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Autore: EverybodyHurts    11/12/2011    6 recensioni
Lui è perdutamente innamorato di lei ma lei non lo sa. Non gliel'ha mai detto per paura di perderla: lei è l'unica che l'ha sempre capito. Ha provato a vederla come una semplice amica cercando di sostituirla con altre ragazze ma.. lei è sempre lì, al centro della sua mente.
Lei è malata, molto malata. Sta combattendo da tempo contro questa malattia ma è una battaglia che ha già perso da tempo: la malattia non si può curare. Lei lo ama ma non gliel'ha mai detto per paura di perderlo. Quando gli dirà che è molto malata lui.. cosa farà? Come si può affrontare una cosa così grande? Come si può sopportare l'idea che la persona che ami a breve ti lascerà? Come farà a dirle ciò che prova? Riuscirà a trovare il coraggio di dirle ciò che non le ha detto in una vita intera?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho deciso di scrivere questa one-shoot perché volevo "cimentarmi" in un qualcosa di drammatico. (: 
Spero vi piaccia! :3 Una recensione fa sempre piacere perciò scrivetemi cosa ne pensate. <3
Buona lettura!
 

Quella mattina mi svegliai con il sorriso stampato in volto, come sempre. Aprire gli occhi e sapere che avrei avuto a disposizione altre ventiquattro ore era come un dono per me. Ogni sera convivevo con la paura di addormentarmi ma soprattutto con la paura di non risvegliarmi mai più, nelle condizioni in cui ero. La paura s’impadroniva del mio corpo già dall’imbrunire, quando le tenebre cominciavano a farsi spazio nel cielo. Quando mi fu diagnosticata questa malattia e i medici capirono in breve tempo che per me non c’erano più speranze, i miei genitori e i miei parenti cominciarono a pronunciarmi le stesse identiche parole. Cercavano di trasmettermi forza e coraggio: elementi che non possedevano neanche loro. Tesoro, cerca di non pensarci, fai come se i medici non ti avessero detto niente: vivi la tua vita. Il modo in cui lo dicevano m’inteneriva: avevano le lacrime agli occhi, riuscivano a tradirsi persino da soli. Il punto era: come facevo a vivere facendo finta di non sapere la verità? Come facevo a portare dentro di me come se niente fosse il pensiero della mia morte che, volenti o nolenti, sarebbe arrivata a breve? Ricordo perfettamente il giorno in cui i dottori ci spiegarono la situazione; da quel momento in poi intorno a me si era creata una specie di bolla. Tutti continuavano a chiedermi e a chiedersi come stessi, come poteva una ragazzina di sedici anni convivere con un qualcosa di così grande, come poteva accettare di dover dire presto addio a tutto ciò che la circondava: amici, scuola, famiglia. Ma come poteva farlo chiunque altro? Con il passare dei giorni imparai a convivere con questo pensiero che in ogni singolo istante s’insinuava al centro della mia mente come per volermi ricordare di non essere troppo felice perché a breve avrei dovuto accettare quella che tutti noi chiamiamo “morte”. Cercavo di mostrarmi sicura di me e coraggiosa agli altri ma in realtà dentro di me.. morivo ogni giorno. Molti mi avevano consigliato di rimanere a casa e riposarmi per evitare improvvisi attacchi ma io avevo detto di no: volevo vivere i miei ultimi giorni come una normale sedicenne, volevo vivere, non abbandonarmi su un letto giorno e notte.
Scacciai i pensieri, mi feci una doccia e rimasi sotto il getto caldo dell’acqua a lungo. Sapevo che quella domanda si sarebbe ripresentata puntuale, come sempre.
«Amore, tutto bene?»chiese mia madre dalla cucina. Come ogni mattina il suo tono era ansioso e preoccupato: voleva accertarsi che stessi bene.
«Sì mamma, tutto bene. Ho quasi fatto.» risposi risciacquando i residui di shampoo.
Dopo essermi asciugata, infilai un pullover grigio ed un paio di jeans. La sera prima, mentre ero sdraiata sul letto, avevo preso una decisione: l’indomani avrei parlato con lui. Non sapeva niente delle mie condizioni: del resto solamente i miei parenti ed alcuni amici sapevano. Non lo vedevo da parecchio tempo e, di conseguenza, non avevo potuto parlargliene. Inizialmente non volevo dirglielo ma poi presi quella decisione: alla fine era giusto che lui sapesse.
Sapevo benissimo dove trovarlo: ogni mattina mentre andavo a scuola lo vedevo insieme alla sua ragazza in un bar di fronte al centro sportivo. Camminando, spesso mi fermavo ad osservarlo.
Uscii di casa e mia madre mi salutò come ormai faceva sempre: occhi pieni di lacrime, sguardo rassegnato. Le sorrisi debolmente cercando di trasmetterle un po’ di coraggio.
Sospirai prima di entrare nel bar e mi diressi verso di lui: stessa posizione davanti al bancone, stesso cappuccino con cacao, stesso cornetto, stessa ragazza. Mentre mi avvicinavo quest’ultima mi fissava insospettita.
«Hey.» dissi attirando l’attenzione. La tipa incrociò le braccia al petto senza smettere di scrutarmi.
«Hey.» rispose. Dal suo sguardo si capiva che era sorpreso di vedermi.
«Hai cinque minuti?» gli chiesi. Aveva ancora cinque minuti per me? Cinque minuti per quella che gli era stata sempre accanto? Quella che non aveva smesso di amarlo, nonostante lui non avesse mai ricambiato? Quanto lo amavo. Non glielo avevo mai detto solo per paura di rovinare la nostra amicizia.
«Ma certo.» confermò lui.
Gli feci segno di allontanarsi e lui bisbigliò un “torno subito” alla sua ragazza la quale, gelosa, annuì controvoglia. Mi seguì con il suo cappuccino in mano.
Ci sedemmo ad un tavolo vicino all’enorme vetrata che utilizzavo sempre per osservarlo la mattina.
«Dimmi tutto.» disse lui ad un tratto.
«Vai di fretta?» chiesi io di rimando.
«No, perché?»
«Potrebbero volerci più di cinque minuti..» dichiarai osservando la sua espressione. Non sembrava turbato: aveva ancora tempo per me.
«Non preoccuparti.» affermò guardandomi negli occhi.
Seguì un lungo silenzio: non sapevo davvero come iniziare. Perché complicare sempre le cose? E se partissi nel modo più semplice e naturale? –pensai. Sì ma.. sbattergli in faccia la verità in quel modo? Forse era il modo migliore.
Senza guardarlo, cominciai. «Sono malata.»
«Beh, è periodo. Vedrai che passerà presto.» disse lui tornando a mescolare il suo cappuccino.
Scossi il capo. «Ascoltami per favore. Sono gravemente malata. Mi hanno diagnosticato una malattia che.. una malattia che.. » balbettai.
«..che?» m’invitò a continuare. Sentivo il tono della sua voce irrequieto, nervoso.
Sospirai. «Una malattia che non si può curare.»
Alzai lo sguardo e lui sgranò gli occhi. Gli cadde di mano il cucchiaino e schizzi di cappuccino si sparsero sul tavolo.
«Co..co..cosa?» chiese lui con voce tremante. Si preoccupava per me?
«E’ così, volevo dirtelo.»
Si mise le mani nei suoi capelli scuri e mi guardò intensamente. Vidi uno strato di lacrime sui suoi occhi marroni.
«Perché non me l’hai detto prima?» chiese quasi arrabbiato.
«Sinceramente non pensavo t’interessasse ancora di me. Eri molto impegnato.» dissi indicando la sua ragazza che non smetteva di fissarci.
Lui scosse il capo come se lei fosse l’ultimo dei suoi pensieri in quel momento. Fece per aprir bocca ma lo zittii con un gesto.
«So che sembra stupido ma.. voglio dirti una cosa. Non so quando morirò, ovviamente, ma potrebbe capitare in qualsiasi momento, anche ora. Perciò ti chiedo di.. ti chiedo di.. vederci, magari. Una volta. Mi dirai tutto ciò che pensi di me, se sono stata una buona amica, se mi hai.. voluto bene. Mi dirai tutto ciò che non mi hai detto. Te lo chiedo per favore. Ovviamente se hai qualcosa.. da dirmi. » dissi con le lacrime agli occhi.
Poi mi alzai e mi diressi verso l’uscita.
«Aspetta! Quando?» chiese.
«Sai dove trovarmi.» risposi. Quando mi voltai ed il vento scompigliò dolcemente i miei capelli cominciai a piangere pensando che, nonostante lui mi avesse sempre vista come un’amica e basta, lo avrei perso per sempre. E lui era.. lui era tutto ciò che non avrei mai voluto perdere, anche se il nostro rapporto era costituito ormai da saluti veloci e sguardi rubati. Rimpiangevo i nostri momenti insieme, anche se non eravamo nient’altro che amici. Ma io lo amavo da sempre, con tutta me stessa. I suoi occhi che avevano guardato altre ragazze, la sua bocca che aveva baciato altre bocche, le sue braccia che avevano stretto altri corpi, lui che non era mai stato mio nel vero senso della parola.
Mi strinsi nelle braccia e andai al parco: quel giorno avrei anche potuto saltare la scuola.
 
-una settimana dopo.
 
Quel pomeriggio accesi il computer per ascoltare della musica e rilassarmi. Il mio momento di tranquillità terminò poco dopo.
«Tesoro, te la senti di andare a comprare il latte e il pane?» chiese mia madre.
Annuii.
«Posso andare io, se vuoi.»
«No mamma, non preoccuparti, vado io.»
Presi un giubbotto piuttosto pesante e lo indossai: quel giorno sentivo particolarmente freddo.
Entrai nel supermercato e comprai il latte e il pane, come mia madre mi aveva chiesto. Nel momento in cui uscii dal supermercato cominciò a piovere leggermente. Nonostante non avessi l’ombrello, proseguii. Amavo camminare sotto la pioggia e rientrare a casa completamente bagnata. Lo amavo sin da bambina, nonostante ricevessi mille rimproveri.
«Hey!» urlò una voce che mi distolse dalle mie riflessioni. La sua voce. Sobbalzai.
«Cosa ci fai qui?» chiesi.
«Stavo venendo a casa tua, in realtà.» rispose lui.
L’intensità della pioggia aumentò.
«Casa mia?» chiesi spalancando la bocca leggermente. Esce in un giorno di pioggia per venire a casa mia?
«Avevi ragione, sì, come sempre.»
«Non capisco.» proseguii.
I suoi capelli erano ormai completamente bagnati: le gocce d’acqua scivolavano dolcemente sul suo viso. Le sue labbra erano ancora più rosse e carnose.
«Devo dirti una cosa, una cosa che non ti ho mai detto e me ne sto pentendo. Non immagini neanche quanto. Penso a cosa saremmo ora, se solo te l’avessi detto e il rimorso mi sta uccidendo.» spiegò lui. In quel momento realizzai che non tutte le gocce che scivolavano via dal suo volto erano pioggia: stava piangendo.
Mi feci ancora più attenta. La situazione si fece alquanto ambigua: eravamo sotto la pioggia battente e lui cercava di dirmi qualcosa che non mi aveva mai detto. Perché non ripararsi, magari?
All’improvviso, ebbi una fitta al cuore. Una fitta dolorosa, una fitta che mi piegò in due. Oh mio Dio. Che sta succedendo?
Lui spalancò gli occhi preoccupato e si chinò su di me.
Non ora, per favore non ora.- implorai.
Un’altra fitta. No, no, no! Gridai dentro di me, sperando che “qualcuno” mi ascoltasse. Non ora, non ora! Ti sto implorando, non ora. Non ora: lui mi sta parlando, deve dirmi qualcosa d’importante che non mi ha mai detto. Voglio essere sua amica, un’ultima volta.
Vista annebbiata.
«Che ti sta succedendo? Oddio, chiamo qualcuno!» gridò lui.
No, no, no! Non può essere!
Sì, con il passare del tempo avevo imparato ad accettare quell’idea: l’idea che quella maledetta malattia mi avrebbe portata via da tutto e da tutti.. da lui. Ma non poteva portarmi via proprio in quel momento, non poteva privarmi di quel minuto così prezioso, non poteva!
Ancora un minuto, per favore. Sessanta fottutissimi secondi e poi basta.
Con tutta la forza che avevo urlai contro di lui: «Parla! Dimmi cosa.. devi dirmi!»
Ancora vista annebbiata.
«Io.. io.. »
Fulmine, lampo. Fitta.
Sbrigati, dannazione! Sbrigati amore mio, muoviti! Parla! Dì quello che hai da dire, è l’ultima occasione. La tua ultima occasione per parlarmi e la mia ultima occasione per ascoltarti. Parla, amore. Dimmi ciò che hai dentro e ti ascolterò come ho sempre fatto. Ti ascolterò un’ultima volta.
«Io.. io ti amo. Ti amo da sempre.» disse lui alla fine. Il suono dolce delle sue parole mi fece sembrare tutto più semplice, mi aprì le porte del Paradiso.
Ti amo anche io, ti amo, ti amo da sempre, ti amo!
Come per magia, come se fossi nata solamente per sentirmi dire da lui quella frase, chiusi gli occhi per qualche minuto.
Quando li riaprii cercando di lottare contro quella “forza oscura” che mi stava trascinando via, lui era a pochi centimetri dal mio volto. Mi persi in quegli occhi, in quelle labbra, in quei capelli, in quella perfezione guardandolo per l’ultima volta. Stavo partendo per un viaggio senza ritorno.  
«Ti.. ti.. amo anche io. » dissi quasi sussurrando. Lui mi aveva sentito, lo sapevo, lo sapevo. Strinsi leggermente la sua mano ma poi le forze vennero a mancare.
 
..poi sorrisi per un secondo e quella forza vinse contro di me. Chiusi gli occhi. 
   
 
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