall’altro lato del tavolo il suo ex migliore amico sta confabulando con il suo avvocato e cercando in ogni modo di evitare il suo sguardo, Mark ha un solo pensiero, che lo disorienta e gli toglie il fiato.

Non capisce perché lui e Wardo si trovino lì.

Non che non gli sia chiara la dinamica degli avvenimenti che li ha condotti fino a quel punto, ad affrontarsi in una causa legale milionaria; anzi, quella è decisamente definita nella sua mente, anche se un paio di punti come la storia della gallina sono ancora confusi. Ma, no, non è questo.

È che in fondo loro due erano amici. E il fatto è anche che secondo Mark tutto quello che è successo non aveva il potere, semplicemente non poteva rovinare un’amicizia e lo ferisce o più che altro lo offende, perché Mark non è il tipo da essere ferito da qualcosa, il fatto che invece per Wardo non sia stato così. Erano affari, era Facebook: loro due erano amici e soci, non amici in conseguenza del fatto di essere soci. Solo, ad un certo punto non potevano più essere soci e quindi secondo Mark avrebbero dovuto rimanere solo amici. Compartimenti stagni. Era la conclusione logica, secondo lui.

Invece non era andata così. Per una volta, Mark non aveva capito niente. E sarebbe stato persino sopportabile non capire in quel particolare frangente, ma la cosa è continuata e ormai dura da troppo tempo. Il problema, il vero problema, è che fa male più del dovuto pensare che per Wardo non fosse così. Che per lui la loro amicizia valesse così poco, che Mark valesse così poco.

Qualche miliardo di dollari.

Il pensiero che qualcosa di così insignificante abbia potuto intaccare quello che loro avevano avuto in passato é un pensiero che lo coinvolge più di quanto avrebbe mai voluto. Va oltre la ragione, in quello spazio che Mark non ha esplorato spesso ma che era comunque abituato a dare sempre per scontato e che aveva ritenuto inattaccabile, immutabile: quello dell’amicizia e dei sentimenti che lo legavano ad Eduardo. Riteneva la cosa reciproca, allora, ma si era dovuto ricredere.

Non capisce perché ora Wardo lo stia osservando come si osserva un pesce tropicale che sembra avere un’espressione buffa ma in realtà ha solo una strana conformazione per uno scherzo di madre natura; non capisce perché il ragazzo che gli sta di fronte non sembri più nemmeno Eduardo, né come da qualche tempo si sia trasformato da Ward nel “signor Saverin”, quando al college anche dietro ai suoi completi firmati, alle sue citazioni di Keynes e ai suoi tentativi di darsi un tono serioso riuscivi sempre e comunque a scorgere un ragazzino brasiliano dolce, un po’ impacciato e in fondo sempre gentile con chiunque. Mark non capisce, davvero non capisce e la cosa lo irrita infinitamente, perché non è abituato a non capire.

Ma c’è una prima volta per tutto e stavolta Mark deve cedere alle circostanze, ammettere la sconfitta. Accettare il fatto di non capire in quel momento e accettare anche il pensiero, molto più preoccupante, che ci sarà una cosa al mondo, questa, che probabilmente non capirà mai.

 

 

E poi c’è quella cosa, quella che Mark non ha mai fatto nella sua vita.

A dire il vero, ci sono tante cose che non ha fatto, ma ce n’è una in particolare che sembra accomunare il resto del genere umano e che invece a lui risulta sconosciuta. Non perché non ce ne sia mai stata l’occasione, anzi; semplicemente c’è chi non è portato per gli sport, chi non ha orecchio per la musica, chi non ha talento per l’arte… e poi c’è Mark. Che, come spesso gli capita, anche in questo caso è una categoria a sé stante.

Wardo, il suo migliore amico – ex migliore amico – l’ha portato in tribunale per ottenere da lui dei soldi che lui ha guadagnato grazie alla sua idea. E questo a Mark sembra peggio di un tradimento, peggio di qualunque cosa lui abbia mai fatto, perché implica che Eduardo vuole avere un pezzo del patrimonio che lui si è meritato come risarcimento per qualcosa che Mark è stato costretto a fare, come se dei soldi possano risarcire un’amicizia finita. A Mark tutta questa storia sembra solo un enorme pretesto.

Oltretutto, la colpa è di Eduardo. La loro amicizia, se così si poteva chiamare, è finita per colpa sua. Perché lui riteneva che potesse finire a causa di una stupidissima percentuale. E se è questo il valore che lui dava a Mark, a loro, allora Mark proprio non riesce a capire come lui possa essere visto da tutti come la vittima del “mostro insensibile”, del robot… che poi sarebbe lui, Mark. La cosa sarebbe persino ironica, se non fosse così ingiusta.

Quando però Eduardo – Wardo – lo guarda dritto negli occhi con quel suo sguardo triste e deluso da cerbiatto appena rimasto orfano a causa del cacciatore cattivo, quando lo fa, a Mark non importa più se sia tutta una scena orchestrata dai suoi avvocati per farlo apparire la vittima della situazione e fargli ottenere un risarcimento maggiore. Non gli importa più che sia vero o no, se davvero lui, Wardo, era “il suo solo amico” o se anche quella sia una battuta scritta da qualcuno e recitata alla perfezione dal ragazzo.

Gli si forma un groppo in gola, mentre sente quelle parole ed osserva quello sguardo con un’espressione neutra, quasi indifferente. Per la prima volta fa esperienza del famoso groppo in gola, di cui prima aveva solo sentito parlare e che ora non gli permette di ribattere, di deglutire, di respirare perché sa che se solo aprisse la bocca, se anche solo la dischiudesse di qualche millimetro, non potrebbe più evitare di fare quello che non ha mai fatto prima in tutta la sua vita. Quello che ora ha bisogno di fare così disperatamente, quello che vuole fare a discapito di tutto il casino che è successo, di tutta l’indifferenza in cui si è racchiuso come in un bozzolo che lo proteggesse dal mondo, perché, Wardo questo lo sapeva, lui ha bisogno di essere protetto. Solo che lo stesso Mark se n’è accorto troppo tardi. E davvero non vuole che sia troppo tardi ora, ma non ha idea di come fare a lasciar uscire quelle semplici parole che gli stanno ostruendo la gola, bloccando il respiro, schiacciando il cuore.

Non ha idea di come fare qualcosa che non ha mai fatto prima.

Chiedere scusa.

 

«Scusa» mormora allora Mark, incapace di distogliere lo sguardo da quello di Eduardo. Lo dice piano, come se fosse imbarazzato, come se fosse qualcosa che sia uscito per sbaglio dalla sua bocca e lui stesso ne sia stupito. Ma il suo sguardo racconta un’altra storia. Perché in fondo anche lui sa che è la cosa giusta e se subito dopo tornerà a recitare la parte del ragazzo freddo e indifferente sarà solo perché, be’, lui è Mark e questo è quello che fa.

E solo per un attimo, ma Mark lo coglie perfettamente, anche Wardo ritorna Wardo, il suo Wardo, il suo migliore amico, quello con gli occhi più calorosi di chiunque altro al mondo, gli unici che l’abbiano mai guardato con una sorta di tenerezza mista ad ammirazione. È solo un attimo, però, perché il silenzio breve ma totale che segue quella parola è immediatamente colmato dalle voci degli avvocati di entrambi.

«Mark» sussurra l’uomo in giacca e cravatta alla sua sinistra «non credo che questa sia la tattica migliore per…»

«Signor Zuckerberg», dice l’avvocato di Eduardo dall’altra parte del tavolo «se lei crede che questo cambi qualcosa, allora ha decisamente…»

Basta che Eduardo alzi una mano, però, per riportare tutti al silenzio. Fa un gesto in direzione del suo avvocato, una mano distesa con il palmo rivolto verso di lei, e per Mark quel gesto è tutto. Significa «Un attimo», oppure «Sentiamo cos’ha da dire»; in ogni caso, significa che Wardo ha ancora voglia di ascoltarlo.

«Non ho chiesto scusa ad Erica, quella volta al pub» dice Mark.

Questa frase non ha senso per nessuno, a quello stupido tavolo, se non per loro due. Mark però sa che Eduardo ha capito. Solo loro sanno cosa quella frase significhi e soprattutto quanto significhi: è il modo contorto e oscuro di Mark di dire al suo migliore amico che sta facendo un grande passo verso di lui, un passo che non è stato in grado di fare neanche per la sua ex ragazza.

«Credo che, uhm, andremo un attimo fuori».

Eduardo pronuncia quelle parole lentamente, con attenzione, quasi come se pensasse che in quel momento un errore qualsiasi potrebbe trasformarsi in un disastro, provocare una valanga. Il suo avvocato apre la bocca, sta per dire qualcosa e Mark la guarda impotente senza riuscire a dire niente.

«È tutto a posto» dice per fortuna Eduardo prima che lei possa intervenire e Mark lo sa che non sta parlando con lui ma con i suoi avvocati e che li sta semplicemente rassicurando a proposito della causa e non… della vita in generale, ma quelle parole hanno lo stesso effetto calmante che hanno sempre avuto su di lui se – quando, ogni volta che ne aveva bisogno - venivano pronunciate da quella voce calma e al tempo stesso decisa. Come se Wardo avesse sempre avuto il potere di rimettere tutto a posto, di far andare tutto bene. Ed in un certo senso, era così, o almeno è questo che Mark ha sempre pensato.

Si alza in fretta dalla sedia con dei gesti scoordinati, come se avesse paura che l’altro possa cambiare idea; Eduardo lo osserva intrattenere quella piccola lotta con la sua sedia e per una frazione di secondo sembra che stia per scoppiare a ridere, ma passa subito. Si alza anche lui, ma lo fa con grazie ed entrambi escono dalla stanza, da soli, seguiti dagli sguardi attoniti dei loro legali. A dire il vero a Mark sembra di cogliere un sorriso accennato nella sua direzione di quella ragazza che deve avere la sua età, più o meno, e che accompagna il suo avvocato. Ma subito ha altro a cui pensare.

Perché Eduardo è di fronte a lui e adesso che non ci sono tavoli a separarli il suo sguardo lo ferisce ancora di più, non perché Mark vi veda delusione o dolore, ma perché è così diverso da quello che ricordava che si ritrova a chiedersi se sia in effetti possibile riportare tutto indietro a quando… be’, a quando Facebook non esisteva.

Ed è proprio allora che realizza qualcosa: darebbe persino Facebook per riavere Wardo.

Darebbe qualsiasi cosa e, sì, persino Facebook. Wardo è più importante di Facebook e lui non se n’era mai accorto. Wardo è sempre stato più importante di qualsiasi cosa ed è proprio per questo che Mark non riusciva a capacitarsi di averlo perso, perché per lui era sempre stato sopra tutto e lui l’aveva dato per scontato, non aveva mai messo a fuoco quel pensiero ed invece eccolo, ora, eccolo lì, in tutta la sua scintillante chiarezza.

E gli sembra solo ora di capire, di capire davvero tutto e gli sembra di essere stato così cieco, così ottuso, sempre così vicino alla verità eppure così fuori strada, perché le cose più grandi si possono vedere solo facendo un passo indietro ed osservandole da lontano, così da poterle vedere nella loro interezza.

Mark di passi indietro ne ha fatti parecchi, forse anche troppi, ma adesso finalmente lo vede. Adesso vede tutto. E probabilmente ha un’espressione assurda dipinta in faccia, perché mentre il suo assurdo giro mentale arriva finalmente ad un conclusione, Wardo lo sta osservando con crescente curiosità e quasi non riesce più a non sorridere.

«Bentornato» dice ed è solo una parola ma vuol dire anche che lui sa: sa dei viaggi mentali di Mark, sa che lui ne ha appena avuto uno e forse sa persino cosa abbia pensato. Perché se Mark scoprisse che Eduardo sa leggere nel pensiero non se ne stupirebbe troppo: in fondo ha sempre pensato che lui sia un supereroe o qualcosa del genere.

E a quel punto per Mark è tutto troppo chiaro e accecante e travolgente, quasi soffocante che senza quasi accorgersene inizia a parlare, a vomitare il solito fiume in piena di parole, perché vuole che anche Eduardo veda, che capisca. Solo che, anche in questo tentativo disperato di spiegare qualcosa di vitale importanza come questo, rimane sempre il solito Mark.

«Prendi per esempio il sistema binario, Wardo« inizia, ma gli parla quasi come se stesse continuando un discorso iniziato chissà quando, forse anni prima. Come se nulla fosse cambiato, come se fossero ancora nella stanza di Mark ad Harvard ed Eduardo gli avesse appena fatto una domanda.

«Immagina» continua con foga «di avere una sfilza di zeri… Non sai ovviamente cosa fartene, sono solo degli stupidi cerchietti senza senso messi uno accanto all’altro, sono totalmente inutili, inservibili, non vogliono dire niente… uno spreco di zeri».

Mark gesticola frenetico e Wardo segue anche i movimenti delle sue mani con attenzione e quasi con tenerezza.

«Se però aggiungi un “uno”, anche uno solo, se lo aggiungi da qualche parte, non importa dove, in mezzo a quegli zeri, ecco che, bam!, quell’ammasso di cerchietti ora ha un senso, un significato».

Fa una pausa, sperando di essere riuscito a trasmettere quanta magia ci sia secondo lui in quel processo. Respira forte come gli ha insegnato il suo psicologo la prima e unica volta che l’ha visto e, quando ricomincia a parlare, la sua voce è più lenta, più calma, meno impetuosa. Ma non meno decisa.

«Basta un uno, Wardo, e si può fare tutto. E tu…»

Mark sospira, a fatica frena per qualche secondo la sua parlata nervosa, come se sapesse che quello è il momento più importante di tutti.

«Tu sei il mio “uno”… l’uno che dà senso alla mia sfilza di zeri».

E magari sarà la metafora informatica, o il romanticismo che racchiude, o solo il suo essere particolarmente “da Mark”, ma appena questo smette di parlare, Eduardo lo bacia.

Ed evidentemente gli legge nel pensiero o forse è solo una cosa che gli andava di fare in quel preciso momento e per pura casualità è proprio quello che andava di fare anche a Mark.

E poi si stacca e gli dice «È da quando mi hai chiesto scusa che volevo farlo« e poi lo bacia ancora e si stacca di nuovo solo per correggersi: «Non è vero, è da quando ti ho conosciuto che volevo farlo» e a Mark viene da ridere ma quando le sue labbra incontrano ancora quelle di Wardo gli passa la voglia perché questo, oh questo, è decisamente meglio di qualunque risata al mondo.

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Social Network / Vai alla pagina dell'autore: SummerRestlessness