L’uomo che ti ama.
“L’uomo che ti ama ti bacia dolcemente mentre sussurra il
tuo nome. Non c’è dolore con lui.
L’uomo che ti ama ti accarezza i capelli e ti
guarda negli occhi mentre fate l’amore.
L’uomo che ti ama desidera te, e ti si stringe come se non volesse
lasciarti mai.
L’uomo che ti ama sente il tuo profumo su di
sé e sa che non potrebbe farne a meno, e capisce che tu sei ciò che aspettava da una vita.
Non c’è limite all’amore di quest’uomo”.
Nami
strinse le palpebre e si stiracchiò, sbattendo i piedi sulle fresche lenzuola
bianche.
Amava
la sensazione della pelle che sfregava contro la stoffa ruvida e s’insinuava
tra le sue pieghe, amava muovere le dita dei piedi e strofinarle tra le
lenzuola; forse poteva sembrare stupido, ma in qualche modo farlo la faceva
sentire libera.
Guardò
l’orologio, ed un po’ d’ansia prese a stringerle il petto. Erano già le dieci,
e presto non avrebbe avuto più scuse; rassegnarsi e mettersi a dormire parevano
le uniche opzioni contemplabili, tuttavia c’era sempre quel peso che gravava in
un angolo del torace, accanto al cuore, ad impedirglielo.
Un
peso che si portava dietro da più di otto anni, e del quale a nessuno aveva mai
rivelato l’esistenza. Neppure a Nojiko, anche se era certa che la sorella
avesse già intuito tutto: difficile
ignorare l’espressione che aveva in volto quando, da ragazzina, faceva ritorno
a casa più lacera del solito e con gli indumenti strappati, gli occhi appannati
di lacrime.
Scosse
il capo con energia e lo tuffò sul cuscino, scacciando così i brutti pensieri.
Non le andava di rievocare quell’orribile periodo, anche se, lo sapeva, sarebbe
stato inevitabile.
A
dire il vero, Nami avrebbe dovuto essere piuttosto felice per Robin a causa del
suo improvviso avvicinamento a Zoro, e non negava di esserlo: tuttavia, il
fatto che la compagna quella notte dormisse con lo spadaccino le risultava
parecchio difficile da ignorare, ed il motivo pareva a lei stessa talmente
stupido da non riuscire ad ammetterlo.
La
verità era che, semplicemente, Nami odiava
dormire da sola.
Lo
odiava perché era da sola che aveva dormito, ad Arlong Park, quando non le era
stato permesso far ritorno a casa. Chiusa in una stanza che puzzava di pesce e
di marcio, raggomitolata in lenzuola ruvide e scure, la luna che la salutava
dall’unico oblò, beffarda.
La
cosa pazzesca era che, durante quelle notti, il miracolo era rimanerci, da sola. Nami tremava tutto
il tempo, raggomitolata tra le lenzuola rancide, sperava di non udire il
cigolio nefasto della porta che si spalancava. Quando la luce giungeva, e la
notte scivolava via, piano, era una benedizione.
Il
sole era cosi bello quando si portava
via quella luna funesta.
Fu
con questi pensieri in testa che Nami inaugurò la sua prima nottata da sola.
Si
strinse nelle coperte, cosi come faceva da bambina, e si compiacque nel
trovarle fresche e profumate, accoglienti come un rifugio. Questo non è Arlong Park, si disse con convinzione, questa è casa mia. I miei compagni sono a
pochi metri da me e dormono tranquillamente. Riesco quasi a sentire il russare
di Rufy. Va tutto bene.
Ma
tra pensarlo e il convincersene ce n’era, ed il battito frenetico del cuore non
pareva volersi placare.
Forse
avrebbe potuto trascorrere il tempo leggendo un libro, si disse, e fu proprio
quando si apprestava a scendere dal letto che udì un debole bussare alla porta,
lieve e garbato quasi come se chiunque fosse temesse di disturbarla. Paragonarlo
al cigolio della porta e ai passi pesanti dei suoi ricordi fu quasi spontaneo,
e la differenza tra i due la lasciò spiazzata.
«Avanti»,
disse incerta dopo essersi schiarita la voce, e non si stupì più di tanto nel
vedere la testa biondo grano del cuoco di bordo far capolino dall’uscio. Dovevo aspettarmelo, si disse. Chi dei suoi compagni sapeva essere
tanto premuroso oltre a lui…?
«Sanji-kun»,
lo salutò, rassicurata. Mai come in quel momento ringraziava della sua
presenza.
Lui le sorrise mentre si incamminava verso il letto,
trasportando un vassoio tra le mani. «Come sospettavo sei ancora sveglia,
Nami-san. Ti ho portato qualcosa da bere, se ti va ~♥».
«Oh…grazie».
Nami sapeva che non avrebbe dovuto più stupirsi per le premure del cuoco, ma in
qualche modo il riusciva sempre a sorprenderla.
«Come
sapevi che ero sveglia?», domandò, mentre lui le porgeva una tazza ricolma di
qualcosa dall’odore delizioso.
«Ah…».
Sanji si agitò con noncuranza una mano davanti al viso. «… Ho visto la luce
accesa.»
Intanto,
la rossa avvicinò le labbra alla tazza e ne sorseggiò il contenuto,
apparentemente deliziata.
«Oh…
ti piace? E’ the nero, il mio preferito. Se lasciato in infusione abbastanza a
lungo diventa un ottimo rilassante. Ho pensato… beh, che potesse aiutarti a
prender sonno».
A
quel punto Nami sollevò gli occhi dalla tazza e li puntò in quelli del cuoco. «…
E perché dovrei averne bisogno?», domandò, chiedendosi come avesse fatto ad
intuirlo.
«Mh…
è che Robin-chan non c’è, perciò ho pensato che fosse triste dormire da sola.
Scusami… insomma, se mi sono sbagliato».
«Ah…
n-no. Cioè, è un bel pensiero». Non sapeva davvero cosa dire. In condizioni
normali, la sua risposta sarebbe stata qualcosa come “ooh, grazie! E adesso mi
porteresti anche dei dolcetti, per favore?”, oppure “chi ti credi di essere,
idiota pervertito? Va fuori”. Invece, riuscì solo a fissarlo nell’unico occhio,
blu, e domandarsi cosa si agitasse al
suo interno.
Mentre
lei si perdeva in questi pensieri, il biondo rivolse uno sguardo alle lenzuola
appallottolate in un angolo ed al cuscino ammaccato.
«Ehm,
Nami-san… stavi facendo una lotta qui dentro, per caso?».
«Ah…».
Anche lei gettò un’occhiata nervosa a lenzuola e cuscino. «… ehm, no. Diciamo
uno sfogo».
«…
Capisco. Se hai finito, riporto la tazza in cucina e ti lascio riposare».
Era
questo che le piaceva di Sanji-kun; quando si comportava in maniera seria,
sapeva essere la persona più premurosa e discreta del mondo. Un altro si
sarebbe probabilmente ostinato ad indagare su cos’era che la turbasse, ma lui
no. Lui la guardava negli occhi e capiva perfettamente se il messaggio fosse
“insisti e chiedimi qualcosa” oppure “non osare dire altro. Vattene”.
Era
per questo motivo, forse, che riusciva ad interpretare con tanta facilità i
suoi ordini ancor prima che lei glieli impartisse.
A
volte, quando la situazione pareva disperata, le bastava gridare “Sanji-kun,
potresti…” ed ecco che lui già si fiondava verso il timone, con un entusiastico
“Certo, Nami-san!”.
Sorrise,
mentre il compagno la scrutava con aria interrogativa.
«Nami-san…?».
«Oh…
ah, si. Ho finito. Era buonissimo come al solito», disse, porgendogli la tazza
e chiedendosi che bisogno ci fosse di comportarsi in modo tanto gentile. Si
trattava di Sanji-kun, dopotutto, il suo schiavetto pronto a gettarsi dal ponte
della nave per lei. Lo pensò, ed un attimo dopo si sentì tremendamente in
colpa; forse trattarlo con gentilezza una volta tanto non era cosi sbagliato.
Il
cuoco dovette pensarla allo stesso modo, perché il suo viso si illuminò mentre
le prendeva la tazza dalle mani e la riponeva nuovamente sul vassoio.
«Allora,
Nami-san… io vado. Fa sogni d’oro, mi raccomando».
La
salutò agitando brevemente la mano, dopodiché si diresse verso la porta.
Ecco, si disse Nami. Trascorrere un
po’ di tempo lontana dai suoi fantasmi era stato tanto bello quanto
inaspettato, ma sapeva che non sarebbe durato a lungo. Sentiva già le coperte
attirarla come un richiamo, nelle spire di un passato che non riusciva a scrollarsi
di dosso.
No, si disse, non avrebbe trascorso
un’altra notte del genere. Ora era cresciuta. Ora non era più sola.
«Sanji-kun?»,
chiamò, ed il cuoco si arrestò ormai sulla soglia.
«Dimmi,
amore mio».
«Pensavo…
giurami sull’All Blue che non ti
farai strane idee, okay? Però, insomma, mi chiedevo…».
Si
ritrovò suo malgrado ad arrossire mentre con le dita tormentava l’orlo del
lenzuolo.
«… insomma,
mi chiedevo se ti andrebbe di rimanere qui ancora un po’, solo perché non ho sonno e non mi va di dormire, e assolutamente senza doppi fini».
Enfatizzò
sulle ultime parole e guardò l’espressione del cuoco trasfigurarsi lentamente
da sorpresa a incredula a raggiante.
«Io,
insomma… certo che si! Cioè, volevo
dire… certo che mi va, Nami-san! Fa…farti compagnia, dico. Senza doppi fini e
tutto il resto».
«…
Precisamente», confermò lei, incrociando le braccia al petto.
«Io,
beh… vado a sciacquare la tazza e torno subito, okay?».
Lei
annuì ed un attimo dopo lo vide sparire oltre la porta, chiedendosi se avesse
fatto la cosa giusta. Sanji era un compagno fedele, questo era vero, ma si
trattava pur sempre di un uomo; un uomo piuttosto
pervertito, poi, anche se dannatamente gentiluomo.
Si
chiese se a Sanji-kun fosse mai passato per la testa qualcosa come fare l’amore
con lei, e si domandò quante volte dovesse averci pensato.
L’aveva
messo a disagio con la sua proposta? L’avrebbe costretto a passare la notte a
starle accanto trattenendosi, o l’avrebbe spinto a far qualcosa di cui poi si
sarebbe pentito?
Quando
il cuoco fece ritorno nella camera illuminata, socchiudendo la porta appena
tanto da passarci –per non far trapelare il freddo, di certo- Nami si sentì un
enorme stupida.
Come
poteva dubitare di uno tanto premuroso?
… Ma
rimaneva un uomo, e Nami aveva visto fin troppi uomini apparentemente
beneducati trasformarsi in bestie davanti a una donna.
Ma lui è Sanji-kun. E’ un
compagno e un gentiluomo. Andrà tutto bene.
Tutti
questi pensieri si avvicendavano nel suo cervello mentre Sanji si avvicinava al
letto, incerto, domandosi quale fosse la prossima mossa. Starsene li in piedi
lo faceva apparire goffo, mentre sedersi sul letto accanto a lei l’avrebbe reso
sfacciato. Nell’incertezza, si piegò sulle ginocchia e schiacciò la schiena
contro il letto, rannicchiandosi sul pavimento.
E adesso?
Nami-san
stava seduta sul materasso con le gambe strette al petto, intenta a rimuginare
riguardo qualcosa che lui non riusciva ad immaginare. Poi, all’improvviso,
spostò gli occhi nocciola e li puntò nei suoi, come se volesse dire qualcosa.
Aprì e chiuse le labbra più volte, dopodiché parve decidersi.
«Ecco…
insomma, Sanji-kun, pensavo ad una cosa. Non so come mi sia venuto in mente di parlare
di qualcosa del genere proprio con te,
ma sappi che non ho secondi fini. Per
cui rispondimi senza pensar male. Intesi?».
Il
cuoco annuì, domandandosi quali altre sorprese gli riservasse quella serata già
incredibile.
«Bene.
Allora… qualcosa mi dice che tu sia l’unico su questa nave a cui io possa
chiederlo. Insomma…» Prese fiato. «tu… hai mai fatto l’amore, Sanji-kun?».
Il
biondo non ebbe problemi ad ammettere con sé stesso che si sarebbe aspettato
qualunque domanda tranne quella.
«…Perché
me lo chiedi?».
Nami
sospirò, sperando che il compagno non si mettesse a fare lo stupido come suo
solito. «…Non c’è un motivo particolare. Voglio solo sapere».
Il
cuoco le rivolse un’occhiata di sbieco, dopodiché si prese il tempo di
rispondere accendendosi una sigaretta. La infilò tra le labbra con lentezza e
si concesse un paio di tiri, dopodiché le labbra si piegarono in un sorriso.
«Mi
prometti che non riderai?».
La
rossa annuì, curiosa.
«Beh…
mai fino in fondo. Forse tu mi considererai un pervertito o qualcosa del genere,
ma sono contrario per principio a fare l’amore con una donna che non amo».
«Ma,
Sanji-kun…» disse Nami, sorridendo suo malgrado. «tu ami tutte le donne».
«Ah…
anche questo è vero», rise lui, espirando un’altra boccata di fumo. «Ma vedi,
mi riferisco alla donna speciale che mi farà battere il cuore più delle altre.
E’ una decisione necessaria, perché altrimenti rischierei di illudere una
fanciulla alla quale non potrei donare altro che una notte d’amore. Capisci?».
…Ancora quella sua cavalleria.
«Mmm…
più o meno. Lo sai, Sanji-kun? Ne esistono pochi di ragazzi come te».
«Aaah
~♥ E’ un complimento?».
«Non
incominciare», fece Nami ridendo, e diede uno schiaffo sulla testa del
compagno, che scoppiò a ridere di rimando.
E poi,
d’improvviso, le lenzuola ammucchiate in un angolo le ricordarono il motivo di
quell’impensabile conversazione notturna.
Prese
di nuovo fiato, strinse il cuscino ammaccato tra le braccia.
«…
Neh, Sanji-kun».
Lui
le sorrise, come al solito. «Dimmi, principessa».
«Mi
chiedevo… quindi, secondo te, non esiste il sesso senz’amore?».
Un
altro tiro alla sigaretta, stavolta più intenso. «…No. Si tratterebbe di una
forzatura».
«… E
se dovesse succedere? Se si fosse costretti?».
La voce di Nami s’infranse a metà della frase, e Sanji si voltò a guardarla.
Stringeva forte il cuscino tra le braccia, e gli occhi si erano fatti
improvvisamente vitrei.
«… In
quel caso, sarebbe pura mostruosità. Ammazzerei
chiunque dovesse osare fare una cosa del genere».
A
quel punto fu troppo e, semplicemente, dopo otto anni Nami crollò.
«A me
è successo», sillabò con voce atona. «Mi è successo quando avevo dodici anni».
Nami è tornata a casa prima,
oggi.
Nojiko la vede correre scalza
lungo il vialetto d’ingresso, nel cuore della notte, e corre ad accoglierla. Ma
c’è qualcosa di diverso in sua sorella, lo nota sin dal primo sguardo.
I vestiti sono strappati e laceri
in più punti, le braccia e le gambe sono coperte di graffi simili ad unghiate,
c’è anche del sangue. Ma sono gli occhi di Nami, più di tutto, a gelarla.
Occhi immobili, appannati, nei
quali stanno strette un miliardo di lacrime che si rifiutano di scendere.
«Nami… che è successo? Stai bene?
Ti hanno fatto qualcosa?».
Lei la guarda per un attimo, con
quei suoi occhi appannati e poi, inaspettatamente, sorride. Nojiko giura di non
aver mai visto un sorriso cosi finto e spaventoso.
«Niente… non mi hanno fatto
niente», risponde con voce che di allegro ha soltanto il tono, e fa per entrare
in casa.
«Ma come… sei piena di ferite,
Nami!».
«Ah, queste… siamo stati
attaccati da alcuni pirati, ieri, ed io ho partecipato al combattimento. Non è
niente di serio, sta tranquilla!».
Quando Nami si cambia e s’infila
nel letto, Nojiko non può fare a meno di notare il sangue sui vestiti e,
constata con un brivido, sulla biancheria della sorella. E’ a quel punto che
capisce. Ha quattordici anni, e Nami ne ha solo dodici, ma capisce.
La sorella non le dice mai nulla,
ma di tanto in tanto, durante gli anni successivi e con sempre più frequenza,
fa ritorno a casa in quelle condizioni. Alle domande di Nojiko, semplicemente
risponde “Ci hanno attaccati, ho combattuto bene stavolta, sai? Sono stati fieri
di me”.
E poi si cambia, sempre, e si
mette a letto senza un singhiozzo.
Ma da quel giorno, e in quelli
successivi, e per gli otto anni che verranno, Nami non riuscirà mai più a
dormire da sola senza ripercorrere quei ricordi che le feriscono e le strappano
il petto.
… Non
l’avrebbe mai detto, ma parlarne dopo otto anni fu come strapparsi un peso via
dal petto.
Quei
graffi ce li aveva ancora li, incisi sulle braccia, sulle gambe e sulla
schiena, e sapeva che non sarebbero mai andati via. Stavano li a ricordarle di
ciò che era accaduto, stavano li come un monito.
Gli uomini possono solo ferirti.
Ti vogliono solo per il loro piacere.
Ed
era in questo che aveva creduto, Nami, fino a quando quella ciurma di pazzi non
si era fatta strada all’interno del suo cuore, mostrandole quanto invece gli
esseri umani potessero rivelarsi buoni e premurosi. Ma c’erano cose, si disse,
che neppure loro sarebbero stati capaci di cancellare. Cose che tutto il loro
affetto non avrebbero potuto oscurare, perché esisteva un solo uomo al mondo in
grado di mostrarle cosa fosse l’amore, e Nami non sapeva se crederci.
Sperarci,
quello si. Non aveva mai smesso.
Fu il
rumore di qualcosa di pesante che si abbatteva sul pavimento a ridestarla dai
suoi pensieri.
Un
attimo dopo si rivolse verso Sanji-kun, che stava ancora rannicchiato sul
pavimento, le spalle scosse da profondi tremiti e le dita strette in pugni cosi
serrati da sbiancare le nocche.
«Sanji-kun…
le tue mani. Ti farai male»,
sussurrò, scrollandolo lievemente.
Il
biondo non rispose e sbatté un pugno sul terreno, con cosi tanta forza che Nami
temette davvero per le amate mani del
compagno. Fu in quel momento che notò una sorta di lamiera di ferro in un
angolo, e capì cosa fosse stato il rumore di poco prima: quello che era stato
un vassoio d’alluminio adesso era una sorta di lastra tutta ammaccata.
«Sanji-kun,
smettila», ripeté, scrollandolo stavolta con più energia. «Ti farai male
davvero alle mani se continui cosi! Cosa farai se non potrai più cucinare, eh?».
Questo
parve finalmente scuotere il cuoco, che sollevò il capo con estrema lentezza e
si fissò le dita arrossate, senza dire una parola.
Fu a
quel punto che alcune gocce trasparenti presero a piovergli sui palmi delle
mani, e la navigatrice si accorse con sgomento che il compagno stava piangendo.
«Fare
questo a una donna…», singhiozzò a volume inudibile. «Quei mostri… quei fottuti
mostri di merda… la mia Nami-san…».
Nami
non seppe dire perché, ma provò un’immensa tenerezza mista a gratitudine e capì
che Sanji-kun aveva preso il suo macigno e se l’era caricato sulle spalle, da
vero gentiluomo qual’era, e adesso ne stava sopportando tutto il peso.
Proprio
lui, che odiava che un capello
venisse torto a una donna. Proprio lui se l’era preso sulle spalle, e adesso soffriva
disperatamente.
A quel
punto Nami mandò tutto al diavolo e si appoggiò alla schiena del compagno, quasi
volesse sorreggerlo. Chiuse gli occhi e rimase cosi, ad udire il ritmo dei suoi
singhiozzi soffocati che lentamente andavano calmandosi, passando una mano tra
i capelli biondi e sottili e domandandosi come avessero fatto le cose a finire
in quel modo.
Fu
solo dopo qualche manciata di minuti che il respiro del cuoco si regolarizzò
definitivamente, ed a quel punto Nami si staccò da lui con lentezza, percependo
tutto il peso che lentamente tornava a gravarle sulla schiena. Sapeva che non
sarebbe bastato cosi poco a mandarlo via. Otto anni erano fottutamente lunghi.
«…Eri
una bambina». La voce di Sanji, più
roca e strascicata del solito, la sorprese.
«Si».
«Ti
hanno costretta. Ti hanno ferita».
«Si».
«Li
ammazzo».
Una
risata senz’allegria. «Ci ha già pensato Rufy, no?».
«…Già.
Ma adesso ho voglia di prenderli a calci nel culo uno ad uno».
Nami
sospirò mentre stringeva nuovamente il cuscino al petto.
«…Grazie».
Lui
annuì, tornando a fissarsi le mani ancora arrossate.
«Tu
ti meriti felicità, non dolore.», sussurrò. «Nessuna donna si merita il dolore.
Quei bastardi invece si.»
«…
Peccato che non tutti gli uomini la pensino come te, Sanji-kun. Come voi».
«…Mi
fanno schifo».
«… Lo
so».
Si
guardarono negli occhi a vicenda, complici di quel segreto che adesso li legava
e che gravava sulle loro schiene.
Arrivati
a quel punto, tanto valeva andare fino in fondo.
«Lo
sai, Sanji-kun? Tutti quanti dicono che fare l’amore sia una cosa meravigliosa,
ma io non credo. Tutte le volte… non ho mai sentito nulla. Fa solo male».
«…
Questo perché ciò che ti hanno costretta a fare era tutt’altro, tesoro mio. E’
la cosa più lontana dall’amore e dall’essere umani».
«Ma…
ho paura. Se anche un giorno io dovessi amare un uomo, probabilmente non
riuscirei mai ad andare fino in fondo. Quelle immagini continuerebbero a starmi
in testa per tutto il tempo».
Sanji
le strinse una mano e prese a carezzarle il palmo con delicatezza.
«…Se
sarà l’uomo giusto, capirà. L’uomo che ti ama saprà esattamente ciò che tu
desideri, e tu sarai ciò che lui
desidera, ed a quel punto non ci sarà spazio per altro. Quelle immagini
semplicemente spariranno dalla tua testa, e non torneranno più».
Nami
si chiese come Sanji facesse ad essere sempre cosi dannatamente rassicurante.
«…Me
ne parli, Sanji-kun?», sussurrò. «Dell’uomo che mi ama?».
Lui
le sorrise con calore mentre intensificava la presa sulla sua mano.
«L’uomo che ti ama», spiegò, «ti bacia dolcemente mentre sussurra il
tuo nome. Non c’è dolore con lui. L’uomo che ti ama ti accarezza i capelli e ti
guarda negli occhi mentre fate l’amore. L’uomo
che ti ama desidera te, e ti si stringe
come se non volesse lasciarti mai. L’uomo che ti ama sente il tuo profumo su di
sé e sa che non potrebbe farne a meno, e capisce che tu sei ciò che aspettava da una vita. Non c’è limite all’amore di
quest’uomo».
Nami
lo ascoltò con attenzione, chiedendosi come mai quelle parole le apparissero
tanto vere e giuste.
Forse
era quella notte, forse era la mano di lui che l’accarezzava, o forse era
Sanji-kun e la sua voce cosi calda e cosi rassicurante. Forse fu tutto questo,
ma all’improvviso anche Nami capì. Capì e fu certa che il peso che si portava
sulle spalle l’avrebbe abbandonato li, quella notte, perché adesso le cose
erano cambiate.
Adesso
c’era quella mano che la stringeva, e come aveva fatto a non accorgersene
prima?
Rimaneva
solo un’unica cosa da fare.
«…
Sanji-kun, tu mi ami?».
L’altro
annuì. «Ti amo alla follia».
Con
una fitta al cuore, Nami fu certa che fosse ciò che voleva sentirsi dire.
Raccolse tutto il coraggio che aveva mentre sperava intensamente di star
facendo la cosa giusta.
La
stretta salda e rassicurante sulle sue dita le suggerì che non avrebbe potuto
far una scelta migliore.
«Se è
cosi… se mi ami, allora mostramelo, per favore». Guardò il biondo negli occhi,
tentando di comunicargli quanto tutto quello fosse fondamentale per lei. «Mostrami
com’è che fa l’uomo che mi ama».
All’inizio
Sanji non capì. O meglio, si rifiutò di credere a ciò che le sue orecchie
avevano appena udito. Nami-san gli stava forse chiedendo…?
Gli
costò uno sforzo immane riuscire a mettere in fila un paio di parole.
«…Non…
no, non credo di potere, Nami-san. Non voglio che tu cerchi di farlo solo per
liberarti. Ti sentiresti ancora peggio, dopo, e non mi va di vederti
rammaricartene, e… perché io?».
Lei
gli sorrise, sforzandosi di non arrossire. «Perché sei Sanji-kun. Perché mi
fido di te. Perché mi ami sinceramente, e non mi faresti mai del male».
«Ma…».
Sanji si passò una mano tra i capelli, in imbarazzo. «Fare l’amore non
dev’essere un obbligo, Nami-san. Devi
farlo solo se te la senti, altrimenti non mi sentirei tanto diverso da quei
bastardi».
A
quel punto, Nami abbassò lo sguardo. Avrebbe tentato di persuaderlo un’ultima
volta, dopodiché si sarebbe convinta a lasciar perdere quella follia. Con un
sorriso si rese conto di quanto suonasse strana e ridicola a sé stessa la
proposta che aveva fatto al cuoco, e le tornò in mente ciò che lei in persona
aveva detto appena un’ora prima, “solo per farmi compagnia e senza doppi fini”.
Chi avrebbe mai immaginato che sarebbe andata cosi, con lei che finiva per fare proposte non proprio opportune al compagno?
«…
Pensavo solamente che… insomma, avresti potuto essere solo tu, Sanji-kun. Tu
sei dolce e premuroso, e penseresti di certo a me». Non seppe dirsi perché, ma
per qualche motivo quella proposta folle continuava a non sembrarle del tutto
sbagliata.
«Ma…».
Sanji le poggiò entrambe le mani sulle spalle, guardandola negli occhi. «non
devi scegliere qualcuno per forza adesso,
Nami-san. Un giorno, potresti trovare un uomo che ti amerà quanto me, e…».
Il solo pensiero della sua Nami-san insieme ad un altro uomo gli fece
attorcigliare lo stomaco, e per un attimo fu costretto a distogliere lo
sguardo. «…Insomma, e poi io potrei deluderti. Forse non sono l’uomo che
immagini, no? Dopotutto sono un pervertito».
Lei
scosse il capo con veemenza.
«… Io
ho deciso, Sanji-kun. Voglio che sia tu. Mi
fido di te, razza d’idiota».
Qualcosa
nella fermezza che udì nella sua voce costrinse Sanji a guardarla nuovamente
negli occhi, ed erano i soliti occhi di Nami-san, fieri e ricolmi di
determinazione. Non erano gli occhi di una persona debole.
Sapeva
cosa stava facendo, e si fidava di lui completamente. Non si erano forse capiti
sempre al primo sguardo, loro due?
A
quel punto sbuffò, arruffandosi i capelli. «…Hai vinto tu, come al solito».
Nami
gli sorrise, e fu in quel momento che di colpo arrivò l’imbarazzo. Non paura,
quella no. Sanji-kun l’aveva sempre aiutata e protetta. Era sempre stato li per
lei, durante tutti quegli anni, e di certo non l’avrebbe delusa.
«Ehm…
solo una cosa, Sanji-kun», disse, con una vocina minuscola.
«Tutto
ciò che vuoi, principessa».
«…
Spegneresti la luce?».
Lui
annuì ridendo, e con un fare che aveva qualcosa di solenne premette
l’interruttore sul muro, precipitando la stanza nell’oscurità. Un attimo dopo,
ci fu una specie di sfregamento e una
luce lieve illuminò la stanza. Nami sbatté più volte gli occhi nel tentativo di
vedere qualcosa, ed un attimo dopo individuò Sanji-kun, che le sorrideva
tenendo in mano la candela che prima stava sul comodino. La ripose al suo posto
con estrema cura, dopodiché spense con la suola delle scarpe la sigaretta che
con tutta probabilità aveva utilizzato per accendere lo stoppino.
E adesso?
Nami
rimase per un attimo immobile a fissare il buio, tentando di abituare gli occhi
all’oscurità, quando all’improvviso sentì il letto cigolare sotto il peso di
qualcuno che vi si stava arrampicando. Un attimo dopo, Sanji-kun era affianco a
lei.
La
spinse con dolcezza verso il cuscino, che ripose al suo posto, dopodiché
sbrogliò il complicato groviglio di coperte che stavano in un angolo e distese
il lenzuolo a coprire la compagna, per poi insinuarvisi
lui stesso. Nami lo sentì premere contro il suo corpo, e si domandò da quanto
tempo l’odore di Sanji-kun le apparisse cosi bello e rassicurante.
Per
cominciare, il biondo le passò un braccio intorno al corpo e l’attirò a sé;
voleva che si abituasse alla sua presenza pian piano, che l’accettasse con
naturalezza. Fu solo quando udì le braccia di lei ricambiare la stretta che si
scostò, e col cuore che scoppiava in petto poggiò le labbra su quelle della
ragazza. Cominciò a muoversi piano, mentre le dita di lei gli scorrevano tra i
capelli, le accarezzò le labbra con le sue più e più volte, tenendo a bada
l’ondata di emozioni che minacciava di sopraffarlo. Quanto tempo era che
desiderava baciarla? Avrebbe voluto non smettere mai, e quando lei schiuse le
labbra l’assecondò, carezzandole la lingua con la propria. Fu quando si
staccarono per riprendere fiato che decise di andare oltre, e si scostò per
guardare la compagna negli occhi, ormai abituati all’oscurità. Lei annuì come
per dargli il permesso. A quel punto Sanji fece scivolare una mano sotto la
stoffa sottile della canotta, sollevandola pian piano fino a sfilarla del
tutto. Notò con un sorriso i brividi che avevano attraversato la schiena della
compagna al tocco delle sue mani sulla pelle, ed a quel punto seppe che lei lo
voleva, e fu certo di star facendo la cosa giusta.
Con
la consueta delicatezza rimosse anche il pantaloncino striminzito che l’altra
indossava, mentre lei con lieve imbarazzo si dedicava ai bottoni della sua
camicia. Se la sfilò dalle maniche un attimo dopo, e sentì il freddo pungergli
la pelle. Tirò un’altra coperta ad avvolgerli, poi abbracciò la ragazza e lei
ricambiò.
«…
Tutto a posto?», le sussurrò in un orecchio.
Lei
annuì, piano. «Ho avuto ragione a fidarmi di te».
Sanji
sorrise compiaciuto e la baciò sulla fronte, per poi scendere fino alle labbra
ed arrestarsi sul collo, che baciò ed accarezzò per qualche minuto, dopodiché
con una mano tentò di slacciarle il reggiseno senza ottenere risultati. Nami
emise uno sbuffo divertito e l’aiutò, rossa in viso, stringendo gli occhi
quando percepì le mani di lui sfiorarla e le labbra baciarle i seni con
dolcezza.
«Senti
niente, Nami-san?», sussurrò il biondo alzando gli occhi.
«Certo che si, idiota» sibilò lei
arrossendo, e l’altro scoppiò a ridere.
«Beh,
almeno è un passo avanti».
Nami
fu costretta ad ammettere che aveva ragione. Non era come le altre volte, si
disse, non c’era dolore, solo immensa e disarmante dolcezza. Ne fu ancora più
certa quando Sanji-kun prese a baciarle ed accarezzarle ogni centimetro di
pelle, insistendo sui graffi quasi invisibili che ancora le solcavano la carne,
la baciò dalla fronte fino alla punta dei piedi, e Nami fu certa che lo facesse
per cancellare da lei ogni traccia d’impurità, per farla rinascere sotto il
tocco delle sue mani ed annullare qualsiasi sofferenza o dolore che l’avessero ferita.
E,
per la prima volta, sentì su di sé tutto l’amore di Sanji-kun. Lo percepì
distintamente sulla propria pelle, avvolgerla come un rifugio e scaldarla al
suo interno, lo sentì crollarle addosso come una valanga, una gigantesca
valanga d’amore solo e soltanto per lei, perché era quello il tipo d’amore di
Sanji-kun: un amore assoluto e disarmante, che annullava tutto il resto, e come
avrebbe potuto ripensare alle immagini del suo passato in un momento del
genere?
Semplicemente,
le lasciò andare.
Le
lasciò andare e poi non ci fu altro che Sanji-kun. Quella divenne la sua prima
volta, Sanji-kun il suo primo amore, le mani di lui le uniche e sole che l’avevano
mai sfiorata. Guarì, semplicemente. Guarì avvolta da un intenso quanto
confortante sentore di tabacco, guarì accarezzata da un paio di labbra ruvide e
desiderose, ma imbevute di tenerezza.
Guarì
ogni volta che lui le sussurrava tutto a
posto? mentre l’amava sempre più intensamente. Guarì quando lui, mentre la
possedeva piano, con passione mista a dolcezza, le sussurrava in un orecchio “ti amo, ti amo, ti amo”. Guarì mentre le
diceva che era bellissima, riverso su di lei, entrambi stretti l’uno all’altra avvolti
dalle coperte, guarì e basta, accarezzata dalle mani ruvide e dolci dell’uomo
che l’amava.
E da
quel momento, Nami l’amò.
Angolo dell’autrice.
Era
da una vita che avevo in mente questa fanfic, e sono davvero felice di essere
riuscita a portarla a termine. Rappresenta molto per me, perché per la prima
volta sono riuscita a scrivere di un tema serio come lo stupro. E’ un passo
avanti, dimostra che non sono in grado di parlare di sole stupidaggini XD.
Sulla
fanfic posso dire… che stranamente mi piace parecchio. Ho dei dubbi, però, sull’OOC
di Nami. Non farebbe mai una proposta del genere a Sanji, temo XD Spero solo di
essere riuscita a giustificarla col “contesto” della storia. Riguardo Arlong,
invece, ho sempre pensato che lui e i suoi avessero approfittato di Nami anche
in un altro senso. Sto cominciando ad odiarlo è__è Per fortuna che Rufy l’ha
menato come si deve XD. Invece, parlando di Sanji-kun… anche nei suoi confronti
ho paura di essere sforata in un leggero OOC quando scoppia a “piangere”,
perché non mi sembra il tipo. Però prendetelo come un pianto di pura rabbia,
come sfogo dell’ira verso qualcuno che ha non solo ferito ed umiliato una
donna, cosa che lui non può tollerare, ma per di più una compagna, la sua Nami-san.
Spero
di avervi spiegato tutto T__T.
In
definitiva, sono davvero fiera di questa fanfic –una volta tanto xD-. Ah, e c’è quel leggero tocco di ZoRobin e di nakamaship
che in una mia fanfic non può mancare mai u_u. Spero
davvero davvero che vi sia piaciuta e__e. Se al mondo
tutti gli uomini fossero come i Mugiwara,
probabilmente sarebbe un posto migliore.
Detto
questo (vi rendete conto? Un angolo autore serio!)
vi lascio e vi do appuntamento alla prossima ff, che
detto sinceramente non ho idea di quale sia XD. Alla prossima T^T